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Foglie luminose
Foglie luminose
Foglie luminose
E-book168 pagine2 ore

Foglie luminose

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Info su questo ebook

Questi dieci racconti trattano scorci di vita ordinaria di altrettanti protagonisti. Ciascuno ha un dono speciale che lo contraddistingue; ciascuno, tra incomprensioni, dubbi, passioni e un pizzico di meraviglia, riesce a suo modo a comprendere e vivere la propria realtà. I protagonisti
di questi racconti sono come foglie che, tra stralci di vita quotidiana
e un tocco di magia, cercano il significato della loro stessa esistenza attraverso le proprie peculiarità caratteriali. Nell’arco di una giornata, oppure di una vita intera, questi personaggi collezionano tasselli, apparentemente incolori, fino a quando un raggio di luce illumina
il quadro completo, fermando quell’istante per sempre.

Andrea Piccoli (Piacenza, 1973), appassionato fin da ragazzo di musica e poesia, negli ultimi anni si avvicina al mondo degli haiku e alla loro connessione con la natura. Da qui la nascita del progetto Dust Away che lo vede impegnato sia come compositore (regolarmente iscritto alla SIAE) sia come scrittore. Il 2022 vede l’uscita discografica del primo album da solista dal titolo Bright Leaves e della prima raccolta di racconti brevi Foglie Luminose. Entrambe le opere traggono ispirazione dalle atmosfere autunnali.
LinguaItaliano
Data di uscita31 ott 2022
ISBN9791220134408
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    Anteprima del libro

    Foglie luminose - Andrea Piccoli

    cover01.jpg

    Andrea Piccoli

    Foglie luminose

    © 2022 Europa Edizioni s.r.l. | Roma

    www.europaedizioni.it - [email protected]

    ISBN 979-12-201-2992-3

    I edizione settembre 2022

    Finito di stampare nel mese di settembre 2022

    presso Rotomail Italia S.p.A. - Vignate (MI)

    Distributore per le librerie Messaggerie Libri S.p.A.

    Foglie luminose

    PUNTO INTERROGATIVO

    «… Passa una buona giornata! E non pensarci!».

    Mentre saliva le scale per tornare in camera ripensava a quella frase… «e non pensarci».

    Seee, una parola…

    Comunque, aveva un appuntamento da onorare, non poteva certo riascoltare il messaggio per la terza volta aspettandosi una risposta alle sue domande.

    L’armadio imponente e austero la scrutava. Punto interrogativo. Tanti punti interrogativi spuntavano qua e là.

    «Vediamo un po’ cosa posso mettermi oggi».

    Mmm… pantaloni e camicie, qualche cravatta… chiaro, chissà quante volte avrà aperto quell’anta, eppure era ancora lì a fissare gli omini perfettamente allineati con evidenti richiami ai punti interrogativi.

    Scivolò morbida lungo la facciata, quasi un passo di danza et voilà, i suoi vestiti: abbondanti, stretti, vintage, colorati, neri. Lo sguardo passava da destra a sinistra, sostava di tanto in tanto quando l’indice scostava un punto interrogativo… quasi quasi.

    Un’occhiata fuori dalla finestra, c’era un bel sole e il cielo azzurro, vada per questo.

    Con un gesto rapido scaraventò un paio di jeans sul letto senza nemmeno guardare, a seguire una camicetta a fantasia verde, marrone e giallo ocra che planò delicata sul copriletto fiorato, sembrava quasi che l’autunno accarezzasse la primavera.

    Se l’avesse potuto vedere anche lei… ma di fatto non si era nemmeno girata, l’occhio era caduto su quella scatola in basso, spinta in fondo, coperta dai vestiti lunghi.

    – È prontoooo – un richiamo seguito dal profumo inconfondibile del caffè saliva le scale a piè pari.

    Vada per la colazione. Pensò. La giornata si prospettava impegnativa e ricca di sfumature sicuramente curiose, con la pancia piena si ragiona meglio… no?!

    Ancora in pigiama scese le scale e tra un punto interrogativo e l’altro, eccolo. Il suo uomo. Non bello, non brutto, non troppo alto né basso, un accenno di barba e gli occhi dolci… insomma, nella media… tutto nella media. «Chissà che cosa mi era venuto in mente quel giorno…».

    – Ecco! Come piace a te – il caffè era già pronto sul tavolo.

    – Pronta per la giornata?

    Con mezza ciambellina integrale in bocca inzuppata nel caffè macchiato aveva provato un accenno di sorriso a mo’ di conferma, ma pronta per cosa? E poi… si è veramente pronti ad affrontare una giornata di lavoro, circondata da sconosciuti, essere giudicata, osservata. Chi sa cosa e chi no.

    – Non ti preoccupare. Andrà tutto bene. Vedrai – e quel sorriso, all’improvviso, cambiava letteralmente volto alle prospettive. Persino l’altra metà ciambellina avevo un sapore più dolce, controllò il pezzettino rimasto tra le sue dita per vedere se nel frattempo non si era trasformata in un biscotto al cioccolato. Lo sguardo, di colpo cambiò fuoco, rapito da un quadro alle spalle di suo marito. Fantastico, ogni volta che lo guardava rimaneva incantata. Qui si andava oltre l’immagine di un dipinto, quel cavallo la guardava intensamente, ipnotizzata si alzò per correre in bagno. Possibile?

    L’energia con cui si spazzolò i denti spazzò via ogni accenno di attacco di panico, anche i gorgoglii del suo intestino declassarono a brontolii fino a svanire. Era ora di prepararsi.

    I jeans andavano alla perfezione, leggermente a zampa con la camicetta leggermente svasata… era… era.

    – Sei bellissima – appoggiato allo stipite della porta della camera, suo maritò completò il suo vestito. Quel «bellissima» le calzava a pennello, ma non c’era tempo per rimirarsi. Un’ultima occhiata all’anta semichiusa, un punto interrogativo copriva quel poco che si vedeva della scatola.

    – A più tardi – pensò… o lo esclamò? Non ne era del tutto sicura.

    – Certo! Mi raccomando, ricordati la valigetta e il telefono!

    Ah ok, probabilmente l’aveva urlato senza accorgersene. Ed era comunque rivolto alla scatola.

    Vabbe’, ricapitolando. Valigetta, borsetta, telefono. Ok.

    Breve sosta davanti alla porta di ingresso, indossò le cuffiette. Play.

    Mentre si dirigeva alla fermata dell’autobus guardava avanti, nonostante fosse incuriosita da tutto cercava di non dare nell’occhio, ma continuava a cercare dettagli intorno, cenni di natura tra le strade cittadine, una piuma incastrata tra i rametti fissi di una siepe, una penna in caduta libera persa nello svolazzar frenetico di passerotti giocosi. Qualsiasi cosa andasse oltre al grigio urbano e quotidiano.

    Alla fermata non c’erano tante persone ad aspettare, ma la panchina era comunque occupata. Poco importava, era una bella giornata di sole e il fatto di stare in piedi fuori dalla pensilina le permetteva una visuale più ampia per le sue occhiate investigative. Dietro alla panchina, coperte dalle scritte con lo spray, si intravedevano quelli che sembravano dei cartelloni pubblicitari. Spostandosi leggermente riuscì a leggere: «Indigo. Il jeans figo». Sebbene inizialmente lo slogan l’aveva fatta sorridere, la scritta che la ricopriva era sicuramente d’avanguardia. «Si sta come in primavera, sui rami, i germogli». Un giovane poeta era innamorato.

    E lei? Questa domanda improvvisa si accese nella sua testa e le fece perdere il volo di un gatto che dal terrazzo planava direttamente su un ramo dell’albero di fronte. Chi se lo ricordava… pensava facendo spallucce. E tutti quei passerotti perché fuggono?

    Gli altri non si accorsero di nulla, erano intenti a guardare lo schermo del telefono. Chissà cosa stavano guardando, dalle loro espressioni mica si capiva. Completamente apatici, ridevano dentro? Piangevano dentro? Belli dentro significava forse quello?

    L’autobus era mezzo vuoto, d’altronde l’ora di punta era già passata, prese posto al centro vicino al finestrino, a fianco la sua valigetta. Guardando fuori intravedeva parte del suo volto specchiarsi nel vetro e si sovrapponeva al traffico, alle macchine, alla gente a piedi, in bicicletta, al cane che annusava le ruote dello scooter sul marciapiede. Quale magia si celava nell’occhio, una commistione d’umori, l’impressionismo e i ricordi. Già… i ricordi. Come vengono immagazzinati i ricordi? Cioè, non c’era assolutamente libero arbitrio nella scelta tra quelli belli e quelli brutti? Oppure, perché non si poteva mettere un selettore per decidere quali tenere? Sì/no, on/off, in/out, verde/rosso? Era un’ingiustizia.

    – Scusa? Scusa…? Posso sedermi?

    Presa dalle sue considerazioni binarie non si era accorta che qualcuno le stava chiedendo se il posto a fianco era libero.

    – … e poi potresti almeno salutare…

    Ah… ecco l’ennesimo punto interrogativo.

    – Mi scusi, ero sopra pensiero. Prego – mentre toglieva la valigetta dal sedile.

    – Adesso mi dai del lei? – il ragazzo scrollò la testa e fece una smorfia di disappunto.

    Queste erano le situazioni peggiori, quelle in cui non avrebbe mai voluto trovarsi.

    – Beh certo, la settimana scorsa si pranza insieme e adesso? Sconosciuti. E con quanta disinvoltura. Avrei dovuto capirlo nel momento in cui non avevi mai risposto al mio messaggio…

    Lo osservava senza proferire parola, in questi casi non sapeva mai come reagire, cosa dire. Ma chi mi dice che stava dicendo il vero? Proprio non ricordava.

    Il ragazzo si alzò e, mentre cambiava posto, scrollava ancora la testa.

    Lei si guardò intorno come per capire le reazioni degli altri passeggeri. Qualcuno avrà notato la scena?

    No, non poteva resistere e rimanere su quell’autobus, mancava poco alla sua fermata. Pochi isolati a piedi non erano la fine del mondo, una passeggiata le avrebbe schiarito le idee. Un’ultima occhiata ai passeggeri, nessuno sembrava accorgersi di lei, il ragazzo era già alle prese con il suo telefono. Allungò la mano per premere il tasto rosso della chiamata a richiesta, non si sentì alcun suono ma la luce rossa di fronte all’autista si accese, si andò a preparare davanti alle porte.

    Mentre scendeva un profumo di cornetti appena sfornati l’avvolgeva, purtroppo quel cambiamento di programma le avrebbe fatto perdere tempo e non poteva permettersi il rischio di arrivare in ritardo all’appuntamento. Così prese nota sul telefono (cornetti caldi) e salvò la posizione.

    Magari nel tornare avrebbe potuto fermarsi per uno spuntino.

    Guardò un paio di volte a destra e sinistra per capire la direzione giusta e si incamminò. Cominciava a pensare seriamente a chi avrebbe incontrato fra poco, che persone fossero, cosa avrebbe fatto, sarebbe riuscita a capirli?

    In mezzo a tutti questi punti interrogativi non aveva il tempo per guardarsi attorno, il passo era comunque deciso borsetta sottobraccio, valigetta nella mano sinistra e cuffiette alle orecchie. «Fra 100 metri la sua destinazione si troverà sulla sua destra».

    Ecco, ci siamo. Respiro profondo. Driiiiinnn.

    – Chi è? – (voce metallica).

    – Buongiorno. Sono Valentina.

    – Salga pure. La stavamo aspettando! Terzo piano

    Al click del portone d’ingresso ebbe un sussulto, sono davvero pronta per questo incontro? Sconosciuti? Capiranno?

    Ripensava ancora all’ultima frase del video di due ore prima – «Passa una buona giornata! E non pensarci!».

    Saliva le scale lentamente, dell’ascensore non si fidava. La porta era già aperta, leggermente accostata. Bussò e chiese permesso.

    – Avanti, venga pure.

    Una giovane ragazza stava preparando un vassoio con dei biscotti al cioccolato.

    – Prego, si accomodi pure sul divano.

    Nella stanza c’era anche un ragazzo, marito o compagno chissà, che fissava il tavolo, un solo cenno di saluto al suo ingresso, ma nessuna parola. Nel frattempo, la ragazza stava preparando la caffettiera.

    – Il caffè per ora no, grazie.

    – Ah, non si preoccupi, al limite la terrò pronta per dopo pranzo. Prenda pure – accennando al vassoio.

    Mentre si allungava verso un wafer si guardò intorno: un lato della stanza era dedicata alla cucina, un altro lato porta balcone e una finestra. Le altre pareti erano spoglie, nessun quadro, foto. C’era un grande orologio a muro che segnava tutte le 24 ore, un calendario, una lavagnetta magnetica con un sacco di post-it. In fondo era strano, usare i post-it su una lavagnetta magnetica… vabbe’.

    La ragazza poteva avere all’incirca 25 anni, da vedere così. Il ragazzo passava i trenta o forse era la barba e la decisa stempiatura a farlo più vecchio. Era lui?

    – Allora tutto bene con i mezzi pubblici? Sì insomma… ha avuto difficoltà a trovarci? – domandò la ragazza.

    Come faceva a sapere che lei aveva preso i mezzi pubblici?

    – Tutto bene grazie – Il ragazzo intanto continuava a fissare il tavolo.

    – Mi dia 5 minuti che vado ad avvertire mio figlio.

    Un figlio? Sarà il figlio? Ma quanti anni potrà mai avere il figlio? Anche fare domande al padre sembrava un’idea inutile. Avrebbe risposto?

    Meglio mangiarsi un altro wafer, anche il caffè a questo punto non sarebbe una brutta idea. Magari corretto…

    La ragazza si affacciò alla porta e le fece un cenno di seguirla.

    Quattro passi e in fondo al corridoio sulla destra c’era una porta socchiusa, dall’interno non proveniva alcun rumore.

    – Entri pure Valentina.

    Sdraiato a letto, sopra le coperte, c’era un bambino che guardava il soffitto, non si era nemmeno voltato nel momento in cui era entrata. La mamma accostò la porta per lasciarli soli. La stanza era colorata, come quella di un qualsiasi bambino, c’erano foto e disegni, perlopiù scarabocchi. Palline, macchinine, un orsacchiotto, pistole giocattolo, soldatini… tutto stranamente in ordine, troppo in ordine per essere una cameretta di un bimbo che avrà avuto 5, al massimo 6 anni.

    – Ciao, come ti chiami?

    – Francesco – il suo sguardo inclinò leggermente verso l’angolo del soffitto opposto all’ingresso.

    – Io sono Valentina.

    – Lo so. Ho sentito prima come ti chiamava la mamma. Non sono mica sordo. Perché sei qui? Vuoi parlare con me? Come gli altri estranei che vengono ogni tanto?

    – Volevo vedere i tuoi giocattoli, sai se avrò un

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