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Una sfida attraente
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E-book172 pagine2 ore

Una sfida attraente

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Info su questo ebook

C'è un segreto dietro quel sorriso...
Sola, senza più un soldo, Lorelei St James è un'ereditiera sull'orlo del precipizio. Eppure, riesce a nascondere la propria disperazione dietro gli splendidi capelli biondi e il luminoso sorriso. E non sarà certo la ramanzina sulle sue scarse doti alla guida ricevuta da uno sconosciuto, per quanto incredibilmente attraente, a mandare in frantumi quella facciata costruita con cura.
Nash Blue sa cosa sia l'orgoglio, e riesce a vedere chiaramente la vulnerabilità di Lorelei attraverso quella maschera. Per nulla impaurito dalle sfide, intraprende la più grande di tutte: scoprire la vera Lorelei.
LinguaItaliano
Data di uscita10 feb 2021
ISBN9788830525306
Una sfida attraente

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    Anteprima del libro

    Una sfida attraente - Lucy Ellis

    Copertina. «Una sfida attraente» di Ellis Lucy

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Pride After Her Fall

    Harlequin Mills & Boon Modern Romance

    © 2013 Lucy Ellis

    Traduzione di Laura Pagliara

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2014 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-530-6

    Frontespizio. «Una sfida attraente» di Ellis Lucy

    1

    Nash di norma non andava in cerca di pubblicità, e non era da lui incontrarsi con gli addetti alle relazioni esterne. Ma si trattava di un evento di beneficenza e non poteva dire di no.

    «Fissale l’appuntamento all’American Bar dell’Hotel de Paris

    Guardò l’orologio, mentre raggiungeva la sua Bugatti Veyron.

    «Sono impegnato con Demarche fino all’una. Potrò concederle al massimo un paio di minuti. Spero di arrivare in tempo, ma forse dovrà aspettare un po’.»

    Era uno dei pochi benefici della fama. La gente aspettava. Sollevò lo sportello della Veyron e si fermò un istante a osservare le calme acque del Mediterraneo.

    Cullinan gli stava parlando di posti a sedere.

    «No, non prenotare un tavolo. È una cosa da cinque minuti. Non ci siederemo.»

    Il team manager di Blue era John Cullinan, uno scaltro irlandese che Nash aveva reclutato agli inizi della sua carriera di pilota, quando era stato lanciato sulla scena internazionale. Per più di dieci anni John lo aveva protetto dai media, occupandosi di ogni cosa.

    Avrebbe avuto bisogno di lui nelle settimane a venire. C’era già un intenso interesse sul suo futuro. Durante il Gran Premio di Monaco, a maggio, Nash non aveva accennato nulla, ma era bastata la sua presenza a bordo pista con l’attuale top manager della Eagle, Antonio Abruzzi, per mettere in agitazione i media. Non che servisse molto. Un po’ di carne in acqua, e i piranha arrivavano a frotte. Per questo la riunione con la ditta di costruzione Eagle si teneva in privato, nella stanza di un albergo protetto da un elaborato sistema di sorveglianza.

    Terminata la chiamata, Nash balzò nella Veyron, ansioso di dirigersi fuori città.

    Accese il motore, che iniziò a fare le fusa, controllò il traffico e si allontanò dalla ditta che da cinque anni era diventata la sua vita.

    Aveva appena concluso un accordo con l’azienda automobilistica svizzera Avedon per produrre la Blue 22. Mentre di solito le auto le progettava in fretta, l’idea della Blue 22 l’aveva concepita molto tempo prima, nei giorni in cui correva, quando nessuno l’avrebbe mai preso sul serio se avesse confessato i suoi progetti per il futuro.

    Per fortuna, Nash non era mai stato un grande chiacchierone. Crescere con un padre alcolizzato, uno che vedeva nelle chiacchiere di un bambino solo un motivo per dispensare manrovesci, lo aveva abituato al silenzio. Per il pubblico era notoriamente impenetrabile. Riservato, aveva commentato un giornalista. Un freddo bastardo, lo aveva definito una disincantata ex amante.

    Ma in qualunque modo lo avessero giudicato in passato, oggi il mondo lo prendeva sul serio. A trentaquattro anni, era sopravvissuto a uno degli sport più pericolosi, dedicandovisi per più di un decennio, prima di ritirarsi. E, a differenza di molti sportivi, aveva messo a frutto quell’esperienza e l’amore spassionato per il design, costruendosi una seconda carriera.

    Una seconda carriera di enorme successo.

    Che eclissava perfino la sua precedente fama di pilota. Come era stato nelle sue intenzioni, poteva esigere qualsiasi prezzo per il suo lavoro e in quel periodo era decisamente molto richiesto.

    Eppure, non si sentiva mai soddisfatto e nell’ultimo anno gli era capitato spesso di porsi la fatidica domanda: E ora?

    Ma la risposta la conosceva. Era questo il motivo per cui il grande boss della Eagle era arrivato a Monaco la sera precedente.

    Sì, Nash voleva rientrare nel gioco, però questa volta alle sue condizioni. I suoi primi trent’anni erano passati in un trambusto di fan e velocità: aveva corso contro i migliori del mondo, lasciandosi alle spalle i propri demoni. Aveva capito quando era giunto il momento di fermarsi. E capiva anche che questa volta sarebbe stato diverso. Il suo atteggiamento nei confronti delle gare era cambiato. Ora non aveva più nulla da dimostrare.

    Il traffico diminuì. Nash cambiò marcia e si inerpicò veloce sulla collina.

    Quel mattino aveva appuntamento con una stupenda fuoriserie, superiore perfino al modello che stava guidando, e neppure l’intoppo delle lunghe riunioni del pomeriggio poteva smorzare la trepidazione di quello che si preannunciava un bellissimo incontro. Si diceva che fosse un gioiellino tutta curve, solo pezzi originali e adesso, finalmente, l’avrebbe vista.

    Era stata immessa sul mercato di recente e Nash sapeva che gli conveniva agire in fretta, ma non comprava mai nulla senza prima provare.

    Quel mattino, appena atterrato a Monaco, dopo ventiquattro ore di volo, gli avevano detto che era stata noleggiata e che avrebbe comunque potuto vederla. Avendo la mattinata libera, aveva deciso di approfittarne per salire in collina da quel gioiellino.

    Il posto dominava la baia, era bello ed esclusivo. Ma quale indirizzo di Monaco non lo era? La casa era nota per essere stato il rifugio di un’attrice del cinema muto degli Anni Venti e Nash era curioso di vederla. Ci era passato davanti diverse volte in auto, ma non aveva mai avuto occasione di svoltare e di fermarsi ai cancelli. Li trovò spalancati. Strano. La sicurezza, di solito, era molto rigida da quelle parti.

    Avanzando lungo il viale ghiaioso, bordato di tigli, Nash rallentò per esaminarne il degrado. La macchia di buganvillee fiorite non riusciva a nascondere il fatto che quel luogo vetusto avesse bisogno di un buon restauro.

    E d’un tratto la vide.

    L’auto non si era ancora fermata del tutto che Nash scese, sbattendo la porta, e avanzò verso l’oggetto del desiderio.

    Una Bugatti T51 del 1931, finita dritta dritta dentro i cespugli in fiore. E, come se non fosse abbastanza, una portiera era rimasta aperta.

    Nash sentì i muscoli del corpo irrigidirsi. Non era arrabbiato, no.

    Era inorridito.

    Ma, essendo un uomo che aveva fatto dell’autocontrollo il proprio stile di vita, tenne a freno la furia.

    Gli venne incontro un uomo tondo, vestito da giardiniere, che agitava le braccia verso il cielo come a invitare l’intercessione divina.

    «Monsieur! Un accident avec la voiture!»

    E fu a quel punto che iniziarono le urla.

    2

    Lorelei St James si svegliò, stiracchiandosi, e fece scivolare le braccia nude sulle lenzuola di seta, compiacendosi di quel lusso sensuale. Poi si girò con un gemito e affondò il viso nel cuscino, pronta a dormire per il resto del giorno, se fosse stato possibile. Fu a quel punto che udì il suono basso di una voce maschile, alquanto contrariata. Giungeva da fuori.

    Ignoralo, decise, raggomitolandosi.

    La voce si alzò.

    Lei si raggomitolò un po’ di più.

    Altre grida.

    Lorelei arricciò il naso.

    Uno schianto.

    E adesso, cosa c’era?

    Sospirando, sollevò la mascherina sulla fronte e fece una smorfia: la forte luce del sole le aveva colpito gli occhi. La stanza iniziò a ruotare: senza dubbio, il risultato di troppo champagne, troppo poco sonno e problemi finanziari a sufficienza perché la casa le crollasse sulla testa.

    Allontanò quell’ultimo pensiero nei recessi della mente, anche se il cuore accelerò i battiti, e le venne voglia di un bicchiere d’acqua per placare l’arsura alla gola. Urtò maldestra l’orologio, il cellulare e alcuni gioielli che finirono sul pavimento di pietra con grande clangore.

    Mettendosi a sedere, Lorelei scostò la cascata di riccioli biondi dagli occhi e si tenne salda al materasso, quando la stanza iniziò a ruotare un’altra volta.

    Non berrò mai più, giurò. E se lo farò, si corresse, solo cocktail champagne... e al limite gin tonic.

    Il cellulare per terra iniziò a vibrare. Il cuore di Lorelei fece il solito fastidioso balzo e riprese a battere veloce. In quei giorni, quando il telefono squillava, c’era sempre qualcuno arrabbiato all’altro capo...

    Come a dissuaderla dallo scendere dal letto, la vibrazione si interruppe, ma il suono delle voci maschili che giungevano da giù aumentò di intensità. Ecco cosa l’aveva svegliata. Le urla. C’era una specie di lite in corso.

    Non doveva occuparsi anche di questo? Non oggi...

    Ma c’era solo Giorgio in casa e non era giusto lasciarlo ad affrontare degli intrusi senza aiutarlo. Ne erano capitati parecchi nelle ultime settimane, tutti creditori che le davano la caccia, ora che suo padre, Raymond, era rinchiuso in carcere.

    Come se lei avesse anche un solo centesimo a suo nome, dopo due anni di spese legali.

    Non che ignorasse i problemi, tuttavia si sarebbe occupata più tardi delle telefonate, delle mail e degli avvocati che volevano la sua firma su una montagna di documenti. Oggi no. Forse domani. Era una giornata così bella. C’era il sole. Non l’avrebbe rovinata. Ancora un giorno in paradiso.

    Ancora un giorno...

    E poi si ricordò: non solo aveva un cliente prenotato per mezzogiorno, aveva anche un appuntamento nel pomeriggio all’Hotel de Paris. Per l’ente di beneficenza della nonna, la Aviary Foundation. Ogni anno organizzava un evento per raccogliere fondi a favore della ricerca contro il cancro.

    Quest’anno l’attrazione era una giornata di rally con auto d’epoca e un famoso pilota avrebbe dato ai bambini malati di cancro il piacere di un giro in pista su un potente veicolo. La loro PR era ammalata e il presidente dell’associazione le aveva chiesto personalmente di dare il benvenuto al celebre ospite.

    Lorelei strizzò gli occhi. Non aveva fatto ricerche. E se il tizio si aspettava che conoscesse le sue imprese?

    L’anno prima avevano ingaggiato un attore hollywoodiano che aveva una casa a Monaco. Con quello sarebbe stato facile, bastava guardarsi qualche film, elogiarlo... Tutti sapevano che gli attori avevano un ego grande quanto una montagna. Pensò ai piloti. Non somigliavano un po’ ai cowboy? Immaginò un misto di ego e spacconeria. Che noia.

    Lorelei prese l’abito da sera in seta, tutto spiegazzato ai piedi del letto, e se lo infilò dalla testa. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per la Fondazione, solo, non oggi...

    Aprì le portefinestre e fece per uscire sul terrazzino. Ma si ricordò che non indossava biancheria intima e tornò sui propri passi. Non che fosse pudica, però non voleva mettere in imbarazzo Giorgio.

    Si mise una trasparentissima vestaglia e la chiuse alla vita, poi andò fuori. Era una di quelle splendide giornate di inizio primavera, e Lorelei inspirò la brezza salmastra e il profumo di rosmarino e lavanda che veniva dal giardino. Non aveva nessuna voglia di andare a vedere di cosa si trattava. Scendendo gli scalini in pietra, inforcò gli occhiali da sole e si disse che chiunque fosse stato, il peggio che poteva fare era urlarle in faccia.

    Chissà se si sarebbe mai assuefatta alla rabbia della gente. Ultimamente stava affrontando molto più di quanto non le sarebbe spettato. E forse aveva raggiunto il limite, perché stamattina le sembrava più difficile del solito. Tuttavia neanche Giorgio se lo meritava, e qualcuno doveva pur porre fine alla cosa.

    Sarebbe stato bello se una volta tanto non fosse toccato a lei farlo.

    Lorelei vide la Bugatti ed ebbe un tuffo al cuore. Ma com’era finita in giardino? Ripensandoci, una mezza idea ce l’aveva...

    E poi vide l’uomo che le aveva disturbato il sonno.

    Lui era... Lei era...

    Lorelei si accorse vagamente di avere arricciato la bocca in un piccolo oh di meraviglia. Un istante dopo ricordò di non essersi spazzolata i capelli, di non avere trucco e che le mutandine erano rimaste di sopra.

    Troppo tardi. Era stata individuata.

    Non potendo fare niente per il proprio abbigliamento, cercò almeno di ravviarsi i capelli e si sforzò di ricordare a se stessa che, sebbene non fosse nella sua forma migliore, aveva pur sempre un certo fascino.

    L’uomo si mosse per andarle incontro, in tutto

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