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La villa dei cadaveri: Ferie piemontesi per il Commissario Aurelio Baldanzi
La villa dei cadaveri: Ferie piemontesi per il Commissario Aurelio Baldanzi
La villa dei cadaveri: Ferie piemontesi per il Commissario Aurelio Baldanzi
E-book455 pagine6 ore

La villa dei cadaveri: Ferie piemontesi per il Commissario Aurelio Baldanzi

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Info su questo ebook

In una tranquilla domenica sera dell’estate torinese del 2019 il quieto vivere del Commissario Aurelio Baldanzi viene sconvolto dall’improvvisa scomparsa della fascinosa Ornella, con la quale trascina da anni una storia fatta di contrasti e incomprensioni. Negli stessi giorni una mano sconosciuta inizia a seminare morte tra le mura dell’Istituto di Anatomia Patologica di Torino e di nuovo il Museo con i suoi barattoli dall’inquietante contenuto tornano involontari protagonisti, forse legati proprio al mistero che si cela dietro quella scomparsa che assume nei giorni toni sempre più complessi. Un filo sottile sembra legare le vittime torinesi ad antiche atrocità commesse da un eccentrico collezionista detto il Barone di Rocca D’Arazzo insieme al suo Preparatore Anatomico; fatti così irreali nel loro orrore da far dubitare lo stesso Baldanzi dell’evidenza che si presenta ogni giorno più tragica. E mentre altri personaggi si affacciano sulla scena, come l’inossidabile Achille Donati, la volubile Amalia, la professionale Giulietta Ottolenghi e il fedele amico Gerardo, Baldanzi si trova coinvolto in vicende sempre più irreali senza nemmeno l’aiuto del buon Di Gennaro, diventato felicemente papà. Tra il culto della misteriosa Signora vegliata dalle fedeli Custodi e il segreto dei preparati museali della contrada del Gelso, i fili sempre più annodati trovano alla fine la loro trama componendo un arazzo che nessuno avrebbe potuto immaginare.

Luisa Ferrari, classe 1971. L’amore per la paleopatologia l’ha spinta a scegliere la tesi in Anatomia Patologica a Genova e poi la specializzazione sempre in Anatomia Patologica a Torino. Tra le mura dello storico Istituto torinese è stata subito affascinata dal vecchio Museo, custode di antichi reperti polverosi che attendevano giusto riconoscimento. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Cadaveri e tacchi a spillo e il racconto Il nano di Venezia nell’antologia I luoghi del noir.
LinguaItaliano
Data di uscita29 set 2021
ISBN9788869435652
La villa dei cadaveri: Ferie piemontesi per il Commissario Aurelio Baldanzi

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    Anteprima del libro

    La villa dei cadaveri - Luisa Ferrari

    Lunedì 8 luglio 2019

    Ogni sventura ha un principio e quella di Baldanzi era partita proprio dalle indagini del Museo di Anatomia Patologica, a Torino, molti anni prima.

    Un caso apparentemente senza capo né coda, che aveva brillantemente risolto, ma che, peggio della maledizione di Tutankhamon, aveva cambiato per sempre la sua vita.

    La bionda Ornella dai tacchi a spillo aveva fatto irruzione nei suoi giorni tranquilli di solitaria tavola imbandita e consolatori amaretti morbidi e nulla era stato come prima se non in rari spazi di serenità conquistati a viva forza.

    Amore era amore, per carità, o più che altro ne era un’eccellente imitazione basata sulla comune voglia di unire due solitudini, e come tutti gli amori infelici era un continuo prendersi e lasciarsi, lunghe pause di meditazione e appassionati ritorni di fiamma.

    Difficile andare d’accordo con Baldanzi, con il suo eterno rancore per il mondo stemperato da un cuore generoso.

    Difficile andare d’accordo con Ornella, con la sua voglia di apparire ed essere adorata da un pubblico inesistente, quando forse le sarebbe bastato uno sguardo sincero d’affetto.

    Ma la difficoltà reciproca aveva trovato un collante tenace nella pigrizia indolente di Baldanzi che, amando il quieto vivere almeno quanto il gorgonzola, non intendeva imbarcarsi in litigi inconcludenti nonché nella presa da pitbull di Ornella che aveva sancito davanti a Dio e agli uomini un diritto di proprietà inalienabile sul povero Baldanzi che rimpiangeva invano i giorni lontani di libertà senza orripilanti Musei e ferormoniche bibliotecarie all’orizzonte.

    Inutile pensarci adesso, ora le priorità erano altre, si disse quel mattino Baldanzi mentre un vento lieve sembrava volerne consolare l’affanno. Si trovava sul lungo Po Machiavelli nelle vicinanze della Gran Madre e ammirava il fiume che scorreva possente. Il paesaggio era dolce quanto amari i suoi pensieri.

    Sbuffò dolorosamente, cercando di concentrarsi su un uccello che volteggiava. Non aveva idea di che specie potesse essere, volava troppo alto e rapido, ma foss’anche stato un passero gigante ai suoi occhi non poteva essere che un corvo mentre si sentiva Brandon Lee in un remake personalizzato che non gli piaceva affatto. Niente tombe da visitare in lacrime con promesse di vendetta. Niente scellerati nemici da affrontare. Niente di così nobile, insomma.

    Ornella era semplicemente scomparsa nel nulla.

    Assurdo in un noioso Piemonte nell’anno 2019, ma evidentemente possibile.

    Che non potesse piovere per sempre se lo ripeteva dalla sera prima, in infiniti minuti tutti uguali nella loro tetra ripetitività, senza le zaffate degli improbabili profumi fiorito-tropicali che lo avevano sempre nauseato, ma che ora rimpiangeva almeno quanto l’antipatico tacchettare degli stivali tacco 12 che aspettavano la proprietaria nell’affollata scarpiera.

    Scomparsa. Senza un motivo, senza un indizio di nessun tipo.

    Scomparsa in una giornata normale, anzi tornata normale dopo un ennesimo litigio per la dichiarata non volontà di Baldanzi di volersi occupare di un qualcosa di torbido che a detta di Ornella era capitato nell’Istituto di Anatomia Patologica di Torino.

    Il fattaccio del Museo, cos’altro poteva essere se non un banale espediente per destare la sua attenzione, si era detto Baldanzi ascoltando con blando interesse una serie di quelli che per lui erano sproloqui assortiti malamente e snocciolati con sguardo deciso da Lara Croft.

    Da un mese a quella parte non si parlava d’altro, da quel giorno sciagurato in cui Ornella era tornata dall’Istituto con un faldone di documenti vistosamente ammuffiti.

    Il tubo... quel maledetto tubo che gocciolava ha ceduto del tutto stanotte... vedessi che disastro Aurelio, un armadio del Museo ha ceduto, ci sarà stato mezzo metro d’acqua sudicia... tutti i barattoli rotti, coperchi che galleggiavano, ho visto il mezzo bambino che navigava come una barchetta... hanno aspirato e poi buttato tutto, anche i documenti antichi, questi stavano per essere buttati ma li ho salvati io... guarda, guarda anche tu…

    Baldanzi, che aveva riconosciuto all’istante l’inconfondibile odore dolciastro che aleggiava in Museo, si era guardato dall’approfondire alcunché e si era limitato a starnutire con vaghe allusioni alla sua sinusite cronica che non tollerava la polvere.

    Ma da quel giorno la situazione, già costantemente precaria, era pericolosamente andata alla deriva nei gorghi dei complessi percorsi mentali di Ornella, che alternava ostinati silenzi carichi di mistero ed aspettativa ad entusiasti annunci di clamorose scoperte imminenti.

    Un gran parlare nel complesso inconcludente, di quelli che un suo caro amico patologo aveva definito una volta diarrea di parole e stipsi di contenuti e mai definizione poteva sembrargli più azzeccata.

    Baldanzi odiava quei fiumi di parole nei quali si perdeva puntualmente ritrovandosi a pensare quando fosse la prossima scadenza della bolletta della luce, mentre quella voce antipaticamente gioiosa continuava nelle sue narrazioni che certo non brillavano per sintesi.

    Musei, professori, barattoli inquietanti, insomma tutto tornava in scena in una replica che lui avvertiva come assolutamente sgradita.

    Sperava che tutto si potesse risolvere al più presto, sperava che fosse tutta semplice depressione da afa incipiente e che i temporali estivi rinfrescassero la surriscaldata Ornella facendola dedicare a qualcosa di meno ammorbante che le vecchie dicerie sul Museo.

    Sperava tante cose, ma invano.

    Ti ho detto che non è come sembra… aveva incalzato Ornella il giorno prima, aggiustandosi leziosamente un ricciolo ribelle mentre lui leggeva con profondo interesse un aggiornamento meteo arrivato sul telefonino.

    Più fedele alla linea che i CCCP, Ornella non aveva cambiato di una virgola il suo stile di abbigliamento negli anni e quel pomeriggio di luglio indossava un completo minigonnato nero con canotta lamé in rima con le sfumature fumé che comprendeva minuscoli inserti di pelliccia di qualche disgraziata bestiola che le era stata spacciata come visone, ma che a Baldanzi ricordava più la nutria di fosso, mentre un paio di sandali color bronzo facevano risaltare ancora di più i tacchi a spillo diamantati. Sostanzialmente una versione ripetitiva e casareccia di Venus in Furs dei Velvet Underground, pensò Baldanzi con un sospiro sofferente, sempre diffidando delle imitazioni. Unica concessione alla stagione la mancanza di calze a rete e per le già provate coronarie di Baldanzi era già un sollievo.

    Si trovavano nel solito bar di via Genova, al solito tavolino e davanti alla solita ordinazione, caffè con dolcificante per lui e marocchino con abbondante cacao per lei. Non che Baldanzi si fosse messo a dieta, questo mai, ma piuttosto che dare adito alle reprimende di Ornella sul suo peso preferiva soffrire ostentando pubblicamente ipocrite virtù e sfogando privatamente i vizi alimentari al sicuro tra le mura domestiche.

    Cosa peggiore di tutte, era il primo giorno di ferie per Baldanzi, ferie agognate ed attese per tutto l’anno che in quel momento trovavano più azzeccata come colonna sonora d’apertura Comfortably Numb dei Pink Floyd piuttosto che una pimpante Marcia di Radetzky.

    Aveva atteso quel momento da settimane, ma invece che trovarsi felicemente a girellare per il centro era inchiodato al solito tavolino mentre un getto di aria condizionata gli arrivava dritto nel collo e la cervicale lo attendeva al varco sorridendogli malignamente. Ornella gli aveva imposto un appuntamento e lui aveva ceduto all’istante, sperando che il sacrificio pomeridiano gli valesse la serata libera. Un do ut des molto logico e razionale, ma lo stesso si sentiva soffocare nonostante la temperatura da taiga siberiana.

    Ornella in compenso lo guardava estatica per le annunciate straordinarie rivelazioni che lasciavano Baldanzi del tutto indifferente. La frase sono vicinissima a risolvere il mistero lo colpì di striscio e un attimo dopo era già dimenticata.

    Si sentiva un martire del libero pensiero, immobilizzato dalle angherie di una coscienza ipertrofica a dovere tenere a bada pensieri e fatti che gli suscitavano meno interesse che le quotazioni del triticale da foraggio. I primi minuti delle preziose ferie scorrevano ferali come granelli di sabbia in una clessidra impugnata dalla mano scheletrica della Morte, questo il suo stato d’animo.

    Cercò di alleviare lo sconforto pensando a qualsiasi altra cosa e l’idea della sera che lo attendeva fu un lumicino nella tenebra fitta che si stava chiudendo attorno a lui.

    Avrebbe salutato Ornella allo scadere dell’ora X, che sperava fosse molto vicino, poi sarebbe andato a casa saltellando come un passerotto solitario e felice. Il problema esistenziale maggiore per lui in quel momento era se prendere o meno la bibita con la focaccia farcita perché non ricordava se fosse in offerta con le patatine anche di domenica. E poi finalmente il divano, fino a quando il sonno non lo avesse colto pian piano cullato dal film. Un senso di benessere lo pervase e la suggestione fu tale da fargli venire già sonno.

    Ma Aurelio, mi ascolti almeno? era esplosa Ornella in quell’esatto momento mentre lui esibiva uno sbadiglio degno dell’ippopotamo della Danza delle Ore disneyana, iniziando poi ad inveire malamente contro la sua insensibilità, la sua ottusità e il suo maledetto sfuggirle sempre, mentre lei lo amava tanto e aveva così bisogno di lui.

    Un paio di avventori si erano voltati verso di loro, trovando la situazione più interessante che consultare freneticamente il nulla in un cellulare. Il barista, che Baldanzi adorava per la sua signorile discrezione, si stava invece dedicando con solerzia ad impilare con ordine maniacale delle confezioni di biscottini di meliga, di quelli che se pucciati nel caffè fanno pregustare il paradiso.

    Aurelio, io non ti capisco e non ti sopporto più... ti amo e ho sopportato l’impossibile da te, ma così non possiamo andare avanti… stava dicendogli in tono teatrale crescente d’angoscia che pareva peraltro assolutamente sincera, mentre rivoli di mascara e lacrime si facevano strada scavando solchi nel fondotinta.

    Nel locale ora non si sentiva volare una mosca, mentre frecciate di sguardi morbosi li colpivano a raffica. Definire la situazione atrocemente imbarazzante era poco.

    Il Commissario Baldanzi si era sentito spacciato come una lucertola tra le grinfie di un gatto, poi da buona lucertola era riuscito a trovare la via d’uscita lasciando al nemico una parvenza di vittoria. Con sguardo divenuto da vacuo a volpescamente astuto si era esibito nel suo miglior pezzo del repertorio di tecniche di sopravvivenza, un Ma cucciolotta, non qui, ti prego... perché non ne parliamo con calma una di queste sere a cena? della stessa consistenza della melassa.

    Il tutto era accompagnato, come tutte le volte, da sguardo rigido e senza pathos, ma come tutte le volte bastava per far sciogliere Ornella come un panetto di burro dimenticato accanto ai fornelli.

    Tattica vincente e già lungamente abusata ma soprattutto priva di rischi, tanto l’invito lanciato era destinato ad essere procrastinato sistematicamente, rinviandolo dalla settimana al weekend, così è più allegro con tutta quella bella gente in giro, poi di rimbalzo alla settimana successiva una volta arrivato il weekend, non vorrai mica stare in mezzo a tutta quella folla, poi di rimbalzo a seguire. In genere funzionava per un mesetto almeno prima che Ornella desse in ovvie escandescenze.

    Ma quel pomeriggio questa tattica impeccabile era miseramente fallita già al primo tentativo, perché Ornella non aveva voluto sentire per l’ennesima volta scuse già note da anni e replicate con pervicacia ed aveva imposto la cena per la sera stessa.

    Il suo timido ma figurati se troviamo un posto a Torino una domenica sera era stato stroncato sul nascere dall’intraprendente Ornella che aveva immediatamente telefonato al locale per prenotare un tavolo per due, lontano dalla folla mi raccomando e con la candela, una bella candela rossa come la passione detto un po’ lascivamente con un numero imprecisato di esse sì, certo, è una cenetta romantica aveva ridacchiato poi lei concludendo la telefonata mentre lui meditava di mimare un attacco cardiaco che lo avrebbe tenuto provvidenzialmente in osservazione ospedaliera per almeno ventiquattr’ore.

    E invece no, si era sentito rassicurare in modo caramelloso che avrebbe messo proprio quella deliziosa camicia tigrata con quei jeggings aderenti appena comperati insieme ai saldi. Lui pensò all’opportunità di portare con sé un antistaminico.

    Appuntamento per le venti in punto davanti al loro ristorante etnico che Ornella adorava e Baldanzi sopportava per amor di pace nonostante la sua ulcera cronica lo facesse sussultare solo al nome del locale.

    Era accaduto solo ieri, pensava Baldanzi incredulo in quel lunedì mattina di tristi ferie, fissando il Po che scorreva. Gli parevano secoli prima, mentre quell’ieri era stato in apparenza un giorno banale, ma del resto i grandi giorni della vita non si annunciano con la fanfara.

    Dopo l’estorsione della cena, il resto della giornata era infatti trascorso all’insegna della banalità per il vigliacchissimo Baldanzi, che aveva rimuginato per ore su come dare un colossale bidone alla povera Ornella che, ne era certo, stava passando il resto del pomeriggio a farsi bella per lui, operazione che di necessità richiedeva un tempo sempre maggiore.

    Ma si sentiva perfettamente a posto con la solita invadente coscienza, dopotutto era il suo primo giorno di ferie e lui non aveva proprio nessuna voglia di uscire a cena con Ornella, tanto meno per sorbirsi delle fandonie insensate su qualche congettura di fantastoria, mentre il richiamo del divano gli sembrava ancora più irresistibile del solito.

    Dopo un ennesimo lungo sguardo invidioso all’allegra fila di persone davanti alla focacceria da asporto sotto casa sua si era rassegnato a mettere in moto l’auto ed avviarsi verso il suo martirio lasciando l’anima dietro la vetrina del negozietto che esibiva sia focacce genovesi, di quelle dove vallette con deliziosi laghetti d’olio si alternano a collinette di pasta deliziosamente morbida e salata, sia pizzate liguri, quelle specie di focacce col formaggio di Recco con sopra un velo salsa di pomodoro, capperi, acciughe e olive, di quelle che si sciolgono in bocca dopo averle arrotolate a sigaro evitando che il formaggio coli.

    Ma a lui simili piaceri parevano preclusi, niente pizzata ligure con il chinotto per quella sera dannata. Se poi avesse saputo leggere il futuro certo non avrebbe considerato l’evento un dramma, ma in quel momento gli parve che il cielo gli fosse crollato in testa.

    Il traffico era congestionato e le pause ai semafori interminabili, in una sequela di rossi e verdi prima di poter finalmente passare.

    Un’autentica tortura per il povero Baldanzi dal cuore ancorato alla focacceria. Già cercando affannosamente di parcheggiare nel centro di una Torino gaudente che si godeva il weekend, malediceva nell’ordine il bisogno fisiologico di alimentarsi, il sesso femminile in generale e quello con sguardo carico di mascara tonalità Hot Panther in particolare.

    Ma il dramma era solo agli inizi e Baldanzi cominciò a prenderne vagamente coscienza quando davanti alla vetrina sfavillante di colori esotici del ristorante si era ritrovato solo, incredulo di fronte all’antipatica vocetta meccanica che gli riportava cantilenando che l’utente non era reperibile, cosa assolutamente anomala per Ornella che viveva in simbiosi col telefono dalla rutilante cover a cuoricini metallizzati in effetto 3D.

    Come nelle migliori coreografie il cielo si era rannuvolato rapidamente e ora cadeva una pioggia leggera, che lui odiò una volta di più.

    Tutto così insensato, un improvviso irrompere dell’assurdo in una serata che doveva essere una stantia replica di mille altre, tra salse devastanti per uno stomaco sofferente e lussuriosi sguardi da drago inceneritore di Ornella che non sembrava sentire il peso degli anni che passavano, sempre impeccabilmente ricciolosa e biondissima sui suoi stivali pitonati dai tacchi a spillo.

    Mentre la pioggia picchiettava senza sosta lo schermo del cellulare sempre inesorabilmente scuro, Baldanzi sentì crescere man mano un senso di velato sollievo dovuto all’idea che forse per quella sera poteva fare a meno della consueta overdose di antiacidi.

    Il telefono squillò e lui si sentì pervaso da sentimenti contrastanti di timore e speranza, rispondendo d’impulso senza nemmeno guardare chi stesse chiamando.

    La voce di Di Gennaro che gli chiedeva consiglio per discutere del proseguimento del suo ennesimo congedo parentale gli diede insieme sgomento e conforto.

    Ma certo, telefonami domani... però non credere di dover provvedere da solo al calo demografico! Datti una calmata... concluse ridacchiando forzatamente per la solita battuta obbligata che quella sera gli parve triste.

    Di Gennaro si era sposato molti anni prima, divenendo padre o meglio patriarca di una specie di piccola tribù di bambinetti spavaldi e belli quanto lui, ma con ancor miglior fortuna del padre visto che seminavano cuori spezzati già sui banchi della scuola dell’infanzia.

    Baldanzi pensò con tristezza al suo appartamento sempre meticolosamente ordinato rispetto al caos cronico di casa Di Gennaro, ricordando non senza un sorriso quella volta che era dovuto passare a prenderlo perché le chiavi dell’auto erano misteriosamente scomparse, riapparendo settimane dopo in un innaffiatoio a forma di Titti in mezzo al giardino, ovviamente senza colpevoli.

    Lo stato di tirannia da parte dei figli che assillava il povero Di Gennaro era per Baldanzi un ottimo argomento per dirottare da sempre, in modo sistematico, qualsiasi argomento procreativo avanzato da Ornella.

    Ma quella sera pensò con senso di pacato rimpianto al collega che senza dubbio in quel momento stava cercando di sopravvivere tra la ricerca di un pupazzo assorbito dal buco nero delle camerette e la cena da preparare ai piccoli despoti e alla moglie, donna in carriera che, tra un viaggio e l’altro, arrivava a casa sempre tardissimo e stanchissima, benedicendo la tribù e andando senza indugi in direzione del letto appena posata la forchetta.

    Baldanzi aveva ad accoglierlo a casa solo il divano, Ornella nella sua trovava almeno l’immancabile gatto. Un comodo divano, solitario approdo dopo le traversie della giornata e un gatto che peraltro lui detestava per le sue fusa ornellescamente lascive e non certo paragonabili alle adorabili ed innocenti vocine dei bimbi.

    Sempre meglio di niente, per carità, ma a guardare bene un divano ed un gatto non erano poi nell’insieme gran cosa. Avrebbe potuto prendere delle decisioni diverse, ma era tardi per rimpiangerlo anche se ora che le sue scelte gli parevano così vuote e inconcludenti.

    Cosa sarebbe rimasto di loro nel futuro? Chi li avrebbe pianti all’ombra dei cipressi?

    Un divano distrutto dalle intemperie in qualche discarica e una sequela di tombe di mici al cimitero degli animali, ecco cosa avrebbero lasciato in eredità al pianeta.

    Ma i suoi pensieri malinconici di chi rimpiange tutine taglia cm.56 e pastina che si incolla al cucchiaio vennero interrotti dall’ulteriore telefonata di Di Gennaro, che parlava bisbigliando come un maniaco telefonico per cercare di non farsi sentire dalla figliolanza.

    Commissario, forse ce l’ho fatta, li ho piazzati davanti alla televisione, forse stanno finalmente tranquilli un attimo... volevo aggiungere che...

    Un urlo straziante, pianti irrefrenabili, rumore di oggetti lanciati con veemenza.

    Baldanzi pensò stessero guardando un film dell’orrore, stupendosene data la giovane età dei pargoli, ma poi la voce concitata di Di Gennaro tolse ogni dubbio. "Scusa, ti richiamo domani... si è bloccato il DVD e allora Girolamo ha detto che voleva vedersi un film da solo e che se ne andassero tutti a letto, ma Ernesto invece voleva rivedere Il re Leone e allora gli ha lanciato il triciclo di Giordano che si è messo a piangere e poi per vendetta ha tirato i capelli a Teodoro e ha morso Leonardo..." concludendo bruscamente la telefonata come solo in qualche film di guerra all’arrivo di una granata.

    Baldanzi sorrise con ritrovata malthusiana sicurezza.

    Procreare sembrava essere un qualcosa che sentì superiore alle sue forze, evidentemente la sua presenza nel contesto dell’umanità doveva avere un qualche altro scopo, peraltro non meno nobile. Forse, magari, prima o poi lo avrebbe anche trovato, ma tutto sommato non c’era fretta.

    La prospettiva del divano divenne improvvisamente di nuovo paradisiaca, puro piacere di tranquilla serata solitaria con pizzata e film che sostituiva la bolgia del locale dove ogni conversazione era per fortuna resa quasi impossibile dall’assordante vociare e limitata a sguardi di unilaterale muta approvazione dei ricchi piatti assassini di ghiandole gastriche innocenti.

    A quanto pareva per quella sera non ci sarebbero state le solite battutine stereotipate su Ornella del solito cameriere macho, né il solito goffo armeggiare baldanzesco per rientrare a casa da solo con le scuse più improbabili tipo non posso perdermi quell’interessante documentario sulle otarie, in genere vigliaccamente seguito da una resa incondizionata nel salire da un’Ornella che ammetteva giustificazioni con lo stesso rigore di una professoressa di greco.

    Apparentemente come serata pareva essere diventata un vero splendore, ma, senza sapersi giustificare il perché, il Commissario Baldanzi non riusciva a balzare con scatto felino verso la focacceria, rimanendo tenacemente incollato al marciapiede quasi indifferente alla pioggerellina.

    I minuti passarono e divennero ore.

    Ma lui continuava a tentennare, guardando ora la strada e ora il cellulare mentre qualcosa sembrava stonare nella piccola via gioiosa dove la gente si accalcava attendendo paziente l’ingresso e commentando entusiasta i profumi speziati che ne uscivano.

    Stonava il senso di solitudine che gli stava piombando addosso, ora non più confortato dall’idea del divano e della pizzata, mentre lo sguardo scrutava in lontananza per vedere se fosse in avvicinamento quel curioso insieme di camicia tigrata su jeggins rosso rubino che a lui evocava più che altro la bandiera di Sandokan.

    No, niente di niente. Sempre nulla all’orizzonte, Mompracem era tristemente lontana mentre ormai la gente soddisfatta e sazia iniziava la transumanza verso i parcheggi.

    Lo stridio fastidioso della saracinesca calata che riecheggiò nel silenzio della notte e lo sguardo interrogativo e sospettoso del proprietario del locale riportarono Baldanzi alla realtà.

    Realtà traducibile in quarantacinque chiamate consecutive a vuoto e ventidue messaggi che non avevano avuto risposta. Una realtà antipatica come la pioggia che lo aveva inzuppato senza quasi che lui se ne accorgesse, come quella pioggia nordica che pare semplice umidità e poi bagna fino alle ossa.

    Fuori discussione pensare di prendere qualcosa da mangiare a quell’ora, insensato pensare di abbandonarsi al relax di un film. Solo il divano rimaneva un’idea ragionevole, qual divano che lo accoglieva da sempre con quell’abbraccio che lui rifiutava dal resto del mondo.

    Tornò a casa guidando in modo così automatico da rendersi conto con stupore di aver già posteggiato senza nemmeno aver scelto il posto.

    Con gelido scrupolo professionale telefonò a un collega fidato per sapere se c’erano stati incidenti mortali in zona. Nessun decesso, nessun delitto, niente di niente, tutto tranquillo.

    Eppure lui così tranquillo non riusciva proprio a sentirsi. Per fingersi in una quotidianità serale senza intoppi, si preparò abbastanza meccanicamente una tisana allo zenzero, quella che in genere riservava ai dopocena dei rari casi vittoriosi sul fronte del rientro a casa propria. Casi peraltro molto rari, la scatola che aveva in dispensa era prossima alla scadenza.

    Ma quella sera invece che vittorioso si sentì perdente, mentre un senso di vuoto e angoscia gli serravano l’esofago in uno spasmo quasi doloroso.

    Ornella non poteva avergli deliberatamente dato buca in quel modo.

    Ornella era sempre a distanza di cordone ombelicale dal telefono e se ne sarebbe staccata solo per qualcosa di veramente grave.

    La tisana si raffreddava, ma il corso dei suoi pensieri era in ebollizione.

    Un lungo sospiro, un tentativo di imporsi razionalità.

    Dopotutto i telefoni sono oggetti, si disse Baldanzi sorseggiando finalmente la tisana tiepida, domani certo mi spiegherà istericamente che il suo costosissimo smartphone si è rotto cadendo, messaggiandomi all’alba dal primo negozio di elettronica aperto dove sarebbe certo corsa a comperarne un altro.

    Posò la tazza nel lavandino rimandandone il lavaggio pigramente al giorno dopo, poi si avviò verso il letto, troppo stanco per stare sveglio e troppo agitato per dormire.

    Cercò di leggere, scegliendo masochisticamente dalla libreria online un romanzo dal titolo che gli ricordava chissà perché proprio Ornella. Qualcosa che riguardava un Museo di Anatomia Patologica, praticamente una persecuzione. Le vicende di anni prima gli tornarono vivide, tanti ricordi che lo sfiorarono antipatici come il tocco lieve ed urticante di medusa, nei quali non volle sprofondare per puro spirito di sopravvivenza. Chi mai potrebbe pensare di scrivere un romanzo su un Museo di Anatomia Patologica, borbottò tra sé spegnendo la luce, mica può interessare a nessuno e mi sa che l’unico cutu a comperare una copia di ’sta roba sono stato io.

    Il sonno tardava ad arrivare e in un punto indistinto tra l’ipofisi e il plesso solare riconobbe qual senso di fastidiosa aria di guai in vista che lo stava permeando come la pioggia poco prima.

    No, non quadra, si disse osservando la luce riflessa del lampione che quella sera chissà perché rendeva la penombra della stanza ostile. Non quadrava nemmeno la troppa luce e se ne accorse solo dopo una manciata di minuti.

    Ecco, aveva dimenticato di abbassare le tapparelle e in genere non accadeva mai.

    Stava diventando nervoso, indubbiamente molto nervoso dato che sussultò vistosamente al bipbip di un segnale con cui il puntiglioso social lo avvertiva con solerzia che un amico, ovvero un tale di cui non gli fregava nulla e che non avrebbe mai e poi mai visto in vita sua, aveva aggiunto contenuti alla sua storia.

    E va bene, ammise, sto diventando nevrastenico.

    Ma la faccenda non quadrava, inutile far finta di niente.

    Ornella doveva essere davanti al locale alle ore venti in punto, camiciotto tigrato e terrificante profumo all’aloe e frutti tropicali compresi.

    Fine della questione. Ma evidentemente così non era stato.

    Se anche non fosse potuta venire avrebbe dovuto mandargli un messaggio o chiamarlo per tempo in modo da evitargli la penosa ricerca di un posto auto in un congesto centro città festivo.

    Se anche non avesse potuto chiamarlo o mandargli un messaggio perché aveva finito il credito o per una qualsiasi altra ragione doveva almeno rispondere alle innumerevoli chiamate e sempre più ravvicinati messaggi.

    Se anche non avesse potuto rispondere perché aveva il cellulare in frantumi sarebbe stata capace di fermare il primo passante o citofonare a tutto un palazzo per chiedere di poter chiamare il suo fidanzato e certo avrebbe trovato chi l’avrebbe accontentata, se non altro per scampare il pericolo che il suddetto la mollasse e lei tornasse in caccia di povere vittime ignare.

    Se anche passanti ed inquilini le avessero riservato la stessa attenzione dedicata ai predicatori di culti astrusi e alle dame di carità, non si sarebbe comunque arresa e sarebbe andata fino al telefono pubblico della stazione di Porta Nuova, uno dei pochissimi rimasti a Torino, pur di poter comunicare con lui in qualche modo.

    E invece no. Nulla di tutto ciò era accaduto.

    Fine della razionalità. Ora c’era posto solo per i pensieri cupi.

    Il sonno era un miraggio, lo stomaco adesso bruciava per il digiuno e la tisana troppo concentrata e Baldanzi si rigirava nel letto umido senza trovare pace.

    Dove accidenti sei finita, Ornella?

    Guardò uno spiraglio di cielo dalle imposte aperte, uno spicchio nero che irrazionalmente gli parve minaccioso e lo intrise di ulteriori angosce. Scuro come era rimasto per tutta sera lo schermo del suo cellulare, senza che lucine amichevoli lampeggiassero o icone comparissero.

    Le spiegazioni si accalcavano e sembravano tutte sensate ed insensate allo stesso tempo. Ma era certo che qualcosa di insolito stesse capitando, qualcosa che sperò, in un moto di ansia crescente, potesse appartenere solo al suo cronico pessimismo.

    Si alzò, forse era solo la fame cercò di dirsi andando verso la cucina. Nel frigorifero vide ammiccante un dessert all’amaretto che divorò in tre cucchiaiate con estrema soddisfazione. Un bicchiere di latte e miele, antico rimedio a tutti i mali fisici e morali e la serata trovò quiete.

    Sì, forse era proprio solo fame, si ripeté rigirandosi nelle coperte che ora gli parvero morbide e calde. Ci penserò domani, si disse mentre i pensieri rallentavano e un vago senso di pace calava insensibilmente.

    Confidò che l’alba gli avrebbe portato senza dubbio una spiegazione logica, banale magari e che di tutto quel disagio non sarebbe rimasto che un ricordo indistinto, guardandosi bene dal dire ad Ornella che la sua assenza lo aveva fatto patire. Già era successo, almeno così gli pareva di ricordare. E in quei lontani ricordi di indagini frustranti e giorni piovosi il suo animo inquieto si perse e finalmente il sonno arrivò.

    Una spiegazione logica.

    Così aveva sperato e così invece non era stato, dato che ora si ritrovava a fissare il Po lasciandosi cullare dalle acque in movimento che un minimo lenivano il suo affanno.

    Fin dall’alba gli era stato chiaro che le cose continuavano a girare storte.

    Allungando la mano ancora con gli occhi chiusi aveva cercato il cellulare e con il cuore gonfio di speranza aveva visto l’amichevole lampeggiare tanto atteso.

    C’era sì il segnale di un messaggio, quello però di un suo lontano amico frate che era tornato la sera prima da una complicata missione in Africa dove pareva anche aver rischiato la vita in circostanze drammatiche, narrate con fior di particolari in un messaggio chilometrico che nemmeno aveva letto tutto. Baldanzi dimostrando ben poco spirito di fratellanza universale si era limitato a rispondergli con uno stitico like.

    Si era alzato e si era preparato un caffè dopo una rapida doccia tenendo sempre il cellulare ben in vista sul lavandino a rischio di essere alluvionato. Troppo presto per chiamare Ornella senza essere importuno, ma forse anche troppa paura che il cellulare suonasse a vuoto.

    Poi erano comparsi messaggi su chat da cui per pura pigrizia non si era mai tolto e che come tutte le altre volte erano stati cancellati sistematicamente all’apparire.

    Poi qualche comunicazione di lavoro di scarso interesse, letta e dimenticata all’istante.

    Poi Di Gennaro aveva mandato un lunghissimo messaggio vocale per spiegare che non potevano vedersi perché Leonardo aveva perso per casa i pennarelli di Teodoro per cui ora doveva andare di corsa in cartoleria per comperarne di nuovi e portarli al povero piccino che aveva iniziato la settimana al campo estivo con la maestra Adele e... Baldanzi aveva sbuffato interrompendo l’ascolto, quel giorno meno che mai disposto a condividere le buffe disavventure del prolifico collega.

    I minuti passarono e l’alba divenne giorno pieno.

    I negozi erano ormai tutti aperti, i call center dei gestori telefonici erano tutti operativi e pronti a risolvere con solerzia qualsiasi intoppo comunicativo.

    Ornella, cosa stai aspettando? Il mondo è sveglio, ma tu dove sei? Niente da fare, il cellulare rimaneva muto e i messaggi, timidamente inviati con cauta speranza, sempre senza risposta. Dopo l’ennesimo squillare a vuoto fino alla partenza della segreteria telefonica Baldanzi si era sentito sprofondare in uno stato di depressione, decidendosi ad uscire di casa senza una meta precisa pur di non affrontare quell’angoscia da solo.

    Si era ritrovato a camminare nell’afa sottile del mattino, col cuore altrove, mentre l’indifferenza della città lo feriva una volta di più.

    Ma del resto, cosa poteva interessare del suo dramma a quella giovane mamma che chattava garrula con un’amica mentre spingeva un passeggino dove un pargolo oppresso in troppi vestitini cercava nel ciuccio un conforto negato, oppure a quel signore che si infervorava cercando definizioni delle parole crociate, temperando la matita finché la punta non lo soddisfaceva pienamente. In effetti quel signore non era affatto interessato ai guai del Commissario, ma qualche associazione che si occupava di specie rare in via d’estinzione si sarebbe interessata con cupidigia a lui.

    Provò ad affogare i suoi guai nell’adorato latte macchiato tiepido, che però quel giorno gli sembrò solo dolciastro ed insipido, mentre dopo un paio di morsi rinunciò alla consueta treccia con crema e uvetta, che di solito divorava nell’arco di un nanosecondo, trovandola gommosa.

    Il barista, che ben conosceva l’usuale sguardo estasiato del Commissario alla vista della vetrinetta delle brioche, lo fissò indeciso se avvisare il centro di salute mentale o un esorcista. Poi, da appassionato di fantascienza com’era, concluse che senza dubbio si trattava di un clone alieno dalle sembianze di Baldanzi e messaggiò rapidamente alla moglie di mettere al sicuro il criceto del figlio, scrutando se sotto la polo del Commissario potesse celarsi una tuta spaziale con la V di Visitors.

    Sentendosi scrutato in modo antipatico, Baldanzi pagò frettolosamente accettando di malavoglia di farsi incartare la treccina quasi intonsa e portarsela via pur di allontanare quello sguardo incredulo e pungente.

    Fuori sempre tutto normale.

    Lui si era sentito profondamente idiota e tremendamente triste, con la sua treccina tiepida incartata in una mano e nell’altra un cellulare muto.

    Andare in centro gli era sembrata l’unica idea buona, dopotutto era difficile rimanere di cattivo umore nella bellezza delle vie e dei palazzi torinesi.

    La fermata era particolarmente affollata e da un autobus scesero due ragazzini che parevano il ritratto della felicità, lei con delle treccine afro e lui con i jeans che parevano aver incontrato da vicino un grizzly. Si baciavano, ridevano e si baciavano ancora. Ogni bacio era una sciabolata tra le reni del povero Commissario che cercava di guardare altrove.

    Lo sguardo cadde su una chioma riccia bionda che gli innescò un’improvvisa tachicardia, che divenne dolorosamente fastidiosa quando la lei si voltò rivelando un volto solcato da rughe profonde. Come si diceva, dietro liceo davanti museo. No, per carità, il Museo anche qui no eh, pensò Baldanzi concentrando la sua attenzione sulle notizie del quotidiano che campeggiavano nella bacheca in giallo davanti all’edicola. Le vide ma non le lesse nemmeno, nulla di quanto apparteneva a questo mondo poteva interessargli in quel momento.

    Camminò a lungo senza meta e poi pensò di dare il colpo di grazia alla sua ansia, andando a far due chiacchiere con i colleghi, sperando di non lasciar trapelare il suo stato d’animo. Chissà, magari la spiegazione poteva essere ancora più drammatica di quanto si potesse ipotizzare e lui in quel momento in un certo senso lo sperò, perché il suo inconscio preferiva quasi una tragedia a quell’anonimo grigiore senza logica.

    Entrò salutando e rispose elusivamente alle domande sulla sua caviglia. Già, una vecchia distorsione che faticava a passare e che aveva suscitato preoccupazione negli amici e speranze di tragedia imminente nei non pochi nemici. A tutti gli effetti era solo una distorsione, ma in quel momento forse per somatizzazione il dolore non gli dava tregua, mentre cercava di ostentare un passo sicuro anche se

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