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Sangue dal passato: Una nuova indagine per Teresa Maritano e Marco Ardini
Sangue dal passato: Una nuova indagine per Teresa Maritano e Marco Ardini
Sangue dal passato: Una nuova indagine per Teresa Maritano e Marco Ardini
E-book308 pagine4 ore

Sangue dal passato: Una nuova indagine per Teresa Maritano e Marco Ardini

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Info su questo ebook

Sono le prime ore di una gelida mattina di metà gennaio quando Tea, Teresa Maritano, viene svegliata da un agente e accompagnata al Pronto Soccorso dell’Ospedale di San Martino: hanno sparato al vicequestore Marco Ardini, che quando lei era ispettore era il suo superiore diretto. La loro è una relazione complicata e il vero punto fermo è l’affetto che lega entrambi a Paola, la ragazzina che per qualche tempo Tea aveva avuto in affido. Ardini è in coma farmacologico. Perché gli hanno teso un agguato nella spiaggia sotto casa sua? Da due giorni si occupava delle indagini sul decesso di Mauro Ranieri, morto per overdose in un alberghetto poco lontano da Stazione Principe e, secondo gli investigatori, non è un caso così importante da giustificare il tentativo di uccidere un vicequestore. I colleghi di Ardini vogliono sapere da Maritano se lui era impegnato in una delle sue indagini non ufficiali nell’ambiente della pedofilia, indagini a cui lei aveva spesso collaborato. Ma questa volta lei non sa nulla. Vorrebbe stare accanto a Marco ma le sarà consentito se aiuterà gli investigatori a entrare nell’appartamento e nel computer del vicequestore, entrambe protette da password. Ancora una volta Maritano dovrà lottare fino alla fine, mentre nuovi pericoli incombono su di lei e non sa mai chi sono gli alleati e chi gli avversari.

Maria Masella è nata a Genova. Ha partecipato varie volte al Mystfest di Cattolica ed è stata premiata in due edizioni (1987 e 1988). Ha pubblicato una raccolta di racconti – Non son chi fui – con Solfanelli e un’altra – Trappole – con la Clessidra. Sempre con la Clessidra è uscito nel 1999 il romanzo poliziesco Per sapere la verità. La Giuria del XX - VIII Premio “Gran Giallo Città di Cattolica” (edizione 2001) ha segnalato un suo racconto La parabola dei ciechi, inserito successivamente nell’antologia Liguria in giallo e nero (Fratelli Frilli Editori, 2006). Ha scritto articoli e racconti sulla rivista “Marea”. Per Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Morte a domicilio (2002), Il dubbio (2004), La segreta causa (2005), Il cartomante di via Venti (2005), Giorni contati (2006), Mariani. Il caso cuorenero (2006), Io so L’enigma di Mariani (2007), Primo (2008), Ultima chiamata per Mariani (2009), Mariani e il caso irrisolto (2010), Recita per Mariani (2011), Per sapere la verità (2012), Celtique (2012, terzo classificato al Premio Azzeccagarbugli 2013), Mariani allo specchio (2013), Mariani e le mezze verità (2014), Mariani e le porte chiuse (2015), Testimone. Sette indagini per Antonio Mariani (2016), Mariani e il peso della colpa (2016), Mariani e la cagna (2017) Mariani e le parole taciute (2018), Matematiche certezze (2019 scritto a quattro mani con lo scrittore Rocco Ballacchino), Mariani e le giuste scelte (2019), Mariani e le ferite del passato (2020), Mariani e il secondo colpo (2022), Un caso freddo (2023), Nessun ricordo muore (2017), Vittime e delitti (2018), Le porte della notte (2019), Un posto per morire (2021) e Appuntamento mortale (2022) questi ultimi cinque con protagonista la coppia Teresa Maritano e Marco Ardini. Per Corbaccio ha pubblicato Belle sceme! (2009). Per Rizzoli, nella collana youfeel, sono usciti Il cliente (2014), La preda (2014) e Il tesoro del melograno (2016). Per Castelvecchi il romanzo Tracce di Ada (2021). Morte a domicilio e Il dubbio sono stati pubblicati in Germania dalla Goldmann. Nel 2015 le è stato conferito il premio “La Vie en Rose”. 2018, terza classificata alla prima edizione del Premio EWWA. Premio Tigulliana, 2019. Premio alla carriera La Quercia del Myr, 2020. Nel 2023 Scritto nelle stelle, AltreVoci Edizioni, (romance storico) e Tunnel, La Corte Editore, (thriller).
LinguaItaliano
Data di uscita2 apr 2024
ISBN9788869437496

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    Sangue dal passato - Maria Masella

    CAPITOLO 1

    Sabato 15 gennaio

    È già buio, fra poco, appena saranno andati via gli ultimi clienti, uscirò e tirerò giù la serranda. Sono dietro il bancone a portarmi avanti con il riordino serale e continuo a lanciare occhiate all’orologio, come se potessi far accelerare il suo giro. Vorrei che fosse già domani.

    Ecco, vedo l’ultimo cliente alzarsi, senza fretta, mettere le mani in tasca per pagare l’amaro che gli è durato mezz’ora. Dentro di me lo imploro di non cincischiare e di non trattenersi, anche se so che vive solo e viene al bar per un po’ di compagnia, come tanti altri anziani del quartiere.

    Finalmente esce. Mi chino per concludere in fretta la pulizia indispensabile. Quando mi sollevo lui, il vicequestore Marco Ardini, è davanti a me.

    Non lo vedo da fine novembre. Ed eravamo in un ufficio del Tribunale dei minorenni.

    Domani potrò trascorrere con Paola la giornata intera. Lui ha avuto la domenica scorsa.

    – Domani vai da lei? – Sa che è superfluo dirne il nome.

    Faccio segno di sì, mentre ho una strana sensazione. Lo vedo togliere il pacchetto dalla tasca del Burberry grigio scuro e prendere l’accendino, non un banale usa e getta ma uno Zippo antivento in acciaio inox. – Vietato fumare.

    Non conclude il gesto ma non ripone pacchetto e accendino. – Lasciami il turno.

    – Perché?

    – Per qualche tempo sarò molto impegnato.

    Mi sforzo di essere civile, di dimenticare quanto ho aspettato la mia domenica. – Capisco – e spero di sembrare convincente e non rabbiosa. Dal cassetto del bancone tolgo il pacchetto, sfilo una sigaretta e la accendo.

    – Non è vietato fumare, Maritano?

    Come risposta gli indico la porta. Quando ha la mano sulla maniglia si volta. – Ti raccomando prudenza, Tea.

    Lo guardo uscire. Appena fuori accende. Ha qualcosa che non va, lo sento, vorrei richiamarlo indietro; invece, spengo la sigaretta di cui ho fumato una boccata. La spengo sotto l’acqua e butto il cadavere molliccio nel bidone dei rifiuti.

    Dove finirà quello che ho cucinato per Paola.

    Invece di uscire in fretta mi attardo a ripulire il bar, poi mi chiudo in casa. Casa? È casa quando c’è Paola. Domani lo sarebbe stata. I ricordi arrivano come lame taglienti. Era soltanto una bambina che frequentava la terza elementare nella scuola di fronte al mio bar, per salvare lei e la sua amica Carlotta avevo accettato di collaborare con Ardini.

    Gli avevo permesso di ritornare nella mia vita. Prima di aprire un bar ero stata un ispettore e lui il mio superiore. Ci era capitato di fare sesso, perché io sono di sangue caldo e lui è un uomo attraente.

    Era stato lui a insistere perché chiedessi l’affido di Paola, penso che abbia anche esercitato pressioni perché lo ottenessi.

    Per manipolarmi, perché conosceva il mio cuore di burro che si sarebbe affezionato a quella piccolina? O perché le voleva bene e sperava che trovasse un affetto? Lui, il gelido Ardini che chiamavano ICE, qualche mese fa ha rischiato vita e carriera per mettere in salvo Paola.

    Troppi ricordi.

    A fine novembre avevo ricevuto una convocazione del Tribunale dei minorenni. Senza indizi del motivo per cui volevano parlarmi. L’ingiunzione restrittiva era già stata ritirata, era stato proprio Ardini a consegnarmi la lettera in cui mi informavano che avrei potuto incontrare Paola Lanata quando lo desideravo.

    Quindi, mi ero preoccupata. Forse avevano trovato una famiglia affidataria o propensa a una adozione e i nuovi genitori non gradivano che Paoletta restasse legata al passato. Poteva accadere, anche per il suo bene… Dovevo pensare al bene di Paola, non a me. Così mi ero detta, dirigendomi verso l’ufficio.

    Quei dieci minuti in moto erano stati un tormento: la paura di perderla ancora una volta lottava contro il desiderio che almeno lei conducesse una vita normale, avesse la famiglia che io non potevo darle. Ero arrivata in anticipo e poi il panico mi aveva annodato lo stomaco e avevo fatto il giro dell’isolato. Non una volta soltanto e l’anticipo era diventato ritardo.

    Ero entrata, pronta al peggio e al meglio, indistinguibili, come spesso accade. E avevo visto Ardini. Non capivo perché avessero convocato anche lui. Sembrava incerto quanto me. Ci eravamo scambiati un cenno di saluto e nient’altro. Lo conoscevo abbastanza da intuire che era preoccupato quanto me.

    – La minore Paola Lanata ha espresso il desiderio di restare nella casa-famiglia dove risiede attualmente. In tutti gli incontri con lo psicologo ha ripetuto questa sua scelta. Vuole restare dove è e continuare a vedere mamma Tea e Marco. Riteniamo che si debba tenerne conto, perché è già un’adolescente.

    Mi ero chiesta il motivo della convocazione e della presenza di Ardini. Io l’avevo avuta in affido, ma lui che ruolo aveva? Nessuno. Tranne volerle bene. Un bene ricambiato: lei lo vorrebbe come padre.

    Era stato il responsabile della pratica relativa a Lanata Paola a rispondere alla domanda che non avevo avuto il coraggio di porre. – Vorrete sapere perché siete qui entrambi.

    Avevo lanciato un’occhiata ad Ardini, chi non lo conosceva l’avrebbe detto indifferente, ma sapevo che indossava quella maschera quando era teso.

    – Il problema non è Paola, non è lei, signora Maritano, e neppure il vicequestore Ardini. Il problema siete voi due.

    Avrei voluto correggerlo, chiarire che non esisteva un noi che ci accomunasse, ma avevo taciuto.

    – Sappiamo che non siete una coppia…

    Era stato Ardini a replicare: – Penso che non vi riguardi.

    – Ci riguarda perché per Paola siete una coppia. È opportuno non alimentare l’illusione che voi siate o sarete i suoi genitori.

    Ardini si era alzato. – Capisco. Eviterò di andare a trovarla. Mi sarà consentito telefonarle? – E sull’ultima frase aveva esitato.

    – No, potrete vederla entrambi, ma non insieme. Accordatevi fra voi. Rispettando le vostre esigenze lavorative. – Per un attimo la sua voce aveva assunto un tono quasi divertito: – Come tanti genitori divorziati. Spero che dimostriate attenzione verso il bene di Paola, la sua serenità è importante.

    Avevamo stabilito dei turni per gli incontri.

    Domani sarebbe stata la mia domenica e gliela avevo ceduta.

    L’unico conforto era che quei due sarebbero stati insieme. E io sarei stata sola a consumare la domenica tanto attesa.

    CAPITOLO 2

    Lunedì 17 gennaio mattina

    È uno squillo al portone a svegliarmi. Guardo l’ora. Sono le tre e quaranta, la domenica che doveva essere una boccata di gioia mi aveva offerto abbastanza tempo da rinvangare i brutti ricordi di cui avevo un’ampia rosa.

    Per un attimo immagino che sia Ardini. Che voglia ringraziarmi per avergli concesso il mio turno, che voglia dirmi come stava lei. O per stare con me. Lo so, è notte fonda, ma gli capita di perdere il senso del tempo, soprattutto quando è nel suo appartamento che avrebbe una splendida vista sul mare se le gelosie non fossero sempre accostate.

    Apro. Un uomo in uniforme. – Signora Maritano, dovremmo parlarle. È cosa urgente e importante. – Si qualifica come agente della polizia di stato. – Il vicequestore Ardini ha avuto un incidente.

    Credevo che la mia vita facesse abbastanza schifo, non sapevo che potesse peggiorare. – Grave? – Per non chiedere se è vivo.

    – Il mio incarico è informarla, signora Maritano, perché è la prima persona da informare in caso di necessità. – Una pausa. – Se lo desidera, la accompagno al Pronto Soccorso del San Martino.

    Quindi è vivo. Non so cosa dire perché non so cosa penso, cosa sento… Per certo so che chiedere informazioni non otterrà risultati. Lo seguo, entro nell’auto di servizio. È strano che non si siano limitati a una semplice telefonata.

    È preoccupante. Ancora più preoccupante che l’agente si diriga verso il reparto di rianimazione.

    Poso le mani aperte sul vetro che mi separa da lui, come se potesse sentirle. Non è la prima volta che lo vedo in un letto d’ospedale. È collegato a macchinari che non si limitano a monitorarlo, ma lo tengono in vita.

    È lancinante la fitta in pancia. Se non ce la facesse dovrei dirlo a Paoletta che lo ama come il padre che non ha mai avuto. A Paoletta la cui vita è costellata di perdite.

    – Signora… Signora Maritano…

    Quando mi stacco dal vetro e mi volto, vedo un medico. Sfocato. Sto piangendo, reazione infantile perché nessuna lacrima guarisce.

    – Vuole seguirmi?

    Faccio segno di sì. Davanti a una porta chiusa si ferma, la apre, si scosta facendomi segno di entrare.

    C’è già un uomo nella stanza, è il magistrato che avevo incontrato per tirare le fila dell’indagine di questa estate. Resta seduto. – Dottoressa Maritano.

    Gli volto le spalle e mi giro verso il medico che era rimasto dietro di me. – Come sta? – Tante sono le domande ma questa è la più importante.

    – Abbiamo fatto il possibile. Ora è in coma farmacologico. Dobbiamo aspettare. – Esita. – Il proiettile aveva lesionato l’aorta in prossimità del cuore. Ha perso molto sangue.

    – Proiettile? Non è stato un incidente? – anche se l’auto a disposizione e la presenza di un magistrato avrebbero dovuto mettermi sull’avviso.

    Il medico tace ed è il magistrato a rispondere: – Gli hanno sparato, dottoressa Maritano. Un agguato a pochi metri da dove abita. Circa tre ore fa. Non sappiamo altro.

    Non mi importa che sia vero o no, ma soltanto che lui riapra gli occhi. Vederlo oltre il vetro… Forse il riflesso, forse l’effetto dell’illuminazione ospedaliera, ma era grigio come ha sempre voluto essere.

    Il grigio è il suo colore preferito, perché è un non colore. Lo evita soprattutto quando è con Paola che ama i colori vivaci. D’impulso mi volto verso il magistrato e chiedo come era vestito.

    Lui tace ed è il medico a rispondere: – Ero al triage quando l’hanno portato. Jeans e maglione. Neri, forse grigi molto scuri.

    Il magistrato tossicchia, forse era informazione riservata, poi commenta perché voglio saperlo.

    Alzo le spalle, sarebbe troppo difficile spiegargli le fissazioni di Ardini e come si veste. – So che non posso entrare ma vorrei restare a vederlo oltre il vetro. – E lo dico al medico.

    – Non è una parente, è già stata commessa un’irregolarità consentendole di vederlo. Eventualmente potrà farlo più tardi, dottoressa. Non può aiutarlo, ma può collaborare con noi. – La sua voce sale di un tono e finalmente mostra un’emozione: – Vogliamo trovare chi gli ha sparato.

    – Ho rassegnato le dimissioni anni fa.

    Ignora la replica. – Immagino che voglia trovare chi gli ha sparato. Sappiamo che ha collaborato con il vicequestore e che, prima, era nella sua squadra. Come sappiamo che avete interessi in comune.

    – Cosa volete?

    – Con i colleghi ha soltanto rapporti di lavoro, soltanto quelli indispensabili. Non ha amici.

    Evito di correggerlo citando Ester e padre Vincenzo.

    – Le chiedo di collaborare dicendoci quello che sa. Lei lo conosce, può aiutarci a scoprire su cosa stava indagando.

    Voglio che mi lasci andare da lui, anche guardarlo attraverso un vetro è meglio che non vederlo. – E non lo sapete? – Con rabbia.

    – Sappiamo che ha attività collaterali. – Ripete che devo dirgli quello che so.

    – Niente. Non so niente.

    Vado alla porta. Quasi spero che mi fermi. Spero che sia soltanto un incubo. E di svegliarmi.

    Spero che si svegli.

    Sono davanti al vetro, non serve a nulla stazionare in questo corridoio, sfinirmi davanti al vetro. Eppure, non riesco ad allontanarmi. Come se potessi ordinargli di vivere.

    – Signora…

    Riconosco la voce del medico; mi stacco dal vetro e mi volto.

    – Abbiamo un regolamento e mi è stato chiesto di farlo rispettare.

    – Esita. – Mi dispiace – e sembra vero – mi dispiace ma deve andare via.

    Lo guardo. Sì, sembra davvero dispiaciuto. In un lampo di empatia sento il suo disagio. Se non imparerà in fretta a indurire il cuore o almeno il viso, il lavoro lo consumerà.

    – Capisco, non si preoccupi.

    Accenna un sorriso stento. – Abbiamo il suo numero, la terremo informata. Comunque, insisterò perché possa venire a vederlo almeno dalle 13:30 alle 15:00 e dalle 18:30 alle 19:30.

    Lui riuscirà se io accetterò di collaborare. Lo farei se avessi qualcosa da dare in cambio.

    Esco. È ancora notte. Quando ero all’interno del reparto non me ne ero resa conto e, prima, nell’auto che mi aveva portata qui vedevo e non vedevo. Gli occhi erano aperti, ma il cervello non registrava l’informazione.

    Ha perso molto sangue, così ha detto il medico; una delle prime conseguenze, se il paziente sopravvive, è la possibilità di danni cerebrali. Per resistere al dolore devo ignorare questo rischio. Sono tanti i pensieri e i ricordi da escludere.

    Neppure su Paola posso fermarmi perché se lui non ce la facesse dovrei andare da lei. Dovrei essere io a dirle… Come e con quali parole?

    Mi dirigo verso il capolinea del 18, poco lontano. Bus comodo sia per il mio appartamento sia per il bar. Il conducente non è ancora a bordo, è fermo accanto alla porta anteriore e sta fumando. Mi accosto e gli chiedo fra quanto parte, soltanto per controllare se la voce esce perché sento la gola stretta in una morsa.

    – Sette minuti. – L’occhiata è comprensiva. A questa fermata e a quest’ora la maggior parte degli utenti arriva dall’ospedale e non per visite di routine.

    Metto una mano in tasca. Niente sigarette.

    Deve aver interpretato correttamente il gesto perché mi porge il pacchetto.

    – Grazie. Nella fretta le ho dimenticate.

    – Capita. – E mi passa l’accendino. Poi fa un passo indietro. Immagino che intuisca il mio desiderio di stare per i fatti miei, forse lo condivide.

    Ho la testa piena di ovatta e mi aggrappo a dettagli privi di valore come i graffiti che ornano il tabellone con gli orari. Tutto pur di porre uno schermo fra me e quello che è successo.

    È la stessa cosa che faccio durante il percorso fino alla fermata di piazza Giusti: leggo le insegne dei negozi che stanno aprendo, scruto i volti dei passanti infreddoliti.

    Ho freddo anch’io nonostante il piumone e la sciarpa. Ma sotto ho soltanto la felpa leggera che tengo in casa, la stessa che avevo quando avevo sentito suonare alla porta e mi ero alzata dal letto in cui mi ero addormentata ieri sera. Sì, mi ero coricata senza cambiarmi. Credevo di aver portato a termine una orrenda giornata, non sapevo che c’erano ampi spazi di peggioramento.

    Apro il bar, soltanto per esporre il cartello CHIUSO PER MALAT- TIA.

    A piedi vado verso il mio appartamento, già si sentono i rumori della giornata lavorativa che comincia e ogni pochi passi controllo se ci sono chiamate sul cellulare. Niente. Non sono ancora le otto, dovrei aspettare un’ora decente per telefonare a Ester, ma so che è mattiniera.

    Risponde subito, con un pronto affannato.

    – Sono Maritano.

    Netto un sospiro, come se avesse trattenuto il fiato. E subito: – Mi hanno telefonato. Sono il secondo nome per le emergenze. – Non lo sapevo, almeno mi è stato risparmiato l’incarico di informarla. – Hai potuto vederlo? Cosa è successo?

    – Gli hanno sparato. Ora è in coma farmacologico. – Lo dico e mi sembra irreale. Ho bisogno di parlare con una persona fidata e di stringere mani amiche. – Posso venire da te? – Mi correggo. – O tu da me, perché se venissero a cercarmi…

    – Neppure io mi sento di stare sola. Al massimo fra mezz’ora sono da te.

    Venti minuti dopo, sento suonare al portone e la sua voce nel citofono: – Ester.

    Apro. Quando entra mi mette in mano un sacchetto. – Immagino che tu sia digiuna, io lo sono. Vino, il nostro vino¹, e qualcosa di solido. – Pratica, come sempre.

    È stata lei a stappare la bottiglia di rosso, ad affettare pane e formaggio. Anche a cercare piatti e bicchieri.

    Ora siamo sedute di fronte. – Che gli avevano sparato l’ho saputo soltanto da te, Teresa. Avevo chiesto e mi avevano risposto che dovevano informarmi e nient’altro. – Posa il bicchiere da cui ha bevuto un unico sorso. – Telefonata strana. Prima una donna aveva voluto la conferma che fossi Ester Momigliano e che conoscessi Ardini Marco. Al mio assenso aveva aggiunto che ero il secondo nome sulla lista e che era in rianimazione. Stavo chiedendo notizie più precise quando è subentrato un uomo. Non siamo autorizzati a comunicarle altro, signora Momigliano. La terremo informata. E nient’altro. Sapevo che il primo nome era il tuo e aspettavo la tua telefonata.

    – Anche a me hanno detto poco. Volevano sapere se ero al corrente di qualche sua indagine collaterale. – La guardo sperando di cogliere indizi oltre la sua facciata di anziana signora. Aggiungo che non so nulla.

    – Neppure io, te lo garantisco.

    Bevo un altro sorso. – Se sapessi in quale indagine era impegnato… – Poso il bicchiere, economico, non all’altezza del contenuto. – Un uomo ha interrotto chi ti stava fornendo ulteriori informazioni.

    – Sì, come se quell’uomo, sentendolo, gli avesse tolto il telefono di mano. Non brusco ma deciso. Uno che aveva il potere di farlo.

    – Lo so, è lo stesso che ha fermato il medico del reparto intensivo prima che aggiungesse altro. È il magistrato che si era occupato della fase finale del caso di qualche mese fa. Voleva che gli dicessi quello che so. E non so niente. – Ma ne sono già meno sicura.

    La voce deve aver tradito la nuova incertezza, perché Ester chiede se ne sono certa. – Con me puoi parlare, Teresa.

    Mi tolgo i capelli dal viso con il dorso della mano. – Ho soltanto sfumature e dubbi, Ester. Quello lo conosco, per lui esistono esclusivamente i fatti. Sfumature e dubbi non li accetterà come moneta di scambio neppure per consentirmi di vederlo. Sembra che non sappiano perché gli hanno sparato. In fondo è normale che lo tengano isolato e che nessuno possa avvicinarsi e avere sue notizie. – Capisco di essere poco convincente. – Non sono un parente.

    La vedo annuire. – Hai parlato di sfumature…

    Mi stringo nelle spalle. – Ieri era il mio turno di passare la domenica con Paola È arrivato al bar sabato sera, poco prima della chiusura, per chiedermi di cederglielo. – Mi fermo. – Sa quanto stare insieme è importante per me, anche per lei… Era la prima volta che voleva una sostituzione. Ho accettato perché…

    Mi interrompo ed è Ester a continuare: – Perché anche loro due si vogliono bene.

    Annuisco. – Ci avevano consigliato, per Paola, di non andare contemporaneamente. Per evitare che lei si facesse idee strane e costruisse castelli in aria su una possibile vita in tre. Su una possibile famiglia. Che è fuori discussione. – Prendo fiato. – Poi, uscendo, mi ha raccomandato di essere prudente. Prudente! – Tutto quello che ho provato in queste ultime ore diventa un grido e una molla che mi fa alzare così di scatto da rovesciare la sedia.

    Lei non sembra stupita. Resta in silenzio, forse aspetta che la fiammata si plachi. Le mie durano poco: rossa e riccia, prendo fuoco all’istante e presto mi consumo. Divento cenere. Cenere alla cenere. Se morisse come potrei dirlo a Paoletta? Ho la gola secca, ma non è il caso di bere altro vino. Mi verso un bicchiere d’acqua. – Perché mi ha raccomandato di essere prudente? Perché ha chiesto di vedere Paola, anche se era il mio turno di trascorrere la domenica con lei? Ma può essere un caso che gli abbiano sparato una trentina d’ore dopo, forse meno.

    La vedo annuire e continuo: – Se non lo è si apre una rosa di possibilità. Forse sapeva di essere in pericolo e voleva vederla ancora una volta, perché a nessuno vuole bene come a lei. Sì, propenderei per questa ipotesi se non fosse per la frase che mi aveva rivolto mentre andava via. Come se il pericolo coinvolgesse anche me. O Paola. – Vado di nuovo al rubinetto, apro l’acqua e passo le mani sul viso e poi sui capelli. Questi ricci rossi indomabili, che mi facevano spiccare fra tutti, sono stati la dannazione della mia infanzia e della mia adolescenza; poi, da adulta, mi attiravano commenti e proposte non richieste. Anche dai colleghi quando lui era il mio superiore.

    Lui ha le risposte. Lui è oltre il vetro, irraggiungibile.

    – Non ho niente da dare in cambio, Ester. Il magistrato liquiderebbe con un’alzata di spalle che Ardini sia venuto a chiedermi di vedere Paola in una domenica che spettava a me!

    La sua mano tiene ferma la mia. – Forse no. Forse ti consentirebbero di affiancarli nelle indagini sul ferimento di Marco.

    – Comunque, sarebbe collaborazione a senso unico, riceverei informazioni con il contagocce in cambio delle mie, di tutte le mie. Se ne avessi.

    – Ingoia l’orgoglio, Teresa. Sei un ottimo investigatore, parola di Ardini, chiedi di collaborare con i suoi colleghi. Scopri su cosa stava indagando. Almeno quello dovranno dirtelo.

    – Il magistrato che vuole tenermi lontana è stato evasivo, non come se non volesse dire ma proprio non sapesse. Non so se credergli e, del resto, non ho niente da dare in cambio, Ester. – Esito. – E non mi crederanno.

    – Ma tu lo conosci. Noi sappiamo quanto può essere tortuoso. Ostinato. Così ostinato da diventare cattivo, anche con te e con se stesso. Mai con Paola.

    – Nessun padre è stato mai più premuroso e attento del gelido Ardini che con Paola non aveva legami di sangue.

    – Vedi, tu lo conosci, conosci

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