La scommessa del cedro: Breve storia della Cooperazione allo Sviluppo da parte della Repubblica Italiana in Libano.
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La scommessa del cedro - Antares Moreno Valenti
Capitolo 1. Storia della Cooperazione Internazionale allo sviluppo nel mondo e in Italia.
1.1. Nascita della cooperazione internazionale.
Sebbene le relazioni tra vari stati siano sempre esistite, la denominazione di cooperazione internazionale, intesa come settore nel campo degli affari esteri, nasce solamente nel secondo dopo guerra, per un insieme di fattori politici, sociali ed economici.
Il Piano Marshall viene solitamente individuato come capostipite di questo nuovo sistema di relazioni bilaterali tra stati (Cooperazione Governativa); si tratta del grande ponte di aiuti umanitari e finanziari che al termine del secondo conflitto mondiale finanzia la ricostruzione dell’Europa occidentale, incamerandosene al contempo la fedeltà e acuendo la dipendenza verso i fondi e gli scambi elargiti da parte degli Stati Uniti d’America.
Analogamente si comporta l’Unione Sovietica coi paesi del Patto di Varsavia, e ben presto molti stati di entrambi i blocchi si dotano di un proprio sistema di aiuti al terzo mondo
. ¹
Nasce così la cooperazione bilaterale, cioè quel sistema di relazioni create tra le autorità centrali di due Paesi dove uno, il donatore
, aiuta l’altro, il beneficiario
, trasferendo finanze, beni o conoscenze tecniche tramite un dono o un credito agevolato.² Essa si avvale in genere di strutture e personale interni al Ministero degli Affari Esteri, com’è il caso dell’inglese DFID (Department of International Development), o di apposite Agenzie governative quali l’americana USAID (United States Agency of International Development) o la tedesca GTZ (Deutsche Gesellschaft für Internationale Zusammenarbeit), per le quali la cooperazione bilaterale rappresentò uno strumento vincolato agli interessi della politica estera nazionale. Evidente divenne il caso degli aiuti legati
, aiuti che permisero al donatore di aumentare i costi dei beni e servizi tra il 15 e il 30%. Sempre nel secondo dopoguerra si avvia la cooperazione multilaterale, quella cioè attuata dalle diverse istituzioni sovranazionali cui gli Stati danno vita, le cosiddette Organizzazioni non governative O.N.G.³
Le principali rappresentano le linee guida delle Nazioni Unite, come l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO-OMS), il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF), il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR-ACNUR) o l’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO). Degni di menzione anche il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, entrambi parte del sistema ONU, ma rappresentanti in maniera più diretta l’impronta politico-culturale dei Paesi a capitalismo avanzato.
Lo sviluppo operativo della cooperazione multilaterale coincide da un lato con la costruzione del sistema universale dei diritti umani, che fissa gli obblighi di intervento per la comunità internazionale davanti a violazioni e mancanze dei singoli Stati, dall’altro con il processo esaltante e difficile della decolonizzazione, ossia dell’indipendenza nazionale raggiunta da numerosi Paesi in Africa e Asia. Non potendo affrontare i temi caldi della sicurezza, a causa della guerra fredda, l’ONU e le sue Agenzie trovano spazio nel campo relativamente meno politico dello sviluppo. Sorgono così strutture operative multilaterali con personale e culture volte oltre il singolo Occidente e almeno in parte terze rispetto agli interessi dei singoli Stati nazionali.
1.2. Il modello italiano.
Con la Cooperazione allo sviluppo, la Repubblica Italiana si impegna non soltanto a garantire a un altro Paese un percorso di sviluppo economico, ma anche percorsi di affiancamento multisettoriale tramite progetti che vanno dal miglioramento alimentare al rafforzamento della sicurezza. E della difesa.
A titolo esemplificativo della diversificazione interventista, progetti sull’alimentazione saranno più comuni in direzione Africa subsahariana, mentre in Medio Oriente e Libano privilegiamo quelli di sviluppo civile e protezione umanitaria.
Nel corso del tempo la cooperazione allo sviluppo è diventata parte integrante della politica estera italiana, ed è gestita dall’AICS. L’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo che in accordo con la Direzione Generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, agisce definendo i vari tipi di iniziative e la scelta dei Paesi in cui intervenire; ricordiamo infine che la cooperazione italiana deve attenersi alle linee guida e agli impegni concordati nel più ampio contesto internazionale (ONU, UE). In termini di portata le iniziative di tipo umanitario si focalizzano sui Paesi col più ampio numero di vulnerabilità, come in Asia e nell’Africa subsahariana; mentre per altri settori di Cooperazione allo sviluppo si collabora soprattutto con Paesi con i quali esiste già un qualche tipo di relazione a livello economico o politico, come ad esempio Egitto e Libia; ma anche con i Paesi nei confronti dei quali si sono presi importanti impegni a livello internazionale, come Afghanistan o Libano, e con aree d’interesse diretto come il Medio Oriente o l’America Latina, verso le quali il nostro Paese ha una lunga storia di rapporti.
1.3. Storia della cooperazione allo sviluppo in Italia.
Come affermato dall’associazione solidarietà e cooperazione CIPSI, l’Italia entra nel settore della cooperazione allo sviluppo fondamentalmente per due fattori: le pressioni internazionali e i legami coloniali.⁴
L’Italia inizia il suo percorso di cooperazione per gestire i rapporti con la Somalia, Paese di cui ha ottenuto l’Amministrazione fiduciaria fino al 1960, per allinearsi agli altri Paesi occidentali impegnati in attività di cooperazione, per accelerare il fenomeno di decolonizzazione, indebolire i propri alleati e infine tentare di strappare più Paesi possibili dall’orbita sovietica.
I rapporti con la Somalia caratterizzano questa prima fase del settore cooperativo in Italia.
Negli anni di avvio in termini di presenza finanziaria lo Stato italiano è pressappoco irrilevante.
Solamente dagli anni Ottanta, periodo nel quale cresce l’interesse della classe politica e dell’opinione pubblica nei confronti dei temi legati alla cooperazione, si registra l’avvio di una vera e propria politica di cooperazione allo sviluppo; ciononostante vengono stanziati 90 miliardi di lire tra il 1950 e il 1960 per la singola ex colonia di Somalia; altri 60 saranno erogati successivamente tra il 1961 e il 1971. Il contributo del nostro Paese servì principalmente a risanare le casse di bilancio somale, per rilanciarne il settore bancario e finanziario e per formare le competenze locali mediante l’invio di operatori professionisti italiani.
Secondo dati Ocse: L’aiuto pubblico allo sviluppo italiano è stato costantemente negli anni al di sotto della media dei Paesi Ocse-Dac, a parte brevi parentesi negli anni Ottanta e nei primi anni Novanta. Le oscillazioni nell’andamento evidenziano la scarsa continuità nelle politiche di cooperazione.
Figura 1. Bandiera della Somalia
Come riportato anche da Wikipedia: Dal 1º aprile 1950 fino al 21 ottobre 1954 nell'AFIS veniva utilizzata la sola bandiera italiana, dal 21 ottobre 1954 fino al 1º luglio 1960 a quella italiana venne affiancata quella delle Nazioni unite. Fino al 21 ottobre 1954 veniva utilizzato lo stemma della Repubblica Italiana, a partire dal 21 ottobre 1954 a quello italiano venne affiancato quello somalo, che a partire dal 1º luglio del '60 rimase il solo, venendo rimosso quello italiano. L'inno nazionale somalo fu dal 1950 al 1960, il Canto degli Italiani comunemente chiamato Fratelli d'Italia. Il 1º luglio 1960, giorno dell'indipendenza della Somalia, sul palazzo del Governatore a Mogadiscio il Tricolore italiano e la bandiera delle Nazioni Unite vennero calati sulle note del Canto degli italiani, a simboleggiare la fine del controllo sulla regione.
https://it.wikipedia.org/wiki/Amministrazione_fiduciaria_italiana_della_Somalia/
L’ultima fase di questo iniziale primo periodo si chiude con le pressioni del volontariato cattolico e il maggiore interesse degli organismi internazionali verso i problemi dei Paesi in via di sviluppo, che spingono l’Italia a impegnarsi maggiormente nel settore della cooperazione. Ne è l’esempio l’approvazione della legge Pedini (1966), che autorizzò il servizio civile all’estero come alternativa al servizio militare, dando nuova linfa al tema della solidarietà verso i popoli del Sud del mondo, anche se la classe politica dell’epoca continuò