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Andragathos: 'Nduja Connection
Andragathos: 'Nduja Connection
Andragathos: 'Nduja Connection
E-book263 pagine3 ore

Andragathos: 'Nduja Connection

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Info su questo ebook

Carmine Turano è un camionista che consegna carni a ristoranti e macellerie della zona ovest di Sydney. Ha un passato da giovane viziato, senza arte né parte, barcamenandosi tra un lavoro occasionale e l'altro e solo un "incidente di percorso" lo ha costretto a prendersi delle responsabilità. Dal padre, un migrante calabrese
LinguaItaliano
EditoreBELSID
Data di uscita13 feb 2023
ISBN9780645197433
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    Anteprima del libro

    Andragathos - Danilo Sidari

    Andragathos

    Danilo Sidari

    romanzo

    A Pasquale Sidari

    A Nicola  Gratteri

    Andragathos – ‘Nduja connection è un’opera di fantasia. I nomi, i personaggi, i luoghi e i fatti narrati sono frutto dell’ inventiva dell’Autore. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale.

    Macrobius ponit septem partes fortitudinis, scilicet magnanimitatem, fiduciam, securitatem, magnificentiam, constantiam, tolerantiam, firmitatem. Andronicus etiam point septem virtutes annexas fortitudini quae sunt eupsychia, lema, magnanimitas, virilitas, perseverantia, magnificentia, andragathia. Ergo videtur quod insufficienter Tullius partes fortitudinis enumeravat.

    Summa Theologiae

    Secundae Partis, Volumen Quartum, Articulo I, Quaestio CXXVIII

    S. Thomae Aquinatis (1225 - 1274)

    Il primo passo è la consacrazione del locale ove avverrà il rito e la formazione della società. Il capo-società è colui che presiede il rito. Questa è la formula della consacrazione:

    Capo-Società: Buon vespero. Saggi compagni

    Gli altri: Buon vespero

    Capo-Società: State accomodi per battezzare questo locale?

    Gli altri: Stiamo accomodi

    Capo-Società: Io battezzo questo locale sacro santo e inviolabile come l'hanno battezzato i tre vecchi cavalieri spagnoli Osso, Mastrosso e Carcagnosso, se prima lo conoscevo come un locale di transito e passaggio da ora in poi lo riconosco per un locale battesimale dove si battezzano picciotti, giovani d'onore e camorristi. 

    Questa è la formula di formazione della società:

    Capo-Società: Buon vespero

    Gli altri: Buon vespero

    Capo-Società: Siete conformi?

    Gli altri: Siamo conformi.

    Capo-Società: Calice d'argento, ostia consacrata, parole d'omertà è formata società

    Dopodiché i presenti si baciano la mano e si siedono a braccia conserte. Rimarranno così per tutta la durata della riunione, ad eccezione del capo-società. Allora inizia il vero e proprio battesimo del contrasto onorato, al termine del quale verrà chiamato Picciotto d'onore.

    Il Capo-società comincia con:

    Prima della famiglia, dei genitori, dei fratelli, delle sorelle viene l’interesse e l’onore della società, essa da questo momento è la vostra famiglia e se commetterete infamità, sarete punito con la morte. Come voi sarete fedele alla società, così la società sarà fedele con voi e vi assisterà nel bisogno, questo giuramento può essere infranto solo con la morte.

    Il contrasto onorato, allora, mostra la mano sinistra. Con un coltello, gli viene punto il dito indice e il suo sangue cade su un santino di San Michele Arcangelo, che poi viene fatto bruciare (in carcere, invece, è permesso non incendiare il santino).

    La formula del giuramento che il contrasto onorato deve recitare è, più o meno, questa:

    Io giuro dinanzi a questa società di essere fedele con i miei compagni e di rinnegare padre, madre, sorelle e fratelli e se necessario, anche il mio stesso sangue.

    Infine, il rituale si conclude con lo scioglimento della Società, che avviene con la seguente formula:

    Capo-società: Da questo momento abbiamo un nuovo uomo d'onore, Società ha formato, il circolo è sciolto. Buon vespero.

    Gli altri: Buon vespero.

    Da questo momento, il contrasto onorato diviene Picciotto d'onore, quindi membro della Società Minore della 'Ndrangheta.

    Codicicriminali.blogspot.com

    Capitolo I

    4 aprile 2015

    Alla vigilia di quella Pasqua di Resurrezione 2015, in giardino, nel silenzio del primo mattino interrotto solo dallo sporadico gracchiare di qualche pappagallo, Carmine Turano sorseggiava con gusto il primo caffè della giornata. Quel luogo così familiare, quel momento di intimità, lo stato d’animo che sentiva crescere in sé considerando le sofferenze del Cristo, lo spingevano a ripercorrere mentalmente quella che era la sua attuale condizione.

    Le campane della vicina chiesetta intitolata a St. Thomas Aquinas avevano appena battuto le sette quando Carmine, che aveva poco prima passato al setaccio la sua vita privata, andava concludendo l’analisi di quella professionale con un resoconto tutto sommato positivo.

    In mattinata, sul tardi, arrivava nel suo ufficio al secondo piano del club che dirigeva. Questo perché quasi quotidianamente, prima di poter poggiare le natiche sulla comoda poltrona in pelle, doveva sbrigare alcune incombenze legate alla sua professione di amministratore delegato.

    Un paio di volte alla settimana, in media, doveva recarsi nel centro affari della City dal commercialista, Anthony Bonera, figlio di emigrati piemontesi, per sbrigare certe pratiche.

    Ma Turano, già sempliciotto di suo e in possesso di un’istruzione insufficiente a valutarle, pur rendendosi vagamente conto di quelle inconsuete procedure, non aveva le palle per contestarle e si faceva quindi bastare le rassicurazioni del suo datore di lavoro e di Bonera sulla loro legittimità.

    Per il suo aspetto fisico e per i suoi modi di fare Bonera dava l’idea del rapace in procinto di scendere in picchiata sulla preda e amava intrattenersi con lui a proposito di codicilli che, affermava, avrebbero fatto calare di qualche punto percentuale l’aliquota imponibile.

    Si trattava, beninteso, di pratiche legali  ̶  Bonera non transigeva su questo  ̶  sebbene esse, se osservate da occhi dinteressati, non fossero altro che una serie di sotterfugi amministrativi messi in atto per abbattere il contributo fiscale delle classi più abbienti.

    Sovente Turano si attardava in banca dove s’intratteneva con il direttore oppure, ad appena un paio di isolati di distanza, con il consulente finanziario.

    Con il primo, tale Fitzpatrick, dopo l’immancabile dissertazione su meteo, sport e belle donne, finiva immancabilmente, come da istruzioni ricevute, per lamentarsi per il ritardo con cui la banca concedeva le aperture di credito mensili richieste dall’azienda che amministrava: decine di migliaia di dollari. 

    Si trattava di schermaglie dialettiche che facevano parte dei compiti per cui Turano era retribuito e che in prima battuta vedevano sempre Fitzpatrick opporsi categoricamente. Il direttore però sapeva bene quanto il concedere quei prestiti gli avrebbe fruttato sottobanco e di conseguenza, dopo aver nicchiato e tergiversato il giusto, tanto per salvare la faccia, finiva per apporre la sua firma sui documenti necessari. 

    Il consulente finanziario poi, Lou Belmont, appena lo vedeva assumeva l’espressione e la postura corporea del buon samaritano. Una posa che neanche a un tipo come Turano, superficiale di suo, risultava credibile e che egli in cuor suo biasimava. Perché intuiva che pur potendo contare su una facciata di legalità, Lou era una persona che non si sarebbe fatto scrupoli se si fosse trattato di incamerare grosse somme di denaro, anche se questo avesse provocato la rovina di migliaia di piccoli risparmiatori come lui. Niente che potesse anche lontanamente essere paragonato a chi dà una mano al prossimo senza aspettarsi un tornaconto.

    Turano, che dalla sua poteva vantare il suo metro e ottantacinque per novanta chili, aveva comunque sempre l’impressione che gli abiti eleganti e attillati che Lou immancabilmente indossava dovessero da un momento all’altro esplodere, incapaci di contenerne il fisico palestrato.

    Appena la segretaria accompagnava Carmine nell’ufficio dell’esperto in latrocini, situato in uno degli edifici più prestigiosi della città, questi lo faceva accomodare sul confortevole divano riservato agli ospiti e per dare all’incontro un’atmosfera più confidenziale gli si sedeva a fianco. Intanto la signorina, che a uno sguardo d’intesa del suo capufficio si era allontanata, rientrava nell’ufficio portando un vassoio con due tazzine di caffè, rigorosamente ristretto all’italiana, e qualche dolcetto.

    Belmont a questo punto la liquidava con uno sguardo che la diceva lunga sulla sua concezione dell’universo femminile e passava a discettare sulla passione che condivideva con Turano: i cavalli da corsa.

    La manfrina andava avanti per una decina di minuti prima che Belmont, con una delle sue celeberrime architetture orali, pian piano passasse al vero argomento dell’incontro: discutere della maniera più proficua di investire i non trascurabili utili che un’azienda produceva.

    Lou era un logorroico compulsivo: parlava, parlava, parlava convinto com’era che più avesse dato sfoggio alla sua preparazione professionale e più sarebbe risultato convincente con il suo cliente.

    Turano dal canto suo badava al sodo: aveva capito fin dall’inizio che maggiore era il rischio che l’investimento prospettava e maggiore era la resa e con questo basilare principio in testa investiva quello che, dopo aver provveduto alla famiglia, rimaneva del suo stipendio di manager del club.

    Per il resto, per l’impiego degli introiti del club stesso, qualcun altro avrebbe preso le decisioni in merito.

    Così Carmine lasciava sfogare il consulente per un tempo sufficiente a giustificare la sua parcella ma poi, non appena questi per un qualunque motivo si concedeva una pausa, entrava a gamba tesa:

    - Vabbé Lou, ho capito. Facciamo così: fammi una stampata dei prodotti che consigli questa settimana. Ne parlo col capo e ti faccio sapere cosa ha deciso.

    L’altro assumeva un’espressione contrita, quasi di sgomento, per essere stato interrotto nell’esporre le proprie teorie, ma pur ingoiando amaro  ̶  si trattava di un cliente dopotutto, ignorante ma pur sempre un cliente e il cliente, ça va sans dire, ha sempre ragione  ̶  si atteneva alla richiesta di Carmine.

    Dopo avergli passato una manciata di fogli A4 con l’elenco dei prodotti finanziari e i grafici di resa a breve, media e lunga scadenza ad essi riferiti, lo congedava in modo cordiale.

    Già in ascensore Turano sospirava di sollievo per essersi sottratto a quell’uragano verbale e iniziava a pregustare l’intimità del suo ufficio.

    In auto, una berlina giapponese di lusso, guidando in direzione ovest, verso i quartieri semi periferici della città dov’era situato il club, si compiaceva per come fosse riuscito ad adattarsi a fare un lavoro di concetto, visti i suoi umili precedenti professionali.

    Con un ghigno sul viso che esprimeva la sua intima soddisfazione, Turano si compiaceva del suo accresciuto autocontrollo grazie al quale era riuscito a non rimandare con male parole ai vari mittenti  ̶  e pensava a personaggi del tipo di quel Belmont  ̶  la loro malcelata presunzione. 

    Del resto, e lo sapeva bene, in quella ditta i cosiddetti colpi di testa non erano ammessi: l’autorevolezza del suo datore di lavoro li escludeva. E poi, in definitiva, la sua autostima era gratificata dal suo ruolo nell’azienda e dalla munifica remunerazione che percepiva.

    La consapevolezza di essere niente altro che un semplice passacarte, un anonimo prestanome, colui cioè che nella parlata locale veniva definito un dummie, un manichino, lo lasciava quasi del tutto indifferente.

    Capitolo 2

    10 marzo 2011

    Tutte le mattine la stessa storia: il camion è vecchio e ce n’è sempre una. O sono gli iniettori o la batteria o i filtri oppure l’impianto idraulico e insomma ogni giorno sono cristi e madonne per metterlo in moto. E non è che quelli di Mahmoud, di Jack o di Costa, i miei colleghi autisti, siano in migliori condizioni. 

    Sì ma pomeriggio quando torno in deposito glielo dico a Shaun, così non si può andare avanti. È inutile che poi esce tutto fico dall’ufficio, l’incarnazione dell’imprenditore di successo che s’è fatto da sé, a triturarci le palle con le sue teorie sull’efficienza, la produttività, la specializzazione e via discorrendo. Cominciasse con il darci dei mezzi di trasporto funzionanti. 

    Come se già non fosse un lavoro pesante il nostro: ore e ore guidando nel traffico di Sydney e quando ti fermi dai clienti, le macellerie, i ristoranti, i club e via discorrendo, ti metti in spalla quarti di bue, mezze carcasse di maiale e di agnellone e poi sudato o infreddolito, fai dentro e fuori dalle celle frigorifere e ti spezzi la schiena per appenderli ai ganci. Senza contare, poi, casse e casse di pollame e carni varie.

    A metà del giro ti fermi mezz’oretta per mangiarti un panino che ti porti da casa e berti una bibita e poi riprendi fino all’ultimo cliente. In genere sono sei o sette ore al giorno, ma sotto le feste anche dieci. Quando poi si finisce il giro si torna in deposito dove i macellai hanno fatto a pezzi le bestie e si carica per le consegne del giorno dopo. Prima di andarsene attacchiamo il frigo del camion e ci facciamo una doccia perché a quel punto siamo conciati da fare schifo.

    Lavoro per Shaun O’Connolly da più di vent’anni: certo, non è il massimo fare questa vita, ma si sa com’è, quando hai due figli che fanno l’università, non è che puoi andare troppo per il sottile. Rebecca va per i ventiquattro e fa il master di Finance Marketing e quello scavezzacollo di Tommaso ne ha appena fatti ventuno e anche lui ha deciso di studiare Economia.

    Che poi a parte i figli anche noi, intendo ioe Jennifer, mia moglie, dico un cinema, una cenetta al club ogni tanto, qualche fine settimana fuori, al mare o in montagna, non è che si vive solo per lavorare. O sbaglio?

    La ditta dove lavoro si chiama True Blue Meats e serviamo la zona ovest della città.

    Il deposito è a Auburn e da lì, in quattro, facciamo consegne da Campbelltown fino a Blacktown a ovest e Pennant Hill verso nord. Dunque sui camion siamo noi quattro. In deposito ci sono cinque macellai: Mario, uno di Cuneo, Jussuf e Steve alle bestie grosse e poi Tina e Vanessa al pollame. In ufficio c’è Shaun appunto, con sua moglie Madeleine, che vuole che la chiamiamo Maddie e poi Gabrielle, una bella mulatta sulla trentina, che viaggia in continuazione tra l’ufficio e il magazzino per coordinare il lavoro.

    Anche Maddie è una bella donna. Ma Cristo, sembra che venga da un altro pianeta. Quanto se la tira. Invece Tina e Vanessa sarebbero carine, sono alla buona e stanno allo scherzo ma poverine, quando le guardi con quelle cuffiette ridicole e quei grembiuli bianchi di gomma tutti sporchi di sangue e merda, ti passa tutta la fantasia.

    Va be’, fammi guardare la lista di consegne. Il primo è O’Brien, l’irlandese che ha la macelleria a Granville: due quarti di bue, mezzo maiale e quattro cassette di polli. Poi l’R.S.L. sempre a Granville, il solito; Woolworth allo shopping centre di Ermington, il solito; Meat Lovers a Carlingford... cosa? Tre cosciotti d’agnello oltre al solito? Dev’essere impazzito! E poi eccolo qua, il mio favorito: Augusto Molinari, anni settantasette, da Formigine vicino Modena, ristorante La Casaccia a Parramatta, cucina povera, frattaglie, si fa per dire, fegato, lui lo cucina con le cipolle alla veneziana, lingua per il bollito e poi i conigli, i polli, le fettine di vitello e le cotolette d’agnello. Poi c’è Capece, il napoletano che ha la macelleria nello shopping centre di Winston Hills; il Pink Lady Club, che mi sa che di notte è un mezzo bordello, a Pennant Hills e finisco a Blacktown dal cinese, coso lì, Wen, infatti guarda qua, mezzo bue, le costine di maiale e tre cassette di oche.

    Non c’è male: se non c’è troppo traffico per le due e mezza, tre al massimo sono in deposito. Carico e per le cinque sono a casa.

    O’Brien mi accoglie dandomi del mafioso, che son cose che fanno piacere di mattina alle otto e mezza. Lui scherza, lo so, ma cazzo io mi rompo la schiena tutto il giorno e quando penso a chi invece s’arricchisce con i soldi della droga e che lo paragonano a me, mi sento una cosa che parte dallo stomaco e sale, sale su fino al cervello e vorrebbe esplodere...

    Ma sto allo scherzo, ci mancherebbe, non è cattivo e poi è un buon cliente, a Natale molla sempre il centone di mancia, a Pasqua la cassetta di birra, insomma si fa benvolere. Ma gliele canto anch’io però, cazzo d’irlandesi sono come noi wogs, anche peggio.

    Guarda in America, per dire, i Kennedy: lo sanno anche le pietre che erano mischiati con i siciliani. L’ho letto nella biografia di Sam Giancana. In un libro, sì, ogni tanto anch’io leggo un libro: non molti, non ho molta testa di leggere e poi alla sera sono stanco, ho voglia di rilassarmi, mi guardo qualche stronzata alla televisione. Insomma lì, Giancana, lo dice chiaro e tondo che i Kennedy li hanno sparati perché quando sono andati alla Casa Bianca non hanno rispettato l’accordo di favorire Cosa Nostra che suo padre aveva fatto sottobanco, si capisce, con i mammasantissima.

    Mi bevo il caffè solubile che mi ha fatto la moglie di O’Brien nel retrobottega: me lo porge strusciandosi e poi quando le palpo il culo scappa via tutta moine, fa la scandalizzata, ma per finta si capisce, ché noi italiani, dice lei, siamo tutti stallions come Rocky Balboa. Sì vai, corri corri che qualche giorno che ti trovo da sola in negozio te lo do io Rocky Balboa... 

    Oggi si viaggia bene, non c’è casino. Sydney è ogni giorno sempre peggio, il traffico intendo. E per forza! Due milioni e mezzo di veicoli immatricolati, va be’ non gireranno tutti allo stesso tempo ma santa Madonna almeno un milione di macchine, di camion, di autobus, di furgoni al giorno ci saranno sulle strade no? E continuano a costruire tangenziali, gallerie, autostrade, allacci e santi e madonne. Dico io con tutti i soldi di tasse che ci prendono e non sarebbe meglio aumentare i treni e gli autobus e metterli a prezzi bassi e a giro continuo per levare gente dalla strada?

    Invece i treni sono vecchi e sempre pieni come scatole di sardine; gli autobus sono pochi rispetto al necessario e sono sempre in ritardo per via che vengono imbottigliati nel traffico e le macchine sono sempre di più e beato chi vende benzina e gasolio.

    Cosa vuoi farci? È il giro così, entri nell’ingranaggio e poi non ne esci più. Quando si ha la responsabilità di una famiglia c’è poco da fare lo schizzinoso e a voglia di rospi che ti devi ingoiare per tenere in piedi la baracca. Comunque anche Jennifer lavora da anni come cassiera al K-mart di Dulwich Hill e insomma tiriamo avanti dignitosamente. E poi, ringraziando Dio, la salute non manca, siamo uniti, ci vogliamo bene, siamo una famiglia normale, che fa una vita normale, come tante altre.

    Capitolo 3

    4 aprile 2015

    Tutta lì, l’esistenza di Turano: una vita monotona, senza alti e bassi, scandita da avvenimenti di poca rilevanza, ma comunque degna di essere vissuta con al fianco una donna che gli voleva bene, due figli che adorava e con una situazione finanziaria che pur non permettendogli stravizi, garantiva a lui e ai suoi cari un vivere quieto, senza particolari stress né preoccupazioni.

    Ma perché, a oltre cinquant’anni, un uomo tutt’altro che temerario  decide di dare un calcio alla tranquillità per imbarcarsi in un’impresa del genere? Perché nel giro di qualche settimana uno scaricatore di carni macellate, un individuo in definitiva senza né arte né parte, si carica sulle spalle la responsabilità di dirigere un’azienda?

    Carmine era nato nel millenovecentosessantadue in un paesino dell’entroterra di Bova, in  provincia di Reggio Calabria.

    Uno di quei posti dove il tanto decantato boom economico non era mai giunto. Le ‘ndrine presenti sul territorio avevano messo le mani sul fiume di denaro proveniente dalla Cassa per il Mezzogiorno. Qualche  soldo si era visto grazie alle rimesse degli emigrati nel nord Europa, negli Stati Uniti e in Australia. 

    Molte famiglie avevano abbandonato i vecchi casolari in pietra arroccati sulle colline affacciate sul Mar Jonio e con i soldi che arrivavano dall’estero, avevano costruito nuove abitazioni lungo la litoranea che correva parallela alla ferrovia, a due passi dalla spiaggia.

    La stragrande maggioranza di esse era costituita da un perimetro di muri di mattoni non intonacati sovrastati da una soletta di cemento armato da cui orrendi spuntoni di tondino di ferro bucavano il cielo azzurro e la dicevano lunga sulla speranza di potere un giorno, a seguito di successive rimesse,

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