La mia Tribù: Storie Autentiche di Indiani d’America
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Info su questo ebook
Storia, cultura e problemi dei Nativi Americani sono il fulcro di questo importante testo che nasce da una ricerca su oltre 5000 pagine di archivi statunitensi, portando alla luce la verità sul rapporto tra Nativi Americani e Governo degli Stati Uniti. Sono svelati leggi e programmi sul come è stato gestito il “problema indiano”, fino alla rivelazione di un piano di sterilizzazione forzata che ha cercato di assegnare l’ultimo colpo letale alle comunità di Nativi Americani. Ricco di approfondimenti e di riferimenti bibliografici, contiene un focus sulla tribù Crow e i motivi che la hanno portata ad affiancarsi a Custer nella battaglia del Little Big Horn. La versione ebook è arricchita di 10 pagine di foto a colori.
L’Autore: Scrittrice e giornalista, Raffaella Milandri, attivista per i diritti umani dei Popoli Indigeni, è esperta studiosa dei Nativi Americani e laureata in Antropologia. È membro onorario della Four Winds Cherokee Tribe in Louisiana e della tribù Crow in Montana. Ha pubblicato oltre dieci libri, tutti sui Nativi Americani e sui Popoli Indigeni, con particolare attenzione ai diritti umani, in un contesto sia storico che contemporaneo. Si occupa della divulgazione della cultura e letteratura nativa americana in Italia e attualmente si sta dedicando alla cura e traduzione di opere di autori nativi. Tra le sue opere ricordiamo “Nativi Americani. Guida alle Tribù e alle Riserve Indiane degli Stati Uniti” (Mauna Kea, 2021), una opera completa e aggiornata sul mondo delle tribù indiane oggi.
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Anteprima del libro
La mia Tribù - Raffaella Milandri
Indice
INDICE
Premessa alla seconda edizione
Introduzione
Prefazione
- Immagina
- Occidentalizzazione
- Le riserve indiane
- Il popolo senza terra
CAPITOLO 1 PARTENZA E ARRIVO
- I consigli di viaggio del Console
- I preparativi
- Gli amici di Facebook
- L’animo della partenza
- Arrivo
- Io, viso pallido
CAPITOLO 2 UN PASSATO E UN PRESENTE NON POLITICAMENTE CORRETTI
- Una lenta riconquista
- Un viaggio nella storia, per capire
- George Washington e l’uguaglianza
- Le prime leggi pro
e contro i Nativi Americani
- Selvaggi, non concittadini
- La confusione premeditata del Dawes Act
- Genocidio
- Una nuova luce sugli Affari Indiani: il Meriam Report
- Il ritorno alle riserve
- La razione di cibo
ovvero i buoni spesa
- La scuola
- Angeli o demoni?
- Da Tituba, strega, a Lily dei Mohawk, santa
Autodeterminazione e leggi al recupero
- Autodeterminazione: 1975 Indian Self-Determination and Education Assistance Act
- Libertà religiosa: 1978 American Indian Religious Freedom Act
- Protezione dell’infanzia: 1978 Indian Child Welfare Act
- Gioco d’azzardo: 1988 Indian Gaming Regulatory Act
- Recupero della lingua originale: 1990 Native American Languages Act
- Rispetto per i defunti: 1990 Native American Graves Protection and Repatriation Act
- Tutela dell’arte e artigianato indiani: 1990 Indian Arts and Crafts Act
- Diritto alla caccia e alla pesca: 1993 Indian Fish and Wildlife Resource Enhancement Act
- Abitazioni: 1996 Native American Housing Assistance and Self-Determination Act
- A favore delle donne: 2010 Tribal Law and Order Act
Argomenti caldi
- La spada di Damocle: l’Eminent Domain
- Il negoziatore di scorie nucleari: il razzismo radioattivo
Problemi tribali
- Alcolismo: l’acqua di fuoco
- Suicidi
- Disoccupazione
- Lingua biforcuta
e rivendicazioni
- Sangue che scompare
CAPITOLO 3 GIROVAGANDO FRA I CROW
- Al rodeo
- La Crow Fair
- Raffy Black Eagle
- Reazioni
- Esempi illustri
- Mio fratello Obama
CAPITOLO 4 STORIA DI UN POPOLO FIERO
- Preistoria
- Protostoria
- Storia
I trattati, la riserva e gli agenti indiani
- I primi anni
- Il buon
Pease (da gennaio 1871 ad agosto 1873)
- Il predicatore
Wright (da settembre 1873 a dicembre 1874)
- La farina di Clapp (da dicembre 1874 a maggio 1876)
- Il massacro di Custer
- L’agente fantasma
Carpenter
- Il furbone
Frost (da luglio 1877 a dicembre 1878)
- Keller, l’ottimista
(da dicembre 1878 a dicembre 1881)
- L’integerrimo
Armstrong (da gennaio 1882 a dicembre 1885)
- Il pascolo Blake-Wilson
- L’impavido
Williamson (da dicembre 1885 a maggio 1888)
- La ribellione dei Crow
- Pretty Eagle
- Politiche interne
- Briscoe e le statistiche (da maggio 1888 a giugno 1889)
- Wyman: senza infamia e senza lode (da luglio 1889 a febbraio 1894) parte prima
- I Wild West Show
- Wyman: senza infamia e senza lode (da luglio 1889 a febbraio 1894) parte seconda
- L’educativo
Watson (da febbraio 1894 a gennaio 1897)
- Il succinto
Edwards (da giugno 1899 a giugno 1902)
- Lo scandaloso moralismo di Reynolds (da luglio 1902 a gennaio 1910)
- Dance-mania
- Da Jones a Leupp
- The Crow Scandal
- La terra è mia
- Hugh L. Scott (da gennaio 1910 al 1914)
- La Grey non demorde
- Cato Sells
- Evan W. Estep (dal 1914 fino al 1917) e successivi
- Robert Yellowtail
- Storia recente
Riserva oggi
- Organizzazione politica
- Capi Crow
- Discorsi famosi
- Alcune donne leader tra i Crow
CAPITOLO 5 IO SONO BAA KUUXSHEESH
- Istinto
- Déjà vu
- Il risveglio
- L’appartenenza e l’avatar
- Un cavallo in regalo
- Profezia
- Baa Kuuxsheesh
CAPITOLO 6 LE TRADIZIONI
- La spiritualità crow
- Io sono Crow - di Luella Brie
- Le stagioni di ieri
- Le stagioni di oggi
- I clan
- I nomi dei clan
- Teasing clan (clan dispettosi)
- Parentela
- La gravidanza
- Il nome
- I nonni
- Tradizione orale
- Cerimonie
- La tradizione del giveaway
- L’adozione indiana
- Il tipi
La vera religione
- Il sacro tabacco e il potere delle erbe
- Medicine man
- Sacchetto della medicina e sacra pipa
- Ricerca di una visione (vision quest)
- La sweat lodge
- Sundance
- Un appello a tutti i leader spirituali e religiosi del mondo
- Thomas Yellowtail
- La preghiera di Yellowtail
- Yellowtail parla di sé e dei valori indiani
Eventi
- Crow Fair e Rodeo
- Handgames
CAPITOLO 7 LE STORIE
- Yellow Leggings e le origini del tipi
- La storia della migrazione
- Storia della Creazione
- La Creazione (I)
- La Creazione (II)
- Una leggenda Crow: I Fratelli Buttati via
- Una leggenda Crow: Le origini del Tabacco
- Red Shield e Running Wolf
CAPITOLO 8 IN MONTANA
- Strano, in Montana
- Chi è il Presidente degli Stati Uniti?
- Gli Hutteriti
- Chi sono gli Hutteriti?
- Ghost Town: Rimini
- All’Ufficio degli Affari Indiani
- Calumet e... punti di vista
- Salish e Kootenai
- John, il cercatore d’oro
CAPITOLO 9 IL RACCAPRICCIO DELL’EUGENETICA
- In famiglia
- Il racconto di Connie: Susie Walking Bear Yellowtail
- Nonostante Susie
- Sandra
- Trace
- Crimini contro le donne
- Family Planning Act
- Eugenetica
- Aryan Nations
CAPITOLO 10 LA CITTÀ È MIA
- La storia di Keller
- Sui Nativi Americani scriveva il generale Custer
CAPITOLO 11 MINIGUIDA ALLE RISERVE INDIANE
APPROFONDIMENTI, NOTE E FONTI BIBLIOGRAFICHE
INSERTO FOTO A COLORI CROW FAIR & RODEO
Frontespizio
Raffaella Milandri
La mia Tribù
Storie Autentiche
di Indiani d’America
Copyright
Raffaella Milandri
La mia Tribù. Storie Autentiche di Indiani d’America
Prima edizione
© 2020 MAUNA KEA EDIZIONI
© 2013 Copyright by Raffaella Milandri
ISBN 978-88-31335-19-5
Dedica
A Hartford JR. Sonny
Black Eagle,
alla sua vita straordinaria
che ha visto incredibili cambiamenti epocali.
Credits
Fotografie: Raffaella Milandri
Fotografie storiche e cartografia: Crow Indian Photographic Collection, Little Big Horn College, Crow Agency, Mt 59022, Binder 1.
RINGRAZIAMENTI
L’Autrice e l’Editore ringraziano tutti coloro che hanno reso possibile la realizzazione di questo libro e, in particolare, i membri della tribù Crow della riserva Crow Country in Montana, e il Little Big Horn College a Crow Agency per aver messo a disposizione le foto storiche della Crow Indian Photographic Collection.
Premessa alla seconda edizione
PREMESSA ALLA SECONDA EDIZIONE
Quando un libro riceve molti apprezzamenti, come questo, non è facile decidere di passare a una nuova edizione, né scegliere come impostarla. Però, alcune informazioni in esso contenute richiedevano un aggiornamento: il numero di tribù indiane che è aumentato dalla edizione del 2013, e altri dettagli e link, anche nella citazione delle fonti. Essendo un testo dal contenuto in buona parte storico e informativo, la precisione è importante. In merito a modifiche a leggi e statistiche più recenti, in questa sede non saranno riportate modifiche: sia perché non ve ne sono di sostanziali, sia per il Census 2020, censimento in attesa di risultati. Per notizie attuali in merito alle riserve nel loro complesso, e all’impatto del Covid sulla popolazione nativa, stiamo preparando un testo dedicato. Si è ritenuto necessario fare questa edizione a migliore leggibilità, con caratteri più grandi; ma anche offrire un prezzo di copertina abbordabile, pur se ciò induce a soprassedere su foto a colori, ad esempio. Così, io e la casa editrice siamo lieti di poter offrire una edizione non solo aggiornata, ma anche con dei vantaggi in più. In fin dei conti, è uno dei pochi testi, in italiano, che raccontino davvero come siano andate le cose, ai tempi del cosiddetto Far West. Oltre alla storia della mia adozione.
Introduzione
Introduzione
Il mio nome indiano è Baa Kuuxsheesh. Grazie a una profezia, ho il grande onore di essere un membro adottivo della tribù Crow. Nella riserva vivono mio fratello Cedric, il mio padrino di clan John, e una grande famiglia che è nel mio cuore, e vi sarà per sempre. Incondizionatamente. I Crow, o Apsáalooke, sono stati gli antichi e acerrimi nemici dei Lakota e dei Cheyenne: fieri, combattivi, attaccati con forza alle tradizioni, hanno per secoli difeso la propria rigogliosa terra dalle tribù nemiche e, all’arrivo dell’Uomo Bianco nelle Grandi Pianure, hanno deciso di schierarsi come suoi alleati e amici, anche a costo della libertà e di assurde ingiustizie. Quella dei Crow è la storia di un popolo devoto al Grande Padre Bianco, il Presidente degli Stati Uniti. Anche oggi: mio fratello Cedric, che è stato Presidente dei Crow, è fratello adottivo di Barack Obama, ex Presidente americano. Questo libro è una cronaca del passato e del presente: un viaggio nella storia degli Indiani d’America, dei Bianchi e della tribù Crow. Ma è anche il mio viaggio, con il racconto della mia esperienza, delle mie scoperte e profonde emozioni.
Foto a pag.8: Ash-ish-ish-e o Curley. Scout del Generale Custer, partecipò alla battaglia di Little Big Horn (1876).
- Il popolo senza terra
Prefazione
Non c’è bisogno di molte parole per dire la verità
Capo Giuseppe, Nez Perce
Immagina
E se tu che stai leggendo, tu, fossi nato in una foresta in America? Se tu da bambino avessi giocato nel fango, provato la fame durante le carestie e la sete nella stagione secca. Sopravvissuto alla malaria e a morsi di serpenti. Da adulto, abile nella caccia, nell’intrecciare rami e nel costruire frecce. Se tu fossi fiero della tua famiglia, della tua capanna. Fiero del tuo primogenito di sei anni, già così abile nel catturare topi e lucertole. Della tua donna, agile come una gazzella ma forte come un puma. E poi, se tu ti trovassi d’improvviso col mondo sottosopra. La tua terra, che è il tuo dio e lo è sempre stato per i padri dei tuoi padri. Il tuo dio e la tua casa. Ora mira degli appetiti di Uomini Bianchi venuti da lontano. Ora albero dopo albero, animale dopo animale, ognuno un piccolo dio, vengono abbattuti e uccisi tra rumori alieni e frastornanti. Per trasformare ogni albero della foresta, ogni pelliccia di animale in un mucchietto di monete inutili. Gli Uomini Bianchi? Siamo noi.
Occidentalizzazione
Io, tu, noi occidentali: siamo in grado di costruirci una casa da soli, di trovare l’acqua in caso di emergenza, di accendere un fuoco, di orientarci senza un navigatore satellitare? Siamo in grado di sopravvivere contando solo sulle nostre forze? O siamo solo in grado di provare paura di fronte alla forza della Natura, che abbiamo disconosciuto e proclamato matrigna? Siamo schiavi di noi stessi e dei nostri privilegi. Che cosa succederebbe oggi, se in una qualsiasi delle nostre grandi città, costruite dagli uomini per gli uomini, mancasse acqua, luce o segnale sul cellulare per dieci giorni? Culla del colonialismo più avido e sfrontato, il nostro mondo occidentale, dopo aver condizionato forzatamente una vasta fetta di mondo nei secoli scorsi, oggi assurge a modello di stile di vita più ambito nel resto del pianeta. Eppure viviamo una fase di declino e crisi dei valori, degli istinti elementari come la sopravvivenza e la riproduzione della specie. Cadiamo in preda a depressione e ci crucciamo per un nonnulla: i chili di troppo; il costo della benzina; e poi il traffico, la coda all’ufficio postale, ormai unici fattori che riescono a scatenare una aggressività sopita. E soffriamo di solitudine. Soffriamo di mancanza di comunicazione e alimentiamo dentro di noi svogliatezza di comprensione. Noi, e le nostre giovani generazioni, ci stiamo indebolendo. Vittime di noi stessi. Imbrigliati nelle nostre regole. Schiavi del nostro sistema. Criceti nella ruota della propria gabbia. Annoiati e apatici. Senza vena romantica e aneliti di cielo. L’uomo moderno vive molto più disperatamente del cavernicolo. Finché, forse, la nostra aspirazione diventa proprio quella di tornare alla vita semplice e bucolica, a contatto con la natura. Una vita semplice come quella dei Paesi in via di sviluppo, dove il nostro bramato stile di vita, maestro di agio e di lusso, diventa un patetico scimmiottamento e, pur se la popolazione soffre la fame e mille malattie, tutti hanno il cellulare. Sogniamo una vita a contatto con la natura come quella dei Popoli Indigeni, che invece stiamo distruggendo o abbiamo già cancellato dal pianeta. Un famoso agnello sacrificale, immolato tra i primi, è il popolo — una margherita dai mille petali, un insieme di mille tribù — degli Indiani d’America. È proprio grazie alloro confinamento nelle riserve indiane, nate come campi di deportazione, di rieducazione e di isolamento, che i Nativi Americani, destinati al genocidio, di cui li scopriremo vittime fino alla soglia dei recenti e insospettabili anni ‘90, oggi vivono. Sono sopravvissuti, araba fenice perpetua.
Foto gentilmente concessa dal People’s Center di San Pablo, Confederated Salish and Kootenai Tribes of the Flathead Nation.
Le riserve indiane
Ogni riserva indiana, pur se incastonata negli Stati Uniti, è un paese a sé stante, con tradizioni e cultura peculiari, superstiti miracolose a uno sterminio premeditato e prolungato dall’Uomo Bianco alla conquista della grande America. L’analisi della mappa delle riserve indiane, mi raccontano alcuni amici Crow, svelerebbe una recondita pianificazione del Governo degli Stati Uniti: mettere vicine le riserve delle tribù nemiche — come i Crow e i Lakota per esempio — nella speranza che entro la fine dell’Ottocento si sterminassero a vicenda. Oggi, la riserva indiana assume sempre più la fisionomia di un rifugio e di una protezione dalla globalizzazione e dai whites, i bianchi, come vengono tuttora chiamati. La perdita della propria identità è la paura maggiore dei Nativi Americani: dopo che nei secoli passati, durante lotte sanguinose, è stato imposto loro di cambiare nomi, lingua e religione, la strenua resistenza in molte riserve è stata infine fiaccata da una pingue, abulica e irresistibile occidentalizzazione. Pur avendo conquistato recentemente molti diritti, gli Indiani d’America ancora lottano contro razzismo e pregiudizi, e le riserve sono piagate da disoccupazione, alcolismo e suicidi. Dice Leo Davis, di padre Blackfeet e madre Sioux, studente, affermato giocatore di football e presidente dell’AIC (American Indian Council) alla Montana State University: So cosa dice la gente dei Nativi Americani: l’ho sentito sussurrare a scuola, me lo hanno urlato nelle orecchie sul campo da football. I miei genitori mi hanno insegnato questo: ‘Uccidili con la gentilezza. Se ti fissano, dagli una ragione per farlo, e mostra il tuo bellissimo sorriso’...
. Secondo Leo, molti si sorprenderebbero nel sapere quante offese razziali ha subìto. La mia gente ha bisogno di Guerrieri. Moderni Guerrieri che siano se stessi e lottino per cosa è giusto. Siamo gli ultimi di una razza morente. Non ci sono molti di noi rimasti e non abbiamo modelli da seguire
. Le riserve indiane riconosciute dal Governo degli Stati Uniti sono oggi 573, più numerose all’ovest a causa del famoso Trail of Tears. 1 Ma ce ne sono diverse centinaia non ancora riconosciute. In Montana, dove troviamo i Crow, vi sono sette riserve: Blackfeet Country (tribù dei Blackfeet), Rocky Boy Reservation (Chippewa-Cree), Confederated Salish e Kootenai Tribes (Bitterroot Salish, Pend d’Oreille e Kootenai), Crow Country (Crow), Fort Belknap Indian Reservation (Gros Ventre e Assiniboine), Fort Peck Reservation (Assiniboine e Sioux), Northern Cheyenne Reservation (Northern Cheyenne) e infine ce ne sarebbe una ottava, la riserva che non c’è
: la Little Shell Country (Little Shell Chippewa).
Il popolo senza terra
Voglio dedicare una nota all’emblematica storia di questo popolo, i Little Shell Chippewa. Riconosciuto come tribù dallo Stato del Montana, ma non dal governo, per anni non ha ottenuto una riserva e un riconoscimento, tranne che nel 2000 quando, però, ebbe revoca pressoché immediata. Ecco la sua vicenda. Nel trattato di pace noto come il Ten Cent Treaty
(Trattato dei Dieci Centesimi) il governo statunitense offrì ai Chippewa un milione di dollari per dieci milioni di acri di terra riservata
al popolo Chippewa in Nord Dakota. Dieci centesimi per acro. Il capo Little Shell rifiutò di firmare ma, ciononostante, successivi trattati ridussero ancora l’area della riserva di Turtle Mountain in Nord Dakota, a tal punto che Little Shell escluse categoricamente di firmare ogni altro accordo. Mentre il capo Little Shell e il suo clan erano in Montana a caccia di bufali per sfamare la tribù, egli fu estromesso dal Consiglio insieme a ventiquattro leader ereditari, suoi sostenitori: fu tradito dalla sua stessa gente. Nonostante le sue proteste, egli non faceva più parte della riserva e i nuovi leader Chippewa firmarono il Ten Cent Treaty
, emendato nel 1904, riducendo il territorio a meno del 10% della riserva originale. Da allora, i Little Shell Chippewa vagarono da una riserva all’altra, senza casa; il governo degli Stati Uniti provò anche a deportarli in Canada. Poi, hanno vissuto prevalentemente in shantytown, baraccopoli, alla periferia di alcune città del Montana come Great Falls e Helena. Durante un mio incontro al BIA, Bureau of Indian Affairs, 2 — Ufficio degli Affari Indiani —, del Montana, chiesi e ottenni indicazioni e recapiti per rintracciare e incontrare dei membri della tribù, ma senza successo: nonostante le mie telefonate ad alcuni Little Shell Chippewa, la sede del loro Tribal Council di Great Falls era stata chiusa proprio in quei giorni e non mi fu possibile visitarli nelle loro abitazioni, immagino per una forma di pudore dettata dalle condizioni disagiate. Per i Little Shell, appoggiati dal senatore Tester, sono andati avanti per anni appelli per essere riconosciuti dal Governo. È una questione di diritto, non è una controversia
, ha sempre affermato il senatore.Dopo una ennesima petizione respinta dal Dipartimento degli Interni, il 20 dicembre 2019 la tribù ha finalmente ottenuto il riconoscimento federale, che apre le porte a supporto e a vantaggi governativi in termini di diritti, di fondi e, chissà, un giorno, a una propria riserva, una terra che possa essere chiamata casa. Il procedimento per diventare una Federally Recognized Tribe sta procedendo in questi mesi.
Una bambina Crow in costume tradizionale.
Donna Crow.
- Io, viso pallido
CAPITOLO 1
Partenza e arrivo
Prima di insegnare a un uomo come pescare, l’uomo deve essere reso abbastanza forte da reggere la canna da pesca.
Madre Teresa
I consigli di viaggio del Console
Ogni volta che visito un Paese, metto sempre in lista tra le prime cose da fare una visita alla Ambasciata Italiana, o al Consolato più vicino, o ancora alla comunità italiana locale. In alcuni Paesi è un piacere ma anche una necessità, dettata da situazioni di sicurezza, come ad esempio in Camerun o in Papua Nuova Guinea, mentre in altri è soprattutto una gradita occasione di condividere quella calorosa italianità che in patria talvolta non apprezziamo — e non dispensiamo — come si deve. Come posso dimenticare la bellissima serata in mio onore ad Anchorage, Alaska, organizzata dal console onorario Vittorio Montemezzani e sua moglie? Gli italiani residenti all’estero spesso riescono a sfoderare il massimo di quella fierezza, squisitezza, signorilità che in Italia stentiamo a far emergere. Per questioni di tempo e distanze, non riesco al mio arrivo in Montana a visitare di persona l’attuale Console Generale d’Italia a San Francisco, Fabrizio Marcelli. Ma intraprendiamo una bella corrispondenza e mi rilascia una piccola intervista via email, per parlare degli italiani nei territori del Far West
. Chiedo al Console: La Circoscrizione di Sua competenza abbraccia davvero un territorio molto vasto (Alaska, Nord California, Idaho, Montana, Oregon, Utah, Washington, Hawaii, American Territories of Guam, Caroline Islands, Yap, Northern Mariana Islands). Quanti italiani residenti conta?
. Risponde Marcelli: A oggi sono circa 13.000 i cittadini italiani residenti nella Circoscrizione e iscritti all’anagrafe. Naturalmente sono stati molti di più gli immigrati dall’Italia — nel 1930 la collettività italiana in California era la più numerosa fra quelle straniere, tra San Francisco, Monterey, San Josè e altre città. Poi molti si sono naturalizzati ed hanno perso la cittadinanza italiana senza trasmetterla ai discendenti. All’ultimo censimento circa il 5% della popolazione della California e il 2% dell’Oregon e dello Stato di Washington ha dichiarato origini italiane
. Console, posso chiedere quali sono le caratteristiche culturali e sociali delle comunità italiane di questo ampio spicchio di States, e degli Italiani che vi arrivano e risiedono?
. Oggi le persone che continuano ad arrivare dall’Italia hanno un profilo socio-culturale elevatissimo. Si tratta di accademici, ricercatori, manager, imprenditori e operatori di servizi. Tutte le principali imprese dell’information technology con base nella Silicon Valley o a Seattle (Google, Apple, Microsoft, Intel, Hewlett Packard, E-Bay) impiegano italiani ad alti livelli di responsabilità
. Una risposta che fa riflettere sulla emorragia di alti profili che abbiamo nel mercato del lavoro in Italia. L’ultima domanda, sugli italiani in viaggio: gli Italiani in transito nella Sua circoscrizione, per vacanza o lavoro, vanno incontro a qualche disagio in particolare? Ha delle raccomandazioni per gli Italiani in viaggio in questa zona?
. "Per quanto riguarda gli italiani di passaggio, pensi che abbiamo avuto ben 151.000 turisti italiani in California nel 2008. Raccomanderei soprattutto di prestare attenzione ai limiti di velocità, se si guida: un eccesso di velocità superiore alle dieci miglia rispetto al limite può comportare l’arresto e la comparizione in tribunale. Anche la guida in stato di ebbrezza viene sanzionata molto duramente. Converrebbe verificare le leggi, che possono variare da Stato a Stato. Raccomando poi prima di partire la lettura del sito www.viaggiaresicuri.it che viene aggiornato regolarmente con la collaborazione della rete diplomatico consolare italiana nel mondo. E ancora: verificare la validità dell’ESTA, il visto elettronico per entrare negli Stati Uniti". Mi permetto di aggiungere: in alcuni Stati è obbligatorio che tutti i passeggeri, inclusi quelli sui sedili posteriori, indossino le cinture di sicurezza; e, ad esempio, avere bottiglie aperte di bevande alcoliche nella vettura può comportare una visita forzata alla centrale di polizia più vicina. È sempre meglio, qualsiasi Paese si decida di visitare, essere bene informati e prevenire spiacevoli episodi in vacanza!
I preparativi
Eccomi qui, mancano poche ore alla mia nuova partenza. Poche ore frenetiche, un po’ di delirio elettronico (carica- batterie, password, PIN e PUK, adattatori...). Sono alle prese con la cartina stradale: come la mappa di un tesoro, comincio a tracciare percorsi, calcolare distanze, ipotetiche tappe... Mi porto il sacco a pelo e in caso di emergenza dormirò in macchina. Prevedo circa 6000 km, partendo da Seattle. Entusiasmo, emozione, bigliettini promemoria. Valigia da finire. Il fuso orario in Montana è di otto ore indietro rispetto all’Italia. Arriverò domani sera alle 20.15 ora locale (4.15 di notte italiane) e inforcherò subito il fuoristrada. Primo obiettivo: il pow wow 3 della riserva Crow, con la Crow Fair e il Rodeo, che Lesa, dell’Ufficio degli Affari Indiani del Montana, mi descrive imponente, con migliaia di tipi 4 — tee pee, tende indiane — da tutti gli States. Mi viene la pelle d’oca solo a scriverlo. Poiché da Seattle la riserva Crow dista 1300 km circa, verso est, il primo giorno sarà dedicato solo al viaggio in auto, senza fermate tranne che per benzina e caffè. Sosta tecnica al Wal Mart (catena di supermercati) per caricare viveri e bevande e prendere una sim card ammmmericana...
Gli amici di Facebook
Mentre sono in partenza per gli States, i miei amici di Facebook, pronti a viaggiare
con me attraverso foto, filmati e parole, mi riempiono di frasi stupende.
L. L. scrive: "ti invidio per i posti che visiti, ti ammiro per il coraggio, ora non so quale grande spirito ti deve proteggere, l’importante è che ti protegga. Raffaella io con il mio pensiero sono al tuo fianco a vivere questa straordinaria avventura".
M. L. C.: noi con te in viaggio trepidanti... spettatori della tua vita... della tua nuova avventura
. M. F.: Vorrei un decimo del tuo coraggio, e un centesimo della tua cultura ed esperienza acquisita... per essere uomo tra gli uomini
. La missione di questo mio viaggio è documentare e approfondire la situazione nelle riserve americane oggi, e intraprendere un rapporto umano e di solidarietà con le persone che incontrerò. Gli Indiani d’America sono stati tra le prime vittime del progresso
occidentale. Vorrò capire se, dopo tanti anni, finalmente si può parlare di uguaglianza
. Ma ho uno scopo segreto: farmi adottare in una tribù indiana. Una pietra miliare nel mio cuore di attivista per i diritti umani dei popoli indigeni. Credo che non sarà facile: i Nativi Americani sono molto riservati e l’adozione è un privilegio esclusivo. Il Presidente Obama è stato adottato nella tribù Crow qualche anno fa.
L’animo della partenza
Sta per accadere di nuovo: lo annuso nell’aria, nelle cose intorno a me. L’odore dell’aria e le immagini che mi circondano diventano evanescenti e lasciano il posto a nuovi e ancora inimmaginabili atmosfere e panorami. La mia dimensione sta per proiettarsi oltre
, sto per varcare i confini del mio paese, e poi altri ancora, per percorrere e fagocitare miglia su miglia, via aria, via terra, via mare. Mi vedo un puntino minuscolo e insignificante sul mappamondo, e più mi allontano dalle mie abituali coordinate, più le mie radici geografiche, sociali e culturali si sfilacciano e perdono consistenza. Dai miei viaggi precedenti negli States, come un negativo, le mie pupille recano ancora impresse le immagini di strade infinite, dritte a perdersi nelle nuvole immerse in un cielo di un azzurro finto. Sogno il sole di questo Paese accarezzarmi la pelle, annuso gli odori delle foreste, della polvere, posso udire i miei passi su un sentiero di montagna, lo scrosciare di un ruscello e l’ululato del coyote. Assaporo l’adrenalina di quando, su un sentiero deserto e selvaggio, avverto un rumore improvviso e mi preparo a fuggire o a fronteggiare l’incognito. Negli States la natura è signora e padrona, tutto vive e respira in attonita attesa di terremoti, maremoti, tornado e cicloni, squali, grizzly e desertificazione. Non è solo ciò che mi circonda: è dentro di me che cambia qualcosa. Sto per entrare in contatto con il me stesso che sonnecchia: la mia concentrazione non è più sul rosso del semaforo, ma sui suoni e sui fruscii della boscaglia che mi circonda. Non devo controllare il resto del tabaccaio, devo cercare di raccogliere informazioni preziose per la mia sicurezza. Ogni viaggio è una spoliazione. Mi spoglio di tutto, piano piano, con calma. Il mio mondo sono la valigia e lo zaino, assaporo il piacere di avere poche cose da amministrare. Le mie cose a casa sono tutte in ordine, congelate in attesa, perché quando torno tutto sarà al suo posto — un bisogno di certezza irrinunciabile — e se non torno, tutto sarà al suo posto ugualmente. Se non torno? Ogni volta che parto può accadere l’imprevisto, ma dentro di me ho tutta la voglia e la determinazione di tornare. L’effimera certezza del quotidiano di ognuno, legata e rafforzata dai luoghi e dai gesti di tutti i giorni, può sempre esplodere e frantumarsi, con un grande fragore e una deflagrazione devastante. Ogni partenza, invece, scandisce quel momento di distacco necessario, quel momento di riflessione sul proprio quotidiano. Un piccolo bilancio. Staccare la spina... tagliare la corda... tagliare il cordone ombelicale.
Operazione inevitabilmente dolorosa. Prendere coscienza che partire e lasciare il tuo mondo può voler dire perderlo. Può voler dire che le persone non ti aspettano. Ma al tempo stesso è un modo per rendersi conto di ciò che hai, e di apprezzarlo di più proprio perché lo metti in gioco. Partire — da soli — e lasciare tutto, anche solo per qualche settimana, ti pone di fronte a delle riflessioni che la vita quotidiana ti impedisce, dando per scontato tante cose che non lo sono. Il cordone ombelicale significa anche tradizioni, cultura, abitudini, piccoli esorcismi individuali, rituali, spazi segreti, un olimpo personale cui fare i propri sacrifici votivi. L’aereo è in notevole ritardo: un dio minore del mio Olimpo cade e si frantuma lasciando una vena di rancore che, dopo l’arrivo con le scarpe in mano e una perlustrazione certosina al check-in, solo un Bloody Mary sulla poltrona dell’aereo può appianare e raffreddare. E torna il sorriso, dopo alcuni giorni prima della partenza in cui contrattempi e sentimenti hanno minato la compattezza fisica e mentale di rito, necessaria alla mia partenza.
Arrivo
Ho passato circa trenta ore da quando ho lasciato casa, tra autobus e aerei e aeroporti; il mio volo atterra a Seattle alle 11.30 di sera. Non sono certo fresca come una rosa. Ritiro il mio fuoristrada a noleggio e cerco un motel vicino. La batteria delle mie energie segna rosso lampeggiante. Ecco il Motel 6, pacifico e rassicurante, negli States ce n’è uno in ogni città degna di questo nome. Le camere a piano terra sono finite, arranco sul pianerottolo esterno con la mia greve valigia e mi addormento vestita sul letto, giusto il tempo di allentare le scarpe. Alle 3,30 doccia fredda, è già ora di partire: mi aspettano 1300 km da qui a Billings. La Crow Fair è iniziata oggi, sono partita in ritardo per il dovuto omaggio al 71esimo compleanno di mia madre. Elemosino un caffè alla reception e via: fuori è buio e l’aria è fresca. Solo dopo due ore dalla mia partenza la coltre di buio si alza e finalmente i miei occhi si appagano di verde e solitudine. Caffè dopo caffè, il contachilometri mi consola, e adoro mangiare mentre guido, il pollo fritto che mi unge le mani e il volante. Il traffico è rarefatto e i panorami maestosi soffiano vento di libertà in una terra che mi ha sempre conquistato. Arrivo a Billings alle 6 di sera, dopo aver preso una stanza in motel; il Wal Mart, rassicurante supermercato aperto 24 ore su 24, mi aspetta, faccio scorta di acqua, Red Bull e viveri, acquisto un telefono con numero statunitense. Nella mia camera del motel ingurgito patatine e birra, e perdo i sensi sul letto.
Io, viso pallido
Dopo aver guidato ieri per 1330 km, stamattina mi sento come se mi avesse travolto un tir... anzi un toro, per essere in tema con il rodeo che andrò a vedere. Prendo la macchina e percorro la riserva Crow all’alba, in lungo e in largo. Praterie e piccoli canyon, bellissima l’erba di diversi toni di verde, l’unica striscia di asfalto luccica nel sole, le nuvole sono tentacoli sfilacciati nel blu del cielo. La Crow Fair, a Crow Agency, consiste in una parata in costume tradizionale, poi c’è il pow wow che è la festa vera e propria con danze e canti, e infine il rodeo, che per il popolo dei Crow è una tradizione irrinunciabile. Le tribù del Montana, in particolare i Crow, contano i più bravi cowboy del mondo: il loro rapporto con i cavalli è viscerale e atavico. I Crow sono un popolo un po’ chiuso e riservato, oggi andrò in avanscoperta. Domani passerò all’approccio diretto. Quando arrivo, la sfilata sta per iniziare nell’aria ancora fresca del mattino, e sono ben pochi i visi pallidi
che si aggirano con aria circospetta e macchina fotografica in mano. Pian piano, davanti ai miei occhi sgranati come quelli di un bambino, sfilano Nativi Americani a cavallo, di tutte le età: chi indossa una veste tipica indiana, col copricapo di piume e il viso dipinto, e chi indossa una tenuta alla cowboy
, con pantaloni