La Mia Battaglia (Mein Kampf) di Adolf Hitler
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Anteprima del libro
La Mia Battaglia (Mein Kampf) di Adolf Hitler - Storia Edizioni
Indice
PARTE I
PARTE II
La Mia Battaglia
(Mein Kampf)
Di
ADOLF HITLER
Traduzione Italiana anonima del
2014 a partire
dalla traduzione Inglese di ETS
Dugdale.
LA MIA BATTAGLIA
PARTE I
LA MIA CASA
Oggi si rivela utile per me che il fato abbia deciso che Braunau sull’Inn dovesse
essere il mio luogo natale. Questo piccolo paese si trova alla frontiera fra due Stati
Tedeschi, l’unione dei quali viene vista da noi più giovani come un’operazione
degna di essere portata a termine con tutti i mezzi in nostro potere.
L’Austria Tedesca dovrà ritornare alla grande Madrepatria Germania, ma non per
ragioni economiche. No, no! Anche se l’unificazione, se osservata da questo punto
di vista, era una questione indifferente, no, anche se fosse in realtà dannosa,
dovrebbe comunque avvenire. Il sangue comune dovrebbe appartenere ad un
Reich comune. Il popolo Tedesco non ha alcun diritto di cimentarsi in una politica
coloniale finché non è in grado di radunare i propri figli sotto uno Stato comune.
Finché i confini del Reich non includano ogni singolo Tedesco e non siano certi di
essere in grado di nutrirlo, non ci potrà essere alcun diritto morale per la Germania
di acquisire territori esteri nonostante il suo popolo sia nel bisogno. Qui l’aratro sarà
la spada, ed il pane quotidiano del mondo che verrà sarà bagnato dalle lacrime
della guerra. Quindi accade che il piccolo paese di confine sia per me il simbolo di
una grande impresa.
Non siamo noi uguali a tutti gli altri Tedeschi? Non abbiamo tutti un’unica
appartenenza? Questo problema cominciò a ribollire nel mio cervello già da
bambino. In risposta alla mia timida domanda, sono stato obbligato con segreta
invidia ad accettare il fatto che non tutti i Tedeschi erano così fortunati da essere
membri dell’impero Bismarck.
Non volevo diventare un impiegato. Né ‘discorsi’ né discussioni
‘serie’ facevano
alcuna differenza per la mia riluttanza. Non volevo essere un impiegato e rifiutavo
di esserne uno. Ogni tentativo, per citare l’esempio di mio padre, di suscitare
amore o desiderio per questa chiamata aveva soltanto l’effetto contrario. Odiavo
l’idea, e la cosa mi annoiava, di dovermi sedere legato ad un ufficio e di non essere
padrone del mio stesso tempo riempiendo dei moduli.
Adesso, quando riguardo l’effetto su di me di tutti quegli anni, vedo due fatti che
spiccano in maniera più evidente: (1) sono diventato Nazionalista e (2) ho imparato
a cogliere e capire la storia nel suo senso reale.
La vecchia Austria era uno Stato di nazionalità.
In relativamente giovane età ho avuto l’opportunità di prendere parte nella
battaglia per la nazionalità della vecchia Austria. Ci siamo radunati al Confine
Meridionale ed alla società scolastica ed abbiamo espresso i nostri sentimenti con
fiordalisi e con colori nero-rosso-oro, e ci fu supporto, e cantammo Deutschland
über Alles preferendola all’Austriaca Kaiserlied, nonostante gli ammonimenti e le
punizioni. Perciò i giovani venivano educati politicamente ad un età in cui un
membro del cosiddetto Stato nazionale di solito sa molto poco della sua
nazionalità, eccettuato il suo linguaggio.
Anche allora ovviamente non potevo essere annoverato fra gli indifferenti. Divenni
presto un Nazionalista Tedesco fanatico – ma non, tuttavia, allo stesso modo in
cui oggi il nostro partito lo concepisce.
Questo sviluppo progredì in me molto rapidamente, in maniera che quando avevo
quindici anni avevo compreso la differenza fra il ‘patriottismo’
dinastico ed il
‘nazionalismo’ popolare; sapevo molto di più di quest’ultimo.
Non sapevamo già noi ragazzi che questo Stato Austriaco non aveva, e non
potrebbe avere, alcun amore per noi Tedeschi?
La nostra conoscenza storica dei metodi della Casa degli Asburgo era corroborata
da ciò che vediamo ogni giorno. Nel Nord e nel Sud il veleno delle razze straniere
divorava il corpo della nostra nazionalità, ed anche Vienna stava visibilmente
diventando una città sempre meno Tedesca. La Casa Reale stava diventando
Ceca in ogni maniera possibile; e fu la mano della dea dell’eterna giustizia e
dell’inesorabile punizione che fece sì che il nemico più mortale del Germanesimo
in Austria, l’Arciduca Francesco Ferdinando, cadde sotto gli stessi proiettili a cui lui
stesso aveva dato forma. Ed era il capo del movimento, che lavorava dall’alto per
rendere l’Austria uno Stato Slavo!
Il seme della futura Guerra Mondiale, ed in realtà del collasso generale, sta nel
disastroso collegamento del giovane Impero Tedesco con lo stato ombra
Austriaco.
Nel corso di questo libro dovrò affrontare in maniera esauriente questo problema.
Qui è sufficiente dire che sin dalla mia prima infanzia sono stato convinto che la
distruzione dell’Austria fosse una condizione necessaria per la sicurezza della
razza Tedesca; ed inoltre che il sentimento di nazionalità non è in alcun modo
simile al patriottismo dinastico; ed anche che la Casa degli Asburgo aggredisse e
ferisse la razza Tedesca.
Già allora percepivo queste deduzioni da questi fatti: intenso amore per la mia
casa Tedesco-Austriaca e profondo odio contro lo Stato Austriaco.
La scelta della mia professione dovette essere presa più rapidamente di quanto mi
aspettassi. La povertà e l’austerità mi obbligarono davvero a prendere una
decisione rapida. I pochi mezzi della mia famiglia erano quasi esauriti dalla grave
malattia di mia madre; la pensione, che mi giunse in quanto orfano, non era
sufficiente per vivere, così fui obbligato a guadagnami in qualche modo da vivere
da solo.
Con una valigia piena di vestiti e biancheria sono andato a Vienna pieno di
determinazione. Speravo di evitare il mio destino, come fece mio padre
cinquant’anni prima. Volevo diventare qualcosa – ma non un impiegato.
I MIEI STUDI E LE MIE BATTAGLIE A VIENNA
A Vienna ricchezze strabilianti e povertà degradante erano mescolati l’uno all’altro in
un violento contrasto. Nelle zone centrali della città si sentiva il polso dell’Impero con
i suoi cinquantadue milioni, con tutto il pericoloso fascino di quello Stato con molte
nazionalità. L’abbagliante splendore della Corte attraeva il benessere e l’intelligenza
del resto dell’Impero come un magnete, cosa a cui va aggiunta la politica di forte
centralizzazione della Monarchia degli Asburgo. Questo offriva l’unica possibilità di
mantenere unito insieme tutto quel pasticcio di nazioni. Il risultato fu una
concentrazione straordinaria di tutta l’autorità nella capitale.
Inoltre, Vienna non era
soltanto il centro politico ed intellettuale della vecchia Monarchia del Danubio, ma era
anche il centro amministrativo. Oltre ad ospitare alti ufficiali, Ufficiali di Stato, artisti e
professori, c’era una quantità anche più elevata di lavoratori ed esisteva un’estrema
povertà fianco a fianco al benessere dell’aristocrazia e della classe commerciante.
Migliaia di disoccupati vagavano tra i palazzi della Ringstrasse, e sotto tale via
triumphalis le persone che non avevano una casa si affollavano nello squallore e
nella sporcizia dei canali.
Difficilmente si potevano studiare meglio i problemi sociali in un’altra città Tedesca
meglio che a Vienna. Ma non commettiamo errori. Questo studio non può essere
fatto partendo dall’alto. Nessuno che sia imprigionato nelle spire di questo velenoso
serpente può giungere a conoscere i suoi denti velenosi; le persone esterne sono o
diverse, o non mostrano altro che chiacchiere superficiali e falsi sentimentalismi. Non
so cosa sia più desolante: l’ignoranza dei bisogni sociali da parte di quelli che sono
stati fortunati e quelli che sono sorti grazie ai loro stessi sforzi oppure l’altezzosa,
indiscreta e senza tatto, anche se sempre gentile, condiscendenza di alcune signore
alla moda con abiti da sera e pantaloni attillati, che sono lontane dal simpatizzare
con la gente. Queste ultime di certo sbagliano maggiormente per mancanza di istinto
di quanto possano esse stesse comprendere. Per questo sono stupite di vedere che
i risultati della loro prontezza di impegno sociale sono sempre nulli e spesso
producono un violento antagonismo; questo è prova dell’ingratitudine delle persone.
Tali menti rifiutano di capire che il lavoro sociale non ha nulla a che fare con questo,
e soprattutto che non devono cercare la gratitudine, perché non è questione di
distribuire favori, ma di restaurare dei diritti.
Ho percepito anche allora che in questo caso l’unico metodo di migliorare le cose era
un metodo duplice, vale a dire, un profondo sentimento di responsabilità sociale per
creare migliori principi per il nostro sviluppo, combinato con spietata determinazione
per distruggere le escrescenze a cui non si poteva porre rimedio.
Proprio come la natura si concentra non su mantenere ciò che esiste, ma sul
coltivare nuova crescita in modo da portare avanti le specie, così nella vita umana
non possiamo esaltare il male esistente che, data la natura dell’uomo, è impossibile
in novantanove casi su cento, ma piuttosto assicurare dei metodi migliori per lo
sviluppo futuro sin dall’inizio.
A Vienna, durante la mia battaglia per la sopravvivenza, ho percepito chiaramente
che il compito sociale non avrebbe mai potuto consistere nel lavoro per il benessere,
che è sia ridicolo che inutile, ma piuttosto nel rimuovere gli errori profondamente
radicati nelle organizzazioni della nostra vita economica e culturale che sfociano con
certezza nel degrado dell’individuo.
Poiché lo stato Austriaco ignorava all’atto pratico tutta la legislazione sociale, la sua
incapacità di abolire le escrescenze malvagie incombeva gigantesca di fronte ai
nostri occhi.
Non so cosa mi sconcertasse di più in quel periodo – la miseria economica dei nostri
fedeli lavoratori, la loro crudezza morale, o il basso livello del loro sviluppo spirituale.
Non si solleva forse la nostra borghesia nell’indignazione morale quando apprende
dalla bocca di qualche disgraziato vagabondo che a lui non importa di essere
Tedesco o meno, che per lui è lo stesso fintanto che ha qualcosa per sopravvivere?
Protestano fortemente tutti insieme in un tale vanto di ‘orgoglio nazionale’ ed il loro
orrore per tali sentimenti trova una forte espressione.
Ma quanti veramente si chiedono perché essi stessi hanno un sentimento migliore?
Quanti comprendono le molte reminiscenze della grandezza della loro terra natale,
della loro nazione, in tutti i domini della vita culturale ed artistica, che tutte insieme
danno loro un legittimo orgoglio di essere membri di una nazione così grandemente
privilegiata? Quanti di loro sono coscienti di quanto l’orgoglio nella Madrepatria
dipenda dalla conoscenza della sua grandezza in tutti questi domini?
Ho quindi imparato a capire rapidamente e completamente qualcosa di cui non mi
ero reso conto in precedenza: La questione di ‘nazionalizzare’ un popolo è prima di
tutto quella di creare condizioni sociali sane come base della possibilità di educare
l’individuo. Perché soltanto quando un uomo ha capito attraverso l’educazione e
l’istruzione come comprendere la grandezza culturale, economica e soprattutto
politica della sua stessa Madrepatria, potrà e vorrà guadagnare tale orgoglio interiore
di essere un membro di tale nazione. Posso lottare solo per ciò che amo, amare solo
ciò che rispetto, e rispettare solo ciò che conosco in ogni aspetto.
In quel momento il mio interesse per le questioni sociali è stato risvegliato, ed ho
cominciato a studiarle a fondo. Mi si è rivelato un mondo nuovo e sconosciuto.
Negli anni 1909-10 avevo migliorato la mia condizione al punto di non dovermi
guadagnare il pane quotidiano come lavoratore assistente. Stavo lavorando in
maniera indipendente come disegnatore e pittore di acquerelli.
La psiche della massa non è recettiva verso nulla che abbia il sapore di mezze
misure e debolezza. Come una donna la cui sensibilità è influenzata meno dal
ragionamento astratto piuttosto che da desideri intangibili e dal rispetto per la forza
superiore, e che piuttosto si inchina all’uomo forte che domina i deboli, il popolo ama
un governante severo piuttosto che uno supplicante e si sente più interiormente
soddisfatto dalle dottrine che non hanno rivali piuttosto che da un’ammissione di
libertà liberale, che non ha idea di come utilizzare. Sono poco coscienti della
vergogna di essere spiritualmente terrorizzati come abuso alla loro libertà di esseri
umani, calcolato al fine di portarli alla rivolta; né sono a conoscenza di ogni errore
intrinseco nella loro posizione. Vedono soltanto la forza spietata e la brutalità delle
affermazioni decise dei loro governanti, a cui alla fine si inchinano.
Se venisse messa in piedi una dottrina, superiore per verità ma spietata nella pratica,
contro la Democrazia Sociale, tale dottrina vincerebbe, non importa quanto dura
sarebbe la battaglia.
Prima che fossero passati due anni, tale dottrina di Democrazia Sociale mi divenne
chiara, così come il suo uso come strumento tecnico.
Poiché la Democrazia Sociale conosce bene il valore della forza per esperienza, di
solito attacca quelli in cui percepisce qualcosa di questo elemento, cosa che è
comunque molto rara. Dall’altro lato, celebra ogni smidollato della fazione opposta,
dapprima con cautela, poi più seriamente, secondo come le sue qualità siano
riconosciute o immaginate. Teme una natura impotente, senza uno scopo, meno di
una volontà forte, sebbene il suo atteggiamento possa essere differente.
Sa come far credere alla gente che solo lei stessa possiede il segreto della pace e
della tranquillità, mentre conquista con cautela ma con decisione una posizione dopo
l’altra, sia per mezzo di pressione silenziosa che per mezzo di una rapina diretta,
quando l’attenzione pubblica è indirizzata verso altri problemi, o quando gli affari
sembrano troppo insignificanti da richiamare interferenza pubblica.
Queste sono tattiche che sono completamente calcolate sull’insieme delle debolezze
umane, ed il loro risultato è di una certezza matematica a meno che il lato opposto
non impari anche come lottare contro il gas velenoso per mezzo del gas velenoso.
Deve essere detto al riguardo delle nature deboli che sono un caso di ‘essere o non
essere’. L’intimidazione nei posti di lavoro e nelle fabbriche, negli incontri e nelle
dimostrazioni di massa, è sempre un successo a meno che non incontri una forza di
intimidazione ugualmente forte.
La povertà che affliggeva i lavoratori prima o poi li guidava nel campo della
Democrazia Sociale. Poiché in infinite occasioni la borghesia, non solo molto
stupidamente ma in maniera molto immorale, fece una causa comune contro il più
legittimo dei bisogni umani, spesso senza trarre o aspettarsi così alcun profitto per
loro stessa, i lavoratori, anche il più disciplinato di loro, vennero portati fuori dai
sindacati e verso la politica.
Quando avevo vent’anni, imparai a distinguere tra i sindacati come strumento di
difesa dei diritti sociali del dipendente e di lotta per migliori condizioni di vita per lui, e
l’unione come strumento di partito nella lotta di classe politica.
Il fatto che la Democrazia Sociale realizzò l’immensa importanza dei sindacati gli
diede gli strumenti ed assicurò il suo successo; la borghesia non se ne rese conto e
quindi perse la sua posizione politica. Pensò che lo sdegnoso rifiuto di lasciarla
sviluppare logicamente gli avrebbe dato il colpo di grazia e l’avrebbe forzata verso
direzioni senza logica. Perché è assurdo ed anche non vero sostenere che il
movimento dei sindacati è essenzialmente ostile alla Madrepatria; la visione più
corretta è il contrario. Se l’azione dei sindacati mira a migliorare la condizione di una
classe che è uno dei pilastri della nazione ed ha successo nel farlo, la sua azione non va contro la Patria o lo Stato, ma è
‘nazionale’ nel senso più vero della parola. In questo modo aiuta a forgiare i principi sociali, senza i quali l’educazione generale della nazione non è pensabile. Ha il merito più alto perché, sradicando i cancri sociali, attacca le cause di malessere sia mentalmente che fisicamente ed aggiunge anche benessere alla nazione.
Finché si tratta di cose essenziali, la questione è in realtà superflua. Finché ci sono tra i lavoratori uomini con scarsa comprensione sociale o un’idea errata di giustizia e di correttezza, non è solo diritto ma dovere dei loro datori di lavoro, che dopotutto sono parte della nostra popolazione, proteggere gli interessi collettivi dall’avidità o dalla mancanza di ragionevolezza del singolo; perché mantenere vive la lealtà e la fede nelle masse di gente è nell’interesse della nazione, proprio come mantenere le persone sane.
Se il trattamento antisociale o indegno degli uomini provoca resistenza, allora, finché le autorità legali e giudiziarie sono preparate a fronteggiare il male, la battaglia può solamente essere decisa dalla fazione che è più forte. E’ quindi inoltre evidente che ogni grosso gruppo di lavoratori, faccia a faccia con un datore di lavoro individuale, supportato dalla forza concentrata dei suoi affari, deve unirsi in un corpo unico se non vuole abbandonare ogni speranza di vittoria sin dall’inizio.
Nel corso di pochi decenni, sotto la mano esperta della Democrazia Sociale, il
movimento sindacale crebbe da mezzo di protezione dei diritti sociali dell’uomo fino a
diventare uno strumento per portare l’economia nazionale alla rovina. Gli interessi
dei lavoratori non contavano nulla per i promotori di questo fatto. Perché in politica l’uso della pressione economica permette sempre l’estorsione, ogniqualvolta una fazione è sufficientemente senza scrupoli e l’altra possiede una sufficiente, stupida e timida pazienza.
All’inizio di questo secolo, il movimento sindacale aveva da lungo tempo cessato di servire il suo scopo iniziale. In ogni anno successivo, esso cadde sempre più sotto l’influenza della politica Socialdemocratica e finì per essere usato solamente come ariete per la guerra di classe.
Invece di opporsi a questo fatto prendendo l’offensiva, la borghesia si è sottomessa
per essere pressata e molestata, ed ha finito per adottare misure del tutto inadeguate che, poiché vennero introdotte troppo tardi, erano inefficaci e furono facilmente respinte a causa della loro debolezza. Quindi tutto rimase in realtà
com’era, ma il malcontento era più serio di prima.
‘L'unione del libero commercio’ scese sull’orizzonte politico e sulla vita di ogni uomo
come una minacciosa nube tempestosa. Era uno dei più terribili strumenti di intimidazione contro la sicurezza e l’indipendenza nazionale, la solidità dello Stato e
la libertà individuale. Era soprattutto questo che trasformò l’idea di Democrazia in una frase repellente e derisoria, portò vergogna per la libertà e prese in giro la fratellanza con le parole
‘se non ti unirai a noi, romperemo la tua testa per te’. Ho quindi imparato qualcosa su questo ‘amico dell’uomo’. Man mano che gli anni passavano, le mie opinioni divennero più larghe e profonde, ma non ho mai trovato
un motivo per modificarle.
Non appena ottenni una migliore visione dei tratti esteriori della Democrazia Sociale,
il mio desiderio di conoscere il nocciolo interno delle sue dottrine aumentò. La letteratura ufficiale del partito era quasi inutile per il mio scopo. Quando ha a che fare con le questioni economiche le sue affermazioni e discussioni non sono corrette, e
per quanto riguarda lo scopo politico esse sono fallaci. Quindi mi sono sentito molto
nauseato dai moderni metodi cavillosi di espressione e scrittura.
Infine ho compreso il collegamento tra questa dottrina di distruzione ed il carattere di una razza, che fino ad allora mi era quasi sconosciuto. Capire gli Ebrei è l’unica 19
chiave per comprendere gli scopi interiori, quindi reali, della Democrazia Sociale. Per comprendere tale razza si deve sollevare il velo dei falsi concetti che riguardano l’oggetto ed il significato di questo partito, e rivelare il nonsenso del Marxismo non appena si solleva in una smorfia dalla nebbia e dalla foschia delle frasi sociali.
Oggi è per me difficile, se non impossibile, dire quando la parola
‘Ebreo’ cominciò per la prima volta a suggerirmi idee particolari.
Non ho alcun ricordo di aver sentito la
parola a casa durante la vita di mio padre. Se il vecchio gentiluomo ha menzionato il termine in qualche maniera particolare, credo lo abbia fatto in riferimento ad una cultura antiquata. La sua visione durante la sua vita fu più o meno quella di un cittadino del mondo, ed era in lui mescolata con un forte sentimento di nazionalità, che ha avuto anch’esso un effetto su di me.
Anche a scuola non ho trovato alcuna ragione che mi portò a modificare l’immagine che avevo ricevuto a casa. Alla Realschule sono arrivato a conoscere un ragazzo Ebreo che tutti noi trattavamo con molta considerazione; ma, avendo imparato qualcosa da diverse esperienze riguardanti il suo riserbo, non ci fidavamo particolarmente di lui.
Non avevo nemmeno quattordici o quindici anni quando cominciai ad incontrare con frequenza la parola ‘Ebreo’, in parziale connessione con il discorso politico. Cominciò 20
a non piacermi molto, e non potevo sfuggire ad un senso di fastidio, che mi giunse
quando le differenze religiose vennero discusse in mia presenza.
In quel periodo non vedevo la questione sotto altri aspetti. A Linz c’erano pochissimi Ebrei. Nel corso dei secoli, essi sono diventati di aspetto Europeo come le altre persone; infatti li vedevo come dei Tedeschi. La non correttezza di tale concetto non mi era chiara, perché l’unico segno distintivo che vedevo il loro era la loro religione poco familiare. Dato che credevo che fossero perseguitati per questo, la mia avversione verso le note a loro sfavore crebbe fino a diventare ripugnanza. Non avevo alcuna idea dell’esistenza di una deliberata ostilità verso gli Ebrei.
Poi sono arrivato a Vienna.
Confuso dalla massa di segni architettonici e schiacciato dalla durezza del mio stesso quartiere, all’inizio non ero cosciente della stratificazione delle persone in
quella immensa città. Sebbene Vienna contasse qualcosa come duecentomila Ebrei nella sua popolazione di due milioni di persone, non riuscivo a vederli. Nelle prime settimane, i miei occhi e la mia mente non erano in grado di stare dietro al flusso di valori e di idee. Non finché mi sono gradualmente calmato e le immagini confuse cominciarono a diventare più chiare, quando ottenni una visione più profonda di questo nuovo mondo e mi scontrai con la questione Ebraica.
Non dirò che la maniera in cui stavo facendo la loro conoscenza era per me piacevole. Vedevo sempre l’Ebraismo come una religione, e quindi a causa dell’umana tolleranza non mi piaceva ancora attaccarli sul terreno religioso. Per cui consideravo il tono adottato dalla stampa antisemita di Vienna indegno delle tradizioni culturali di una grande nazione. Ero oppresso dal ricordo di alcuni eventi del Medioevo che non vorrei vedersi ripetere. Poiché i giornali in questione non avevano in generale una grande reputazione – come questo accadde non lo seppi mai con esattezza – li vedevo più come un prodotto di rabbia e gelosia che il risultato di una genuina anche se ostinata opinione.
Le mie stesse opinioni venivano rafforzate da ciò che mi sembrava essere una forma infinitamente più degna in cui la grande stampa rispondeva a tali attacchi oppure li ignorava silenziosamente