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L'amore che uccide
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L'amore che uccide
E-book144 pagine1 ora

L'amore che uccide

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Info su questo ebook

Cinque casi, cinque misteri da risolvere per il vicequestore Guido Valenti. Storie di invidia, possesso, illusione, ambientate tra le vive e frenetiche vie di Milano, ma anche tra le calli veneziani e i borghi dell'Aquitania. La penna di Ida Sassi disegna cinque indagini dalla struttura raffinata e imprevedibile, condotte da un personaggio ricco di carisma e caratterizzato da un'inconfondibile umanità.
LinguaItaliano
EditoreNextBook
Data di uscita18 lug 2022
ISBN9788885949393
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    Anteprima del libro

    L'amore che uccide - Ida Sassi

    Caso numero uno

    Notte di Natale

    La sera del 24 dicembre, la vigilia di Natale, nella sala vuota e disordinata del commissariato di Mestre, uguale a quella di tante città d’Italia, sono in tre ad assicurare la permanenza per la notte e il giorno successivo. Il giovane Guido Valenti, da poco promosso commissario, è al suo primo incarico. L’agente Raffaele Palma è in piedi vicino al tavolo.

    «Abbiamo portato da mangiare e da bere, commissario» dice. «Ma è presto. Aspettiamo una mezz’oretta?»

    «Ma sì, non sono ancora le otto. Iurilli, lei è d’accordo?»

    Il vice sovrintendente Carmelo Iurilli, uomo di una certa età, annuisce appena.

    «Vuoi uscire una decina di minuti?» dice Guido, vedendo l’agente un po’ irrequieto. «Vai pure, che vuoi che succeda? Siamo in due, è tutto tranquillo.»

    «Allora vado a fumare una sigaretta, col suo permesso, dottore.»

    Carmelo Iurilli sta facendo un solitario al computer.

    «Lei sa giocare a carte, commissario? Potremmo fare una partita.»

    «Purtroppo no, Iurilli, sono una vera frana, non c’è soddisfazione a giocare con me.»

    «A Palma dispiace essere qui la notte di Natale» dice Iurilli, cambiando discorso «è un ragazzo, non ci ha fatto ancora l’abitudine. E a lei, commissario, a lei dispiace?»

    «No» risponde secco Guido, e poi, chissà perché, si sente in dovere di attenuare. «Non tanto, è il nostro lavoro, non crede anche lei?»

    «Non lo dica a me. Ma non c’è bisogno di girarci intorno, non si dia pensiero. L’abitudine non è tutto, è un fatto di carattere. Ci devi essere portato, ti deve piacere questa vita. Lei è giovane e ha cominciato da poco, ma se uno le chiedesse di scegliere…»

    «Tra cosa, Iurilli?» chiede Guido, che comincia a interessarsi.

    «Tra una festa di capodanno in famiglia e una bella indagine, una bella nottata di lavoro?»

    Guido ride.

    «Iurilli, non ho dubbi, scelgo la notte di lavoro. E lei, sovrintendente?»

    «Anch’io, sicuro. Le feste, io le odio. Mi permetta di correggerla però, io sono vice sovrintendente, per carità ci stia attento, il commissario capo Lombardi tiene tantissimo a questi particolari.»

    «Me lo ricorderò» dice Guido, provando un’improvvisa simpatia per il burbero Iurilli.

    La serata trascorre senza sorprese. Una modesta rissa in un bar, che si placa prima ancora che abbiano modo di farsi valere. Una chiamata senza conseguenze. Alle dieci e mezza, Palma insiste per tagliare il panettone, e gli altri due lo accontentano ben volentieri.

    I minuti passano lentamente, e Guido pensa che Iurilli avrebbe dovuto prevedere una terza possibilità, oltre alla festa chiassosa e all’indagine avvincente, ed è una notte grigia, che non finisce mai, intorno a un tavolo davanti a qualche fetta di panettone, dopo aver compiuto l’impresa di convincere un ubriaco a tornarsene a casa.

    «Vado a fumare una sigaretta» dichiara. È inquieto e decide di muoversi.

    «Ma lei non fuma, commissario, dice sempre di odiare il fumo» obietta Palma, mentre Iurilli ridacchia.

    «Un’eccezione a Natale si potrà fare?» risponde Guido infilando il giaccone, lasciando l’agente perplesso.

    Respira e cammina nella sera gelida. Non ha bisogno di altro, un po’ d’aria e di cielo. Via Ca’ Rossa, dove si trova il commissariato, è lontana dal clamore e dalle luci, e a quest’ora è deserta. Al semaforo, Guido svolta a sinistra, senza pensarci.

    Sente all’improvviso i passi rapidi e pesanti di qualcuno che corre, attutiti dalle suole di gomma. L’uomo quasi lo urta. Indossa un cappuccio sopra il berretto e il viso è coperto da una sciarpa. Eppure, Guido lo riconosce subito. È Mattia Faggian, ricercato per rapina e omicidio. Anche l’altro lo riconosce.

    «Commissario, è lei! Per favore, mi aiuti» dice il fuggitivo, a bassa voce.

    «Aiuto per cosa, che succede?»

    «Mia madre sta morendo, voglio dirle addio, la prego!»

    Alla luce dei rari lampioni, Guido vede l’angoscia sul viso del ragazzo. Sa che Mattia Faggian ha ventiquattro anni, ha letto il rapporto. La madre sarà ancora giovane, è terribile che stia morendo, proprio stanotte, la notte di Natale.

    «Due parole soltanto, prima che muoia…» insiste Mattia, la disperazione nella voce.

    «Tu sei pazzo, ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo?»

    «Mia madre abita lì, al primo piano. Sono venuto vicino al commissariato, correndo un rischio enorme, solo per vederla l’ultima volta. Dieci minuti. È Natale…»

    Guido non riesce a decidere.

    «Quel portone?» chiede, senza rendersi conto che informarsi è già cedere.

    «Quello, sì. Certo lei non vorrà rimanere in mezzo alla strada, non vorrà che qualcuno la veda davanti a casa di mia madre! Venga su con me, allora.»

    Non ci aveva neppure pensato, a quanto fosse insensato e rischioso mettersi davanti al portone a sorvegliare l’ultimo saluto di un ricercato a sua madre. Guido si sente a disagio. Il fuggitivo, rapinatore e omicida, è più acuto di lui. Si giustifica, argomentando che Mattia è addestrato a quel lavoro sin dall’infanzia, mentre lui, Guido, è al suo primo incarico, è a Mestre da meno di due mesi.

    «Commissario, la supplico» lo sollecita Mattia, agitando le mani tremanti «noi stiamo qui a perdere tempo e in questi minuti mamma potrebbe morire!»

    «Andiamo» decide Guido. «Dopo verrai con me, senza storie.»

    Il ragazzo corre a citofonare. Guido gli va dietro.

    «Marisa, sono io, mamma come sta? Come sta mamma? È ancora viva?»

    Il portone si apre e Mattia si slancia per le scale seguito da Guido. Una figura appare nel rettangolo di luce al primo piano.

    «Mattia, che succede, come mai…»

    «Dovevo vedere mamma» dice subito Mattia mentre sale. Parla in fretta, a voce alta. «Non potevo lasciarla morire senza chiederle perdono. Marisa, mi hanno preso, c’è il commissario Valenti qui con me, non lo dire a mamma, non le dare questo dolore, dopo mi…»

    «Basta, non fare chiasso, parliamo in casa!»

    Entrano. Guido dà un’occhiata alla donna, una ragazza dell’età di Mattia, che in silenzio gli fa cenno di entrare in cucina. Sul piccolo ingresso si aprono tre porte, oltre a quella della cucina; da una si accede a una sala da pranzo vecchio stile, una è socchiusa e lascia vedere il bagno, l’ultima è chiusa.

    «Dov’è mamma?»

    «Dove vuoi che sia? A letto.»

    Mattia entra nella stanza.

    Quando apre la porta, Guido intravede una donna, di cui scorge solo la testa dai capelli castani posata sul cuscino bianco.

    Rimane in piedi sulla soglia della cucina. Si guarda intorno, incerto, preoccupato.

    Come dovrebbe comportarsi un commissario?

    Neppure due minuti dopo, Mattia entra in cucina, emozionato.

    «Mamma vuole un po’ d’acqua. Gliela porto e poi andiamo. Grazie, commissario Valenti. Forse è l’ultima volta che vedo mia madre.» Torna di là con un bicchiere d’acqua.

    Guido è travolto dalla commozione. Deve controllarsi. Deve rimanere lucido e freddo. Guarda l’orologio. Manca più di un’ora alla mezzanotte.

    Mattia torna di nuovo in cucina.

    «Mamma deve prendere la medicina a quest’ora, vero? Sono venticinque gocce, mi ha detto.»

    La ragazza fa sì con la testa.

    «Mamma le vuole dire una cosa, commissario. Un minuto sarà sufficiente, intanto io conto le gocce e poi andiamo.»

    «Sbrighiamoci» dice Guido.

    Bussa, apre e rimane in piedi sulla soglia della camera da letto, così da tenere d’occhio la porta della cucina e l’ingresso, e anche da essere ben visibile, nel caso Mattia pensasse di approfittarne per fuggire. Non guarda la morente per non metterla in imbarazzo, e per evitare di commuoversi troppo.

    «Mattia è un buon ragazzo» dice la madre a bassa voce, lentamente. «Fosse per lui, vivrebbe in campagna con le galline e gli altri animali. Suo padre gli diceva sempre che è un cretino e che solo i soldi contano. Lo insultava, lo chiamava lo scemo di casa. Che stronzo. Così è diventato un ladro. Ma assassino no. No, proprio no. Buon Natale, commissario.»

    Guido dice qualche parola confusa e torna in cucina.

    La stanza è vuota.

    Si precipita ad aprire una porta a cui non aveva prestato attenzione, piccola e bassa, che forse aveva preso per la porta di un ripostiglio. No, deve essere onesto, non l’aveva nemmeno vista.

    Mentre la spalanca, per scoprire quello che già sa, e cioè che la porta si apre su un’altra scala, un’ondata di collera altissima e travolgente come uno tsunami lo colpisce. Dove aveva gli occhi? Come ha fatto a non vedere una porta? Una porta, non uno spillo, un bottone.

    Boccheggia, tramortito dal colpo. Realizza che l’inseguimento è inutile. Mattia e la ragazza, fuggendo, possono aver imboccato una direzione qualunque.

    Ma allora era tutto programmato? L’hanno beffato sin dall’inizio?

    Un violento conato di vomito gli fa risalire in bocca il panettone. Tenta di dominarsi e corre in camera da letto.

    La moribonda è in piedi, vestita, persino elegante in un abito nero, semplice ma di un certo impatto, e sta aprendo l’armadio per prendere il cappotto.

    Guido non riesce a elaborare un pensiero razionale. Non riesce a fare commenti.

    La notte di Natale muore la sua carriera. Non aveva neppure due mesi.

    Nell’androne, Guido e la madre del fuggitivo si scontrano con due agenti.

    «Che succede, commissario? Come mai lei è qui? E il Faggian dov’è? Gli stavamo dietro, poi lo abbiamo visto entrare con un uomo, il tempo di chiedere istruzioni al capo…»

    Guido se la cava con un gesto che non significa niente. Non ha la forza di immaginare cosa dirà il commissario capo Andrea Lombardi.

    L’ingresso del posto di polizia è vicino, basta girare l’angolo. Guido cammina in silenzio vicino alla madre di Mattia Faggian, che lo affianca con passo deciso.

    Quando entrano nel salone, l’agente Palma non si trattiene.

    «Oh Gesù!» esclama, mentre il vice sovrintendente Iurilli gli lancia un’occhiata indagatrice.

    «Documenti, signora» dice Guido, stancamente. In un guizzo ormai inutile, mentre lei apre la borsa, comprende che la donna seduta davanti a lui non è la madre di Mattia.

    Olga Vigolo, anni sessantatré, infermiera, nubile. Guido smette di leggere, si stropiccia gli occhi.

    «I suoi rapporti con Mattia Faggian, signora?» chiede.

    «Lo conosco da quando era piccolo. Suo padre era

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