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Un anno col milionario: Harmony Jolly
Un anno col milionario: Harmony Jolly
Un anno col milionario: Harmony Jolly
E-book194 pagine2 ore

Un anno col milionario: Harmony Jolly

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Info su questo ebook

L'uomo perfetto? Romantico, sognatore... e milionario. Innamorato solo di te.

La manager Stella Russo ha attraversato l'Atlantico per fuggire da un lavoro stressante, e adesso ha un anno di tempo per rimettere in sesto la propria vita e tornare a casa. Ma è difficile concentrarsi se passa tutto il tempo a spiare il suo vicino di casa...
Linus Collier è un milionario che ha deciso di abbandonare le sue abitudini da playboy per prendersi una pausa dal genere femminile. Per Stella vuole essere solo un buon amico e vicino, niente di personale né tanto meno di romantico. Ma l'attrazione che prova per lei sta per mettere in forse tutte le sue convinzioni.

LinguaItaliano
Data di uscita19 mar 2021
ISBN9788830526389
Un anno col milionario: Harmony Jolly

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    Anteprima del libro

    Un anno col milionario - Barbara Wallace

    successivo.

    1

    Estate

    Stella era in terrazza e inspirava a pieni polmoni l'aria calda dell'estate. Sotto di lei si stendeva Belgravia, l'elegante quartiere londinese con le lussuose dimore rifinite in stucco bianco e le strade a forma di mezzaluna in cui avevano abitato Neville Chamberlain e Ian Fleming. Ora si sarebbe potuta addentrare nel loro mondo.

    Si concesse un sospiro di soddisfazione. «Congratulazioni, Stella. Finalmente ce l'hai fatta ad arrivare qui.» E c'era voluto un crollo nervoso perché accadesse.

    I suoi avrebbero detto che era eccessivamente drammatica. Loro preferivano il termine esaurimento o, meglio ancora, nessuna definizione, come non fosse mai successo che si paralizzasse in mezzo al traffico.

    Quale che fosse il termine, adesso era lì, a Londra, e ci sarebbe rimasta per dodici mesi, in un lussuosissimo appartamento. Un bel modo per riprendersi, no?

    «Che dici, capo? Continuiamo a disfare i bagagli?» disse.

    Etonia Toffee Pudding era sdraiata su un magnifico divano di velluto, a proprio agio come se fosse il suo lettino – ed era così. Sino a quella mattina la gatta angora era stata ospite di Peter Singh, l'avvocato della proprietà, e di ritorno a casa aveva subito reclamato indietro i suoi spazi. Gli occhi di colore diverso rimasero inespressivi alla domanda di Stella.

    «Lo prendo come un sì» disse Stella. Poi sistemò la fascia che le teneva i capelli scostati dal viso. Le avevano detto che il taglio ad altezza mento richiedeva pochissima manutenzione. Sfortunatamente, non si poteva dire lo stesso della frangetta.

    Nella sala, un ritratto di Dame Agnes Moreland la guardava dal caminetto. Un sorriso pigro aleggiava sulle labbra dell'anziana attrice, come stesse ridendo del branco di esseri umani prostrati davanti alla sua gatta.

    «Posso anche parlarle» disse Stella al ritratto, «ma se pensi che comincerò a portarla in giro come facevi tu, sei pazza.» Prendersi cura della gatta faceva parte dei suoi doveri, così come gestire le proprietà e gli investimenti. «Giusto, micetta?»

    Dei colpi alla porta interruppero la conversazione. Colpi forti, secchi, che la fecero sobbalzare. «Che diavolo...?» L'appartamento occupava una metà dell'ultimo piano ed era accessibile solo tramite ascensore privato. Quindi la persona alla porta non poteva essere altri che il suo vicino.

    I colpi continuarono. Etonia Toffee Pudding sparì sotto le frange del divano.

    «Arrivo!» gridò Stella. Se era così che intendeva presentarsi quel tipo, sarebbe stato un anno pesante.

    Guardando dallo spioncino, vide un uomo in giacca di tweed. Aveva i capelli grigi e la pelle a chiazze, il tipo di carnagione di chi passa troppo tempo al chiuso. Non sembrava il genere di vicino che fa un salto per farsi offrire una tazza di caffè. Se era il suo vicino. Per sicurezza, mise la catenella prima di aprire la porta.

    L'uomo la soppesò dalla testa ai piedi attraverso lo spiraglio. «Mi chiamo Theodore Moreland» annunciò. «Posso parlare con l'amministratore della proprietà?»

    Dunque non era il vicino, ma il nipote di Dame Agnes. Peter l'aveva avvertita che si sarebbe fatto vivo.

    «Sono io» rispose, «Stella Russo.»

    Moreland aggrottò la fronte.

    E Stella soffocò la punta di insicurezza che doveva affrontare tutte le volte che si trovava di fronte a disapprovazione.

    La sua opinione non conta nulla, Stella. Sei tu al comando.

    Così sollevò il mento. «Cosa posso fare per lei, signor Moreland?»

    «Per cominciare, potrebbe farmi entrare» rispose lui.

    Nemmeno per sogno, si disse Stella. Non sino a che non avesse parlato con Peter Singh. Stando a quanto le avevano riferito, a Theodore Moreland non erano piaciuti per nulla i termini del testamento della zia e si era attivato per impugnarlo. Non poteva lasciarlo entrare.

    «Non sono pronta a ricevere ospiti» disse dunque Stella. «Sto ancora disfacendo i bagagli e facendo conoscenza col mio nuovo capo.»

    «Mi impedisce di entrare in casa di mia zia?»

    «La casa di Etonia Toffee Pudding» lo corresse. «E sì, è esattamente quello che ho detto.»

    Moreland la guardò a occhi sgranati, indignato. «Come si permette? Non ha alcun diritto...»

    «In effetti, in qualità di amministratrice dei beni, ho tutti i diritti. Ho la responsabilità di ogni cosa.» Mentre rispondeva, prese nota mentalmente di parlare con la guardia all'ingresso per dirgli che doveva chiamare prima di far salire qualcuno. «Magari tra un paio di giorni, quando mi sarò sistemata, lei e Peter potrete fare un salto qui e potremo fare due chiacchiere.»

    Il volto di Moreland assunse una colorazione rubizza, con i capillari del naso in rilievo. A Stella ricordò gli ubriachi che aveva visto dormire sulle panchine in pieno centro di Londra.

    «Be', questo è davvero...» farfugliò oltraggiato, diffondendo intorno un vago sentore di dentifricio alla menta. «Insisto. Mi faccia entrare subito.»

    «Le ho già detto di no» ribatté Stella, imperturbabile. «Deve tornare la settimana prossima.» Poi, stufa di fare l'educata, fece per chiudergli la porta in faccia.

    Lui, però, mise il piede in mezzo, bloccandola.

    Dannazione.

    «C'è qualche problema?»

    «No» risposero lei e Moreland all'unisono.

    Un volto apparve alle spalle di Moreland. Molto più attraente, con due magnifici occhi del color dell'oceano.

    L'uomo passò lo sguardo da lei a Moreland e viceversa. «L'amico qui, sta creando difficoltà?»

    «Non sono affari suoi, Collier» replicò Moreland in modo alquanto sgarbato.

    «Il signor Moreland stava andando via» disse Stella. «Non è vero, signor Moreland?»

    «È per questo che tiene bloccata la porta col piede?» chiese lo sconosciuto.

    «Agnes Moreland era mia zia. In quanto suo unico parente in vita, è mia responsabilità verificare che la sua proprietà venga gestita correttamente.»

    «Buffo. Mi pareva che sua zia avesse chiesto che venisse assunto un amministratore per questo specifico compito. In effetti, ricordo perfettamente che non ha fatto il suo di nome come curatore.»

    Moreland arrossì di collera. «Non sono affari suoi» sibilò.

    «Au contraire, amico. Possiedo metà di questo piano, il che significa che lei sta creando fastidi sulla mia proprietà. Certo che sono affari miei. Ora, signorina...?»

    Stella sorrise. «Russo. Stella Russo.»

    «Piacere di conoscerla, signorina Russo. Vuole che l'amico qui se ne vada?»

    «Sì.»

    «Perfetto. La questione è chiusa, allora. Vogliamo entrambi che se ne vada. Mi auguro non faccia storie, perché in quel caso sarei costretto a chiamare la sicurezza e non credo che vogliamo attirare l'attenzione, giusto, amico?»

    Le sopracciglia cespugliose di Moreland si unirono

    in un'unica linea mentre guardava entrambi con occhi assassini. Per un attimo Stella pensò che avrebbe fatto storie, ma alla fine il buon senso prevalse.

    «Tornerò» disse minaccioso.

    Stella non vedeva l'ora che lo facesse.

    Linus finse di armeggiare con le chiavi sino a che Moreland non entrò in ascensore. Sarebbe tornato presto, sbandierando i suoi diritti di unico parente della defunta.

    «Mio nipote è molto prevedibile» soleva dire Agnes.

    Quella povera amministratrice si ritrovava per le mani una bella seccatura.

    Quando era trapelata la notizia che Agnes aveva lasciato tutto alla sua gatta, Linus probabilmente era stato l'unico in tutta Londra a non esserne sorpreso. Dame Agnes in vita era stata una donna dalla volontà di ferro, decisamente eccentrica. Perché ci si sarebbe dovuto aspettare che fosse diversa nella morte?

    Quando si era trattato di assumere qualcuno che adempisse i desideri di Agnes, lui aveva immaginato che lo studio legale avrebbe scelto una professionista nel settore gatti. Tipo una donna anziana, in cardigan di cachemire e collana di perle.

    Be', da quello che aveva potuto vedere della nuova vicina, non era anziana e sicuramente non portava cardigan. Aveva due gambe incredibili – i calzoncini corti le lasciavano ampiamente scoperte, quindi aveva potuto dare una bella occhiata prima che chiudesse la porta.

    Dopo essersi tolto le scarpe – la signora Paracha si arrabbiava se rovinava il suo pavimento pulito con le scarpe sporche – si diresse in camera. Era a metà delle scale quando il cellulare cominciò a frinire come un grillo.

    Lo lasciò suonare diverse volte prima di rispondere. «Linus Collier, chi parla?»

    Dall'altro capo della linea giunse un profondo sospiro. «Perché continui a farlo?» chiese sua sorella Susan.

    «Fare cosa?»

    «Rispondere in modo così formale. Lo sappiamo tutti e due che sono l'unica persona cui hai associato il suono di un dannato grillo.»

    «Perché?» C'erano diverse risposte che avrebbero potuto coprire il vuoto. Perché le dava fastidio. Perché è così che si comportano i fratelli maggiori. Perché lui era considerato stravagante e quindi si aspettavano che facesse stranezze... «Come mai mi chiami di venerdì sera? Non dovresti esser fuori col tuo ragazzo?» aggiunse.

    Sua sorella usciva con Lewis Montana, l'ex calciatore. Erano una strana coppia la sua permalosa sorellina e il Casanova ravveduto, ma tra loro funzionava. Il cambiamento radicale di Lewis faceva ben sperare per il futuro.

    «Serata cinema» replicò Susan. «Andiamo a vedere quel documentario sul rock-'n'-roll di cui tutti parlano. Vuoi unirti a noi?»

    Un romantico venerdì sera col terzo incomodo? Cosa poteva esserci di più allettante?

    Raggiunta la camera, Linus allentò la cravatta e si allungò sul letto. «Grazie per l'invito, ma ho altri programmi» disse.

    «Veramente? Che programmi?»

    Qualunque altra cosa, fu lì lì per ribattere il fratello.

    «Niente di pazzesco. Cena. Un po' di lavoro. Un paio di birre.»

    «In altre parole, non fai niente.»

    E cosa c'era di male nel non far niente? «Tanto perché tu lo sappia, la signora Paracha mi ha fatto il suo stufato d'agnello. Non si voltano le spalle a una simile delizia culinaria.»

    Un altro sospiro. «Linus...»

    «Susan...»

    «Sono seria. Cosa sta succedendo?»

    «Non so di che stai parlando.»

    «Sì, invece. Vivi come un monaco da più di un mese. Non è da te.»

    Era proprio quello il punto. Sinora era stato un mascalzone che flirtava con tutte e feriva la gente senza pensarci. Voleva essere diverso. Voleva essere migliore. «Forse sto facendo un percorso di auto scoperta» replicò.

    «Davvero? O ti stai punendo?»

    «Devi sempre trovare una motivazione per tutto?» obiettò lui. Non era in vena di sedute psicologiche, specie dal momento che Susan era andata molto vicina alla verità. «Magari ho avuto una giornata pesante e ho voglia di starmene a casa. È un concetto così difficile da accettare?»

    Il silenzio della sorella fu più eloquente di qualunque parola.

    «A proposito, ho conosciuto la nuova vicina» continuò, cambiando argomento.

    «La babysitter del gatto milionario?» domandò Susan. «Com'è?»

    «Poco socievole. C'era Teddy Moreland sulla porta.»

    «Sarei stata poco socievole anche io, allora. L'hai vista? Hai detto che è femmina?»

    «Esatto. Dall'accento, mi pare americana»

    «Mi chiedo come mai uno attraversi l'oceano per fare da balia a un gatto.»

    «Tirando a indovinare, direi che le piacciono i gatti e che vuole stare per un po' a Londra. Ci sono modi peggiori per guadagnarsi da vivere.»

    Anziché rispondere, sua sorella fece un versetto a metà tra un gridolino e una risatina che gli fece alzare gli occhi al cielo. Solo una persona era in grado di farla ridacchiare in quel modo, ed era il suo ragazzo.

    «Scusami» disse Susan. «Lewis mi ha fatto un agguato uscendo dalla doccia.»

    «È così che lo chiamano ora?»

    In sottofondo Linus sentì borbottare e poi ci fu un'altra risatina.

    E Susan si stupiva che non volesse uscire con loro?

    Cogliendo al balzo l'opportunità, salutò la sorella e chiuse la comunicazione.

    Era bello che i suoi fratelli avessero trovato la felicità, considerò, fissando il soffitto. Sia Susan che Thomas, il fratello più grande, se lo meritavano.

    Un giorno magari avrebbe ricominciato a credere di poter essere felice anche lui.

    Continuò a fissare il soffitto, ma nella mente vide il comodino e la busta color crema chiusa nel cassetto. La lettera era stata scritta con cura, ortografia e calligrafia perfette. Uno stile impeccabile per trasmettere una dura verità. Non era la prima volta che gli mettevano davanti al naso il suo comportamento scorretto, ma era la prima volta che l'appunto andava a segno. La prima volta che capiva realmente le conseguenze dell'essere Linus Collier, il playboy.

    Meglio che vivesse come un monaco sino a che non avesse imparato a essere qualcun altro.

    Rimase sdraiato a lungo poi, di malavoglia, si tirò su e si diresse verso il bagno, registrando a malapena le ombre che il sole proiettava sulla terrazza attraverso le piante.

    D'un tratto, però, sentì un miagolio. Si bloccò, guardò fuori e poi in basso.

    Un grosso gatto bianco con gli occhi di due colori diversi gli restituì lo sguardo.

    Stella era intenta a guardare le lattine allineate sugli scaffali della dispensa. Erano trenta, organizzate a gruppi di due in base al gusto. Pollo. Pollo e fegato. Pollo e salmone. Pollo e tonno. I gusti dovevano ruotare quotidianamente, senza ripetersi due volte di fila. A quanto sembrava, Etonia Toffee Pudding non amava mangiare due volte di seguito la stessa cosa. Le piaceva molto il pollo, comunque, e quindi a mezzogiorno doveva riceverne una porzione cotta di fresco. Una nota nel file delle istruzioni indicava che si sarebbe occupata la governante della cucina. La donna, in ogni caso, non sarebbe rientrata sino al giorno seguente.

    Dall'atrio, la pendola del nonno batté sei volte. Stella prese una scatoletta a caso e pregò che non fosse un duplicato.

    «Ora della pappa, piccolina!» chiamò. Etonia Toffee Pudding era troppo lungo da dire.

    Strano. Immaginava che la gatta sarebbe arrivata di corsa non appena avesse sentito aprirsi la scatoletta. Non era una sorta di segnale universale per i felini quello? Forse i gatti inglesi erano meno golosi di quelli americani, pensò, posando la ciotola sul pavimento.

    Dov'era la gatta? «Piccolina?»

    Stella andò in corridoio, quindi tornò in soggiorno. Il divano di velluto e le poltrone erano vuoti. E non c'era nessuno nascosto sotto. «Piccolina... vieni, piccolina...»

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