Lockdown: Diritto alla vita e biopolitica
Di Xavier Tabet
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Info su questo ebook
La crisi sanitaria che stiamo vivendo rappresenta sicuramente l’evento collettivo più stupefacente capitato da molto tempo. L’enigma risiede nella capacità di una minuscola entità biologica, il virus, di far passare una società organizzata per il movimento permanente allo stato di semi-paralisi. I Paesi più ricchi, e non solo loro, sono sembrati pronti a sacrificare in maniera duratura la propria economia per proteggere la salute delle persone, in particolare quella delle persone anziane, le prime a essere esposte alla minaccia pandemica. Anche sul piano delle idee e della vita intellettuale, la situazione che viviamo mette alla prova i nostri saperi e i nostri discorsi. È chiaro ormai che sia necessario ripensare molte delle categorie e dei temi mediante i quali osserviamo il nostro presente. Il volume sviluppa l’idea secondo cui il lockdown, che tende necessariamente all’instaurazione di una forma di stato d’eccezione, rende evidente il fatto che la vita, il diritto alla vita e alla salute, siano diventati la vera posta in gioco delle politiche contemporanee.
Xavier Tabet è professore ordinario in Études italiennes all’Université Paris 8. I suoi primi lavori vertono sul mito politico ed estetico di Venezia (con la ripublicazione nel 2005, per le Éditions Robert Laffont, della Histoire de la république aristocratique de Venise) e sulle letture di Machiavelli in epoca contemporanea (tra cui nel 2007 Machiavelli nel XIX e XX secolo, in collaborazione con Paolo Carta). Con Alessandro Fontana ha tradotto e commentato i Discorsi sulla prima Deca di Tito Livio, di Machiavelli (Gallimard, 2004) e Dei delitti e delle pene di Beccaria (Gallimard, 2015). I suoi lavori più recenti riguardano la nascita del pensiero giuridico contemporaneo, e i legami tra politica, diritto e medicina.
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Anteprima del libro
Lockdown - Xavier Tabet
Xavier Tabet
Lockdown
Diritto alla vita e biopolitica
Xavier Tabet
Lockdown.
Diritto alla vita e biopolitica
Traduzione di Giuseppe Sciara
RONZANI S.r.l. - © Ronzani Numeri
Via San Giovanni Bosco, 11/2 - 36010 Dueville (Vi)
www.ronzanieditore.it | [email protected]
eISBN 979-12-5960-016-5 - Prima edizione digitale: Febbraio 2021
Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore (L. 633/1941 e successive modificazioni). L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel contratto di licenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla riproduzione in qualsiasi forma, nonché alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet, sono riservati.
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ISBN: 9791259600165
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
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Indice dei contenuti
Lockdown
Parte prima
1. Diniego
2. Politica
3. Evento
4. Discorsi
5. Spostamento
Parte seconda
1. Biopolitica
2. Vita
3. Morte
4. Regolazione
5. Tracciabilità
Parte terza
1. Biopoliticizzazione o declino dello Stato previdenziale?
2. L’imprevedibile e l’inaspettato
Ringraziamenti
Libro pubblicato con il supporto
dell’Università di Parigi 8
(Laboratoire d’Études Romanes).
Lockdown
Diritto alla vita e biopolitica
A Michel Porret
Parte prima
L’evento e i suoi saperi
1. Diniego
Il 19 febbraio 2020 mi trovavo a Siena per partecipare a una commissione di dottorato. Neanche per un attimo, durante le discussioni e il pranzo con i colleghi italiani, si è parlato del coronavirus e della ‘tempesta perfetta’ che si preannunciava. Eppure, soltanto qualche giorno più tardi, parte dell’Italia veniva dichiarata zona rossa, dopo che, con il decreto-legge del 23 febbraio, erano state prese le prime misure d’emergenza. Dal 9 marzo l’intero Paese entrava in quarantena e veniva disposto il lockdown – come è stato chiamato in Italia il confinamento, dal momento che questo termine richiama eccessivamente il ‘confino’, l’esilio interno che colpiva gli oppositori al regime durante il fascismo. La Francia avrebbe seguito l’Italia con circa dieci giorni di ritardo, il 17 marzo. La legge d’emergenza per fronteggiare l’epidemia di covid-19 veniva emanata il 23 marzo, con grande disappunto degli Italiani che hanno criticato duramente i Francesi per questo ritardo supplementare. Benché quel giorno durante i colloqui con i colleghi italiani non si parlò del coronavirus, la pandemia si stava già aggravando in Cina da due mesi e da tempo si sospettava che si potesse estendere all’Europa. Ma questa faccenda doveva sembrarci una questione ‘asiatica’, legata a oscuri affari di pipistrelli e pangolini in brulicanti e popolosi mercati. Eravamo inconsciamente convinti che non potesse riguardare la sana e protetta Europa. Il 30 gennaio comunque l’Organizzazione Mondiale della Sanità – che avrebbe effettivamente atteso l’11 marzo per utilizzare il termine ‘pandemia’ – aveva dichiarato che il coronavirus era un fenomeno «d’emergenza di sanità pubblica di portata internazionale». Il 31 gennaio l’Italia aveva dichiarato lo ‘stato d’emergenza’ a livello nazionale, che consentiva al governo di prendere tutte le misure necessarie a combattere l’epidemia già in atto.
Di ritorno a Parigi, il 20 febbraio, non avevo ancora realizzato che questo stato di confinamento piuttosto rigido potesse presto riguardare anche la Francia. La verità è che non credevo che saremmo stati confinati, per lo meno in parte, come in Cina e poi come in Italia, anche se sapevo. Questo piccolo episodio personale mi pare mostri una sorta di diniego che è stato quello di molti di noi, in Europa, di fronte all’evento collettivo che abbiamo vissuto. Mi pare illustri la differenza che esiste tra sapere e credere. Lungi da me l’idea di esentare i nostri governi, anche solo quelli di Francia e Italia, dalla loro leggerezza, dalle loro indecisioni e voltafaccia e probabilmente anche dalla loro dissimulazione resa necessaria dalla mancanza di mezzi sanitari per affrontare la situazione d’emergenza. Ma l’abitudine a ragionare a breve termine, la difficoltà di pensare e agire al di fuori del presente e a lungo termine, non
affliggono solo i governi. Appartengono alla nostra «cultura moderna liquida», quella della discontinuità e del moto perpetuo, dell’effimero e dell’oblio, dell’accelerazione e della frammentazione. Ciò che voglio dire è che questa pandemia ci ha preso alla sprovvista. La storia delle catastrofi, del resto, dimostra spesso che pur sapendo che delle cose stanno accadendo vicino e sono in procinto di arrivare da noi, non ci crediamo finché le nostre condizioni di vita non vengono direttamente colpite. Finché la catastrofe non si verifica non crediamo in effetti nella sua possibilità, mentre quando è avvenuta ci sembra che fosse prevedibile e inevitabile. Quanto al paradosso del diniego, risiede nel fatto di sapere senza sapere.
O meglio, di sapere senza sapere che fare. Insomma, non si tratta di non sapere, ma di non sapere cosa fare di questo sapere.
2. Politica
Al momento, in questo mese di dicembre 2020, più di sei mesi dopo il termine del primo confinamento, e mentre viviamo in Francia un secondo confinamento, non disponiamo di dati certi che ci consentano di conoscere con certezza il modo in cui va evolvendosi il virus. Negli altri continenti, in America in particolare, la situazione resta critica . In Francia prosegue, o riprende, il dibattito tra «alarmistes» e «rassuristes» secondo il nuovo vocabolario di questa crisi. Così i secondi continuano a criticare misure e dispositivi di sicurezza sanitaria che considerano eccessivi, mentre i primi sostengono che queste stesse misure hanno determinato un rallentamento nella propagazione del virus.
Il primo confinamento ci è apparso un tempo morto, una tregua, un’interruzione vissuta come un periodo eccezionale. Ma ora siamo costretti ad accettare che stiamo entrando in una nuova era, in cui dobbiamo imparare a convivere con il virus. Più che in una seconda ondata sembra di vivere in un’ondata permanente. Mentre veniamo anche a sapere che certe persone già contagiate possono esserlo nuovamente, pare