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Milano incidente mortale: La settima indagine del commissario Lorenzi tra Milano e Ventimiglia
Milano incidente mortale: La settima indagine del commissario Lorenzi tra Milano e Ventimiglia
Milano incidente mortale: La settima indagine del commissario Lorenzi tra Milano e Ventimiglia
E-book271 pagine3 ore

Milano incidente mortale: La settima indagine del commissario Lorenzi tra Milano e Ventimiglia

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Info su questo ebook

Un terribile incidente stradale avviene in una via del quartiere di Lambrate, a Milano. Quattro giovani, sotto effetto di alcol e droghe, corrono ad alta velocità per le strade mentre la musica, lanciata a palla nell’abitacolo, li stordisce ulteriormente. Ad un incrocio, durante un sorpasso azzardato, centrano in pieno un’utilitaria con a bordo due donne: Aurelia e Stefania, madre e figlia. L’impatto è devastante. Il commissario Lorenzi, arrivato sul posto con la sua squadra, si trova davanti a una scena straziante che sconvolge tutti i presenti. Giuseppe De Giorgi, muratore, marito di Aurelia e padre di Stefania, è a casa ignaro e, mentre prepara la cena, attende che i suoi “amori” rientrino. Le chiama ma non gli rispondono, e viene colto da un brutto presentimento. I ragazzi coinvolti nell’incidente sembrano provenire da famiglie oneste, ma Lorenzi scoprirà che uno di loro ha frequentazioni inquietanti in un noto locale notturno gestito da un pericoloso malvivente. Indagando, si troverà ad affrontare una potente organizzazione mafiosa capeggiata dalla famiglia Lojiacono mentre al Corvetto una banda rivale, gestita da un personaggio senza scrupoli, noto capo ultras nonché padre di uno dei ragazzi, sta tentando di allargare il commercio della droga nel Sud Milano. A confondere ulteriormente il quadro investigativo arriverà la notizia dell’improvvisa scomparsa di Giuseppe De Giorgi che, non reggendo il dolore, ha deciso di porre fine alla sua vita... o perlomeno così pensa la Polizia. Nella tragedia e nelle complicate indagini, ostacolate dal Sostituto Procuratore Dottor Monti, il commissario di Lambrate si troverà a dipanare un mistero dietro l’altro, tra delitti e regolamenti di conti, incrociando a Ventimiglia la vita border-line dei migranti e di un combattivo prete di frontiera, Don Tiziano. Aiutato da Cristina e dal suo collega Alessandro, di Radio Popolare, investigando tra Milano, Borgotaro e la Liguria, il commissario Lorenzi arriverà a tirare le fila delle indagini in un finale sconvolgente anche per lo stesso poliziotto di Lambrate. Giuseppe invece, che fine ha fatto? La settima indagine di Lorenzi apre una profonda riflessione sulle vittime degli incidenti stradali, causati da imprudenza, distrazione, utilizzo di sostanze, e sul dramma infinito che segna la vita dei sopravvissuti.

Luigi Pietro Romano Marchitelli detto “Gino”, è nato a Milano il 23.05.1959. Ha lavorato per molti anni sulle piattaforme petrolifere della Saipem, per la ricerca petrolifera in mare, come tecnico elettronico. Ha lavorato nel campo delle energie rinnovabili e nell’impiantistica elettrica. Militante nella CGIL e in Democrazia Proletaria ha partecipato alle lotte dei lavoratori delle piattaforme petrolifere in mare. Membro del direttivo ANPI di San Giuliano Milanese e presidente della Associazione Culturale Il Picchio. Organizzatore dei festival letterari Maggio in Giallo, Salento in Noir, Giallo Verbania, Luino in Giallo e Nero Cremona. Ideatore delle figure del commissario Matteo Lorenzi di Lambrate e Cristina giornalista di Radio Popolare. Con Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Milano non ha memoria, Sangue nel Redefossi, Il segreto di piazza Napoli e Il covo di Lambrate. Autore di altri tredici romanzi noir e libri che prendono spunto da episodi della Seconda Guerra Mondiale e dalle grandi lotte operaie e studentesche degli anni ’60, ’70 e ’80. È impegnato nel tour di narrazione teatrale Pagine Civili, Parole in volo con il giornalista e scrittore Daniele Biacchessi.
LinguaItaliano
Data di uscita6 nov 2023
ISBN9788869437274
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    Anteprima del libro

    Milano incidente mortale - Gino Marchitelli

    ANGOSCIA

    Giuseppe ha deciso di fare una sorpresa a moglie e figlia. È molto bravo ai fornelli ma non cucina spesso, lascia le arti culinarie ad Aurelia che viene da una famiglia di emiliani, di quelle dove il binomio cibo-vita è indissolubile, e cresce nelle case, nei focolari domestici fin da quando si è piccoli. Ha scelto di preparare un sugo speciale, di quelli che fanno leccare i baffi, una ricetta che gli ha insegnato sua madre, pugliese, a base di salsa di pomodoro rigorosamente doc, capperi, olive e tonno. Una delizia.

    Non resiste al sapore e ai profumi sprigionati dai prodotti della sua terra: inzuppa spesso il cucchiaio di legno e gli assaggi si susseguono.

    Guarda l’orologio. È passata più di mezz’ora da quando ha sentito Stefania. La moglie fa il turno di sera e per le ventidue e trenta di solito è a casa. I suoi grandi amori stanno tardando. Sarà il solito maledetto traffico in tangenziale.

    Questa è diventata davvero una città invivibile, pensa mentre inizia ad apparecchiare la tavola nella piccola cucina al secondo piano di uno stabile di via Valvassori Peroni, nel quartiere di Lambrate a Milano.

    Un appartamento più che dignitoso, acquistato con tanti sacrifici, in un palazzo non di lusso, ma bello e accogliente. Un caseggiato affacciato sui giardinetti pubblici che separano il condominio dagli uffici dell’Enel.

    Mentre cura il condimento, sorride e pensa a quante volte la piccola Stefania chiedeva a lui e alla madre, sorridendo e salterellando eccitata sul pianerottolo, di essere accompagnata in prima media attraversando il giardino per percorrere poi l’ultimo tratto di via Beruto, prendere via Clericetti e arrivare, dopo aver superato il commissariato di Polizia, alla scuola Cairoli dalla parte meno battuta dal traffico.

    Il sugo è pronto, l’acqua bolle. Deve buttare la pasta nella pentola, ma le donne ancora non si vedono. Esita, telefona, ma i cellulari sono irraggiungibili.

    Al terzo tentativo, sente una fitta improvvisa al cuore seguita da una terribile sensazione di smarrimento e un giramento di testa che lo costringe a sedersi.

    È in affanno e il respiro diventa più veloce.

    Ma che cazzo ti agiti! Ripete a se stesso. Adesso arrivano, si saranno scaricate le batterie dei cellulari. Dai Giuseppe, piantala di essere sempre così apprensivo.

    IL COMMISSARIO LORENZI

    La giornata non era iniziata nel migliore dei modi. L’alba lo aveva trovato insonne. Erano alcuni giorni che il ricordo della moglie Eleonora riempiva i suoi sogni e gli faceva male.

    Non aveva osato raccontare nulla a Cristina che era alle prese con alcune vicende complesse all’interno della redazione del giornale progressista con cui collaborava. Erano scoppiate delle polemiche sulla gestione editoriale, discussioni che avevano creato un clima di tensione soprattutto tra i vecchi giornalisti e la nuova generazione che stava acquisendo sempre più spazio all’interno.

    Cristina mal digeriva la situazione e non si era schierata con nessuna delle parti contendenti; riteneva che l’importanza di mantenere l’indipendenza del mezzo di informazione avrebbe dovuto prevalere su tutto, e fare da deterrente a scontri che non avevano più nulla di politico, ma rasentavano il confine dell’offesa personale.

    In redazione l’aria si tagliava letteralmente con il coltello.

    Le difficoltà economiche che attanagliavano il giornale, nonostante l’aumento degli abbonamenti sottoscritti grazie alla generosità dei lettori, creavano grandi preoccupazioni e liti furibonde su quale linea editoriale intraprendere. Diffondevano malumori ed esasperavano i rancori tra la vecchia guardia e il nuovo direttore. Quest’ultimo proveniva da una multinazionale dell’informazione dove la diffusione di fake news, pur di incrementare l’audience, era dottrina consolidata.

    Cristina si rifugiava allora a Radio Popolare dove le divertenti chiacchierate, condite da sfottò e ammiccamenti quotidiani dei redattori, alla macchina del caffè o nel piccolo cortile dove si ritrovavano i fumatori incalliti, riuscivano ancora a tener lontano il clima pesante che si respirava in tutto il mondo dell’informazione milanese e nazionale.

    Anche all’emittente di via Ollearo qualche scelta non condivisa da tutti aveva un po’ appannato l’empatia che regnava di solito, ma la giornalista era sicura che alla fine i problemi si sarebbero risolti, mentre non riusciva a digerire le teste basse e i mormorii che serpeggiavano al giornale dove lo scontro era davvero violento con posizioni oramai difficili da conciliare.

    Cristina soffriva per quel clima di rancore e non era più tranquilla come prima.

    Inevitabilmente, e senza volerlo, scaricava le tensioni sul commissario.

    Lorenzi dal canto suo, ogni volta che il rapporto con la sua compagna si appannava per vari motivi, si trovava stritolato dai dolorosi ricordi della moglie scomparsa diversi anni prima a causa di un tumore che l’aveva annientata. Pensieri che comparivano all’improvviso quasi a volergli rappresentare le importanti differenze tra il primo amore e la nuova fase della vita con Cristina al suo fianco.

    La distanza dai suoi due figli non lo aiutava, era da molto che non riusciva a passare del tempo con loro, e, soprattutto, sentiva la mancanza di un rapporto profondo con il maschio che viveva in Trentino.

    L’affetto tra loro non era in discussione, ma la mancata frequentazione e il non avere la possibilità di mantenere su un doppio binario di intimità la confidenza genitore-figlio, lo facevano sentire ancora più solo.

    La giornalista lo aveva raggiunto a casa per cena, e si erano inevitabilmente ritrovati a fare l’amore a lungo per poi addormentarsi come bambini soddisfatti dal gioco. Verso le ventitré Lorenzi si era svegliato, e dopo aver osservato il bel profilo del corpo di Cristina, che dormiva dandogli le spalle, si era alzato e aveva preparato il caffè tenendo chiusa la porta della camera da letto per non svegliare la compagna. Si ritrovò a osservare dalla finestra la vita metropolitana del quartiere che andava perdendosi nella notte metropolitana.

    Aveva voglia di fare due passi e uscì.

    La prima sorpresa fu quella di trovare la macchina con una gomma a terra.

    Non aveva alcuna voglia di chiudere la giornata, che minacciava pioggia, armeggiando per sostituire lo penumatico e decise di andare a piedi fino al commissariato passando da dietro la stazione di Lambrate, così non si accorse delle ambulanze che arrivavano e delle due volanti che giungevano sul luogo dell’incidente.

    Si infilò nel locale da movida, ancora aperto all’angolo tra via Buschi e via Orombelli, ordinando una birra. Mentre si apprestava a dare un’occhiata a un quotidiano della mattina, abbandonato sul bancone, ricevette la telefonata del suo collaboratore, il vicecommissario Del Giudice.

    Matteo, dove sei?.

    Lorenzi rispose che si era fermato a bere qualcosa nominandogli il posto. Enrico gli disse che sarebbe subito passato a prenderlo perché era accaduto un grave incidente e c’erano due morti. Poco dopo Lorenzi si lasciò andare pesantemente sul sedile della volante e osservò l’amico che aveva il volto stanco, gli occhi gonfi, le occhiaie scure e l’abbigliamento trasandato.

    Non stai bene? Che hai? Non dirmi che hai avuto un altro di quegli attacchi di mal di pancia che ti sbattono a terra.

    Enrico osservò il commissario con occhi lucidi.

    C’è appena stato un incidente. Una cosa devastante. Dopo quello che ho visto starò male tutta la notte, probabilmente per giorni. Lorenzi era sorpreso. Enrico gli raccontò del disastro, di come una volta arrivato sul posto, osservando i corpi straziati delle vittime, lui, l’agente di servizio e anche quelli della polizia municipale, nonostante l’abitudine a certe scene, si fossero sentiti quasi mancare. Raccontò del personale delle autoambulanze inorridito, dei quattro giovani che nemmeno si rendevano conto del disastro che avevano causato, persi nei loro mondi artificiali, degli automobilisti e delle persone accorse per aiutare i feriti, e che di fronte a quello spettacolo, erano in stato di choc.

    Una carneficina, i corpi sono ancora lì sull’asfalto concluse Del Giudice alla più anziana mancano alcune parti del corpo, sono sparse in giro…

    Arrivati sul posto, anche per Lorenzi fu un trauma. La scena era agghiacciante.

    Alcuni agenti erano intenti a effettuare i rilievi, mentre i soccorritori si occupavano dei feriti, sdraiati sul marciapiede. Un medico, aiutato da due infermieri, tentava di rianimare la ragazza senza ottenere alcun risultato, e poco dopo scuotendo la testa, la coprì con un telo. I lampeggianti delle autoambulanze e delle macchine della polizia roteavano creando un effetto surreale, come in un film.

    L’ispettore superiore Lori si avvicinò a Lorenzi e Del Giudice.

    Commissario, cosa facciamo? Quello che guidava è in stato confusionale ma non ha fatto resistenza, mentre il ragazzo che gli sedeva di fianco ha preso a calci il collega che è stato costretto a metterlo a terra e ammanettarlo. Gli altri due passeggeri dell’auto investitrice sono sottoposti a cure, sono quelli lì per terra vicino al muro della caserma disse indicandoglieli gli infermieri dicono che sarebbe opportuno portarli in ospedale per escludere lesioni interne dato che viaggiavano senza le cinture di sicurezza allacciate.

    Come stanno? chiese Del Giudice.

    Sono completamente ubriachi, uno ha una ferita sulla fronte, secondo il medico hanno anche assunto sostanze stupefacenti.

    Fammi parlare con quello che guidava intervenne Lorenzi.

    Prego commissario, da questa parte. È quello seduto sul marciapiede, ma le dico già che non ne caveremo nulla, sembra vagare in un altro mondo.

    L’odore di alcol e vomito che avevano addosso Mino e Franco era nauseante.

    Lorenzi dispose l’arresto immediato di Franco per resistenza a pubblico ufficiale e lo fece portare in via Clericetti. Stessa sorte toccò a Mino che non era in grado di reggersi sulle proprie gambe e non usciva dal mutismo in cui si era rinchiuso.

    Teneteli in commissariato, tra poco vi raggiungo. Qualcuno rintracci i famigliari delle vittime. Mi raccomando, con delicatezza.

    Due volanti si allontanarono lanciando le loro sirene nella notte del quartiere.

    Lorenzi telefonò al Sostituto Procuratore di turno per informarlo dell’accaduto.

    Questi gli disse di tenere in via Clericetti i due giovani e che lo avrebbe raggiunto in commissariato nel più breve tempo possibile per interrogarli; dispose anche che fosse immediatamente incaricato un difensore d’ufficio per assistere all’interrogatorio qualora gli indagati non ne avessero nominato un loro di fiducia.

    Roberto e Fabio furono caricati sulle autoambulanze e portati via.

    Due agenti rimasero a supporto di Del Giudice mentre il commissario rientrò in ufficio ad attendere il Sostituto. I ragazzi erano stati rinchiusi in celle di sicurezza differenti. Lorenzi inviò un messaggio a Cristina scusandosi per l’assenza, informandola che l’avrebbe richiamata più tardi. La giornalista non rispose.

    GIUSEPPE E UN DOLORE INDESCRIVIBILE

    Giuseppe è sempre più preoccupato, Stefania e Aurelia hanno sempre il cellulare staccato, così ha chiamato una collega della moglie, scusandosi per l’orario. L’amica gli ha confermato che era uscita dal lavoro come al solito. Intorno a mezzanotte Giuseppe ha la certezza che è successo qualcosa di grave, avvisa la sorella e il cognato e, mentre non sa cosa fare, riceve la telefonata della Polizia.

    C’è stato un incidente.

    L’agente non risponde alla richiesta di informazioni, la voce di Giuseppe è già incrinata e spezzata dall’angoscia, il poliziotto lo invita a presentarsi in ospedale.

    ***

    Come ha fatto ad arrivare all’ospedale San Raffaele non lo sa nemmeno lui.

    Il cuore gli batteva in petto in modo così forte da sfondargli i timpani. Le lacrime gli hanno annebbiato la vista per tutto il tragitto, lo stomaco chiuso dal dolore. Giuseppe ha pregato per tutto il tempo, ha cercato un dialogo impossibile con Dio, con Gesù, con tutto ciò a cui ci si può aggrappare quando ci si sente disperati, naufraghi nel mare dell’angoscia e della paura, nell’incognita di quello che potrà scoprire, del dopo.

    Quando è entrato trafelato al Pronto Soccorso ha trovato ad attenderlo un dottore e due agenti. Non ha capito nulla di quello che gli hanno detto, e ha urlato tutto il suo sgomento.

    Voglio vedere mia moglie, fatemi vedere Aurelia e la mia bambina, ditemi come stanno… Niente di grave vero? Se la caveranno, no? Che mica può finire tutto in questo modo, vero, agente? Glielo dica anche lei, dottore.

    Poi il silenzio e gli occhi spenti dei tre uomini hanno raccontato a Giuseppe che non ci sarà più un domani. Non ci sono nemmeno volute parole, è bastato vedere quel medico che abbassava lo sguardo con le braccia abbandonate lungo i fianchi.

    Poi una signora con indosso un camice candido lo ha preso con dolcezza per un braccio e lo ha accompagnato in uno studio.

    Giuseppe non ha più alzato gli occhi da terra. Nella testa un fastidioso ronzio, poi il silenzio, il vuoto, il sangue che smette di correre lungo le vene del suo corpo distrutto dall’angoscia.

    Quando riapre gli occhi, dopo essere collassato, la dottoressa gli spiega con delicatezza quello che è successo. Lo osserva con un leggero sorriso di vicinanza e gli accarezza la testa. Quell’uomo dal fisico forte e possente è talmente rimpicciolito, sulla barella, da sembrare uno straccio fatto cadere nel vuoto.

    Giuseppe piange tutto quello che è possibile piangere quando ti artigliano il cuore.

    Giuseppe si piega in due e vuole morire.

    Giuseppe e la sua storia di emigrante.

    Giuseppe e le piccole manine paffute della figlia.

    Giuseppe e gli occhi scuri e penetranti della donna che ama.

    Giuseppe e la costruzione di un futuro solo per loro tre.

    Giuseppe…

    A notte fonda, Giovanni, cognato e amico del cuore, lo prende per accompagnarlo a casa e fermarsi da lui tutta la notte.

    Meglio non lasciarlo solo, abbiamo dovuto dargli dei tranquillanti perché il cuore e la pressione sono andati alle stelle. Stategli vicino, i prossimi giorni saranno quelli più delicati raccomandano dall’ospedale.

    Mi dispiace molto, ha concluso il medico dopo aver stretto la mano a Giovanni.

    Giuseppe si è lasciato condurre come un automa alla macchina, poi fino a casa, docilmente, come un bimbo impaurito. Quando le medicine hanno fatto effetto, e si è addormentato, Francesca, che li ha raggiunti a casa, ha pianto di disperazione insieme al marito.

    Oltre all’affetto per la famiglia distrutta hanno gettato fiumi di lacrime per quello che sarà il futuro di Giuseppe, quale domani, e se mai ci sarà un domani.

    Solo due giorni dopo il muratore verrà a conoscenza di tutti i particolari dell’incidente, dei ragazzi che hanno distrutto Aurelia e Stefania. Che ci sarà un processo, perché i giovani guidavano sotto effetto di alcol e stupefacenti.

    Quando lascia il commissariato, dopo che Del Giudice gli ha spiegato tutto, se ne va senza dire una parola, e non sa più chi è.

    È rimasto solo il fantasma di quel grande lavoratore che ha speso una vita intera alla ricerca di un futuro fatto di cose semplici.

    MINO TORRI

    Una volta arrivato il Sostituto Procuratore, Mino Torri, il ragazzo che era al volante della BMW, fu introdotto nell’ufficio e fatto sedere di fianco a un annoiato avvocato difensore confuso dall’essere stato svegliato nel cuore della notte. Del Giudice si era messo di lato mentre Lori si era posizionato al computer in una postazione alle spalle del giovane.

    Mino non alzava la testa e continuava a fissare il pavimento.

    Matteo lo osservò, constatando che aveva i capelli con un’acconciatura piuttosto di moda in quegli ultimi anni, rasati sulle tempie con un cespuglio ribelle sulla testa.

    Per diversi minuti il magistrato non disse nulla, continuava a sfogliare il primo verbale redatto dalla polizia. Il silenzio imbarazzò i colleghi del commissario che iniziarono a lanciarsi l’un l’altro sguardi interrogativi.

    Signor Torri, mi guardi e mi racconti come sono andate le cose esordì improvvisamente il sostituto, dottor Monti.

    Mino sollevò il viso, gli occhi erano arrossati e osservò inebetito il magistrato.

    Non mi ricordo, l’ho già detto ai suoi colleghi farfugliò.

    Non si ricorda? Le rinfresco io la memoria. Lei stava guidando un’auto a oltre novanta chilometri l’ora e ha travolto un’autovettura con a bordo due donne che sono morte sul colpo.

    Il ragazzo abbassò nuovamente il capo Non ricordo niente ribadì.

    Le ho detto di guardarmi in viso.

    Mino non accennava a rialzare la faccia, Del Giudice gli diede una spinta sul braccio.

    Il Dottore ti ha detto di alzare la testa.

    Alla seconda sollecitazione Mino tornò a osservare il magistrato.

    Dove ha preso gli stupefacenti?.

    Non mi ricordo.

    Lorenzi iniziò a spazientirsi e si intromise Memoria labile. Hai assunto cocaina e hai un tasso alcolico quattro volte superiore al limite consentito. Dove siete stati prima di risalire in macchina?.

    Al Blue Night Butterfly, vicino viale Monza, ma non ricordo di aver bevuto così tanto.

    La cocaina chi te l’ha data? lo incalzò il magistrato.

    Non mi ricordo.

    Senti ragazzo alzò la voce Lorenzi dando una manata alla scrivania, producendo un rumore così forte che fece sobbalzare Mino sulla sedia forse non hai capito in che razza di guaio ti sei cacciato! Hai ammazzato due persone, eri pieno di droga e alcol fin sopra i capelli, è omicidio stradale aggravato. Hai idea di quanti anni di carcere stai rischiando? Racconta esattamente com’è andata.

    Monti bloccò l’irruenza di Lorenzi per rispondere anche all’avvocato che stava sollevando dubbi sulla regolarità di conduzione di quell’interrogatorio Commissario, per favore, lasci parlare me.

    Mino si prese il viso tra le mani e si mise a piangere, iniziava a uscire dallo stordimento e a fare i conti con quello che era successo.

    Il magistrato lo lasciò sfogare qualche minuto poi riprese Chi ti ha dato la cocaina?.

    Non mi ricordo bene, dovete chiederlo a Fabio, è lui che ci ha presentato quello che la vendeva.

    Il magistrato chiese al commissario dove si trovasse Fabio.

    È uno dei due in osservazione in ospedale. È messo peggio di questo confermò Lorenzi indicando Mino con una mano.

    Non volevo guidare, non mi sentivo bene. È Fabio che ha insistito. Non dovevo andare con loro riprese Mino mestamente mi hanno assillato così tanto che mi sono lasciato convincere, glielo giuro, non volevo uscire con gli altri.

    L’avvocato difensore intervenne nuovamente consigliando al suo assistito di avvalersi della facoltà di non rispondere.

    A quel punto il dottor Monti diede ordine di trasferire il ragazzo in carcere. Chiese poi all’avvocato d’ufficio di lasciare la stanza mentre aspettavano che un agente andasse a prendere l’altro fermato, dalla cella di sicurezza.

    Rimasti soli, chiese a Lorenzi che informazioni aveva sul locale indicato da Torri.

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