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Evaristo: E il Kommando Micetti Assassini
Evaristo: E il Kommando Micetti Assassini
Evaristo: E il Kommando Micetti Assassini
E-book122 pagine1 ora

Evaristo: E il Kommando Micetti Assassini

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Info su questo ebook

Evaristo è un gatto modificato geneticamente dal Vaticano per essere una brutale macchina assassina.
Ruggero è un esperto di esplosioni.
Micetto è un buon pilota e gli piacciono le tette grosse.
Osvaldo guarda gli altri che lavorano sorseggiando un mojito; lui la chiama attitudine al comando.
Insieme sono il KMA, il Kommando Micetti Assassini!
(Fate suonare la sigla di A-Team nella vostra testa, ma cambiate qualche nota che non ho pagato i diritti d’autore.)

LinguaItaliano
Data di uscita22 mar 2023
ISBN9798215521557
Evaristo: E il Kommando Micetti Assassini
Autore

Walt Popester

Classe 1985, Walt Popester ha navigato per anni in giro per il mondo, lasciando che le differenti culture, lingue, cucine, architetture e religioni contaminassero il suo modo di concepire l'esistenza e di scrivere. La saga Dark Fantasy ‘Dagger’ è il risultato di sette anni di ininterrotto lavoro, tra stedure ed editing continui, passati quasi interamente a cercare l’elemento esotico e il punto di rottura con la tradizione. Non ha gatti, non ha una coda da cavallo, ha un debole per l'Italia centrale e, quasi di conseguenza, pensa che una persona non dovrebbe avere più amici di quelli che può ospitare alla sua tavola.

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    Anteprima del libro

    Evaristo - Walt Popester

    Evaristo sapeva che c’era sempre un buon modo e un buon motivo per uccidere qualcuno.

    Nell’oscuro cuore della giungla aveva dato la caccia ai più spietati signori della macelleria africana. In Sud America qualcuno lo ricordava per aver detronizzato quel narcotrafficante o quel dittatore lì, e uno sceicco tagliagola non poteva mai considerarsi al sicuro nella propria fortezza nel deserto, se il Vaticano metteva Evaristo sulle sue tracce.

    Eppure, nonostante gli omicidi e i brutali ammazzamenti di cui era stato protagonista, a guardarlo bene Evaristo era solo un gatto. E come ogni gatto adorava i pesci. Ne aveva uno incorniciato sopra il letto, un dipinto acquistato nel suo primo giorno di fuga, o di libertà, dal LSSS – il Laboratorio Segreto di Sua Santità.

    Buon uomo, quanto viene quel quadro? aveva domandato all’artista di strada.

    Quello si era schiarito la voce per rispondere: AHHHHH! Un gatto che parla!

    (risate registrate)

    E il povero gatto via, a scappare fra la gente e le bancarelle del mercato come quella volta a Baghdad.

    Da allora Evaristo aveva capito che il mondo là fuori non era ancora pronto per il cambiamento, anche se prima o poi la gente si sarebbe arresa all’evidenza delle cose: alcuni gatti, per opera di un uomo folle, avevano acquisito conoscenze e abilità segrete. E anche se ogni cosa intorno a lui sembrava dire: Rimanete nelle retrovie, gatti assassini e spie, nascondetevi lì dietro e non salite sul palco. Farete pure andare avanti il mondo, ma qui non c’è spazio per voi, Evaristo aveva sempre ben chiaro chi era e quello che aveva fatto; il proprio valore.

    Se si fosse lasciato scoraggiare dalle pedate di un qualsiasi sedicente artista, non sarebbe mai arrivato dove era arrivato in quel momento, o almeno non nel modo in cui c’era arrivato: vivo. Quindi, per niente scoraggiato dallo spiacevole avvenimento, si era comportato come si sarebbe comportato qualsiasi altro gatto nella sua situazione. Aveva aspettato la notte per indossare la sua tuta in pvc nero – debitamente conservata anche se aveva smesso con le missioni segrete –, si era calato con una corda, una capriola e hop, era dentro la tana dell’artista.

    Sì, d’accordo. Era solo un gatto bianco, educato e pacato se nessuno gli pestava la coda, e a guardarlo leggere Harry Potter la sera non avresti mai detto che lui era lo stesso che aveva fatto quello che aveva fatto quella volta a San Juanito Bay. Ma sapeva ciò che voleva e prima o poi trovava sempre il modo di averlo. Pensò che questo sarebbe diventato un problema in un mondo che gli chiedeva di tener sempre la testa bassa. Lo era stato per il dottor Franco, suo padre, o forse solo l’uomo che lo aveva creato nelle profondità del Laboratorio Segreto.

    Quella sera, al tramonto, Evaristo osservò il pesce appeso alla parete, la faccia di quest’ultimo ebete e la bocca semiaperta, come se i guai della vita non lo avessero mai toccato perché per lui la cosa più importante era starsene per conto proprio sott’acqua, lontano da tutti gli ami e i vermi di questo mondo crudele. Si domandò se la loro vita fosse così diversa. Si domandò se anche lui non fosse diventato uno dei tanti esuli del mondo moderno, dal giorno in cui la sua Kitty era precipitata nel vuoto e lui non aveva più voluto saperne della vecchia vita, della vecchia morte, tutta esplosioni, raffiche di mitra e fughe sul motoscafo.

    Adesso si godeva quello che chiamava il meritato riposo insieme all’unica persona che non lo aveva mai giudicato: la signora Digiovanni, che di mestiere faceva il Bene Assoluto. Oh, lei non lo sapeva, e forse non lo avrebbe mai saputo, ma Evaristo aveva il dono di identificare il Bene e il Male nelle persone – la grande intuizione del dottor Franco: tutti i gatti potevano – e con lei era stato amore a prima vista; almeno quel tipo di amore che i gatti possono provare nei confronti delle vecchiette la cui testa, ecco, se n’era andata un po’ per conto proprio.

    Si guardò intorno nella casa antica quanto la sua occupante. C’era odore di cose che un tempo erano state nuove ma che avevano perso lo smalto, cose che non venivano usate da tempo e che non sarebbero state più importanti per nessuno. C’era odore di ricordi, tanti, e di persone che non sarebbero tornate.

    Dove sarà andata, oggi? pensò Evaristo in gattese, che noi per convenzione tradurremo qui con l’equivalente linguaggio umano. Che peraltro Evaristo parlava fluentemente, ma quando era solo con se stesso pensare in gattese era un lusso al quale non voleva rinunciare, in un mondo costruito su misura per gli umani.

    Si stiracchiò e aprì il suo armadio. Non che ne avesse più bisogno, ma osservare i propri giocattoli lo faceva sempre sentire bene. In fondo anche quelli erano ricordi, la maggior parte dei quali piacevoli. Una birra bevuta con i compagni a fine missione, le armi poggiate contro un tavolo alla vecchia taverna di Zio Schwarz che, quando spariva, poi tornava sempre.

    Sorrise tristemente.

    Il mitra Ammazzakani era ordinatamente riposto vicino al fucile automatico Spakkauccelli – tutti doni inconsapevoli del LSSS, ossia roba che diciamo non aveva lasciato lì quando aveva deciso di tagliare la corda. Ricordava ancora i fari accesi nella notte che fendevano il buio, le guardie che lo avevano cercato senza successo, i cani che a differenza degli umani lui poteva sentir parlare.

    Cos’è successo, John?

    C’è un gatto in fuga, Jack!

    Maledizione John!

    Maledizione Jack, wof wof!

    L’acqua delle fogne aveva sciacquato la pittura mimetica dal suo volto, sperava per sempre. Eppure, come ogni gatto, Evaristo sapeva che non si poteva far affidamento su nulla nella vita mortale e che, dietro ogni decisione finale e decisiva e stavolta proprio basta guarda, si nascondeva sempre una piccola porta d’uscita. Si domandò se non fosse stato lui ad aver lasciato lì quella porta socchiusa. Si domandò se quella vita, la sua vita, non gli mancasse davvero.

    La polvere del deserto del Mali.

    I tramonti dell’Afghanistan.

    Le basi dei dittatori più sanguinari affacciate sulle spiagge tropicali più belle… almeno finché lui e la sua banda non le avessero fatte saltare.

    Kabooooom!

    Alzò i pugnetti in aria e sorrise, nonostante tutto. Era stata una vita lunga e complessa per un gatto modificato geneticamente per essere una brutale macchina assassina.

    Poi il ricordo di Kitty, il suo piccolo corpo bianco che precipitava nel vuoto, spazzò via ogni piacevole illusione della memoria, ed Evaristo richiuse l’armadio per tornare nel mondo in cui si era rifugiato. Un mondo fatto di pasti regolari, copertine, e pomeriggi passati accoccolato sulle gambe della vecchina a guardare Geo in televisione. Un mondo dove si andava a dormire presto, altro che occhiali a infrarossi per la visione notturna. Poggiò le zampe anteriori a terra e si rassegnò a diventare nuovamente un quadrupede. Il bipedismo era un altro dei doni non richiesti del Laboratorio, ed Evaristo vi ricorreva solo quando non era dannatamente necessario mischiarsi con gli umani, come in quel caso.

    Uscì di casa e non ci mise molto a ritrovare Magda Digiovanni: stava armeggiando con un ombrello, anche se non pioveva,

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