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La Perla
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E-book439 pagine6 ore

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Questo romanzo doveva intitolarsi: L'emula. Ragioni d'estetica indussero a cambiare il titolo con quello che porta al presente. Ma l'idea fondamentale, l'idea ispiratrice, resta e conviene rintracciarla nell'altro nome che riassume e addita un caso psicologico non inverosimile né raro, nel quale il discepolo diviene l'emulo del Maestro: cioè il rivale, il nemico.
Romanzo d'arte più che romanzo d'amore, questo libro sarà particolarmente e più profondamente compreso da chi è esperto nel mondo ideale dell'eterna bellezza e sa le gioie purissime e le dure fatiche della creazione.
 
LinguaItaliano
Data di uscita22 lug 2022
ISBN9791221376807
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    Anteprima del libro

    La Perla - Jolanda

    AVVERTENZA AI CRITICI

    Questo romanzo doveva intitolarsi: L'emula. Ragioni d'estetica indussero a cambiare il titolo con quello che porta al presente. Ma l'idea fondamentale, l'idea ispiratrice, resta e conviene rintracciarla nell'altro nome che riassume e addita un caso psicologico non inverosimile né raro, nel quale il discepolo diviene l'emulo del Maestro: cioè il rivale, il nemico.

    Romanzo d'arte più che romanzo d'amore, questo libro sarà particolarmente e più profondamente compreso da chi è esperto nel mondo ideale dell'eterna bellezza e sa le gioie purissime e le dure fatiche della creazione.

    L'AUTRICE

    PARTE PRIMA

    I

    Autunno, e pioveva con tranquilla monotonia sugli orti e sui giardini di Ferrara. Dopo l'ostinata siccità di due mesi afosi nella vallata del Po, parevano imbeversi con delizia dell'umida frescura e le verdi aiuole alberate intorno al Castello Estense, e i recinti vasti, ombrosi e misteriosi, dietro i cancelli degli aristocratici palazzi di via dei Piopponi e gli inaccessi verzieri dei conventi ermi e silenziosi oltre le alte mura, e i magri alberetti di piazza Ariostea e le antiche piante del Montagnone. Rimbalzava l'acqua sui tetti d'embrici, gorgogliava giù per i tubi delle grondaie e scrosciava sui ciottoli delle vie larghe e diritte, spopolate, attediate tra il velo liquido: ma sul verde la pioggia scendeva leggera, carezzevole, lucente, con un fruscio di seta smossa, soltanto.

    In fondo a via Giovecca, oltre un bel giardino chiuso da uno strano muro merlato, volgendo le spalle ai vetri della finestra, lungo i quali scorrevano mute lagrime di pioggia, Alfonso Romei porgeva attento ascolto alle considerazioni che gli veniva facendo, con voce piana e grave l'editore celebre che aveva in pugno le sorti dei più illustri autori italiani, Ulisse Arces, seduto di fronte a lui. Stavano entrambi su due larghe sedie a bracciuoli, di noce scolpito, severe come tutto l'arredamento del vasto salotto di studio dello scrittore, ma mentre la figura di Alfonso Romei lumeggiava alle spalle forti e distese, e sui capelli ancora folti e scuri, aveva un aspetto di grande nobiltà, nell'atteggiamento concentrato e armonioso che gli era consueto e in cui lo aveva ritratto di recente un pittore ben noto; la persona corpulenta dell'altro che non pareva comoda nemmeno seduta, illuminata in pieno sul panciotto di flanella bianca a righe nere su cui scendeva la prolissa barba brizzolata, e nel volto stanco e floscio dagli occhi penetranti, tradiva qualche volgarità sebbene correttamente dissimulata.

    Ulisse Arces esponeva le sue teorie pessimiste sul commercio dei libri ed egli che pur n'era divenuto milionario - e mostrava tener in dispregio quasi tutta la letteratura del presente. Sosteneva che gli autori non sapevano più concepire virilmente una forma di romanzo, di dramma, di poema, né svolgerli con arte vera: che l'immaginazione era immiserita, l'ispirazione non si otteneva più spontaneamente, e che il pubblico si disinteressava da opere che non potevano attirarne l'attenzione e che non presentavano nessun valore.

    - Eppure si stampa tanto.... mai si è stampato come adesso.... - osservava lo scrittore con una voce gradevole, calda, che si appoggiava lenta e armoniosa sulle tonalità basse: - ed anche voi, Arces, non siete certo senza il peccato di aver messo alla luce molta cartaccia inutile.

    - Non lo nego, ma almeno ho il vanto di non aver commesso quei peccati di.... dabbenaggine in buona fede, come tanti fra i miei colleghi. Io lo so prima della pubblicazione se quel tale libro va o non va: se avrà molta, discreta, o scarsa fortuna. Ma se non si stampassero che i libri d'esito sicuro, le macchine morirebbero di fame.... Le macchine sono mostri insaziabili cui la civiltà ha insegnato a divorare sempre più in fretta.... Cosi va dentro la roba buona, la roba mediocre, la roba cattiva, e poi si lancia insieme e il meglio si trascina dietro il peggio: e qualche volta anche è il peggio che fa la strada al meglio per un titolo indovinato, una copertina suggestiva, il momento ben scelto per l'attualità.... Ed anche, la fortuna di un libro fa la fortuna arretrata dei libri precedenti dello stesso autore. È raro che quando un romanzo o un libro di versi incontra il favore del pubblico, non vengono ricercati e chiesti i libri anteriori che portano la stessa firma. Questo accadde anche per voi - ora possiamo dirlo, giacché siamo al sicuro. - Della comparsa dell'In alto mare quasi nessuno si accorse: Cesare d'Arcetri bisogna confessarlo, fu un insuccesso: ma venne Fetonte a mettervi in piena luce e a procurarvi le soddisfazioni che la vostra arte merita. Venti edizioni esaurite in pochi mesi.... un vero record.... E poi l'Arco di Diana, Cinderella, Gli schiavi, Le novelle del Po, Villa Adalgisa, L'alloro e l'olivo.... un crescendo.... il posto nell'Olimpo accaparrato....

    Alfonso Romei sorrideva guardando l'elegante vetrina alta e stretta di fianco allo scrittoio che conteneva in bell'ordine, rilegati in pergamena, quelle due dozzine di libri ch'erano il frutto di vent'anni di lavoro: pure, mentre il labbro sorrideva lieve, gli occhi non mostravano gioia od orgoglio, ma un amore e una tristezza, come quelli della madre che contemplando le sue creature ricorda quanto le costano di sofferenze fisiche e di angoscie morali, di rinunzie e di dispendio di forze e di vita. Anche l'altro imitò lo sguardo e il sorriso - ma il suo volto espresse soltanto una compiacenza paga e serena.

    - Eppure.... - incominciò l'autore a voce smorzata.

    Fu bussato discretamente all'uscio e Alfonso Romei s'interruppe, ebbe un atto di sdegnosa sorpresa. Come mai potevano permettersi di molestarlo, mentre si sapeva circondato di persone educate al massimo rispetto per le ore di raccoglimento, d'affari e di studio?

    Non rispose.

    Ma fu bussato una seconda volta con insistenza paziente. Ed egli sospirando si levò brusco, fu alla porta, la socchiuse:

    - Che c'è?

    Il tono esprimeva l'ondata di contrarietà vivissima che sollevava il suo temperamento equilibrato e tranquillo. Il volto della vecchia domestica correttamente vestita di nero col bianco grembiule del servizio, si fece umile sotto le bande dei capelli grigi uscenti dalla cuffietta di batista.

    - Signorino (lo chiamava cosi da trent'anni) - scusi, ma è tornata quella ragazza di questa mattina, e piove tanto.... non ho avuto il coraggio di rimandarla ancora. È la terza volta che viene, da ieri.... ed è già mezz'ora che aspetta in sala d'ingresso.

    L'inflessione di voce della donna, il suo atteggiamento rispettoso ma sicuro, soprattutto la luce dello sguardo in cui era un riflesso materno, il modo stesso d'enunciare la difficile notizia, la rivelavano esperta del carattere e delle abitudini del suo padrone.

    Ed egli disse qualche parola concitata a bassa voce, richiuse l'uscio piano, tornò al posto di prima. Arces che aveva udito le parole della domestica gli mostrò un volto malizioso e sorridente.

    - Viene per voi o per me? -, chiese con la tranquilla coscienza del suo potere.

    - Ma.... ha domandato di me - spiegò, rivelando nelle poche parole pronunziate con semplicità quasi puerile, la sua inesperienza di tutto un lato della vita, il Romei: a che l'altro rise francamente.

    - Non è una scrittrice, una collega? Allora sarà una ammiratrice... - insinuò l'editore.

    - Più verosimilmente una seccatrice. Qualche autografo, qualche cartolina da firmare, qualche incomoda beneficenza.... Chi è, a proposito? Ieri mi ha lasciato il suo biglietto e non l'ho nemmeno guardato - era un cattivo momento - l'ho gettato là....

    - E se fosse una principessa reale? - fece scherzando, Arces.

    - Non avrebbe avuto trattamento diverso - dichiarò calmo lo scrittore. - Quando siedo al mio banco di lavoro e una divina Egeria parla entro di me, non riconosco nessun dovere e nessuna superiorità.

    - Ma guardate almeno il nome.... - insisté l'altro, punto da quell'ignoto che lo incuriosiva piacevolmente, come una distrazione momentanea alla sua vertiginosa e monotona esistenza d'affari. - Potrebbe venire con la raccomandazione di qualcuno di cui vi fosse utile tener conto.

    Alfonso Romei si levò di nuovo per avvicinarsi alla tavola bassa e quadrata cosparsa di libri cosi che appena si vedeva il damasco giallo che la ricopriva: cercò un momento, trovò il cartoncino sotto un tagliacarte, per opera certo della domestica previdente.

    - No - disse, - non c'è nessun scritto, e questo nome non mi ricorda nulla e nessuno.

    Ma poiché il nome era strano, fermò come la rapida iridescenza d'una gemma il suo spirito impressionabile d'artista avido di poesia, lo rilesse in piedi, accanto alla sedia a bracciuoli. Ulisse Arces osservò l'alta elegante persona, il profilo, dalle linee nobili e severe del suo cliente illustre, e pensò che a quarantacinque anni era ancora un uomo assai degno di avere delle fortune amorose.

    - No.... proprio niente.... - ripeté Romei che pareva aver interrogato ancora la sua memoria. E non deve essere di Ferrara.!

    Tese il biglietto da visita all'altro che vi lesse in uno stampato assai comune:

    PERLA BIANCO

    - Uh.... - disse con disprezzo, - né titolo, né corona, niente.... E non è nemmeno litografato!

    Avvicinò il cartoncino alle narici, lo annusò come un fiore:

    - ....e neanche profumato! Dev'essere una vecchia zitella.

    - Ma si, forse: del resto per me vecchia o giovine non rappresenta che una molestia. Io non amo le donne se non per l'estetica che portano nel mondo e per la materia d'arte che mi forniscono particolarmente.

    - Ma converrà pure che facciate un po' d'esperienza personale.... qualche studio sul vero.... - insinuò maliziosamente Arces.

    - Preferisco servirmi dell'esperienza e degli studi degli altri.... - ribatté lo scrittore sorridendo. - È più spiccio e meno pericoloso.

    Ulisse Arces ebbe un atto scherzoso d'incredulità. Egli era scettico per la virtù femminile e doppiamente miscredente per quella maschile. Se non si aveva mai potuto fare notoriamente il nome d'una amante di Alfonso Romei, significava ch'egli era più astuto o più guardingo degli altri. Non era possibile che vivesse in castità, specialmente in una città lasciva come Ferrara.

    Questo espresse con l'atto e col sorriso.

    Ma l'altro, come se quella incredulità lo offendesse e gli stesse molto a cuore di convincere l'Arces del contrario, riprese con accento caldo e sincero:

    - Non lo credete, Arces? Eppure è proprio cosi: nessuna donna è mai entrata nella mia vita intima per rimanervi poco o assai: nessuna donna è stata mai capace di darmi più che un'emozione transitoria, una ispirazione d'arte che la trasportava rapidamente dalla realtà all'ideale dove la sua umanità cessava per me, non era più che materia di lavoro. Il grande, l'unico, l'assorbente amore della mia vita, è la mia arte, è il mio lavoro, la mia creazione a cui mi abbandono tutto, in olocausto, completamente: anima, cuore, intelletto, sensi. Che altro potrei dare all'amore, se non una vuota spoglia?

    L'abitudine del grande editore d'essere a contatto con le singolarità dei temperamenti artistici, gli aveva reso famigliare pure una certa bonaria indulgenza nell'ascoltarli enumerare le teorie più paradossali, le idee più bizzarre. In queste disposizioni ascoltava Romei parlare, lisciandosi la lunga barba con la mano adorna d'un ricco smeraldo all'indice.

    - Alcuno pretende invece, - osservò sottovoce - che il lavoro intellettuale sia un eccellente filtro d'amore.

    - Chi dice questo? - domandò lo scrittore indignato. - Gente volgare, menti limitate, ingegni senz'ali, artefici senza coscienza e senza dignità, inconsapevoli dell'oltraggio atroce che fanno alla santa fatica del pensiero, alla purezza mistica dell'arte, considerandola cosi come un eccitante per la loro bestialità. Ma l'arte è una dea casta, e si vendica nascondendosi e lasciando i suoi detrattori smarrirsi nelle tenebre dove non compiono che misere e tristi e nauseabonde cose. Credete a me, Arces, l'arte vera è austerità, è dedizione incondizionata, è sacerdozio, è missione. Coloro che l'associano alla vita quotidiana come un'occupazione, un impiego di tempo, l'immiseriscono nel dilettantismo vano; chi ne fa particolarmente mezzo di lucro la fa vile schiava di mercato; chi la mesce alle avventure romantiche o ai piaceri sensuali ne fa una cortigiana impudica a cui non è lecito chiedere nessun conforto e nessun premio.

    - Voi avete una natura eccezionale, Romei, - disse un po' distratto l'editore osservando sulla costa e sulla coperta il prezzo d'un libro preso da un piccolo tavolo accanto.

    - Se è eccezione avere un temperamento sano, equilibrato, padrone di sé sempre: una volontà virile, amore al metodo, all'ordine morale e materiale, poiché l'ordine è armonia, è bellezza, è il disordine, è il brutto, è il disarmonico, è la deficienza: allora si, il mio è un temperamento eccezionale.

    Vi fu un silenzio nel salotto vasto, signorile e severo, dove gli arredi di fine gusto, la sobrietà, l'ordine armonioso, parevano confermare in una specie di complicità fedele, le parole di colui che imperava là dentro. Nessun rumore giungeva, né dall'interno, né dall'esterno: la luce impallidiva dietro la cortina trinata che scendeva a metà, lasciando scorgere il fogliame verde del giardino bagnato dalla pioggia, che cadeva sempre con quieta e triste monotonia.

    - La sconosciuta ammiratrice a cui avete chiuso cosi bruscamente le porte del vostro tempio deve essersi bagnata come un pulcino, se non aveva la carrozza o l'automobile.... - osservò poi Ulisse Arces o per cambiar argomento o perché la sua piccola maligna curiosità lo pungeva sempre.

    - Ma no, ho detto a Caterina di farla aspettare. Non cavaliere galante, ma nemmeno misogino: - protestò sereno Alfonso Romei. - E se non vi dispiace che la riceva in vostra presenza, le dò udienza subito. Cosi vedremo di che si tratta.... Si? Ah, ah, tutt'altro che dispiacervi? Ebbene, voi vi levate la vostra curiosità (forse con una delusione) ed io con voi, mentore Ulisse, mi sentirò più sicuro!

    Fu a premere il bottone del campanello come un ragazzo, scherzando. E la rivelazione inconscia del suo stato d'animo di quel momento, scosse le convinzioni di Arces più delle sue proteste calorose. Lo scrittore illustre parve prodigiosamente ingenuo in quell'istante al suo osservatore.

    - Sebbene non vorrete forse crederlo, io posso assicurarvi che questa signora è la prima donna che passa quella soglia.... Non dico che nessuna donna sia stata mai in casa mia! - corresse, cogliendo il solito risolino beffardo tra la barba e negli acuti occhi di Ulisse Arces: - dico che nessuna è mai penetrata qui, nel sancta sanctorum. Ho una sala e un salotto di ricevimento.

    L'apparire della domestica canuta, arrestò sulle labbra dell'editore l'audacia d'una aggiunta che poi stimò meglio tenersi per sé, tanto più che l'altro non gliene lasciò il tempo. Dato l'ordine riprese:

    - ...ma nelle altre stanze è freddo.... sono disabitate, deserte. Non ho ancora acceso i termosifoni.... Ora un po' di luce per l'entrata in scena della prima donna.... Cosi.

    Girò la chiavetta della luce e un chiarore caldo, mollemente aurato, si diffuse dall'alto e ravvivò gli affreschi di Dosso Dossi sulle pareti, diede delicato rilievo agli stucchi delle porte e quasi una freschezza agli arredi e ai libri. L'ordine, l'armonia, l'eleganza severa di quel salotto di studio apparvero più evidenti, come passaggio d'un tono minore al maggiore.

    Il viso scialbo di Ulisse Arces si colori d'un'ombra rosea e i fili argentei della barba scomparvero. E lo scrittore apparve assolutamente giovine, di nobile bellezza virile, un po' grave ed austera soltanto, quasi dipendesse soprattutto dalla severità del suo dorsay nero.

    Attese in piedi all'uscio, finché Perla Bianco entrò.

    Il suo primo sentimento fu una puntura di rimorso per averla rimandata, e poi fatta attendere villanamente, scorgendola cosi delicata, timida, graziosa e giovine, quasi ancora una bambina. Alta slanciata vestiva di bianco con un golf di lana e un piccolo feltro pur bianco, schiacciato sotto una rigida penna nera. Rimase un istante sulla soglia, pallida, seria, come commossa, e subito levò gli occhi - dolci e profondi occhi - su Alfonso Romei mostrando non accorgersi quasi della presenza dell'altro.

    - Signorina, - disse tosto lo scrittore illustre abituato a vedersi innanzi quelle emozioni su volti giovanili, - mi scusi, la prego, di averla fatta aspettare, ma ero, come vede, col mio editore venuto da Milano, il commendatore Arces, e dovevo definire alcune cose con lui. Ma entri.... si accomodi.... Spero sarà venuta in carrozza.... altrimenti deve essersi bagnata non poco, con un tempo simile....

    La fanciulla continuava a fissarlo mentr'egli le parlava con quella gentilezza riservata degli uomini non usi alla galanteria volgare o alle schermaglie sentimentali.

    Pareva assorta in una contemplazione muta, ma ora leggermente sorrideva. Alle ultime parole si scosse, precisò:

    - Avevo l'ombrello....

    - Oh, a piedi.... era a piedi.... me ne dispiace, se avessi supposto.... - si scusò mortificato Romei: e le vide allora le scarpette inzaccherate e la balza della gonna schizzata di mota.

    - Faccio portare un thè caldo, e intanto mi dirà....

    Mentre Alfonso Romei premeva il bottone del campanello e dava l'ordine alla domestica, la signorina si era seduta in una punta del divano davanti alla tavola carica di libri, tenendo una piccola borsetta di pelle sulle ginocchia. Si guardò intorno e sospirò leggermente, con sollievo, come chi è giunto ad una mèta. Il commendatore editore la sogguardava con accresciuta curiosità, arrischiando rapidamente fra sé le supposizioni più strane. Ma non si arrestava su alcuna.

    - Dunque, signorina - riprese lo scrittore venendo a sedersi vicino a lei su uno sgabello cinquecentesco: - desiderava parlare con me, non è vero?

    - Si, oh si.... da tanto tempo.... da più d'un anno, da quando ho letto i suoi libri.... tutti i suoi libri belli... Era diventata come un'idea fissa che mi tormentava. E ieri non ho potuto resistere. Sono venuta.

    Aveva parlato commossa con una grande semplicità e non simulato candore. Ulisse Arces in disparte, immerso nella sua gran barba sfogliava un libro, ma ascoltava attentamente il dialogo dei due. Lo scrittore si trovava un po' disorientato. Scrutò il visetto pallido che si fece di fiamma.

    - Lei non è di Ferrara, mi pare.... - suppose cortese e freddo.

    - No, sono della Costa Azzurra: di un piccolo paese tra Nervi e Ventimiglia.

    - Ed è venuta sola?

    - Sola, si.

    - Ma i suoi parenti lo sanno? - ridomandò Romei un po' inquieto. E fra la gran barba, Ulisse Arces sorrideva.

    - Non ho nessuno, - disse triste. - Vivevo col nonno: mi è morto l'anno scorso. Ho passato i primi mesi del lutto in casa del mio tutore, l'avvocato Neri di Genova: ma voleva darmi per sposa ad uno dei suoi figli ed io non volli.... Mi disgustai con loro. Mi cercai una signorina di compagnia.... ma dopo un po' di tempo ho dovuto rimandarla perché m'accorsi che non si portava bene; ne cercai un'altra, era stramba, nervosa, insopportabile. Allora non ne ho cercate più. Preferisco star sola, a pensione, dove almeno posso leggere e scrivere in pace.

    - Scrivere? - ripeté Alfonso Romei, nella cui mente un pensiero molesto era andato grado grado scomparendo mentre ella parlava. Una avventuriera no, poiché tutto in lei, voce, espressione, atteggiamento, era limpido come la verità medesima: una ragazza emancipata, capricciosa, un cervellino bizzarro e romantico, neppure, poiché troppo soave e tranquilla raccontava: un'ammiratrice, si, ma una ingenua ammiratrice.

    L'ultima frase della signorina, però, lo aveva colpito: - Scrivere?

    Ella s'imporporò fin nel collo scoperto e sulla fronte sotto la molle e leggera onda dei suoi capelli castani rivelati appena dalla tesa rialzata del feltro bianco.

    - Scrivere, si; - fu come se confidasse un segreto: - giornate, notti intere. Tutto quello che mi viene in mente. E quando sono curva sul mio tavolino, con la penna fra le dita non provo più nessun dolore, nessuna malinconia. Se dentro me era qualche peso di ricordo o di rimpianto, lo sento grado grado alleggerirsi e sparire, e dentro a me è tutta una musica e un succedersi di visioni.

    - Prosa o versi? - s'informò brusco, Ulisse Arces dal fondo del suo seggiolone.

    - Prosa, versi, secondo i giorni, secondo i momenti. Mi pare di non essere io a scegliere. Qualcuno canta o detta in me.

    - Dove ha studiato, signorina? - chiese Alfonso Romei rivelando nella richiesta pratica l'equilibrio del suo temperamento.

    La giovane si confuse ed abbassò gli occhi sulla borsetta che stringeva fra le mani convulse, vergognosa:

    - Non ho studiato, - confessò, - ho letto, letto tanto: una biblioteca intera. E quello che non ho imparato dai libri, ho imparato dal nonno, la storia per esempio: il nonno è stato Garibaldino, si, era uno dei Mille.... La storia l'ho imparata da lui, passeggiando in riva al mare. E la geografia anche.... E l'astronomia un poco.... Ah, come era bello vedere le stelle di lassù, dall'Osservatorio dove il nonno mi portava certe sere da un suo amico astronomo che io chiamavo il Mago.... E le scienze naturali nei musei.... la chimica nei gabinetti di qualche scienziato, pure amico suo. Conosceva tanta gente, aveva amici dappertutto.... Tutti gli volevano bene.

    Abbassò il capo, si concentrò tutta in un pensiero, in un dolore; si passò in fretta con atto furtivo il fazzolettino sugli occhi e si confuse un poco, rialzandoli, nell'incontrare i volti dei due uomini benevoli e intenti.

    Entrò allora Caterina col vassoio del thè. La visitatrice sorrise alla vecchia donna, quasi per un bisogno istintivo di protezione, di rifugio, e alzandosi l'aiutò a collocare la tavolina. Ma poi si lasciò servire, e non adempi alla sua missione femminile di porgere le tazze ai due uomini, come qualunque signorina un po' abituata alla società avrebbe fatto. E il Commendatore pensò che il thè gli sarebbe parso migliore, se invece della mano grinzosa della domestica lo avesse porto a lui la mano fresca di quella singolare fanciulla.

    - Credo d'essere una grande ignorante - e crollava il capo in aria di compatimento e di biasimo verso se stessa, immergendo con soddisfazione puerile i biscotti nella tazza di bevanda profumata: - una grandissima ignorante: e forse quello che faccio non vale niente affatto. Ma io ho bisogno di saperlo, e per questo sono venuta da Lei....

    - Per carità, signorina, non mi elegga a giudice.... È una parte che non mi si addice affatto e che mi spaventa addirittura.... Io non ho gradi accademici, non sono professore di nessuna Università, non appartengo a nessuna commissione di esami, grazie al Cielo, e non pretendo d'avere nessuna competenza, nessuna autorità. Sono un operaio della penna, un semplice operaio che non ambisce essere di più perché ogni gioia, ogni compiacenza ripone nel suo lavoro. E per giunta un operaio che non è mai contento di quello che fa, perché gli pare di non aver fatto abbastanza, di non aver mai raggiunto il fine che si era prefisso.... Rischierei d'essere un giudice troppo difficile, e forse non giusto....

    Alfonso Romei aveva dato alla sua bella voce armoniosa un tono di riservatezza gentile, quel tono che usava quando voleva esimersi e che i suoi amici sapevano significare i rifiuti irrevocabili. Chi lo conosceva non si dava più la pena d'insistere: ma la straniera che gli stava innanzi fu cosi vivace nella sua protesta, che per poco non rovesciò la tazza sul vassoio:

    - No, no.... no, no.... Alfonso Romei, il più grande degli scrittori italiani è un sovrano nel regno del pensiero, prima di essere un nobile esempio d'attività.... e di modestia, anche. Quale giudice più.... supremo, di Lei, che è a tutti maestro? A me non importa nulla dei professori d'Università, non ho esami da dare, non ho saggi scolastici da presentare. Io non sono mai stata a scuola, non ho mai studiato, non so niente di niente. Ma sento che debbo scrivere e scrivo.... E non ho mai fatto leggere a nessuno quello che ho scritto.... Nemmeno al nonno.... È morto senza saperlo - e forse gli avrebbe fatto piacere di saperlo. Ma ho temuto le parole che poteva dirmi.... ho temuto che potessero farmi deviare.... disperdere quella specie di fragile incanto che era, che è, dentro me: - che dopo avrei potuto pentirmene. Ma con Lei è tutt'altra cosa: con Lei sono ben sicura di sapere quello che faccio e quello che sono. Oh, scusi.... mi lasci parlare ancora.... forse dopo non avrei più coraggio di dirle quello che le dirò in questo momento, cosi solenne per me.... scusi il mio grande ardimento, ma Lei deve saper tutto, altrimenti non potrebbe, forse, capirmi. Fu dopo aver letto Il lauro e l'olivo, tutto d'un fiato, dalla mattina alla sera, seduta in una specie di nicchia nella roccia sul mare.... Ah mai più, mai più proverò un'emozione come quella.... Era sofferenza, era dolcezza.... non so. Ma quando mi svegliai da quel sogno immenso di luce, di colori, di palpiti umani, di armonie divine, era già in me un proposito fermo che ha durato sino a un'ora fa, che ho difeso e protetto per un anno contro mille titubanze, mille paure.... quello di venir qui, da lei, a implorare, come una grazia, la carità di un raggio di luce.

    La fanciulla ignota che aveva incominciato a parlare timida e incerta, si era andata abbandonando sempre più all'onda di quel gran palpito commosso che le travolgeva l'anima tutta e le dava l'eloquenza ineguagliabile della sincerità e della passione. Non pareva più quella. Colorita in volto, rivolta tutta verso lo scrittore celebre come un elianto verso il sole, accompagnava il suo dire sommesso, soffocato e vibrante, con brevi gesti delle mani, con lo sguardo in cui si rifletteva in ombre e in luci il contrasto di quel momento di intensa vita interiore.

    Mai, Alfonso Romei, che era ormai saturo d'ammirazione e di plauso, dal consenso quasi unanime della critica più autorevole, agli elogi esuberanti, alle devozioni ardenti dei suoi giovani discepoli d'arte, si era trovato davanti a un sentimento cosi limpido e profondo, e cosi limpidamente rivelato.

    Se ne senti turbare e intimidire.

    Allora, dissimulando sotto un'apparenza di scherzosità un po' burbera la sensazione vera, disse sorridendo:

    - Sta bene, signorina, io le sono grato, ma insomma che cosa dovrei fare?

    Rise anche Ulisse Arces argutamente.

    La fanciulla, ancora tutta vermiglia d'emozione, trasse senza parlare alcuni quaderni dalla borsetta e con uno sguardo in cui mise tutta l'ansiosa implorazione del desiderio e della preghiera mormorò, tendendo appena con le due mani il manoscritto verso di lui:

    - Leggere....

    La comparsa dei quaderni sfatò il delicato incanto che aveva avvolto come d'un velo dalle trasparenze cerule l'anima dell'artista. Egli non risenti più che il fastidio già tante volte provato, di dover perder tempo a scorrere pagine puerili e comuni: di dover darsi la briga d'inventare qualche abile risposta che non compromettesse il suo nome e che conciliasse la verità alla più elementare cortesia. E poiché da qualche anno quei casi si erano troppo moltiplicati, ora li evitava sempre. Ma aveva appena dischiuse le labbra per pronunziare col suo più freddo sorriso la frase consueta che toglieva il coraggio di insistere ai più ardimentosi, che la singolare visitatrice lo prevenne.

    - Ho capito quel che vuol dirmi.... non ha tempo, non ha voglia di leggere. Ma io ho bisogno d'una parola che Lei solo può dirmi, e se non leggerà, poche pagine almeno, non potrà dirmela quella parola. Non è ambizione, non è presunzione la mia: non cerco elogi, non desidero incoraggiamenti. Voglio la luce, voglio la verità. Se Lei mi dirà che qui dentro non c'è niente fuor che la fantasia d'una ragazza esaltata e ignorante che non potrà mai mai riuscire a far nulla, nemmeno con lo studio più severo e la volontà più incrollabile, allora farò a brani i miei scartafacci e bacierò la mano crudele e pietosa che mi avrà dato la coscienza di quel che sono e che debbo restare, un piccolo atomo sperduto nell'universo.... la goccia che viene assorbita, non quella che riflette e che brilla.

    - Poeta sei, bambina, ma ora sentiremo la tua poesia: - interloquì dal suo seggiolone, col suo fare famigliare e ironico il commendatore editore. - Leggi tu.

    - Io.... - chiese quasi angosciata la giovinetta. - Ma come potrò.... davanti ad Alfonso Romei.... sarà impossibile.

    - Da' alla tua lettura l'espressione che hai dato alle tue parole.... basterà: - ripeté Arces. - Piccola sirena, canta.

    - Coraggio, signorina, - aggiunse lo scrittore quasi per correggere con tono rispettoso il tono confidenziale dell'altro. - Molti giovani autori vorrebbero essere al suo posto oggi.... non perché ascolto io, ma perché - (e additò l'Arces) - ascolta lui.

    La sconosciuta rivolse lo sguardo tranquillo dalla parte dell'editore milionario e celebre, come se fosse inconsapevole della sua ventura, ma lo compenetrò di tutta la sua anima commossa riportandolo sull'artista a cui disse solamente, a fior di labbro, senza sorridere:

    - Grazie.

    Un silenzio d'attesa, completo, tranquillo, nel salotto signorile e austero. Ella aperse il primo quaderno e disse rivolgendosi ad Alfonso Romei senza più timidezza, con una gravità dolce nella voce:

    - Ancora la supplico a dirmi la sua opinione schietta.... senza timore di darmi dispiacere... Tutta la verità santa e crudele, Maestro.

    Ed egli come improvvisamente richiamato a un dovere austero, fissò gli occhi di lei freddamente, già rivestito di tutta la sua autorità, di tutta la sua forza misteriosa, già immerso nel suo nimbo di luce; e con lealtà semplice ripeté assicurando:

    - Tutta la verità.

    Un altro silenzio più profondo tra le pareti raccolte. Fuori, la pioggia stillava ancora fredda contro le vetrate e il giorno grigio s'abbrunava nel livido crepuscolo. Vestita cosi di tristezza, giungeva l'ora solenne per un destino.

    II

    Rimasto solo, nel vagone di prima classe del direttissimo Milano-Bologna, Alfonso Romei abbassò lentamente il libro che stava leggendo; un grave trattato di estetica di cui in quei giorni molto si parlava, e appoggiò il capo alla spalliera del sedile. Quei tre o quattro giorni della vita febbrile milanese lo avevano un po' stancato, sebbene vi avesse colto dolcissime soddisfazioni per il suo amor proprio di artista: e già pensava con desiderio impaziente il suo vasto e tranquillo appartamento di Ferrara, al suo salotto di studio raccolto e silenzioso sul verde giardino dove le ore scorrevano tutte eguali, dense di vita intellettuale, doviziose e varie di miraggi di bellezza: sia che allo scrittoio li chiedesse alla propria fantasia e li costringesse virilmente a prendere forma sensibile sotto la punta d'acciaio della penna che gli era docile e glorioso strumento, sia che nella larga sedia di cuoio, accanto alla libreria dei suoi autori preferiti mettesse i grandi spiriti in comunicazione col suo e attingesse copioso nutrimento da quel Tesoro dei Re, di cui parla il Ruskin, ch'era fra i suoi geni tutelari.

    Ogni volta che dalla vita attiva, Alfonso Romei tornava alla sua vita di pensiero, alla vita che si era liberamente eletto, riconfermava la sua convinzione che quella sola era la via per la quale il suo temperamento poteva gagliardamente e completamente esplicarsi, e la sua individualità lasciare impronta duratura. Fuori del suo dominio ideale dove cingeva un lucente diadema di sovrano, si sentiva spesso debole, incerto, inferiore anche a molti mediocri dall'ingegno superficiale e pronto, in cerca di facili successi in cui si esaurivano come certe bottiglie di vino che si vuotano non avendo lasciato uscire che spuma.

    Invano si sarebbe chiesto al suo ingegno alto ed acuto il brillante discorso che trascina le folle: l'articolo improvvisato e geniale su una questione d'attualità: il dramma palpitante di conflitti di coscienze e di cuori: la conversazione briosa, fiorita d'aneddoti e lampeggiante di citazioni che assicura la supremazia nei salotti e nei circoli d'arte. Lo scrittore illustre era certo d'aver procurata più d'una delusione ai suoi ammiratori ingenui, coloro che riguardano l'arte come un divertente giuoco e l'artista come un gaio funambolo sempre pronto a piegare la sua agilità ad ogni genere d'esercizi: - e che avrebbe potuto fornire molteplici occasioni favorevoli di rivincita e di sopraffazione agli invidiosi della sua rinomanza e delle sue vittorie tranquille e sicure, se egli fosse stato cosi incauto o cosi orgoglioso da prestarsi. Ma l'equilibrio che era solida base alla sua genialità reggeva pure la sua volontà e le sue azioni, e se i suoi amici gli rimproveravano qualche volta di non valersi abbastanza della sua potenza, di limitare troppo il campo alla sua mente e alla sua coltura, i suoi nemici lo attendevano inutilmente al varco, poiché mai usciva dal suo recinto fortificato contro cui ogni arma si spuntava. Alfonso Romei era il conferenziere calmo, sobrio, appagante, penetrante; colui che si ascolta in un religioso silenzio, di cui addolora perdere solo una frase, come perdere una gemma, non colui che trascina irrefrenabilmente all'interruzione del plauso e che suscita commozioni rapide e improvvise. Era lo scrittore da riviste, il rievocatore efficace e preciso di figure sommerse nell'ombra del passato, di epoche lontane, di glorie e di poesie sepolte: il difensore strenuo e valido e instancabile del patrimonio secolare di bellezza dell'arte e della natura italica, della lingua madre ch'egli conosceva e studiava di continuo e di cui si valeva mirabilmente: era il critico sagace, l'indagatore paziente, l'analista sottile, il filosofo sereno e idealista, ma specialmente e soprattutto era il creatore d'anime, il colorista della penna, l'evocatore di una intera umanità di fantasmi di cui egli era il destino di dolore e di gioia fra innumerevoli trame di vicende lucidamente esposte dal suo stile che vi trascorreva in mezzo come una industre spola d'oro. I personaggi dei suoi romanzi e delle sue novelle si mostravano cosi evidenti e spiccavano con tanto rilievo nella serena oggettività dell'arte sua, che vivevano di vita propria nella mente dei numerosi lettori, come persone veramente incontrate e conosciute. Se ne rammentavano i nomi, le idee, le avventure: alcuni erano diventati perfino simbolo d'una classe di persone, e si diceva e si scriveva un Ascanio Loreta per significare un uomo senza volontà: le Tecla Luscaris per esprimere donne dominatrici e astute: i dottor Venanzio i conte Alessio per indicare qualche tipo ameno.

    Regolarmente, quasi a periodo fisso, come la terra feconda, egli dava all'arte italiana il frutto del suo ingegno e del suo lavoro: e ogni romanzo era impazientemente aspettato e avidamente letto da migliaia e migliaia di persone, poiché non costituiva soltanto il diletto di un'ora d'ozio, ma era uno specchio fedele delle tendenze, delle debolezze, dei vanti e del carattere del presente; ed anche in qualche illustrazione di teoria audace, era una visione, una divinazione di futuro. Romanzi a tesi quasi tutti: opere nate più da un pensiero profondo, ed una riflessione concentrata, che dal tumulto delle passioni intime, dalla ricchezza d'una fantasia vivace, dalla vena d'un sentimento eloquente di sincerità. Per questo il

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