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Un delitto in mostra
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E-book264 pagine3 ore

Un delitto in mostra

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Info su questo ebook

Manca soltanto una settimana all’inaugurazione dell’Expo di Italia ’61 e Torino è in fermento per festeggiare il centenario dell’Unità d’Italia. Sulla sponda del Po, nei pressi dell’area della Fiera, viene rinvenuto un cadavere e il Maresciallo Risso insieme al Maggiore Ferri aprono un’indagine molto complessa.
Addosso al cadavere rinvengono un biglietto con una minaccia angosciante: “Sabato sarà festa anche per me. Combinerò una strage”.
Per risalire all’assassino, Ferri prende una decisione discutibile: blindare il caso tra le mura della caserma senza renderlo pubblico, con l’obiettivo di non scatenare il panico e lo sgomento tra i turisti che accorreranno all’evento. Decisione che metterà tutti d’accordo soltanto dal momento in cui il Maggiore sceglierà, con estrema sofferenza, di sacrificare la sua divisa qualora il caso non venisse archiviato in modo positivo.
Oltre all’indagine dei Carabinieri, vi sono altre cinque storie parallele immerse nella quotidianità di tutti i giorni: una famiglia, un artista di strada una studentessa appassionata di storia e neo guida turistica, un Capitano della Marina di origini torinesi e un barista sulla via del fallimento insieme al suo locale. Ognuno racconta la propria vita, i preparativi in vista dell’inaugurazione dell’Expo a una settimana dall’apertura ufficiale.
Cinque storie che nell’ultima giornata, quella di sabato 6 maggio, si intrecciano tutte insieme in un finale al cardiopalma.
Sette giorni di tempo e cinque storie parallele nelle quali si nasconde l’ombra dell’assassino.


L'AUTORE
Fabrizio Oliviero nasce a Torino nel 1981, dove attualmente vive e lavora. Esordisce con due libri di poesie (Poesie della caffettiera - 2013 e Canti dai vigneti - 2014). L'esordio nella narrativa avviene nel 2015 con "Prima che si schiudano le margherite". Segue una trilogia ambientata in Francia, "Scacco alla nobiltà" (2017), "Intrigo nell'Impero Napoleonico" (2018) e "Il prezzo della libertà" (2020). Nel 2019 prende forma il primo racconto in versi ambientato a Torino, "Il filo di Arianna" e, sullo stesso stile, il racconto a tema bullismo "Su ali di carta" (2020). Segue "Corsa al Potere", (2021) vincitore del premio "Città di Ladispoli" , e "L'ultima sigaretta" (2023).
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita10 apr 2024
ISBN9791254585580
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    Anteprima del libro

    Un delitto in mostra - Fabrizio Olivero

    Collana Milos  

    FABRIZIO OLIVERO

    UN DELITTO IN MOSTRA

    Pubblicato da ©Pubme |Collana Milos

    Prima edizione aprile 2024

    |Un delitto in mostra | ©Fabrizio Olivero | Tutti i diritti riservati

    ISBN:

    Editing a cura di Jessica Maccario

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi ed eventi narrati sono il frutto della fantasia dell’autore. Qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi o defunte, eventi o luoghi esistenti è da considerarsi puramente casuale.

    Questo libro contiene materiale coperto da copyright e non può essere copiato, trasferito, riprodotto, distribuito, noleggiato, licenziato o trasmesso in pubblico, o utilizzato in alcun altro modo ad eccezione di quanto è stato specificatamente autorizzato dall’autore, ai termini e alle condizioni alle quali è stato acquistato o da quanto esplicitamente previsto dalla legge applicabile (Legge 633/1941)

    UN DELITTO IN MOSTRA

    A Nico Ivaldi, per l’ispirazione, il suo aiuto

    e il suo prezioso sostegno.

    Alla mia piccola grande famiglia.

    Prologo

    Parco fluviale delle Vallere

    Sabato 29 aprile 1961

    Ore 23:00

    «Forza, apri il baule e aiutami a portare il cadavere. Sbrigati!»

    «Non è meglio prima controllare che non ci sia qualcuno nel parco?» domandò l’altro.

    «Vai tu a dare un’occhiata. Muoviti.»

    Entrambi erano con il volto coperto, per nascondere l’identità anche se qualcuno li avesse visti. Poco dopo, stavano trasportando l’uomo dentro un telo grigio.

    «Dai che ci siamo quasi, la sponda del fiume è vicina.»

    Il respiro di entrambi si fece sempre più affannoso mentre cercavano di tenere su il corpo pesante.

    «Hai tolto tutto dalle tasche?»

    «Sì, ho tolto tutto.»

    «Hai cambiato la pochette?»

    «Sì, direi che ci possiamo liberare del cadavere.»

    Spiegarono il telo a quattro mani e lasciarono cadere il corpo dell’uomo verso la sponda del fiume. Non si fidavano ad avvicinarsi ancora per spingerlo sott’acqua.

    «Presto, scappiamo!»

    Giunsero all’automobile che avevano abbandonato vicino all’ingresso del parco, uno dei due aprì il baule e lanciò in fretta e furia il telo, mentre l’altro aveva già avviato il motore per scappare via e dileguarsi tra le braccia della notte.

    Prima Parte

    Domenica 30 aprile 1961

    Capitolo 1

    Torino, ore 6:30

    L’alba è una meravigliosa occasione per veder brillare i primi raggi di sole sul fiume, ma non è tutto oro ciò che luccica.

    Le acque del Po, quella mattina, avevano restituito alla sponda occidentale il cadavere di un uomo sulla cinquantina. Figurava in posizione prona, adagiato quasi con grazia dalla corrente sulla vegetazione adiacente al fiume; le braccia erano protese in avanti come se volesse chiedere pietà, nonostante fosse defunto.

    Indossava un paio di pantaloni neri e una giacca beige a quadretti piccoli; ciò che si riusciva a intravedere del volto era la sua tinta chiarissima sporcata dal terriccio della sponda del Po.

    Chi avrebbe trovato il cadavere non poteva nascondere che il luogo era proprio quello in cui si trovava Italia ’61, poco lontano dai padiglioni dove si sarebbe svolta a breve la Fiera delle Regioni.

    Mancavano soltanto sette giorni all’inaugurazione dell’Expo organizzata per celebrare il centenario dell’Unità d’Italia e il sabato seguente, non distante dal luogo del cadavere, avrebbe sfilato Giovanni Gronchi, il presidente della Repubblica.

    Caserma Pietro Micca, ore 9:30

    Nel cortile interno della caserma i preparativi si erano conclusi, ormai la cerimonia era alle porte e per l’occasione era giunto a Torino anche il Generale Renato De Francesco, dopo un lungo viaggio da Roma.

    Francesco Ferri si trovava nel suo ufficio insieme a Alberto Risso da almeno un paio di ore ed entrambi stavano finendo di sistemare alcuni fascicoli; era un giorno molto importante perché qualche ora dopo sarebbero state assegnate loro le nuove cariche.

    Francesco Ferri aveva da poco compiuto cinquantaquattro anni. Era nell’Arma dei Carabinieri dal mese di marzo del 1925 e le rughe sul suo viso portavano con fierezza tutti gli anni di carriera, gioie e delusioni. I capelli castani che aveva quand’era un fresco appuntato, ora si confondevano tra quelli bianchi. Non ne era particolarmente dispiaciuto, dopotutto era riuscito a tirare su famiglia e ad avere un figlio, Michele: per questo doveva ringraziare una coda a teatro fatta per vedere lo spettacolo di Isa Bluette, dove per puro caso aveva incontrato Adele, colei che era diventata sua moglie.

    Nel 1951 era riuscito anche a diventare nonno. A dirla tutta, la seconda volta che pianse nella sua vita fu proprio quando il figlio gli aveva comunicato che il suo primogenito l’avrebbe chiamato Pietro. Pietro, come il papà di Francesco. Quel 3 di maggio, quando nacque, gli corsero dei brividi lungo la schiena che difficilmente riusciva a raccontare, e finì le proprie lacrime in ospedale. La prima volta, invece, aveva pianto per la perdita del padre, carabiniere anch’egli, morto in servizio durante il primo conflitto mondiale.

    S’interruppe nella sua operazione e fissò per un attimo il vuoto, immaginandosi la faccia di suo padre. Proprio per omaggiarlo era entrato nell’Arma, anche se lui non sarebbe mai stato d’accordo della sua scelta. Invece, avrebbe voluto che fosse lì per assistere alla cerimonia: tra poco avrebbe abbandonato la qualifica di Maresciallo Capo per diventare Maresciallo Maggiore.

    «Stai bene?» si preoccupò Alberto, di fronte al suo improvviso silenzio.

    «Vorrei che potesse vedermi ora.»

    Non ebbe bisogno di specificare chi. Quella malinconia veniva ogni volta che pensava a suo padre, e l’amico lo sapeva bene.

    «Sarebbe fiero di te» gli rispose, con premura.

    «Non ne sono così certo.»

    «Io sì.»

    Alberto Risso era più giovane, avrebbe compiuto cinquantadue anni a settembre. Era diventato appuntato nell’Arma anche lui nel 1925, nel mese di dicembre, e ora avrebbe assunto la qualifica di Maresciallo Ordinario. Era biondissimo, ma ormai i suoi capelli bianchi e corti e gli occhiali da vista portavano dietro tutta l’esperienza maturata in quegli anni di servizio.

    Ferri l’aveva conosciuto all’inizio del 1926, nel corso di un’indagine piuttosto complessa, e negli anni avevano condiviso tutto; quando erano tornati dal secondo conflitto mondiale e aveva deciso di sposare Viviana, da cui non aveva avuto figli, l’altro fu il primo a saperlo.

    Oltre a essere colleghi erano diventati presto migliori amici, fino al punto da considerarsi fratelli; si erano sostenuti a vicenda nei momenti difficili e avevano condiviso ogni gioia degna di essere festeggiata. Con molte difficoltà si erano aiutati durante il secondo conflitto mondiale, spartendosi anche il più piccolo pezzo di cibo.

    Soltanto una cosa li opponeva: la loro fede calcistica.

    Con lui proprio non poteva parlarne! Francesco Ferri tifava la Juventus e amava le prodezze della sua punta di diamante, argentino: Omar Sivori.

    Nel petto di Alberto Risso, invece, batteva un cuore tutto granata, tanto che aveva pianto una settimana consecutiva quando era accaduta la tragedia di Superga, nel 1949.

    Ma questo non aveva mai attenuato la loro amicizia.

    Si fissarono negli occhi per qualche secondo, poi Ferri colmò quel divario di tre passi che li separava e abbracciò energicamente il suo collega. Fu un abbraccio intenso, lungo, come quando si saluta un amico che non si incontrerà più per molto tempo. Invece serviva solo per cacciare via la tensione e, soprattutto, per ringraziarlo di essere al suo fianco. Ormai spesso si comprendevano con un solo sguardo.

    A contemplare quell’abbraccio era il Maresciallo Costa, nello scatto imprigionato nella cornice appesa al muro. Era stato per Ferri un secondo padre, era stato lui ad accoglierlo sotto la sua ala e a formarlo all’interno dell’Arma.

    «Alberto, è ora di andare» disse sciogliendo l’abbraccio.

    «Già.» Ferri si sistemò la divisa e si voltò verso l’uscita del suo ufficio.

    «Ferri, Risso!! Dove siete finiti?» la voce di Cravero tuonava nel corridoio.

    Ciò che Costa era stato per Ferri, Cravero lo era per Risso.

    Marco Cravero, sessantasei anni, era il più agitato di tutti perché quella mattina avrebbe assistito al conferimento di due nomine all’interno della sua famiglia: lui stava per diventare Generale di divisione a titolo onorifico, mentre il figlio, Simone, a ventisei anni stava per diventare appuntato.

    La loro somiglianza era incredibile al punto che il futuro Generale molte volte si era riconosciuto negli occhi e nel volto di suo figlio da quando aveva intrapreso il percorso nell’Arma. Capelli corti e neri, la barba che cresceva di rado e soprattutto la statura: solo pochi centimetri li distinguevano.

    «Siamo pronti, stiamo arrivando» replicò Risso, con una calma che Francesco Ferri non aveva.

    Ferri guardò Simone Cravero con la solita punta di invidia: il Maggiore non era una persona gelosa, ma sapere che il giovane appuntato era riuscito anche ad avere suo papà come collega, suscitava in lui ancora più malinconia.

    E poi c’era chi era impaziente, già in postazione, pronto ogni volta a rimarcare sui ritardi di Ferri e Risso. Bruno Galaretto, quarantadue anni, un’aria di sfida e uno sguardo glaciale, stava per diventare brigadiere. Difficilmente sarebbe riuscito a sorridere e non a caso i due colleghi l’avevano soprannominato Galaverna, termine popolare piemontese per definire la brina.

    Con la sua aria di sfida era riuscito a respingere anche le poche ragazze che avevano tentato timidi approcci, oltre a perdere di vista tutti gli amici ed ex compagni di scuola. Gala era pelato, per l’appunto liscio come un pomodoro, ma aveva due sopracciglia foltissime che non azzardò mai a ridurre.

    Quando giunsero nel cortile interno, il Generale De Francesco era pronto e aveva già preso posto sul palco d’onore insieme alla sua delegazione di subordinati.

    Cravero scese le scale e raggiunse suo figlio. Galaretto era già seduto, mentre Ferri, prima di avviarsi con Risso, controllò ancora una volta che l’uniforme che avrebbe dovuto abbandonare fosse in ordine.

    Un lungo sospiro attirò l’attenzione del suo amico.

    «Che succede?» domandò Risso.

    Ferri esitò un attimo.

    «Spero che vada tutto bene. Ogni volta che c’è una nomina accade sempre qualcosa» spiegò.

    «Cosa intendi dire?»

    «Intendo dire che il giorno che diventai brigadiere, la Germania invase la Polonia; quando ricevetti la nomina di maresciallo, accadde quel delitto di una tale crudeltà al piano di sopra di casa mia…»

    «Cerca di respirare profondamente e pensa solo che sarà un grande onore ricevere questa nomina» lo confortò l’amico.

    Entrambi si fecero coraggio e scesero; la cerimonia stava per cominciare.

    Il Generale aprì la cerimonia e la condusse magistralmente con ritmo incalzante: dopo un’introduzione di circa trenta minuti in cui parlò del valore della divisa e dell’importanza delle loro attività, chiamò i militari uno a uno per la consegna delle nuove uniformi, con i gradi corrispondenti sulle spalle.

    «Appuntato Scelto Simone Cravero.»

    I brividi non mancarono e Marco Cravero fu visibilmente emozionato nel vedere suo figlio che intraprendeva la sua stessa carriera.

    «Alberto…» Ferri chiamò il collega sottovoce.

    «Sì?»

    «Dici che anche mio papà mi avrebbe guardato nel modo in cui Cravero sta osservando suo figlio durante una nomina?»

    «No» rispose l’altro.

    «In che senso?»

    «Lui lo fa ogni giorno.»

    Si sorrisero con una fresca spontaneità.

    Simone Cravero ricevette la sua nuova nomina, strinse la mano al Generale De Francesco e si spostò verso destra sul palchetto per mostrare l’uniforme. L’orgoglio di suo padre si leggeva negli occhi.

    «Brigadiere Bruno Galaretto» proseguì il Generale.

    Gala regalò pochi sorrisi, ma era prevedibile.

    Restò tutto d’un pezzo, come sempre, anche davanti a una gioia riusciva a essere impassibile. All’apparenza lo era, ma dentro di sé convivevano più stati d’animo, che insieme creavano quella condizione di incertezza che tutti percepivano. La soddisfazione in primis, ma anche i sacrifici, le sofferenze e le sudate fatte per raggiungere la qualifica di brigadiere le sentiva bollire nel petto.

    «Maresciallo Ordinario Alberto Risso.»

    Ferri applaudì con convinzione per sostenerlo.

    Senza nascondere l’emozione, Alberto indossò l’uniforme nuova e sfoderò il miglior sorriso di sempre.

    Sorrise subito a Ferri che continuava a incitarlo, sorrise a sua moglie e poi a tutti gli altri.

    Viviana era orgogliosa di lui, sempre pronta a sostenerlo o a confortarlo a seconda delle situazioni. Dopo una manciata di secondi anche lui scese dal palco d’onore per lasciare spazio agli altri.

    Era il turno del suo migliore amico.

    Ogni volta che Ferri conseguiva una nomina pensava a suo papà Pietro, era inevitabile. Con le lacrime o con il sorriso, il pensiero finiva sempre lì. Gli sembrava di averlo accanto, e le parole dell’amico l’avevano rincuorato.

    La sua famiglia si era già accomodata, in piedi restava solo Adele, sua moglie: cercò di incrociare lo sguardo con i suoi grandi occhi neri, prima che venisse chiamato, e la vide raccogliersi dietro la nuca i capelli nero corvino e poi sedersi. Era una donna con un temperamento non indifferente, in grado di tenergli testa quando era ora di disquisire, anche se accadeva raramente.

    «Maresciallo Maggiore Francesco Ferri.»

    Ferri raggiunse il palchetto in pochi passi e dopo aver stretto la mano al Generale, prese la divisa e anche lui si spostò.

    Rimase soltanto la divisa più pesante. La più importante. La più prestigiosa di tutta la cerimonia.

    «Generale di Divisione con titolo onorifico Marco Cravero.»

    L’uomo si aggiustò gli occhiali e si alzò per guadagnare il palco d’onore. Poi parlò.

    «Quarantotto anni nell’Arma. Tanti eh? Due conflitti mondiali, colleghi e amici con cui ho condiviso parte della mia vita che non ci sono più. Però ci sono state anche tante soddisfazioni. Cercare» disse alzando la mano «di raggiungere e conseguire certi obiettivi ha permesso una carriera costantemente stimolante. E questo, secondo me, deve essere lo spirito giusto per chi vuole salire dentro l’Arma. Grazie a tutti, sono profondamente onorato.»

    Consegnata l’ultima uniforme, il Generale De Francesco spese le sue ultime battute per congratularsi con i militari che avevano ricevuto la nomina e valorizzò l’efficienza della Caserma intitolata all’eroe Pietro Micca.

    «Sono stato parecchie volte a Torino. Devo ringraziare questa meravigliosa città per avermi ospitato ancora una volta. Una città che sta ultimando i preparativi di una delle mostre più grandi di sempre. Qui in caserma ci sono persone davvero eccezionali, che ti fanno sentire a casa, nonostante la tua dimora sia molto lontana. Grazie ancora di tutto, godetevi le vostre nomine, la vostra Expo e ci rivedremo in autunno» concluse applaudendo.

    Da poco erano passate le undici di una giornata che si era rivelata spettacolare in tutti i sensi, quasi estiva per il sole splendente, e tutti i presenti si stavano scambiando i saluti prima di riprendere le loro rispettive attività.

    Con un ritmo molto blando, Risso seguì Ferri nel suo ufficio, al primo piano.

    «Alberto, cosa dici se stasera andiamo a festeggiare tutti e quattro?» domandò Ferri.

    «Gala, Cravero senior, tu e io?» replicò con una domanda.

    Ferri scoppiò a ridere.

    «Ma no. Intendevo un festeggiamento molto più intimo, tu e io insieme alle nostre mogli!» rispose.

    «Ma certo, perché no! Scusami, avevo frainteso.»

    «Ci cerchiamo un bel localino, magari una bella osteria in collina.»

    «Ottima idea.»

    Ferri guadagnò la sua sedia dietro alla scrivania e quasi si abbandonò a peso morto per scaricare tutta la tensione accumulata nel corso della mattinata. L’occhiata alla fotografia del Maresciallo Costa non mancò, il ringraziamento nei suoi confronti era doveroso.

    «Non ci credo. Ci ho sempre sperato ma mai più credevo di arrivare fino a qui» sospirò Ferri.

    «E noi non abbiamo nessuna intenzione di fermarci» replicò Risso sorridendo.

    La scrivania vantava un ordine encomiabile: partendo dalla sinistra rispetto a Ferri c’era il telefono rigorosamente posizionato su un centrino per non graffiare il legno, poi una serie di notes e agende che conservava per segnarsi gli appunti, due penne stilografiche e un plico piuttosto scarno di dossier. Tutto ciò che non serviva lo conservava nei cassetti.

    Mentre Ferri era intento a rilassarsi, Risso continuava a fissare la propria uniforme con un profondo senso di stupore che faticava a smorzarsi.

    «Congratulazioni a tutti!» Marco Cravero fece il suo ingresso nell’ufficio del nuovo Maresciallo Maggiore, in compagnia di suo figlio Simone. Una manciata di minuti dopo arrivò anche Gala con la sua solita impassibile espressione di sempre, senza essere uscito troppo dal seminato durante la cerimonia.

    Tra un sorriso e l’altro accadde l’inaspettato.

    Il telefono squillò, ammutolendo tutti in pochi secondi.

    Ferri esitò.

    Secondo squillo.

    Marco Cravero squadrò Ferri e anche dall’espressione di Gala si percepiva la domanda Cosa stai aspettando?

    Terzo squillo.

    Risso e Ferri comunicarono soltanto con gli occhi.

    Il Maresciallo Maggiore allungò il braccio sinistro e rispose.

    «Carabinieri» disse con esitazione.

    Sbuffò, poi assunse un’espressione sempre più seria con il trascorrere dei secondi.

    «Va bene, arriviamo. Dovrebbe per cortesia lasciarmi i suoi dati.»

    Ferri svitò il tappo della stilografica, aprì l’agenda e annotò degli appunti.

    «Perfetto. Attendete sul luogo dell’accaduto e restate a disposizione dell’Arma. A tra poco.»

    Attaccò la cornetta con rassegnazione, mentre tutti lo stavano fissando impazienti. Lui compì un respiro profondo e cercò la forza per parlare.

    «Hanno trovato un cadavere. Dobbiamo intervenire» annunciò.

    «Qual è il luogo del ritrovamento?» domandò Marco Cravero.

    «Italia ’61, dietro i padiglioni della Fiera delle Regioni. Risso, vieni con me» disse Ferri.

    «Voi andate, io avverto i colleghi per la rimozione del cadavere» decretò il Generale Cravero.

    Risso e Ferri si prepararono in pochi istanti e presero l’auto di servizio, l’Alfa Romeo Giulietta.

    Capitolo 2

    La fiera si sarebbe svolta in una zona distante dal centro città, nel quartiere Nizza Millefonti, e la frazione del rione in cui sorgeva l’Expo era battezzata con il nome Italia ’61.

    Tutto cominciava dal Palazzo

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