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Mariani e le mezze verità
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E-book252 pagine3 ore

Mariani e le mezze verità

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Info su questo ebook

È la seconda metà di novembre. In una discarica abusiva è stato ritrovato il corpo di un uomo, senza documenti. Il commissario Antonio Mariani comincia a controllare fra le persone scomparse; una segretaria pur non identificandolo ricorda di averlo visto più volte con il suo datore di lavoro scomparso da giorni. Mentre Mariani continua le indagini a Genova, arriva una segnalazione da Lecco: proprio il vicequestore attribuisce un’identità al morto, è un piccolo industriale, abbastanza noto in città. Lecco: in nessun posto Mariani andrebbe meno volentieri perché il questore è Serra con cui aveva avuto contrasti e di cui continua a sospettare una complicità nel ferimento di un suo collaboratore e amico. Fra Genova e Lecco si dipana una complessa indagine, in cui nessuno dice tutta la verità.

Maria Masella è nata a Genova. Ha partecipato varie volte al Mystfest di Cattolica ed è stata premiata in due edizioni (1987 e 1988). Ha pubblicato una raccolta di racconti – Non son chi fui – con Solfanelli e un’altra – Trappole – con la Clessidra. Sempre con la Clessidra è uscito nel 1999 il romanzo poliziesco Per sapere la verità. La Giuria del XXVIII Premio “Gran Giallo Città di Cattolica” (edizione 2001) ha segnalato un suo racconto La parabola dei ciechi, inserito successivamente nell’antologia Liguria in giallo e nero (Fratelli Frilli Editori, 2006). Ha scritto articoli e racconti sulla rivista “Marea”. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Morte a domicilio (2002), Il dubbio (2004), La segreta causa (2005), Il cartomante di via Venti (2005), Giorni contati (2006), Mariani. Il caso cuorenero (2006), Io so. L’enigma di Mariani (2007), Primo (2008), Ultima chiamata per Mariani (2009), Mariani e il caso irrisolto (2010), Recita per Mariani (2011), Per sapere la verità (2012), Celtique (2012, terzo classificato al Premio Azzeccagarbugli 2013), Mariani allo specchio (2013), Mariani e le mezze verità (2014), Mariani e le porte chiuse (2015), Testimone. Sette indagini per Antonio Mariani (2016), Mariani e il peso della colpa (2016), Mariani e la cagna (2017), Mariani e le parole taciute (2018), Nessun ricordo muore (2017) Vittime e delitti (2018) e Le porte della notte (2019) questi ultimi tre con protagonista la coppia Teresa Maritano e Marco Ardini. All’inizio del 2019 ha scritto con Rocco Ballacchino “MATEMATICHE CERTEZZE” ottenendo il consenso dei lettori per l’originale trovata di dar vita a un’indagine portata avanti dai due commissari di polizia Mariani e Crema. Per Corbaccio ha pubblicato Belle sceme! (2009). Per Rizzoli, nella collana youfeel, sono usciti Il cliente (2014), La preda (2014) e Il tesoro del melograno (2016). Morte a domicilio e Il dubbio sono stati pubblicati in Germania dalla Goldmann. Nel 2015 le è stato conferito il premio “La Vie en Rose”. 2018, terza classificata alla prima edizione del Premio EWWA.
LinguaItaliano
Data di uscita28 ott 2014
ISBN9788875639846
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    Anteprima del libro

    Mariani e le mezze verità - Maria Masella

    CAPITOLO 1

    Giovedì 15 novembre

    È già mezzo buio anche se sono soltanto le quattro. Grigio e colore del fango, eppure in primavera e d’estate queste colline sembrano vera campagna, anche se sono state poco alla volta, e in modo disordinato, rosicchiate dalla città che si è dilatata assorbendo piccoli nuclei abitati.

    Se fosse settembre sarebbero dorate per la fioritura della conizza.

    Accosto l’auto in una piazzuola dove ci sono già i mezzi della Scientifica. Un agente indica una specie di viottolo che scende verso il fondovalle, mi porge un paio di stivaloni e raccomanda prudenza perché è scivoloso.

    – Tenga, commissario, c’è fango e spazzatura fino alle ginocchia.

    Gli stivaloni sono stretti. Li ho presi e infilati senza controllare, da stupido e per colpa della fretta come se la morte non potesse aspettare qualche minuto in più. Ora ogni passo è un fastidio.

    – Attento che si scivola.

    Ha ragione, poche cose sono più scivolose della fanghiglia condita dai rifiuti di una discarica abusiva.

    – Appena ricevuta la chiamata, abbiamo controllato se era attendibile. Lo era. – Abbassa la voce. – Non so cosa ci si possa trovare.

    Ha ragione. Che cosa potremmo ricavare da un corpo rimasto nel fango e nella spazzatura per giorni? Ma rispettiamo le regole.

    La chiamata è arrivata alle tre, alle quindici, minuto più, minuto meno. Sono con Bareto perché la Petri ha chiesto un giorno di permesso e gliel’ho concesso. A stento avanzo nella spazzatura infangata che ostacola ogni passo fin dove sono state accese le luci per permettere alla Scientifica di lavorare.

    Torrazzi non è ancora arrivato, forse bloccato anche lui da questa pioggia che non dà tregua.

    Mi accosto al corpo mezzo nascosto e mi chino.

    – Sospettiamo che non sia caduto… – allarga le braccia come per indicare lo sfacelo che ci circonda. – Ma che sia stato ucciso. Nessuno annoderebbe così una cravatta.

    Vero, è stata annodata come fosse un nodo scorsoio.

    Sento un singulto e mi giro appena in tempo per vedere Bareto che si è chinato di fretta e sta dando l’anima e la prima merenda del pomeriggio.

    Ritorno al corpo. Mezza faccia è spolpata come l’unica mano emersa dal fango.

    Non sono un medico legale ma ho abbastanza esperienza per capire che la morte risale ad almeno una settimana prima, quando c’era il sole e non era ancora iniziata quest’ondata di maltempo.

    Mi giro per controllare se Bareto si è ripreso; sì, ma è ancora verde… Non mi servirà a nulla.

    Vedo arrivare Torrazzi, anche lui con stivaloni di gomma che lo fanno camminare in modo strano, come un pinguino.

    – Non potevate trovare un posto migliore? – Capisco che mi ha visto perché si dirige verso di me. – Antonio, – si china tenendo le mani aperte sulle ginocchia, – non sembra un incidente e non è morto da poco. Farò l’autopsia ma direi che la morte risale a una settimana fa ma non sono ancora in grado di dirtene la causa. – Tasta con precauzione. – Senza autopsia non posso dirti nulla. – Si china ancora di più nonostante l’impaccio degli stivaloni. – Strano modo di annodare una cravatta. – Si rimette diritto a stento, portandosi le mani alle reni. – Quest’umidità è una rovina per le mie ossa. Per me potete rimuoverlo.

    Faccio un cenno al collega della Scientifica.

    – Quando avete finito i vostri riscontri potete spostarlo. Documenti?

    – Non abbiamo cercato, commissario. Volevamo che lo vedeste prima di spostarlo.

    Non ha torto. Il corpo è visibile soltanto dal petto in su, mostrando quella mano mezzo rosicchiata. Come il viso.

    Mi giro verso Torrazzi: – Se vuoi andare…

    – Resto.

    Le foto sono state fatte, ora si tira su il corpo e lo si adagia in un telone.

    Confermo la mia prima impressione, non è un barbone, ma uno che curava il proprio abbigliamento. Se fosse un onesto cittadino oppure no, non sono ancora in grado di stabilirlo.

    Di certo, incontrandolo per strada nessuno si sarebbe scansato.

    Il completo grigio scuro di vigogna, le scarpe nere non consunte, la camicia azzurrina, anche la cravatta blu, se era la sua, lo indicano come uomo di discreti mezzi e di gusto classico nel vestire.

    Mi chino e scosto la giacca cercando la tasca interna, qualcuno dovrà pur farlo. Bareto è fuori gioco e i colleghi della Scientifica mi hanno lasciato il piacere.

    Vuota.

    Lo sollevo quel tanto da tastare nelle tasche posteriori dei pantaloni.

    Niente. Portafoglio con cinquanta euro, niente documenti, niente carte di credito, niente che possa aiutarci a identificarlo.

    Non un morto senza nome, di nuovo.

    Do disposizioni che lo portino via e risaliamo verso la piazzuola, dove c’è soltanto un normale strato di fanghiglia; sfilo gli stivaloni con un sospiro di sollievo e rimetto i mocassini. Torrazzi che ha scarpe con i lacci ci impiega di più.

    – Non dirmi che non sopporti i morti senza nome, lo so, Antonio.

    – Cosa ne pensi?

    – Che è stato ucciso e buttato in quella discarica.

    Annuisco, Torrazzi ha detto esattamente quello che ho pensato.

    – Quando puoi mi fai avere il referto.

    – Ti chiamo.

    All’agente che mi ha accolto all’arrivo chiedo chi l’ha trovato.

    – Persio Marino – e indica un uomo piuttosto anziano, in disparte; lo raggiungo. Ha un aspetto logoro, come il suo impermeabile, e rigira fra le mani un berretto di lana. Sul viso scarno la barba di giorni è un’ombra grigia che gli sfuma i lineamenti senza mascherare qualche livido, come di contusioni non del tutto guarite.

    – Sono il commissario Mariani, è stato lei a trovare il corpo e a chiamarci?

    – Sì… No. Io l’ho trovato e poi sono salito su, ho raggiunto il bar latteria. – mi guarda interrogativo e rispondo con un cenno d’assenso perché l’ho notato arrivando. – Ho detto di chiamare che c’era un morto.

    – Capisco. Ha notato qualcosa?

    Fa segno di no, sembra spaventato. Aggiunge borbottando che non ha fatto niente.

    – Non si preoccupi, signor Persio. – Ora che ho modo di vederlo più da vicino, posso notare gli abiti rattoppati… Anche di sentire l’odore pungente del vino e del tabacco stantio.

    – Mi chiamano Rino… – è un sussurro.

    – Non si preoccupi, Rino – e vengo gratificato con un mezzo sorriso. Tolgo dalla tasca un pacchetto di sigarette, noto l’occhiata e gliene offro una. Se la rigira fra le dita quasi con compiacimento prima di accettare il fuoco. – Ha fatto bene ad avvisarci.

    – Ho capito subito che era morto, neppure l’ho toccato.

    Che l’abbia capito all’istante è certo! Che non l’abbia toccato lo è meno… Se l’ho inquadrato bene, è sceso a questa specie di discarica cercando qualcosa di utile per sé o da poter rivendere, però nel portafoglio ci sono cinquanta euro.

    – Quindi era già così, con la faccia in su?

    Fa segno di sì.

    – C’erano degli sterpi sopra e quando ho cominciato a smuovere l’ho visto. Ho tolto tutto…

    – Molto bene, è stato chiarissimo. Se abbiamo bisogno di parlarle di nuovo dove possiamo trovarla?

    – Là, – e indica una specie di mezzo rudere, seminascosto dai cespugli. – Vogliono mandarmi via… Io non ho fatto niente.

    – Non si preoccupi. Può andare.

    Mi dirigo verso il bar latteria. Chiedo un caffè e dopo aver pagato mi rivolgo alla donna dietro il bancone; mi qualifico e mostro il tesserino. – Dovrei farle alcune domande, signora.

    – Ho tutto il tempo che vuole, – e ricomincia a passare lo straccio sul bancone.

    – Ha chiamato lei…

    Non mi dà il tempo di concludere: - È salito Rino affannato e ho chiamato. Poveraccio, era spaventato. Ho dovuto fargli un caffè. – Mi guarda. – È un brav’uomo, ne ha passate tante. Non è un ladro e neppure un assassino.

    – Ha notato qualcosa di strano nei giorni scorsi?

    Fa segno di no: – Ma sono sempre qui dentro. Ho chiuso soltanto due giorni, per i Santi e i Morti. I miei li ho a Ovada, per le feste andiamo da loro.

    – Andiamo?

    – Mio marito. Ma qui non ci sta mai. Lavora in darsena.

    Sto per uscire e mi trattiene: – Davvero, Rino è un brav’uomo, non farebbe male a una mosca. Raccoglie quello che gli altri hanno buttato.

    Sono di nuovo nella discarica che stanno setacciando, ancora con stivaloni non della mia misura, perché mi hanno detto che di più grandi non ne avevano.

    Se sono tornato è perché spero che trovino qualcosa di utile per identificarlo. Ho raccomandato cautela e attenzione.

    Mi ha sempre annoiato stare con le mani in mano a guardare gli altri lavorare, è inutile, non ho l’animo del capo. Quindi chiedo una pala e mi do da fare.

    Uno ha commentato che mi sarei infangato, ho alzato le spalle.

    Non mi dispiace il lavoro, neppure quello fisico che fa muovere muscoli e articolazioni. Non sono da palestra ma camminare e nuotare mi aiutano a mettere ordine nei pensieri.

    Questa è una delle tante valli che tortuose scendono verso il mare, il gruppo di case che abbiamo superato arrivando viene chiamato Nasche, dal nome dell’arbusto selvatico, la nasca, che fiorisce in settembre e indora i declivi. Procedendo a destra si arriverebbe a Sella di Bavari che scavalca le colline e porta alla vallata del Bisagno, verso sinistra a San Desiderio, dove andavo a giocare a pallone quando ero studente.

    La città si è ormai dilatata assorbendo questi antichi nuclei. Qualche casolare è stato ristrutturato, altri abbattuti per far posto a villette anonime. E ci sono quelli semiabbandonati o abbandonati del tutto, con tetto sfondato e muri crollati.

    Persio Marino dovrebbe abitare in uno di questi ultimi, con vista sulla discarica, ma in primavera ed estate la vegetazione fitta farà barriera e lui potrà illudersi di essere ancora padrone del mondo, mentre in settembre vivrà in mezzo all’oro delle nasche.

    Chissà quale era il mondo del morto?

    Perché ognuno di noi ha il proprio, a volte anche più di uno e si passa da uno all’altro.

    Ucciso qui? Ne dubito, penso che sia stato ucciso altrove e scaricato qui.

    È inutile sperare che dalla piazzuola si possa ricavare qualche informazione: se c’erano segni di gomme sono stati cancellati da giorni di pioggia.

    Perché è stato ucciso? Perché il corpo è stato portato qui? Tutto ha un significato, si tratta di scoprirlo.

    Continuiamo a togliere palate di fango, sperando di trovare qualcosa di utile. Lavoro accanto a un collega della Scientifica che è rimasto con la mia stessa speranza e per prelevare dei campioni di fango da confrontare con le incrostazioni sul corpo e sugli abiti.

    Abbiamo finito che era ormai notte e senza aver trovato nulla di utile.

    Sono andato direttamente a casa e ho aperto cercando di non far rumore per non svegliare le figlie.

    Da sotto la porta dello studio filtra un po’ di luce, allora mia moglie sta lavorando. O si è addormentata al computer, le capita…

    Sto togliendo il giaccone schizzato di fango quando si apre la porta dello studio.

    È Francesca che si frega gli occhi e sbadiglia: – Lavoravo e mi sono addormentata. Quanto fango! – Un altro sbadiglio.

    – Un morto, in una discarica abusiva verso Nasche, mezzo sepolto dal fango.

    – Nasche? – Poi un cenno di riconoscimento. – Verso San Desiderio? – Dopo il mio assenso, aggiunge: – Hai portato le figlie a vedere la fioritura di non so che piante…

    – Mi ci portava mio padre. La nasca, in italiano la chiamano conizza, in settembre.

    Si frega gli occhi. Deve essere stanca.

    – Mi infilo sotto la doccia. Vai a letto.

    – Ti ho aspettato per mangiare insieme.

    Per alcuni non sarà una gran cena, ma tonno in scatola, insalata in busta e pane un po’ raffermo a me va benissimo perché li mangio con lei.

    – Così hai un caso, – con la bocca piena, ma capisco quello che sta dicendo perché sono allenato.

    – Niente documenti.

    La sua occhiata è di comprensione pura, sa quanto mi indisponga non conoscere l’identità di una vittima.

    – Indizi?

    – È stato per giorni in una discarica e nel fango che ho contribuito a spalare. Però sembra un omicidio.

    Allunga una mano e prende una mela dalla fruttiera e comincia a morderla. Mi piace vederla mangiare, è come tornare a quando ci siamo conosciuti. A volte penso a come sarebbe più vuota la mia vita se non ci fossimo incontrati.

    Prende un’altra mela e me la porge.

    – Temevo che tu avessi rimpianti per non aver accettato…

    – Rimpianti? No, i grandi giochi non sono per me. Non mi ci vedo all’antiterrorismo a barcamenarmi fra politici che fanno e disfano. No. E non ho mai desiderato fare carriera.

    Annuisce piano. Non è necessario che le dica perché, nonostante tutto, ami questo mestiere, nonostante gli orari assurdi.

    Nonostante la possibilità di sporcarsi di fanghiglia in una discarica abusiva.

    CAPITOLO 2

    Venerdì 16 novembre

    La città sembrava bloccata, per arrivare a un’ora decente, ho dovuto inserire il lampeggiatore sulla mia auto privata, e non mi piace.

    Arrivo, sperando che ci sia qualche buona notizia. Ho soltanto notizie: Bareto ha telefonato dicendo che si sente male e non verrà al lavoro.

    Invece la Petri ha chiamato e, non trovandomi, ha lasciato detto che richiamerà. Questo è strano perché dovrebbe già essere qui: immagino che sia rimasta bloccata da qualche parte.

    La richiamo sul cellulare, accantonando la pila di quotidiani, che un agente ha posato sulla mia scrivania.

    – Petri, qualche problema? Sei rimasta bloccata?

    – No, sì… Le chiedevo se posso prendere altri due giorni di permesso e tornare lunedì.

    Ha tante ferie ancora non usufruite che negarglielo è impossibile, anche se ho un caso. Avrà qualche problema famigliare o di salute, di cui preferisce non parlare. La sua strana voce e il tono esitante dipenderanno da quello.

    – So che ha un caso… L’ho sentito alla radio.

    – Non preoccuparti. Risolvi i tuoi problemi, – sperando di non aver invaso il suo terreno privato, – e ci vediamo lunedì. Tranquilla.

    – Grazie, commissario.

    E riattacca.

    È così strana! Ma non ho tempo per pensarci perché mi chiama Torrazzi.

    – Sono stato su a lavorarci, invece di tornare a casa. Abbiamo visto giusto, Antonio. La morte risale a una decina di giorni. Dovuta ad annegamento.

    – Altro?

    – Il corpo era molto deteriorato, ma ci sono alcune ecchimosi sulla nuca e sull’unico braccio esaminabile. Come se fosse stato tenuto a forza con la testa sott’acqua. Acqua dolce, con lievi tracce di un detersivo usato per pulire i sanitari.

    – Hai chiesto direttamente alla Scientifica?

    – Sì, per far prima. So che non ti dispiace.

    – Fatto bene, Torrazzi.

    – Sembra che fosse un detersivo comune ma di discreta qualità. Forse di casa sua! In carattere con l’abbigliamento.

    – Altro su cui lavorare?

    – Posso soltanto dirti che era in buona salute, Antonio. Età presunta? Intorno ai cinquanta, ben portati. No, non uno che si trascurasse.

    In linea con l’abbigliamento, anche questo.

    – Ho cercato, ero convinto di non avere trovato altro; i topi avevano fatto un lavoro accurato.

    Sento un filo di eccitazione nella sua voce e aspetto che continui.

    – Parte del naso era quasi intatto, nonostante tutto. Croste, Antonio, non molte ma significative.

    Si è interrotto e so di dover chiedere: – Coca?

    – Per inalazione. Forse soltanto in modo sporadico ma sufficiente a lasciare tracce.

    Quindi un distinto cinquantenne che, ogni tanto, inalava coca. – Trovato altro?

    – No, e anche per questo ho avuto fortuna.

    E costanza.

    – Documenti non ne hai trovati, Antonio?

    – Niente. Stiamo controllando se può corrispondere a una persona scomparsa e la scientifica ha ricostruito il viso tanto da poterlo mostrare in giro.

    – Ora vado a casa. Poi ti faccio avere il referto.

    Comincerò con le persone scomparse; escludendo tutte quelle assolutamente incompatibili, ne restano quattro.

    Un uomo a Genova e tre in altre città.

    Comincio dal genovese. Percile Alberto: residente in via al Capo di santa Chiara, anni cinquantadue, divorziato, cointestatario dello studio notarile Percile & Sartori. La sua scomparsa è stata segnalata dal socio Sartori giovedì 8 novembre.

    Vorrei qualcuno con cui parlare, anche Bareto che ascolta per modo di dire, perché parlando mi si chiariscono le idee.

    Andrò da questo Sartori.

    Prendo qualche foto sia del morto sia di una plausibile ricostruzione del suo volto.

    Lo studio notarile è nel Quadrilatero, in via Cesarea, quindi sono venuto

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