Un tocco delicato: ’’Accogliendo la mia timidezza, le ho donato una carezza, imprimendo per sempre il mio tenero cuore su queste pagine…’’
Di Marta Preto
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Anteprima del libro
Un tocco delicato - Marta Preto
Punto e virgola
Ogni giornata è sempre più monotona: la pandemia ci ha tolto la bellezza della socialità. Quelle che abbiamo sempre considerato come azioni quotidiane, ad esempio andare al cinema o mangiare una pizza con gli amici, sembrano ormai appartenenti a un’altra vita.
Mi alzo da quell’angolo che è diventato, ormai da qualche tempo, il mio posto di lavoro e mi affaccio alla finestra. Guardo il campanile: sono le 12:30, è il momento della pausa pranzo. Abbasso lo sguardo, catturato dalla presenza in giardino di due narcisi di un giallo intenso, come il sole di fine aprile, ormai molto caldo.
L’avvicinarsi dei mesi estivi mi rievoca momenti tristi del passato, in cui avevo paura anche solo di respirare; ogni tanto mi capita ancora di provare quella sensazione.
Oggi non ho voglia di rimanere dentro casa per il pranzo. Il lavoro da casa, a differenza dell’ufficio, non mi consente di avere uno scambio dal vivo con i miei colleghi, o anche semplicemente di respirare un po’ d’aria.
Mi prendo un momento per me, guardo nuovamente fuori dalla finestra e penso che la cosa più giusta da fare sia un bel pic-nic in giardino.
Preparo tutto il necessario: un pezzo di pane, qualche cubetto di formaggio grana e una bottiglietta di tè; sento il bisogno di un po’ di libertà.
Scendo le scale, apro la porta e subito il profumo di primavera mi accoglie. Mangio con calma e, nel frattempo, continuo a fissare quei due narcisi. Mi affascinano e, appena finito il pranzo, decido di sedermi vicino a loro.
Mentre li osservo mi sembra di vedere anche nonna: vorrà assaporare ancora una volta il profumo dei suoi amati fiori? La guardo, osservo i suoi capelli e sono orgogliosa di aver ereditato i suoi ricci.
«Ciao mia piccola Marta. Come stai?»
«Ciao nonna, che bello ritrovarti. Sto bene, ma purtroppo qui siamo in piena pandemia. Non possiamo uscire dalle nostre case e possiamo spostarci solo per recuperare le cose necessarie. E tu invece, come stai?»
«Anch’io sto bene. Sono qui, a guardare ammirata i miei fiori; non posso che essere felice. Ma tu piuttosto, racconta. Com’è andata avanti la tua vita?» mi chiede sorridente.
«Sai, nel 2009 mi sono laureata in ingegneria…» le dico, con gli occhi rivolti verso il basso.
«Quanta strada hai fatto… La mia piccola ingegnere».
«Nonna, no, ti prego!»
Arrossisco, imbarazzata, mentre lei sorride e mi dà una tenera carezza.
«Non sei cambiata. Sei sempre la ragazza che non accetta i complimenti».
«Sai che divento subito rossa. Attualmente lavoro a Schio e ho dei bravissimi colleghi. Seguo una parte della programmazione della produzione e mi capita molte volte di uscire in reparto, dove sono circondata da uomini, ma hanno il massimo rispetto e mi vogliono bene. Mi piace molto dividermi tra l’ufficio e la produzione, perché ho modo di imparare ogni giorno delle cose nuove».
«Sono felicissima per te» mi dice ancora una volta con quel sorriso, che in molti dicono sia uguale al mio.
Mi fermo, la osservo nuovamente: indossa un vestito tutto colorato com’era solita portare. Sento di non averle raccontato tutto.
Sfioro delicatamente con la mano sinistra i due narcisi, li accarezzo come faceva lei tante volte con me; nel movimento intravede qualcosa che la incuriosisce.
«Hai un tatuaggio sul braccio?»
«Sì, è di settembre del 2018. A luglio dello stesso anno ero dentro una tempesta».
«Cos’è successo?» il viso di nonna subito si fa serio.
«Avevo l’anima completamente lacerata, come una grande ferita che sanguinava incessantemente. Mi conosci; ho dato troppo, trascurando me stessa».
«E ora come ti senti?»
«Quando a luglio del 2018 è arrivato quell’attacco di panico mi sono ritrovata spaesata. Ho provato delle sensazioni paurose, mi è sembrato di perdere completamente il controllo e ho creduto di morire. Ancora oggi fatico a raccontare quei momenti. Però, un attacco di panico è come un punto e virgola: ecco perché vedi quel simbolo sul mio braccio. Non è una fermata totale, è un fermarsi momentaneo; quel campanello d’allarme necessario a ricominciare ad ascoltarsi e vivere nuovamente con più serenità. Mi sono fatta aiutare da una psicoterapeuta e, piano piano, sto sciogliendo quel groviglio di pensieri che ho in testa».
«Marta, so che sei un’anima buona, te l’ho sempre detto, ma devi pensare a volerti bene e a non trascurarti mai. Hai fatto benissimo a chiedere aiuto e ad affidarti a una professionista».
«Grazie, nonna. Ho un’ultima cosa da mostrarti, poi ti lascio, anche se vorrei stringerti per sempre. Vedi questa piuma, vicino al simbolo dell’infinito? Mi ricorda che, dall’alto, tu e tutte le persone a me care mi proteggete sempre».
«Sei speciale Marta. Ricorda: sei sempre nel mio cuore».
«Cosa ne pensi, nonna, se facessimo un viaggio insieme, dentro di me?»
«Ma certo, partiamo subito».
E così raccolgo tutto quello che mi ero portata giù in giardino e risalgo in casa, felice di iniziare questo viaggio dentro me stessa insieme alla persona verso la quale provo un affetto smisurato; non aver potuto continuare a raccontarle la mia vita è stata per me una grande mancanza.
Riprendo il lavoro con un sorriso, pensando che dopo tutto anche il caldo, diventato per me un incubo da quell’attacco di panico del 9 luglio 2018, porta con sé delle belle sorprese.
Le mie lacrime
Dopo una settimana di intenso lavoro è arrivato il weekend, anche se a causa di questa pandemia bisogna inventarsi hobby e passatempi da fare qui, chiusi in casa.
Oggi ho deciso di dedicarmi alla ricerca di una foto, visto che fuori piove, e ieri, mentre ero al pc, mi sono accorta che sulla scrivania c’è una cornice vuota da riempire. L’avevo comperata in un negozio qualche tempo fa perché mi aveva particolarmente colpita, ma non avevo ancora inserito nessuna foto.
La notte scorsa ho sognato una delle tante vacanze in montagna assieme alla nonna. Nel cellulare conservo una foto – che adoro tantissimo – di una di quelle giornate; vorrei metterla in quella cornice, ma dovrei recuperare l’originale. In quella foto la nonna indossa una gonna nera a pois rosa e un golfetto di lana, e io una felpa rosa chiaro e un paio di jeans. Mi tiene tra le sue braccia forti, avrò avuto un anno e mezzo, e sorridiamo tutte e due. Quando la guardo ricordo la sua sensibilità, la sua capacità di emozionarsi di fronte a un arcobaleno, e mi vengono in mente le parole di Silvana Stremiz:
"Le persone sensibili
sanno sorridere per poco,
piangere per un nonnulla,
fermarsi meravigliate
davanti ad un arcobaleno,
sorridere ad un gatto,
guardare verso il mare
assaporando in esso l’infinito
di pace e di tormento.
Sanno trasformare la sabbia
in polvere di stelle,
accendere un sogno nel buio".
Chiedo a papà, che da sempre si occupa delle foto, e mi dice che probabilmente sarà in uno degli album su in mansarda.
Salendo le scale rimango come sempre meravigliata dalla bellezza delle travi in legno sul soffitto. Per me la mansarda rappresenta un posto magico e pieno di ricordi (ho festeggiato lì tantissimi compleanni all’insegna della pizza cotta nel forno a legna), ma custodisce anche un po’ delle mie lacrime, quando per vergogna e solitudine non volevo che nessuno le vedesse.
Le lacrime sono il simbolo delle persone sensibili, di noi che ci preoccupiamo di ogni cosa che ci circonda e che, più di qualche volta, ci dimentichiamo di noi stessi.
Mi hanno sempre accompagnata. Le prime che ricordo, ad esempio, sono quelle scese durante il periodo della scuola materna. Ogni mattina la mamma mi portava a scuola con la sua Cinquecento grigia, e io affrontavo quei pochi minuti di viaggio con gli occhi gonfi, mentre lei per strapparmi un sorriso cantava Gianni Morandi…
Andavo a cento all’ora
per trovar la bimba mia
ye ye ye ye
ye ye ye ye.
Andavo a cento all’ora
Gianni Morandi
Album: Le origini, 1963
Entravo a scuola solo se ero sicura che ci fosse mio cugino: aveva un anno più di me ed era la mia guardia del corpo, difendendomi se qualcuno mi faceva qualche dispetto. Se lui mancava, facevo di tutto per non metterci piede.
E come dimenticare le lacrime delle elementari? Quando arrivava il momento di recitare una poesia, spesso mi commuovevo. Allora la mia cara maestra d’italiano aveva trovato un modo per aiutarmi: mi faceva uscire insieme a una compagna, la quale si occupava di ascoltarmi finché ripetevo a memoria tutte le strofe e lei stessa, dopo aver detto alla maestra come era andata, mi