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Lacrime di coccodrillo
Lacrime di coccodrillo
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E-book395 pagine4 ore

Lacrime di coccodrillo

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Info su questo ebook

Guia e Lucia non si capacitano che Betti sia sparita così, senza farsi sentire o rispondere al cellulare da ben due giorni. Perciò, anche se sono assorbite dall’agenzia di catering appena avviata, e in più con Guia che deve badare alla famiglia e Lucia alle prese con la traduzione dell’ennesimo poliziesco, non possono fare a meno di preoccuparsi, soprattutto da quando Betti ha perso la testa per il misterioso Raul, da loro soprannominato il Fecalomo. Apprensione più che giustificata: quando finalmente lei si fa viva, è in preda al panico, convinta di avere eliminato Raul, stecchito sul suo divano con una dose eccessiva di Guttalax! Le tre amiche ‒ Lucia con il suo senso pratico, Guia grazie all’intuito e alla sensibilità e Betti, be’... Betti con i suoi commenti a sproposito ‒ finiranno per aiutare l’affascinante commissario Lanzi e l’ispettore Olivari in un caso che va ben oltre l’affare di cuore. Perché Raul non si chiamava Raul, aveva una moglie e svariate amanti, e soprattutto perché il padre è un potente e losco magistrato. 
Valeria Corciolani, con la consueta ironia nutrita di profonda saggezza, disegna una spirale sempre più veloce di personaggi, luoghi, vite e sentimenti, per raccontare la storia di un mistero risolto grazie alla fantasia.
LinguaItaliano
Data di uscita13 nov 2023
ISBN9791280100757
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    Anteprima del libro

    Lacrime di coccodrillo - Valeria Corciolani

    Il libro

    Guia e Lucia non si capacitano che Betti sia sparita così, senza farsi sentire o rispondere al cellulare da ben due giorni. Perciò, anche se sono assorbite dall’agenzia di catering appena avviata, e in più con Guia che deve badare alla famiglia e Lucia alle prese con la traduzione dell’ennesimo poliziesco, non possono fare a meno di preoccuparsi, soprattutto da quando Betti ha perso la testa per il misterioso Raul, da loro soprannominato il Fecalomo. Apprensione più che giustificata: quando finalmente lei si fa viva, è in preda al panico, convinta di avere eliminato Raul, stecchito sul suo divano con una dose eccessiva di Guttalax! Le tre amiche ‒ Lucia con il suo senso pratico, Guia grazie all’intuito e alla sensibilità e Betti, be’... Betti con i suoi commenti a sproposito ‒ finiranno per aiutare l’affascinante commissario Lanzi e l’ispettore Olivari in un caso che va ben oltre l’affare di cuore. Perché Raul non si chiamava Raul, aveva una moglie e svariate amanti, e soprattutto perché il padre è un potente e losco magistrato.

    Valeria Corciolani, con la consueta ironia nutrita di profonda saggezza, disegna una spirale sempre più veloce di personaggi, luoghi, vite e sentimenti, per raccontare la storia di un mistero risolto grazie alla fantasia.

    L'autrice

    Valeria Corciolani è nata e vive a Chiavari (Ge). Laureata all’Accademia di Belle arti di Genova, è scrittrice e illustratrice. Inizia la sua avventura nel 2010 con Lacrime di coccodrillo (Mondadori), di cui AltreVoci Edizioni pubblica nel 2023 una nuova edizione rielaborata. Con Acqua passata inaugura la serie della colf e l’ispettore per Amazon Publishing. Suoi racconti sono presenti in varie antologie, fra cui Taglia e cuci ne Il Ponte per Il Canneto, Cose d’(a)mare e Fra il dire e il mare per la Guida Liguria di Repubblica e la favola Mai perdere la testa, scritta e illustrata per Grappolo di Libri. Con l’arte e con l’inganno e Di rosso e di luce danno il via per Nero Rizzoli a una nuova serie legata al mondo dell’arte. Del 2022 è la nuova edizione de Il morso del ramarro (AltreVoci Edizioni), da cui è stato tratto un film pluripremiato in vari festival in giro per il mondo. Del 2023 è La regina dei colori (Rizzoli). È stata Giallista dell’anno in occasione di GiallOrmea 2022.

    AltreStorie

    Valeria Corciolani

    Lacrime di coccodrillo

    Proprietà letteraria riservata

    ©2023 AltreVoci Edizioni srls

    Prima edizione digitale: novembre 2023

    ISBN: 9791280100757

    Copertina realizzata da Andrea Falsetti.

    Pubblicato in accordo con Grandi & Associati, Milano

    I fatti e i personaggi riportati in questo romanzo sono frutto della fantasia dell’autrice. Pertanto ogni somiglianza a persone reali e ogni riferimento a fatti accaduti sono da ritenersi puramente casuali.

    A Giovanni,

    Tommaso e Tea

    Queste note evocano le ore della sera, sono furtive, piene di ombre. È come se le ore dell’oscurità assomigliassero un po’ ad… alligatori.

    WALT DISNEY, La Danza delle Ore, Fantasia

    PREMESSA

    Nel febbraio del 2010 usciva Lacrime di coccodrillo, il mio primo romanzo, per Mondadori.

    Tredici anni dopo vede la luce la sua ristampa, e AltreVoci Edizioni fa parte del prezioso bottino che mi hanno regalato questi anni di scrittura, libri e soprattutto Incontri, quelli Maiuscoli. Qualcuno ha detto che i libri sono come ponti ostinati capaci di unire e creare legami, beh, alla luce di ciò che è accaduto alla mia vita da quel febbraio 2010, posso dire che sì, è davvero così.

    Quindi un enorme grazie.

    A tutti.

    Poi vabbè, con più di due lustri, tredici libri e millemila racconti in mezzo, vi confesso che a riprendere in mano questa storia la tentazione di riscriverla è stata fortissima e con i tipi di AltreVoci ci siamo domandati: che si fa?

    Alla fine hanno lasciato scegliere a me.

    E io, dopo tre notti a rimasticarmi il perché e il percome, ho deciso di dargli solo una ripulita da ciò che non mi andava a genio neppure prima, in fondo la patina del tempo ha un suo valore ed è da lì che sono partita. Un po’ come trovarsi davanti a una nostra vecchia foto con i capelli gonfi e le spalle imbottite larghe quanto una portaerei. Ecco, diciamo che l’effetto è stato pressoché uguale: un bolo di affettuoso imbarazzo e nostalgica tenerezza.

    Mi saprete dire.

    Giusto per amore di precisione: quando il romanzo è stato scritto, era l’epoca in cui l’immaginario poliziesco si era plasmato su Commissari indimenticabili: Maigret, Montalbano, Basettoni!, uomini carichi di esperienza e soprattutto anagraficamente non di primo pelo.

    Studiando, ho scoperto che in realtà il concorso per ruolo ordinario di Commissario si sostiene a trentadue anni e Commissario capo a trentaquattro. Quindi, salvo provvedimenti disciplinari o scelta intenzionale di non salire di grado, dai quaranta in poi si è come minimo Vicequestore aggiunto.

    Insomma, non si tratta di un errore, ma, per i motivi di cui sopra, Commissario Lanzi era e Commissario Lanzi è rimasto.

    Ah, questo è un romanzo, quindi racconta di cose inventate che succedono a personaggi immaginari. Se qualcuno di questi personaggi ha putacaso lo stesso nome di personaggi esistenti, o gli somiglia… beh, sappiate che si tratta davvero di pura coincidenza: non c’è premeditazione e non c’è intenzione. Fatevi una sana risata e bon.

    UNO

    Uno, due, tre, quattro…

    «Un attimo, sono in bagno!». Le gocce scivolano nel bicchiere viola opalescente, ventidue, ventitré, ventiquatt… «Non lo so dov’è il telecomando, guarda sul tavolino, dove vuoi che sia». Ehm, quatt… dov’ero rimasta? Ah, quatt…ordici, quindici, sedici, di… «Ma come sarebbe quale tavolino, quello davanti al divano, no?». Allora, ero a… dieci? Uffa, undici, dodici, tredici, quattordici, «Sì, arrivo», quindici, sedici…

    Tessa si guarda nello specchio, con un gesto fluido delle dita accompagna i lunghi capelli rossi dietro le orecchie e fa una piccola smorfia alla sua immagine riflessa. Afferra il bicchiere viola e ancheggiando porta un piede avanti all’altro come le hanno insegnato allo stage Modelle corpo-mentis, per raggiungere quel demente rompipalle di Eros che non trova niente, mai niente, neppure se gli sta davanti agli occhi illuminato da riflettori e frecce lampeggianti.

    Tessa posa il bicchiere e afferra il telecomando che infatti era lì, sul tavolino, solo appena occultato da una pila di riviste. Lui la fissa con quel bianchissimo sorriso strafottente. Lei gli si piazza di fronte: gambe divaricate, una mano sul fianco esile e l’altra che fa ondeggiare il telecomando, sguardo un po’ Lolita e un po’ maliarda, come a dire prova a prendermi.

    Dopo la piccola lotta, terminata come al solito, Tessa scavalca i mucchietti di vestiti sparsi sul pavimento e sparisce in bagno. Eros decide di concedersi un gin tonic versandolo in quel bicchiere viola posato accanto alle riviste e si stravacca sul divanetto a fiori dell’Ikea. Lancia uno sguardo al copriletto con i gattini rosa che s’intravede nella camera accanto, poi alla libreria carica di gingilli polverosi, peluche, portaoggetti semiaperti da cui debordano campioncini di cosmetici, fino a posarsi su Biagio, il microscopico aborto di cane che sonnecchia sul tappeto e pare uno di quei pulciosi bastardini dei punk-a-bestia.

    Appoggia le spalle ai cuscini e rigira tra le mani quel bicchiere dal colore improbabile, forse preso con i punti del supermarket, poi con un gesto lento butta giù un sorso di gin tonic e gli arriva un retrogusto come di eucalipto, tanto che gli viene il sospetto che Tessa non l’abbia neppure mai lavato, quel bicchiere. Del resto, anche il piccolo appartamento non brilla certo per ordine e pulizia, però deve ammettere che quella casa ha un certo fascino, selvaggio e imprevedibile, proprio come la sua proprietaria. Persino il giochetto di incontrarsi davanti al portone senza preavviso fa parte di Tessa: hanno chattato una sola volta sei mesi fa, quando si sono conosciuti.

    Finisce di bere e la osserva affannarsi intorno al tavolino a cercare chissà che. Lei alza lo sguardo, gli vede il bicchiere viola tra le mani, apre la bocca come per dire qualcosa, ma la richiude subito e s’imbroncia per un attimo, indolente Lolita. Poi scrolla le spalle e ancheggiando torna in bagno.

    DUE

    Due gnocche.

    La bionda alta veramente stratosferica, la piccola castana un po’ meno appariscente, ma comunque intrigante. Questo pensa Helmut Ruthvaller, architetto di tendenza, quando vede entrare Lucia e Guia nel suo studio. Consapevole del proprio fascino fin nella più intima particella del suo essere, sfodera un sorriso letaleseduttivo verso le due donne che tentano di appollaiarsi sugli aerodinamici sgabelli di fronte alla sua scrivania.

    Loro, le gnocche, non si scompongono.

    L’architetto avverte un principio di tachicardia, sfiorato dal dubbio di non essere all’apice della forma. Un’occhiata trasversale alla vetrata dove si riflette la sua immagine lo tranquillizza: perfetto. Come sempre.

    «Dicevamo dunque, a proposito della scelta del tema?», attacca di botto Ruthvaller, come se la conversazione di una settimana prima non si fosse mai interrotta.

    «Dicevamo che potrebbe essere il caso di conoscere meglio i gusti delle sue figlie, visto che la festa è per loro…», esordisce Lucia dopo un momento di perplessità.

    L’architetto le contempla la curva appena imbronciata delle labbra.

    «Party, prego, non festa: party. Festa ha un sentore di paesano che preferirei evitare. Di voi mi hanno parlato gli Arnolfi, ma io per natura non sono portato a sbilanciarmi. Vorrei vedere il vostro lavoro da vicino, sentir palpitare le idee, stare a contatto diretto», e calca volutamente su quel contatto.

    «Perfetto», risponde Guia. «Noi prepariamo una bozza del party, lei la studi con calma. Per cominciare però, e non ci giudichi pedanti, è necessario sapere qualcosa di più delle bambine.»

    «Un’ultima cosa, signor Puthvaller…», Lucia scrolla il caschetto di capelli biondi mordendosi le labbra per non scoppiare a ridere.

    «…Ruthvaller, per cortesia», precisa con stizza l’architetto.

    «È importante», interviene Guia lanciando un’occhiataccia all’amica, «che ci dica se tra gli invitati ci sono intolleranti a glutine, uova, lieviti… Lei capisce, meglio evitare…». Con un leggero gesto della mano evoca una quantità di varie ed eventuali, ma il movimento provoca uno smottamento nel già precario equilibrio dello sgabello.

    «Come si fa a sapere? Non ne ho idea, ma non pensate a tutto voi?». Prende in mano il cartoncino di carta paglia e recita: «…a casa tua, cene a tema e servizio di catering personalizzato: è il dettaglio che crea l’atmosfera».

    «Bene», insiste Guia. «Le sue figlie si chiamano?»

    Un sorriso a metà, le mani intrecciate sulla nuca, Ruthvaller inchioda lo sguardo al soffitto per non farsi distrarre dal collant verde ottanio che occhieggia dalla piccola gonna che sale mentre lei appunta sul taccuino la sua risposta.

    «Luce e Sole. Nove e sette anni. Istituto delle suore Marcelline. Lezioni di danza con Mrs Longcroft della Royal Academy di Londra. Amano leggere, Luce suona il violino e Sole il pianoforte». Piccola smorfia per segnalare che non ha granché da aggiungere.

    Guia abbassa le ciglia sul taccuino dove non ha scritto nulla.

    «Notizie più, come dire, personali?», lo incalza Lucia.

    «Vediamo. Detestano il riso!»

    «E giocano?», domanda Guia poco colpita dalla trionfante dimostrazione di interesse paterno.

    «Come sarebbe giocano

    «A sette e nove anni giocheranno, no?»

    «Veramente non saprei». Si sente spiazzato, colto in fallo. Sensazione che detesta.

    «In realtà non credo che giochino. Sono molto mature.»

    «Impossibile», lo inchioda lapidaria Lucia.

    «Cerchi di ricordare. Ad esempio, le dicono nulla le Winx?», gli va incontro Guia.

    «Cioè?»

    «Quelle fatine che si trasformano, il regno di Antea…», solletica Lucia.

    «Dice quelle piccole, grassocce, con i cappelli a punta?», azzarda lui.

    «No, quelle sono Flora, Fauna e Serena. Principessa Aurora, Bella addormentata, quarant’anni fa. Queste sono alte, magre, carine, ombelico di fuori e capelli lunghi.»

    «No, me le ricorderei.»

    «Barbie?»

    «Quelle forse sì, mi sembra che per qualche Natale… ma non da ricamarci una festa sopra». Annaspando come un alunno impreparato, trascura perfino la differenza tra festa e party. «Dovete chiedere a Isolde, la tata.»

    Rigira fra le dita il cartoncino del catering e riflette leggermente contrariato: ’Ste due gnocche saranno abituate a piccole proletarie, per quanto gli Arnolfi… be’, gli Arnolfi sono ricchi da far schifo, ma la classe è un’altra cosa. E le loro figlie vanno alla scuola statale.

    Stringe la mano, trattenendola più del dovuto. Le avviluppa con lo sguardo dalla testa ai piedi. Poi rimane a osservarle mentre si allontanano. Decisamente gnocche. Magari proletarie, ma gnocche. Incrocia le mani dietro la nuca, si appoggia alla poltrona di cuoio brunito come le gambe della scrivania.

    Però, l’idea delle fatine…

    Socchiude gli occhi.

    Tutto sommato potrebbe diventare interessante partecipare al party delle sue bambine.

    TRE

    Tre aggressioni nel giro di un mese.

    Nessun collegamento.

    Nessun indizio.

    Nessun movente.

    Nessun colpevole.

    Eccchediavolo.

    Si sente avvolgere all’istante dalla colonna sonora del suo umore con il ticchettio malato di Time dei Pink Floyd.

    Il commissario Pietro Lanzi stringe gli occhi grigi. Inizia a massaggiare il collo e ruota la testa per cercare sollievo alla cervicale che da giorni non gli dà tregua.

    18.07.

    Tormenta con l’unghia del pollice la fossetta del mento.

    Spegne il computer.

    Allunga le braccia per stirarsi, la sedia girevole cigola appena.

    Niente. Niente di niente.

    Inutile star qui a perdere tempo. Guardo se la Fiore ha qualche novità, ma figurati, sarebbe già schizzata qui dentro come un’ape impazzita.

    Io schiodo.

    Giornata da schifo.

    Settimana da schifo.

    Mese da schifo.

    Esce sbattendo la porta e Pezzi di vetro di De Gregori accompagna i suoi passi.

    QUATTRO

    Quattro scalini di marmo accompagnati dal corrimano in ottone lucido e il pesante portone di legno si chiude ovattato alle loro spalle.

    Il traffico del centro di Genova le stordisce per un attimo.

    «Puthvaller… ma si può? Non sono scoppiata a ridere per paura di cadere da quei dannati sgabelli.»

    «Facciamo sempre lo stesso errore, Guia, diamo i nomignoli, li chiamiamo così tra noi e poi quando ce li troviamo davanti continuiamo a chiamarli così. Ti ricordi l’abatjour, la prof con gli orecchini enormi, oppure grisou, il prof di sociologia dall’alito pestilenziale. Dovremmo piantarla». Lucia infila la testa nella borsa, con il pretesto di cercare le chiavi della macchina, in realtà è per nascondere l’espressione poco convinta: non la smetteranno mai, lo sa.

    Certo che Betti ha proprio ragione, pensa scrollando la tracolla per localizzare le chiavi dal rumore, Ruthvaller è un puttaniere, spande ormoni e sex appeal come un Air Fresh 600 spruzzi; e poi, quei terribili sgabelli, rossi come la marmellata di ribes delle polpettine Ikea…

    Guia si guarda in giro con apparente indifferenza. Nessuno. Perfetto. Con una mossa coordinata di mani e fianchi sistema i collant, e il cavallo, da metà coscia dov’era franato, risorge fino al luogo che gli è più congeniale. Guia li odia.

    Quando ha scoperto su «Marie Claire» fior di modelle con calzettoni a vista e ginocchia nude non le è parso vero. Solo in pieno inverno, con il freddo umido e il vento pungente della riviera ligure, non può evitare il cilicio dei collant. Ha provato tutte le marche, tutti i modelli, tutte le pesantezze. Niente da fare: il cavallo precipita sempre. Una vera tortura. Così non porta quasi mai la gonna d’inverno. Ma per Puthvaller era d’obbligo.

    Giurami sulla testa dei tuoi figli Elia ed Emma che metterai la gonna, le aveva intimato Lucia la sera prima. E lei aveva giurato. Tra l’altro Guia non capiva l’accanimento dell’amica, delle due era Lucia che possedeva uno stacco di coscia di tutto rispetto: due gambe lunghe e perfette che, colorate d’inverno e abbronzate d’estate, non passavano mai inosservate. Guia, con il suo misero uno e sessantatré, non aveva certo il potere di turbare un Puthvaller esibendo due gambettine da nulla e oggi pure verdi, come le zampette di un ramarro. Però conosceva la testardaggine di Lucia: tentare di farla ragionare era solo fatica sprecata.

    «Trovate». Lucia riemerge da dentro la borsa esibendo trionfante le chiavi.

    L’autostrada fila via liscia e Guia si rilassa: hanno tutto il tempo di arrivare prima che escano i bambini da scuola. Forse riuscirà a fare anche un po’ di spesa.

    «Ok, Luci, puoi lasciarmi davanti al supermercato». Guia dà un’ultima tiratina ai collant. «Ho promesso ai bambini una cena alla sanfason che nell’ultima versione consiste in toast, mais per Emma, spinaci per Elia, risi del deserto e latte. Ma mi manca il pane per i toast.»

    «Perché non la chiami cena alla bastarda e fine, come la Oggero nei suoi libri con la prof?», domanda Lucia schiaffeggiando con una clacsonata un pedone incauto.

    «Perché sanfason lo ha coniato la mia bisnonna e nel nostro lessico familiare vale il termine della Oggero, ma non è una parolaccia.»

    Lucia si lascia travolgere da un irresistibile moto d’affetto nei confronti di Guia, unica superstite del pianeta ad adoperare espressioni come: accipicchia, "mercoledì, perdinci, testa di rapa".

    «Eccoci, grazie mille Luci.»

    «A domani. Aspetta, notizie di Betti?»

    «Niente. Tutto staccato. Effetto delle recenti scoperte su Fecalomo?»

    «Probabile.»

    Si guardano.

    Sospirano rassegnate.

    «Baci.»

    «Baci.»

    CINQUE

    Cinque parole.

    Se non c’è nulla, ha detto.

    Ha sottinteso andrei e se n’è andato.

    Tutto qui.

    Lavoro, lavoro, lavoro.

    Mai un guizzo vagamente umano, personale, un gesto qualsiasi che la faccia sentire diversa da una sedia, un plico di fotocopie, una graffettatrice.

    Non una parola sul suo nuovo taglio e colore di capelli, un accenno al fatto di avergli riordinato la scrivania, e spianato gli appennini di pratiche che oscuravano il monitor.

    Niente.

    Non una parola, l’ombra di un sorriso, mai uno sguardo vero che si posi su di lei per un istante, invece di trapassarla come un vecchio manifesto che vedi sempre e non noti più.

    L’agente scelto Maria Fiore lega con l’elastico la cartellina verde e la infila nello schedario, chiudendo il cassetto con un secco colpo d’anca.

    Sfiora con le dita la sedia vuota del commissario cercando di percepire ancora il calore del corpo dell’uomodellasuavita.

    Ecco.

    Il magone sale.

    Cresce.

    O forse si avvicina la sindrome premestruale.

    Fa mente locale, dimentica sempre di segnarsi quando le arrivano. Eppure è la prima cosa che le ha insegnato sua mamma quando le ha raccontato tutto l’ambaradan del tedioso appuntamento mensile. Ma si scorda sempre: pensa ora lo faccio, ora lo faccio, e poi…

    Vediamo, era il giovedì dopo la seconda cena con Gabriel. Sì, perché aveva pensato: se andava a cena con lui anche il sabato dopo, lei sarebbe stata ancora in piena zona rossa e che al terzo appuntamento cercasse di portarsela a letto era ragionevole, prevedibile. Situazione imbarazzante: se ci provava era costretta a dire di no e lui poteva pensare a una scusa. Del resto, rifiutare appellandosi al ciclo poteva risultare poco romantico. Fare la ritrosa, quindi? E se lui avesse mollato la presa? Un minimo le sarebbe spiaciuto.

    Si erano conosciuti chattando su animamia.it, qualche mese prima. Lei non ama questo genere d’incontri epistolari, ha bisogno di parlare con un uomo guardandolo dritto in faccia. Poi questi contatti virtuali la turbano un po’: hanno un alone di subdolo mistero che invece d’intrigarla la fa sentire vulnerabile.

    C’era finita, nel sito, per un’indagine di lavoro. Si era imbattuta nella foto di un tipo che somigliava all’attore Garko, suo idolo e secondo solo al commissario, unico uomodellasuavita.

    Per curiosità aveva cliccato l’immagine di quest’adone con sfondo di paradiso tropicale e il cui nickname, guarda caso, era proprio Gabriel. Non poteva esistere combinazione migliore, bello come il sole e con un soprannome così: lasciarselo sfuggire sarebbe stato un vero delitto.

    Ma Gabriel si era rivelato poco incline alla parola scritta, tempo qualche breve botta e risposta e aveva già fissato un vero appuntamento. La Fiore non era convinta dell’incontro, i suoi le avevano inculcato di non fidarsi degli sconosciuti, ma lei era ormai un’agente di polizia, sapeva come difendersi. Ogni perplessità si era dileguata davanti a Gabriel, bello da far paura, quasi meglio dell’originale.

    No, innamorata no, per carità, il suo ideale assoluto e disgraziato resta per il suo capo che non la caga di striscio.

    Per fortuna la situazione con Gabriel era stata miracolata da una tempestiva influenza intestinale di Gabriel medesimo, permettendo così al terzo appuntamento di essere coronato, nel migliore dei modi, la settimana successiva.

    Inutile trincerarsi dietro delle scuse: la Fiore ha il magone esclusivamente per l’indifferenza cosmica del capo.

    Punto.

    Forse, se riuscisse a dare una svolta al caso… magari si accorgerebbe di lei, dei suoi occhi nocciola non più spenti dagli occhiali, ma esaltati dalle lenti a contatto. Per lui ha vinto il ribrezzo di frugarsi negli occhi come in un film di Dario Argento. E si è tagliata i capelli, i suoi lunghi capelli, una fatica immensa farli crescere, ma un giorno lui butta lì un commento entusiastico su Sharon Stone e il suo taglio audace e lei sacrifica le chiome per una pettinatura da pulcino bagnato. Si è pure fatta i colpi di sole.

    Si passa le dita fra le ciocche sfilate sulla nuca.

    E il magone sale.

    Fancu’.

    SEI

    «Sei tu?»

    «Mm-mm.»

    «Freddo, eh?»

    «Mmm.»

    «Qualcosa non va?»

    «Mm-mm, tutto ok.»

    Lo guarda mentre si toglie il giaccone. Odia il suo modo di calarlo con indifferenza sul bracciolo del divano, una manica che ciondola verso il pavimento, tutto storto, come un cadavere scomposto. Perché diavolo non lo appende all’attaccapanni, perché deve farlo lei, sempre?

    Lo guarda sedersi sul divano, gli osserva il profilo, lo stesso che l’ha fatta innamorare: gli occhi verdi, leggermente canzonatori, l’aria da strafottente, i capelli grossi, lucidi, folti e scuri. Ritorna con il pensiero a quella festa, nel parco di una villa di amici in Albaro, il quartiere più elegante di Genova. Bianca non l’aveva notato subito, poi si era accorta quasi con fastidio di quel bellone supercorteggiato e con ostinata determinazione non l’aveva degnato di uno sguardo per l’intera serata. Solo al termine della festa, mentre Bianca si preparava per tornare a casa, lui l’aveva inaspettatamente fermata offrendosi di accompagnarla. Roberto la guardava con una tale intensità che lei si era sentita rimescolare dentro. In realtà sentiva pure una vocina da grillo parlante che le martellava in testa Non fa per te non fa per te come un disco rotto, ma come lui le sfiorava un ginocchio cambiando la marcia, a vocina si faceva sempre più fievole e lontana.

    Quando lui le aveva preso il mento tra le dita per baciarla, la vocina era scomparsa del tutto. Roberto era forte, sicuro di sé, le raccontava del suo cantiere navale dove si producevano motoscafi di legno lucido, simili a quelli che lei aveva sempre ammirato durante le vacanze in Costa Azzurra. Ai suoi occhi appariva come un uomo vero e concreto, così diverso dai bamboccioni ricchi e nullafacenti dell’entourage di famiglia. Allora le sembrava un miracolo che lui l’avesse notata e poi amata e poi ancora sposata. Si sentiva la più fortunata tra le donne, il riscatto di tutte le cenerentole mancate: aveva trovato il suo principe azzurro, bellissimo, ricco, intraprendente e suo, tutto suo.

    Solo su una cosa si era sbagliata: non era tutto suo.

    In quei tre anni di matrimonio Roberto era stato un bene condiviso, una specie di multiproprietà, e quell’aria strafottente non era una semplice aria.

    Ma non vuole perderlo, lo ama, o forse no, però è pazza di lui. In fondo, è lei che ha sposato.

    Bianca non ha amiche, solo qualche conoscenza: sul lavoro, in palestra, ma amiche vere nessuna. Ne aveva, prima di incontrare lui, ma nel tempo erano diventate inconsistenti come donne di un mazzo di carte che Roberto passava da una mano all’altra con l’abilità di un giocatore d’azzardo.

    Ed è rimasta sola.

    Con lui.

    Nei momenti in cui Roberto non ha nessuna per la testa, nessuna di quelle nuove, intende, le pare di tornare ai tempi meravigliosi dei loro inizi. Ed è felice, felice, felice. Pensa che forse lui ha messo la testa a posto, che è maturato, che è stato solo un attimo di sbandamento – un po’ lungo forse, ma un attimo. Che ora è nuovamente tutto suo, solo suo. Ma da quattro mesi in qua nemmeno una pausa, lui

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