Serengeti Sunset
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Anteprima del libro
Serengeti Sunset - Eros Chiappin
torrida.
1
Kate parcheggiò l’auto, un moderno SUV bianco, difronte alla villetta ornata a festa degli Smith. Scese e aiutò la piccola Mia ad allacciarsi i sandali che puntualmente slacciava per giocarci. Le schioccò un bacio sulla fronte e la fece scendere.
Dal prato della casa le vennero incontro la mamma della festeggiata, Rachel Smith, e due bambine compagne d’asilo di Mia. I loro sorrisi dicevano che la festa era uno spasso e i loro vestitini brulicavano di chiazze bagnate, probabilmente Coca-Cola o limonata.
«Ehi, Mia!!!» urlò una di loro. La figlia si unì alle due e insieme sgattaiolarono nel giardino abbellito a festa per l’occasione, dove si trovavano già altri bambini. Tutti giocavano chiassosi e la maggior parte di loro stringeva in mano un filo che culminava con un fluttuante palloncino colorato. Al centro del prato, un enorme striscione con la scritta Auguri Sandy
sovrastava il piccolo palco dove, tra non molto, si sarebbe esibito Clementino il clown canterino
.
«Ciao, Kate! Finalmente ci incontriamo! Ho paura che se continuiamo a vederci di questo passo, la prossima volta saranno le nostre figlie ad accompagnarci alle feste di compleanno» esordì Rachel ridendo.
«Eh già, temo tu abbia ragione!» rispose Kate. «Allora, dov’è la festeggiata?»
«Starà sguazzando in mezzo a tutti quei gavettoni. Là in mezzo sembra di stare in una gabbia di ippopotami! E tu che fai, te ne stai impalata lì? Non vorrai rinunciare a tutte quelle prelibatezze?» disse indicando i tavolini disposti a ferro di cavallo nel prato.
«Non posso, Rachy, purtroppo sono un po' di corsa oggi e poi…»
«Ho capito. I dolcetti e i salatini lasciamoli ai ragazzi, ma in dispensa ho certi liquorini che…»
Fu Kate questa volta a interromperla: «Veramente, no, grazie. E poi con quest’afa credo che se toccassi alcol mi si squaglierebbe il cervello» scherzò. Poi aggiunse: «Spero che i notiziari non si sbaglino. Entro stasera prevedono dei temporali che dovrebbero rinfrescare, oramai non si respira più.»
Rachel, che già si sentiva fortunata della sola presenza dell’amica, non insistette. D’altronde era raro vedere Kate fuori dal suo lavoro o al di là dell’orario di entrata e uscita dei bambini all’asilo.
«Speriamo proprio che non si sbaglino…» rispose spostando lo sguardo in alto. A differenza di tanti altri giorni, in lontananza si scorgevano già le prime nubi a incorniciare un cielo grigio pallido per l’umidità.
In quel momento dalla terrazza spuntò una donna robusta, sulla sessantina, che con un largo sorriso stampato in faccia e tenendo in mano un enorme torta a tre piani tutta colorata, si dirigeva ai tavoli centrali. Da dove si trovavano, scorgevano fette di kiwi, fragole, banane e mandarini adagiati su un letto di panna montata e, presumibilmente, crema al limone. Sull’ultimo piano, in alto, il numero 4.
«Lo si nota anche da qui quanto è fiera mia madre!» disse Rachel ridendo. «È stata lei a insistere per la torta alla frutta, pur sapendo che Sandy va pazza per il cioccolato. È strano da parte di una nonna, non credi?»
Kate rispose con un sorriso.
«Che vuoi farci?» proseguì Rachel «in questa famiglia siamo tutti svitati. E tu, Kate, come stai? So del tuo momentaccio… spero tu stia meglio.»
Distrattamente si risistemò una ciocca bionda che l’era caduta sulla guancia. Tra lei pensò da quanto tempo non accennava ad una sana risata, ma non se lo ricordava. Era passato molto tempo. Troppo, forse.
«Diciamo che ho degli alti e bassi, ma ultimamente va molto meglio…» rispose più sicura che poté. Non sapeva se fosse vero o se fosse solo una convinzione a cui aggrapparsi. Nelle ultime settimane era riuscita a separarsi dagli psicofarmaci senza particolari problemi, senza crisi di pianto o di astinenze e questo la rendeva profondamente fiera di sé.
Smettere di assumerli, dopo molto tempo, non è mai una passeggiata. Sono in grado di crearti quel mondo attorno così soffice e spensierato ma, contemporaneamente, ti rinchiudono in quello stesso mondo con sbarre di ferro alte e arrugginite che, appena si prova a scavalcarle, ti feriscono tagliandoti dappertutto. Il giorno che si riesce a scavalcare quelle barriere ci si sente degli eroi, si crede di aver vinto. Ma poi l’euforia finisce, i vecchi problemi si ripresentano, come cicatrici, ma questa volta con gli alleati: le ferite fresche e ancora sanguinanti lasciate dalle sbarre invisibili. Ci si guarda intorno, disorientati, la mente chiama disperatamente aiuto, ma l’eco della sua voce gli rimbalza contro. In fondo si sa di aver la soluzione a portata di mano, ma ci si gira attorno, come un bambino girerebbe alla larga dalla casa degli orrori al luna park: si muore dalla voglia di entrare, ma al tempo stesso si ha paura delle creature orribili al suo interno. Alla fine ci si promette di chiudere gli occhi davanti ai mostri più spaventosi, e si rientra nella casa degli orrori. Nel paese dei