Fannì
Di Giulia Dessì
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Anteprima del libro
Fannì - Giulia Dessì
Prefazione
L’autrice di questo romanzo, superata la soglia degli ottant’anni e alla sua prima esperienza da scrittrice, è riuscita a portare a termine un progetto tenuto in serbo per gran parte della sua vita: raccontare la storia di Fannì.
Leggendo il romanzo è facile comprenderne le ragioni. Una vita straordinaria, quella di Fannì, che stupisce per il coraggio e l’orgoglio mostrati in un’epoca in cui l’essere donna, nonostante l’organizzazione matriarcale della società, portava con sé una naturale condizione di sottomissione e dipendenza. Tuttavia, così non è stato per la protagonista di questo romanzo. Lei, con una forza straordinaria, è riuscita a rompere gli schemi e ad andare oltre le convenzioni compiendo scelte che avrebbero potuto relegarla ai margini di una società ancora lontana da percorsi di emancipazione femminile.
Certo Fannì non ha fatto tutto da sola. Per lei, la famiglia di origine, nel senso più completo del termine, ha avuto un ruolo fondamentale. Una famiglia che ha saputo trovare nell’amore quella forza e risolutezza che traspare dalle righe di questo romanzo.
Le vicende cominciano alla fine dell’ottocento e si svolgono per tutta la prima metà del novecento. I luoghi narrati sono diversi, ma certamente è Villacidro a rappresentare l’ambientazione principale di un intreccio sapientemente ricostruito dall’autrice, anche narratrice della storia.
Con una narrazione delicata e un linguaggio semplice, le vicende principali vengono arricchite da temi che delineano con chiarezza i contorni di quell’epoca. In primo piano vi è sicuramente la condizione femminile, ma altri temi quali la guerra, la povertà e le disuguaglianze sociali emergono con voce chiara tra le parole scritte. Nondimeno, le molte tradizioni riportate contribuiscono a raccontare un po’ di storia di una Sardegna a molti sconosciuta.
Un realismo, quello contenuto in questa storia, che è reso ancora più convincente da una straordinaria quantità di ricordi che l’autrice ha saputo custodire come veri tesori nei cassetti della propria memoria. Non si tratta solo di fatti relativi a una storia che più volte le è stata raccontata dalla stessa protagonista. Si tratta anche di episodi legati a momenti particolari della sua vita e che, ancora una volta, vedono il paese di Villacidro come assoluto protagonista. Un luogo che le ha regalato alcuni tra i momenti più felici e spensierati di una fanciullezza che, come spesso accadeva in quei tempi, era piena di restrizioni e finiva molto presto.
Quindi, quel trenino che nella storia conduce Fannì da Sanluri-Stato a Villacidro è lo stesso trenino carico di felicità che conduceva mia madre verso libertà e spensieratezza. Villacidro è per lei ancora oggi ciò che di più buono e di più bello si possa immaginare. Mai la nostra tavola è stata arricchita di arance più dolci o di olio più gustoso di quanto non provenisse da quelle terre. Per non parlare, poi, delle ciliegie!
Carla Massidda
Lettera a zia Fannì
Cara zia Fannì,
ricordo come fosse ieri, le sere d’inverno trascorse davanti al caminetto quando raccontavi a noi bambini le vicende della tua vita straordinaria. Io ne rimanevo estasiata, facendo tesoro di ogni dettaglio affinché rimanesse indelebile nella mia memoria. Ricordo perfettamente che tu concludevi sempre dicendo: La mia vita è stata come un romanzo. Se ne fossi capace, lo scriverei
.
Ora che sono vecchia, molto più vecchia di quando tu te ne sei andata, l’ho fatto io per te. Te lo dovevo per tutte le volte che con pazienza e, spero, con piacere, rivivevi la tua vita per potermela raccontare. Mi piacerebbe che i lettori di questa storia, realmente accaduta, potessero vivere almeno in parte le stesse emozioni che riuscivi a trasmettermi tu.
In ogni caso, una cosa so per certa: io mi sono divertita e, a momenti, anche commossa a scrivere la tua storia, soprattutto perché ho ripercorso la mia giovinezza. Mi sono tornate alla memoria tante vicende che erano finite in qualche angolo perduto della mia mente e, nel riscoprirle, spesso ho risentito la tua voce e la tua presenza.
Se tu, come spero, da lassù mi hai seguita in questo percorso, ti sarai accorta che alcuni episodi li ho un po’ ritoccati, altri, poi, me li sono anche un po’ inventati. Mi auguro che non ti sia arrabbiata, ma che tu abbia sorriso benevola per questa tua nipote che si è illusa di essere una scrittrice. Certamente tutto è nato per il grande affetto e per l’ammirazione che ho sempre avuto nei tuoi confronti; ma non è solo questa la ragione per cui ho deciso di raccontare la tua storia. Ho sempre desiderato che chi non ha avuto la fortuna di conoscerti, sappia che grande donna sei stata e si consoli pensando che si può combattere contro le ingiustizie.
Con tutto il mio amore,
Giulia
Capitolo 1
Il calesse varcò il cancello quando l’orologio della chiesa scoccava le due. Fannì sedeva al centro con la piccola Maria avvolta nelle coperte, ai lati Lucianna ed Ernesto, che teneva le redini e il fucile. Avevano salutato in lacrime Assunta e Alfonso, in gran silenzio, in modo che nessuno si svegliasse. Maria aveva appena aperto gli occhi quando la mamma l’aveva sollevata dal lettino, ma poi era ripiombata nel sonno. Fannì e Lucianna si erano vestite con abiti maschili e un cappellaccio in testa.
Chi li avesse incrociati, al buio avrebbe notato solo tre uomini sul calesse. Neanche l’occhio più acuto avrebbe distinto Maria avvolta nelle coperte.
Imboccarono la via principale che li avrebbe portati fuori dal paese. Ernesto teneva le redini tirate così che il cavallo procedesse a passo d’uomo e facesse meno rumore possibile. Erano affiancati da due uomini a cavallo, anch’essi armati di fucile. Nessuno parlava, sembrava che trattenessero il respiro. La notte buia e senza luna era a loro vantaggio.
Usciti dal paese, Ernesto allentò le redini e impose al cavallo un’andatura più rapida; dovevano affrontare un lungo viaggio. Fannì sollevò gli occhi al cielo e vide che era punteggiato di stelle; cercò di respirare a fondo per calmarsi un po’, ma il cuore le batteva nel petto all’impazzata. A mano a mano che le luci del paese si allontanavano, la tensione cominciò ad attenuarsi, anche se la morsa della paura continuava a stringerle l’anima.
Iniziarono, poi, a scambiarsi qualche parola, ma a bassa voce. Gli uomini a cavallo andavano avanti e indietro scrutando la campagna e poi tornavano a fianco del calesse. Soprattutto stavano più in allerta in prossimità delle curve perché temevano un’imboscata da un momento all’altro. Non era per niente improbabile che Chicchino, sospettando qualcosa, avesse fatto appostare uno dei suoi servi nei pressi della casa dove si trovava Fannì per spiare eventuali movimenti. Perciò, stavano sul chi va là dove la vegetazione si faceva più fitta.
Solo passata S’acqua cotta, quando la strada si allungava e diventava un lungo rettilineo in mezzo alla campagna piatta, spoglia e senza alberi, gli animi si fecero più tranquilli. Lungo i chilometri che seguirono non incrociarono anima viva, solo qualche cane randagio. Attraversarono paesi addormentati.
Soltanto verso le quattro del mattino, percorrendo Decimo, sentirono delle voci provenire da un panificio dove si lavorava alacremente per far sì che il pane fosse pronto alle prime luci dell’alba. Qualcuno si affacciò, incuriosito da quello strano convoglio, ma subito tornò dentro per continuare il proprio lavoro.
Arrivarono a Cagliari quando all’orizzonte sul mare si poteva ammirare la striscia rossa e oro dove a breve sarebbe sorto il sole. Lo spettacolo era meraviglioso e tutti fissarono lo sguardo in quella direzione. La città si stava svegliando; già si vedevano alcuni passanti frettolosi andare al lavoro. In quel momento Maria si svegliò, si tirò su a sedere e stropicciandosi gli occhietti disse: Ma tu non sei una strega, tu sei bella
. Fannì se la strinse al petto e con le lacrime agli occhi rispose: Sono la tua mamma, tesoro, che ti vuole tanto bene
. Anche nei giorni seguenti la bambina, di tanto in tanto, fissando gli occhi della madre, continuò a rivolgerle sempre la stessa domanda: Ma tu non sei una strega, vero?
Oltrepassata la città, capirono che la fuga si sarebbe conclusa senza imprevisti. Ancora una mezz’oretta e sarebbero arrivati a Monserrato dove, nella grande casa di famiglia, avrebbero iniziato una vita più serena.
Capitolo 2
Fannì apparteneva alla famiglia Sollai. Il padre Giovanni e la madre Rita erano originari di Monserrato, dove possedevano terreni e una bella casa campidanese. Si erano trasferiti nel 1885 a Villacidro, dove Giovanni Sollai, che di mestiere faceva l’esattore,