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Feux d’artifice: UN NUOVO DOMANI
Feux d’artifice: UN NUOVO DOMANI
Feux d’artifice: UN NUOVO DOMANI
E-book338 pagine4 ore

Feux d’artifice: UN NUOVO DOMANI

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Info su questo ebook

Sono trascorsi 10 mesi dall’ultimo viaggio dell’investigatore Diego Rossi.

Tutto era iniziato per caso: una vacanza non pianificata, una coincidenza fatale e una somiglianza pericolosa.

D’un tratto qualcosa era cambiato e la sensazione di rincorrere i fantasmi del passato si era tramutata nella certezza di essere seguito e in pericolo di vita.

Tutti gli indizi riportavano sulla costa francese e ben presto aveva preso forma una rocambolesca corsa contro il tempo senza esclusione di colpi.

Intanto il 14 luglio 2016 si avvicinava inesorabilmente coi suoi meravigliosi fuochi d’artificio e la programmazione di un attentato terroristico che avrebbe colpito al cuore la Francia e il mondo intero.

Oggi più che mai Diego e Maria si trovano a dover tirare le somme di una vicenda che li ha segnati nel profondo, lasciando troppi interrogativi senza risposta….
LinguaItaliano
Data di uscita4 dic 2020
ISBN9791220304689
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    Anteprima del libro

    Feux d’artifice - Lara Panvini

    Rossi

    CAPITOLO 1

    Tutto finiva esattamente dov’era iniziato. Diego stentava a crederci, a dirla tutta era un miracolo che fosse lì, ancora vivo.

    Osservava il panorama dalla finestra della sua suite: il sole era tramontato da un pezzo, ma i suoi riflessi rossastri illuminavano ancora la terra e donavano colori caldi alle pacifiche acque del mare blu di Cannes.

    Le palme lasciavano intravvedere gli ultimi ritardatari, che stavano tirando giù le serrande dei loro lussuosi negozi nel preciso momento in cui i locali notturni aprivano le porte, per accogliere la folla di turisti che a breve avrebbe fatto loro visita.

    C’erano giovani che continuavano a fare jogging cronometrandosi ed altri che percorrevano la via più famosa in bicicletta, blaterando qualcosa al cellulare o tenendo con una mano il guinzaglio del cane, felice ed onorato di una bella corsetta col padrone.

    Da lì a poco la Croisette si sarebbe riempita di nuovo, come lo era sempre del resto, dal mattino presto fino a tarda notte: gente che chiacchierava, rideva, faceva sport, shopping… Molto rumore e mondanità, ma soprattutto Vita.

    Sospirò: tutto era iniziato dieci mesi prima, quando ancora non poteva capire il significato di quella parola o della riflessione che stava compiendo in quel momento, nella suite del grand-hotel che sempre aveva ammirato dall’esterno… Quando ancora era ignaro di tutto ed aveva intrapreso il viaggio per cercare di levarsi dalla testa la sua Francesca.

    Un amore finito che lo logorava, lo distruggeva fin nell’anima, gli impediva di condurre una vita normale senza che i rimorsi lo annientassero continuamente… Ecco perché si era recato nella mondana Cannes il luglio precedente.

    Non avrebbe mai potuto immaginare che il fato lo avrebbe ricondotto lì, ad osservare in silenzio dalla finestra del grand-hotel sulla Croisette, ciò che aveva vissuto nel suo recente passato e ciò che, suo malgrado aveva reso ancora possibile, nonostante tutto…

    Bussarono alla porta:

    «E’ aperto.» Rispose distratto, senza distogliere lo sguardo dalla finestra.

    «Considerando che hai voluto noleggiare lo smoking a tutti i costi, senza poter fare le dovute modifiche e che sei girato di spalle, non stai così male Diego!»

    Sorrise. La voce calda di Maria lo riportò al presente.

    «Te l’ho detto: non volevo spendere tutti quei soldi per un vestito che non avrei mai più indossato. Non sono il tipo che se ne va in giro tanto elegante io…» Si voltò e, non appena la vide, non ebbe la forza di aggiungere altro. «Sei bellissima!»

    la sua segretaria arrossì. «Anch’io non credo che rimetterò un vestito così elegante, ed ho speso tutto lo stipendio per comprarlo…» Alzò le spalle: «…Ma mi piaceva troppo e ho pensato che quei soldi valessero il ricordo di una serata come questa. Dopotutto non capita tutti i giorni di dover accompagnare il proprio principale a ritirare un premio al merito al Festival del Cinema di Cannes.»

    Diego annuì. Era un premio che gli causava dolore e nostalgia: «formalmente il premio è mio; ma sai benissimo che senza di te non ce l’avremmo mai fatta.» Si avvicinò e la baciò sulla fronte. Le prese la mano ed arretrò, per ammirarla nel suo splendore.

    Indossava un vestito colorato, che rispecchiava la sua personalità. Era verde acqua e le faceva risaltare gli splendidi occhi. Aveva una scollatura generosa ma elegante, confezionata in una stoffa morbida, rivestita di paillettes sino a sotto il seno e fermata da una cintola alta in raso, che la cingeva appena sopra la vita.

    Da lì iniziava una gonna lunga e a pieghe larghe, che con molti strati arrivava fluida fino ai piedi e oltre, nella parte posteriore.

    Un paio si sandali dorati con tacco alto e una piccola pochette dello stesso colore rifinivano la sua mise. I capelli erano raccolti da una parte e cadevano sulla spalla, per continuare sciolti e composti sul davanti. Mancavano le ciocche ribelli, quelle che scendevano sul viso contro la sua volontà e facevano parte di lei, ma i riccioli biondi erano valorizzati e sistemati in modo impeccabile.

    Trucco, dettagli, gioielli… La giovane segretaria non aveva nulla da invidiare alle Star che avrebbero sfilato accanto a lei.

    «Hai fatto bene a comprarlo: non avresti potuto fare una scelta migliore.» Disse lui orgoglioso, senza smettere di guardarla: «mi spiace per il cavaliere… Mi sarebbe piaciuto vederti con un bel ragazzo, un po’ più giovane e meno scalcinato di me…»

    Maria rise di gusto, con quella risata che scaldava anche gli animi più freddi. «Arriverà anche il cavaliere più giovane Diego…» Gli strizzò l’occhio: «…Ma credimi, per una serata del genere non avrei potuto sognare un accompagnatore migliore di te. Sono onorata di essere qui, di ritirare questo premio e di essere la tua segretaria…»

    «…E amica e confidente!» Terminò lui. «Soprattutto la più valida collaboratrice che avessi mai potuto sognare.» Sorrise: «Ti abbraccerei, ma…»

    «Per carità no!» Si precipitò a dire lei, facendogli segno di non avanzare. «Mi sfaresti l’acconciatura o mi verrebbe da piangere e mi si guasterebbe il trucco… Hai idea di quanto mi sia costato?»

    Annuì, divertito.

    La ragazza sospirò: «Hai idea di quanto sia difficile essere qui, far finta di nulla, mostrarmi felice e sorridente quando ritirerai il premio, così… A cuor leggero… Dopo tutto quello che abbiamo vissuto in questi ultimi mesi?» Gli occhi brillarono, gonfi di lacrime. Non era da lei.

    Diego si avvicinò, la strinse in un caldo abbraccio e la accarezzò, nonostante le raccomandazioni della ragazza.

    «Non fare così ragazzina, ti sciuperai il trucco…» Chiuse gli occhi, in silenzio, mentre cercava il modo di farle forza. La verità era che anche lui provava le stesse emozioni di Maria. Era insopportabile doversi recare sorridente sul palco in cui salivano tutte quelle star, a ritirare un premio di cui avrebbe fatto volentieri a meno… Ma la vita scorre e compie giri imprevisti e imprevedibili, come le mosse di una partita a scacchi. Diego aveva la percezione di essere una di quelle tante pedine mosse da un abile scacchista: una di quelle che erano state utilizzate in modo ineccepibile ed erano risultate fondamentali per vincere la partita… Nonostante tutto!

    Inarcò le sopracciglia: «La vedi la gente che circola in questo preciso istante sulla Croisette?» Indicò la finestra, oltre la quale si trovava la via a mare più famosa di Cannes. «Le senti le loro risate spensierate, le chiacchierate fino a tarda notte?» Sospirò. «Noi stasera andremo al Palais des Festival, con la morte nel cuore, ma orgogliosi di ciò che abbiamo vissuto, perché dovevamo fare questo e questo abbiamo fatto.»

    Maria serrò le labbra per ricacciare indietro le lacrime. La accarezzò: «forza allora, fatti coraggio ancora una volta, non permettere che questi pensieri ti disfino il trucco… E andiamo!» Sorrise.

    La ragazza annuì, si tamponò gli occhi alla meglio, si aggiustò i capelli e offrì il braccio al suo cavaliere. «Noi, delicate farfalle color lilla, che svolazzano su un foglio di carta avorio…» Sdrammatizzò.

    Si lanciarono un’ultima occhiata e si incamminarono verso la porta della suite: dopo un sospiro la spalancarono, lasciandosi alle spalle i ricordi, i pensieri e l’inquietudine che regnava sovrana.

    Maria strinse la mano del suo accompagnatore e i due si avviarono decisi al Palais des Festivals et des Congrés della città di Cannes, dove avrebbero trovato sfarzo, mondanità… ed un premio meritato.

    CAPITOLO 2

    DIECI MESI PRIMA

    «Pronto… Pronto Diego? Sei tu?»

    Maria strizzava gli occhi come se questo potesse aiutarla a rendere più vicina la voce gracchiante e discontinua che le arrivava dal telefono. «Diego?» Ripeté, alzando il tono della voce.

    Dall’altra parte sentì un colpetto di tosse: «Ciao. Sì, sono io. Sono quasi al confine e ci sono molte gallerie. Mi chiedevo… Come stai? Davvero posso continuare il viaggio, oppure preferisci che mi rigiri e torni in ufficio….»

    «Diego.» Lo interruppe seria: «come ti ho detto quasi un’ora fa, puoi prenderti tranquillamente qualche giorno di relax sulla costa francese. Se ho problemi o nuovi casi da gestire, ti mando un messaggio e solo a quel punto…» Scandì bene le parole: «…Prenderai provvedimenti!»

    L’investigatore sospirò, esausto. «Va bene. Allora proseguo ancora un po’...» L’affermazione suonava più come una domanda.

    «Certamente, vai e rilassati!» Rispose la donna risoluta.

    «E tu…»

    «…E io sopravvivrò!» Non aspettò che finisse di parlare e alzò le braccia al cielo, rassegnata. «Suvvia Diego, abbiamo avuto un sacco di lavoro ultimamente, tu non ricordi neppure qual è stato l’ultimo giorno che hai preso ferie ed io….» Si bloccò.

    Si guardò attorno sgomenta: le tende erano state smontate e portate in lavanderia, i faldoni appoggiati tutti per terra in improbabili file traballanti.

    Maria aveva legato i folti capelli con un enorme e vistoso elastico rosa, indossava un grembiule che le arrivava a metà polpaccio e stringeva in mano uno spolverino stile anni cinquanta, di piume vere, che aveva trovato in casa del suo capo. Tremò al pensiero di saperlo di ritorno prima del previsto… Ma questo non poteva certo rivelarglielo.

    «Ed io…» Proseguì, tentando di non mostrarsi preoccupata: «penso che resisterò per dieci giorni!»

    Cercò di fare mente locale e di darsi una scadenza precisa per tutte le grandi pulizie che aveva deciso di intraprendere.

    «Veramente avevamo detto una settimana; quindi Sette giorni.» Puntualizzò lui, risentito.

    La ragazza cominciò a rendersi conto che l’ufficio non avrebbe potuto essere agibile in soli sette giorni, data la mole di lavoro che si era volutamente creata e il disordine che imperversava. «Non è vero Diego, lo avevi pensato la prima volta che hai parlato di ferie, ma ti assicuro che quando sei partito da casa hai detto che ci saremmo visti dopo dieci giorni!» Ribatté, con tono misto tra il preoccupato e il disperato. Si guardò attorno: «Ti posso concedere… Nove giorni.»

    «Otto!» Concluse lui senza ammettere repliche: «…E sempre che vada tutto bene, sia per me che per te… e che non ci siano nuovi casi a cui lavorare.»

    Maria non aveva altra scelta, se non quella di spicciarsi a rimettere a posto in modo decoroso tutto lo studio: ciò le avrebbe causato diverse notti in bianco e troppe ore al giorno, per riordinare senza sosta.

    Aveva promesso al suo principale che avrebbe effettuato un’operazione svecchiamento, come amava definirla lei.

    Il suo datore di lavoro era già da molto tempo che ci pensava, ma non aveva mai avuto il coraggio di farlo.

    Tutto era rimasto fermo a quasi sei anni prima; al momento in cui Francesca lo aveva abbandonato, fuggendo di casa col loro migliore amico. In quel luogo nostalgico, ogni cosa portava impresso il ricordo di sua moglie e le tentate migliorie apportate da lui nel corso del tempo, consistevano in un enorme tappeto rosso e blu, inserito in un ambiente dai toni delicati e sul verde… Oltre ad un disordine esagerato e scartoffie inutili ovunque. Maria Sospirò.

    «Tutto bene?» Domandò serio.

    «Ma certo, pensavo solo che dovrò aumentare il ritmo qui, per farti trovare uno studio perfetto…»

    Diego non rispose. Nonostante tutto, per lui era già perfetto così; con l’ombra della sua Francesca che aleggiava su ogni singolo oggetto di quell’ufficio. Era anche per questo che aveva deciso di allontanarsi da casa qualche giorno.

    Sapeva che la sua segretaria lo stava aiutando anche dal punto di vista personale e che quella era la soluzione migliore da adottare, ma in coscienza non riusciva a pensare di trovarsi lì nel momento in cui qualcuno avrebbe cambiato il suo mondo.

    Le aveva dato carta bianca e aveva stabilito di fare qualche giorno di ferie, all’avventura, senza una meta precisa… ma a poche ore dalla partenza e dai ricordi che aveva lasciato, già sembrava mancargli l’ossigeno.

    La donna aggiunse qualcosa, ma l’auto entrò in galleria e la comunicazione si interruppe.

    Pensò di richiamarla, ma a che sarebbe servito? Si erano già detti tutto ciò che occorreva e il confine era vicinissimo.

    Sorrise. Chissà perché, tra tutti gli itinerari possibili, a casaccio aveva preso il solito… Quello che lo avrebbe portato nei luoghi che la sua Francesca amava tanto.

    Sembrava che l’automobile avesse una vita propria e che, nel momento in cui lui si perdeva ad osservare fuori dal finestrino i colori meravigliosi del mare e della natura circostante, fosse in grado di proseguire autonomamente il viaggio, inesorabile, fino a quando, ad un tratto si arrestò.

    Diego schiacciò il bottone che gli permetteva di levarsi la cintura di sicurezza e uscì dalla macchina stiracchiandosi.

    L’orologio d’oro che portava al polso segnava le cinque e quaranta ed un leggero languore disturbava la sua curiosità.

    «Cannes.» Disse tra sé scuotendo la testa.

    Era incredibile; aveva cercato di dare ascolto a Maria e di rilassarsi completamente, di arrivare là, dove lo avrebbe portato la sua automobile.

    Fece una smorfia.

    Probabilmente il suo inconscio non lo aveva mai abbandonato e, guarda caso, era arrivato giusto nella meta preferita dalla sua Francesca.

    D’istinto avrebbe voluto muovere due passi lì attorno, senza neppure pagare il parcheggio, per poi risalire immediatamente e ripartire per chissà dove, ma il suo stomaco continuava a farsi sentire, le braccia erano stanche di tenere la stessa posizione da ore e le gambe cominciavano a formicolare.

    Tanto valeva far passare qualche oretta e cercare un albergo poco più avanti… Dopo tutto conosceva Cannes come le sue tasche. Nella sua mente cominciò a prendere forma quella deliziosa baguette al burro e prosciutto cotto che servivano in un localino lungo mare che frequentava sempre, sospirò… Quando ancora amava le ferie!

    Levò dalla tasca qualche spicciolo. Non erano molti, ma sicuramente sarebbero stati sufficienti per consumare il suo pasto. Con aria malinconica si diresse verso il lungomare: ricordava ancora l’anno in cui aveva stupito la moglie regalandole una notte in uno di quei magnifici alberghi di lusso vicini al centro, circondati da boutique raffinate e da locali in cui mangiare prelibatezze.

    Socchiuse gli occhi e provò a respirare. L’aroma del cibo tipico era mescolato al profumo salmastro del mare, dai colori che variavano dal celeste al blu zaffiro, in una giornata calda e frenetica di inizio luglio in cui sembrava difficile non scontrare qualche turista, o i numerosissimi atleti che si trovavano sulla Croisette per fare footing.

    Iniziò a contare le palme, come era solito fare quando incontrava il Grand Hotel. E una e due… Arrivò ad otto in un attimo e il cuore iniziò a battere forte.

    Eccolo lì! Solito posto e stesso proprietario, un italiano che aveva abbandonato la sua terra per aprire un locale molto alla moda, nel centro più frenetico della città.

    Chissà se l’avrebbe riconosciuto: quasi sicuramente no! Era passato qualche anno e il numero di clienti era enorme.

    Qualche lieve miglioria aveva reso il locale leggermente diverso e più moderno…. Ciccio invece era più o meno identico.

    Qualche chilo in più e qualche capello in meno... Ma lo avrebbe individuato in mezzo a migliaia di persone.

    Sorrise e si avvicinò alla cassa.

    «Il solito!» Avrebbe voluto dire, ma nessuno avrebbe potuto capire. «Baguette con prosciutto cotto e burro e una coca-cola fresca.» Disse in un francese imperfetto.

    «Italiano eh!» Ciccio sorrise calorosamente: «come me!»

    Diego fece una smorfia di delusione: evidentemente il ricordo del locale e di tutte le belle serate trascorse con la sua ex-moglie era vivo solo per lui.

    Il proprietario non si accorse di nulla e si spostò appena per riempire il bicchiere; si girò verso la cucina gridando il nome del panino di cui aveva bisogno e rivolse al suo cliente un sorriso.

    Arrivò immediatamente un ragazzo dalla carnagione chiara, capelli rossi e lentiggini e terminò di preparare l’ordine. Allungò la mano verso l’investigatore per porgergli il vassoio e blaterò qualcosa in un francese che non riuscì a decifrare.

    Ciccio si girò e lo riprese con un’esclamazione che assomigliava molto ad una nostra imprecazione. «E’ italiano, non vedi?» Brontolò.

    Il ragazzo annuì e arrossì lievemente. «Buon appetito e arrivederci alla prossima volta.» Concluse, parlando lentamente.

    Il proprietario non si girò neppure e a Diego non rimase che afferrare il suo pranzo e guardarsi intorno per un’ultima volta, nostalgico, prima di abbandonare il locale.

    Ancora ricordava il loro posto… Quel tavolino nell’angolo in fondo a sinistra, un po’ appartato… L’ideale per staccare un attimo dalla confusione e dalla mondanità che si trovava all’esterno.

    Francesca si metteva sempre nella sedia rivolta verso l’entrata, mentre a lui piaceva dare le spalle a tutto e concentrarsi solo su di lei, proprio come quell’uomo che occupava la sua sedia in quel momento.

    Gli piaceva guardarla mentre si accarezzava i lunghi capelli marroni con le dita, aspettando il pranzo, esattamente come la donna che stava fissando.

    Per un attimo i loro sguardi si incrociarono e Diego sussultò: chiuse e aprì gli occhi diverse volte, sforzandosi di vedere meglio possibile, ma la sua lucidità veniva meno frettolosamente.

    Il cuore iniziò ad accelerare terribilmente i battiti e la vista divenne offuscata. L’aria cominciava a scarseggiare e nella mente si faceva sempre più viva la convinzione di essere capitato nello stesso locale in cui si trovava la sua ex moglie.

    Cercò di lanciarle furtivamente un’altra occhiata; a lei e al suo accompagnatore che gli dava le spalle, ma di colpo non vide più niente e dovette spalancare la bocca per riuscire a respirare, seppure affannosamente.

    Annaspava come un pesce appena pescato ed aveva un disperato bisogno di aria fresca. Trascinò a fatica le gambe ormai paralizzate fuori dal locale, scontrò quasi sicuramente più di una persona ed ebbe la sensazione di essere fradicio.

    Provò a domandarsi se poteva semplicemente trattarsi di sudore oppure se si fosse rovesciato la sua coca-cola addosso, ma non trovò nessuna risposta.

    Qualcuno spalancò la porta prima di lui e così potè raggiungere l’esterno.

    Ebbe la sensazione di stare un pochino meglio, ma sentiva di non essere ancora stabile e la gola restava chiusa quasi del tutto. Continuò a camminare con l’andatura zigzagante di un ubriaco e la testa bassa a causa del sole ancora troppo alto nel cielo, che lo abbagliava, impedendogli di vedere qualsiasi cosa.

    Strizzò gli occhi, rendendoli semichiusi e continuò così, senza riuscire a guardare ciò che faceva. Inciampò in qualcosa ma non cadde a terra; urtò qualcuno, di nuovo…. Fino ad arrivare al parcheggio.

    Si impose di stare calmo e tirò fuori da qualche tasca la chiave della macchina. L’aprì e si sdraiò nel sedile posteriore, piegando le gambe alla meglio.

    Passò molto tempo, ma alla fine la sua vista riprese a funzionare e il dolore alle gambe, provocato dalla posizione scorretta mantenuta per diverso tempo, gli impose di mettersi seduto.

    Solo allora si rese conto che del suo pranzo rimaneva un pezzo di pane vuoto e nulla da bere. Sospirò, pensando che quello era l’ultimo dei suoi pensieri. Diede due morsi alla baguette e, lentamente, riacquistò la sua lucidità.

    Nella sua mente trovava spazio solo l’immagine di Francesca, seduta al loro tavolo con un altro uomo, che lo guardava con i suoi occhi blu cobalto: si sentiva a pezzi. Decise che, non appena fosse stato possibile, si sarebbe messo alla guida e avrebbe lasciato quel posto per sempre.

    «Gaston che facciamo?»

    Chiese un uomo che stava osservando la scena poco distante, da dietro una delle vetture parcheggiate.

    «Preghiamo che Antoine arrivi per tempo, altrimenti ci inventeremo qualcosa per trattenerlo qui un altro po’.»

    L’uomo si grattò la testa stempiata: «sarà lui, no? Non avremo preso un granchio….»

    Lo guardò severo. «Ma certo che è lui! Lo hai visto anche quando è entrato in quel locale. Italiano, con la valigetta, brizzolato e con baffi….» Alzò la spalla: «E poi? Hai visto che è successo non appena ci ha visti?»

    Marcel abbassò gli occhi e afferrò la maglietta, inzuppata di coca-cola. «Dici che ci avrà riconosciuti?»

    Gaston fece una smorfia: «credo di no, eravamo due perfetti turisti sulla Croisette, nessuno avrebbe potuto dubitare di noi.» Mentì.

    «Eppure deve aver capito qualcosa, hai visto come si è comportato?» Lo interruppe il compagno.

    Rispose preoccupato: «già è vero, ma non capisco come…»

    Il telefono vibrò. «Pronto!» Disse l’uomo a bassa voce.

    Annuì più volte. «Sì, sempre tutto fermo. E’ ancora qui.» Si guardò attorno con la testa e si affacciò appena dal posto in cui si erano acquattati. «Se fai presto sì, c’è un posto abbastanza vicino alla sua auto; tranquillo, da lì possiamo vederlo bene.» Un attimo di silenzio. «No, non possiamo agire; ha attirato troppa attenzione su di sé, dannazione!» si sporse di nuovo, mentre una peugeot blu scura entrava nel parcheggio. «Sì, ora ti vedo. cerchiamo di raggiungerti senza dare nell’occhio.» Stiracchiò per un braccio l’uomo che si trovava di fianco e gli fece un cenno con la testa.

    «Sì, chiamala tu. Dille di stare tranquilla, perché abbiamo il nostro uomo e la sua valigetta!» Fece un sorriso sinistro, dando un’ultima occhiata a Diego, ancora scosso e sdraiato alla meglio nel sedile posteriore. «Non appena riprenderà la guida lo seguiremo… Fino a dove arriverà, ovvio!» Marcel gli rivolse uno sguardo compiaciuto. «E poi…. Appena possibile, agiremo.» Fece una risata: «lo penso anch’io: un vero gioco da ragazzi!» Riattaccò il telefono.

    CAPITOLO 3

    Ci volle un po’ di tempo, difficile dire quanto, ma Diego riuscì a riprendersi. Istintivamente avvicinò al viso l’orologio d’oro che portava sempre al polso. Contorse i muscoli del volto in un’espressione sgradevole di dolore. Era in grado di leggere l’orario preciso, ma non di ricordare quando avesse avuto inizio la sua spropositata reazione.

    Aveva enormi vuoti di memoria, inaccettabili per una persona razionale come lui. Un grosso buco nero dominava la sua mente e sembrava del tutto inutile lo sforzo immane che stava facendo per cercare di risalire al come e al perché di un simile comportamento.

    Storse la bocca: il perché lo sapeva eccome, ma in coscienza non poteva accettare che proprio lui, Diego Rossi, avesse avuto una simile mancanza. Si sentiva deluso da se stesso, sconcertato, confuso.

    Si alzò e si guardò attorno cercando di fare un’analisi della situazione, ma capì che non era in grado di compierla: nemmeno avrebbe saputo ricordare il volto delle persone che passavano in quel momento o le macchine presenti nel parcheggio… Ricordava solo lo sguardo profondo della sua Francesca.

    Si sforzò di convincersi che, qualunque cosa gli fosse accaduto, non doveva viverlo come un problema insuperabile, ma solo una défaillance momentanea.

    Si concentrò per dare un’occhiata in giro; voltando lentamente la testa da ogni parte e cercando di incamerare tutte le informazioni possibili. Era totalmente incapace di osservare ciò che stava guardando, ma fiducioso che il suo cervello, prima o poi avrebbe ricominciato a lavorare.

    Scese dall’auto e raggiunse il posto di guida: comunque fosse andata, l’esigenza di allontanarsi da quel posto diveniva sempre più incombente.

    Iniziò in questo modo il viaggio verso una destinazione ignota, nella confusione più totale: così, tanto per guidare e per allontanarsi da quell’incubo senza senso, lungo il traffico stressante della costa francese.

    Un percorso che durò più di due ore, tra code interminabili ai semafori, turisti in bicicletta a volte molto difficili da sorpassare, lavori in corso per migliorie stradali… Finché non comparve il cartello che indicava l’hotel Du Lac, un albergo a poca distanza da Saint Tropez.

    Diego decise che quello doveva assolutamente essere il suo e, stremato e sconfitto nel proprio Ego, si diresse mestamente in quella direzione.

    Probabilmente l’idea di essere arrivato ad una qualche meta, funzionò come una cura efficientissima per il suo spirito turbato, perché quello gli risultò il pezzo di strada più breve e agevole.

    Sebbene fosse estate e le giornate fossero lunghe e luminose, il cielo aveva ormai abbandonato qualsiasi riflesso celeste o rossastro per lasciare lo spazio ad un nero profondo.

    Guardò in alto e notò la presenza di alcuni nuvoloni, che apparivano nel cielo come grandi macchie ancora più scure; troppo poche per non permettergli di notare le stelle.

    Arricciò i baffi impensierito; era invecchiato e decisamente fuori allenamento, ma non tardò a trovare una splendida orsa maggiore che lo guardava e sembrava rincuorarlo.

    Sorrise al pensiero che, ogni volta che riusciva a identificarla, non poteva evitare il dolce ricordo del pentolino che usava sua madre per preparargli il latte del mattino.

    «Chi non ha mai avuto il pentolino col manico?» Disse tra sé, trastullandosi nel dolce richiamo alla mente di quell’unica volta che aveva voluto provare a fare da solo, fondendo il manico di plastica sopra il

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