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Heartbreak Lover: Edizione italiana
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E-book257 pagine3 ore

Heartbreak Lover: Edizione italiana

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Info su questo ebook

Nessuno vuole credere ai mostri, ma ho visto di persona che esistono.
Avevo detto addio a Jackson Parker, disperando di salvarmi una volta per tutte, ma le vecchie abitudini sono dure a morire.
Quando un mostro del passato torna, non ho altra scelta che rivelare i nostri segreti.
Ho bisogno che Jackson sia il mio eroe, ma anche lui ha le sue cicatrici.
Possiamo sconfiggere il passato una volta per tutte?
Una volta ho detto che l’avrei amato per sempre, ma che prezzo ha l’eternità?
LinguaItaliano
Data di uscita10 apr 2024
ISBN9791220708371
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    Anteprima del libro

    Heartbreak Lover - C.R. Jane

    1

    PASSATO

    Jackson

    Sapevo che se n’era andata prima ancora di aprire gli occhi. La mancanza della sua presenza era tangibile nell’aria. Era come se avesse portato con sé qualcosa e ora la mia camera da letto ne fosse privata, nonostante la magia che avevamo creato insieme solo poche ore prima.

    Non era solo il fatto che non fosse lì a farmi sentire fuori luogo, c’era una sensazione di uno sgradevole presagio che mi si depositava sulla pelle. E non se ne andava.

    Afferrai il telefono, alla ricerca di un messaggio che mi spiegasse il motivo della sua fuga. Un lampo illuminò la stanza proprio in quel momento.

    Era fuggita nel bel mezzo di una tempesta.

    Il cuore iniziò a battermi forte nel petto quando vidi che avevo dieci chiamate perse.

    Nessuna era sua, però. Erano di mio padre.

    Strano che non fosse venuto a bussare alla porta della casa presso piscina, se ciò di cui aveva bisogno era tanto urgente.

    Sceso dal letto, mi infilai un paio di pantaloncini da basket e lo richiamai. «È un’ora che cerco di contattarti, cazzo. Dove diavolo eri?» gridò mio padre.

    «Dormivo. Sono le due del mattino,» risposi con tono sprezzante, mentre l’ansia mi prendeva a pugni lo stomaco.

    Mio padre crollò proprio in quel momento. Per tutta la mia vita, quell’uomo era stato un pilastro di stoicismo, non mostrava quasi mai emozioni. Ma adesso singhiozzava al telefono come se avesse appena scoperto di essere malato terminale o qualcosa del genere.

    «Papà…»

    «È Caiden. Ha avuto un incidente. È in ospedale.»

    La voce si interruppe, straziata dai singhiozzi che peggioravano. Il cuore mi si strinse nel petto. Corsi alla cassettiera, prima ancora che mio padre proseguisse mi ero già infilato una camicia.

    «Siamo al Southridge Presbyterian. Vieni, svelto!» aggiunse, poi riagganciò il telefono.

    Appena salito sul SUV, provai a chiamare Everly. Forse si era spaventata per avermi concesso la sua verginità e aveva bisogno di stare da sola?

    Scossi la testa non appena terminai il pensiero. Ciò che avevamo condiviso quella sera era stata magia, cazzo. Il tipo di cosa per cui si scrivevano sonetti e canzoni. Non le avrei permesso di rimpiangermi… di rimpiangere noi. Avremmo risolto tutto.

    La chiamai di nuovo, ma partì la segreteria telefonica.

    «Everly,» cominciai, con voce rotta. «Non so dove sei andata, ma è successo qualcosa a Caiden e sto andando in ospedale proprio adesso. Se puoi venire appena ricevi questo messaggio… È molto grave.» Feci un respiro profondo. «E nel caso non riuscissimo a parlarne subito, questa è stata la serata più bella che abbia mai avuto e non me ne pentirò mai. Ti amo più della mia vita. Chiamami.»

    Sospirai, le budella mi si strinsero per la preoccupazione e ripresi a guidare come un pazzo verso l’ospedale. C’era un temporale in corso e le strade erano scivolose. Avevo difficoltà a vedere attraverso gli scrosci di pioggia, ma in qualche modo riuscii ad arrivare senza schiantarmi.

    Parcheggiai e corsi sotto il diluvio fino all’ingresso dell’ospedale.

    «Caiden Parker?» ringhiai alla reception.

    La donna, dall’aspetto stanco, non parve scomporsi dall’urgenza nella mia voce. «Lei è un membro della famiglia?»

    «Sono suo fratello, cazzo,» sibilai, esausto. Lanciai un’occhiata alla sala d’attesa, pensando che Everly fosse lì ad aspettarmi. Ma non si vedeva da nessuna parte.

    «Documenti?» chiese. Tirai fuori il portafoglio di nastro adesivo, che io ed Everly avevamo fatto insieme, e le consegnai il documento.

    Alla fine, me lo restituì dopo aver digitato sulla tastiera per quella che mi sembrò un’eternità. «È nella stanza tre-zero-otto. Gli ascensori sono alla sua sinistra.»

    «Grazie,» risposi prima di correre verso l’ascensore. Diedi una rapida occhiata alle pareti a specchio per controllare il colore dei miei occhi. Tirai un sospiro di sollievo, erano blu come sempre. Non riuscivo a capire quando arrivava il cambiamento. Non mi accorgevo di comportarmi in modo diverso. Ma gli occhi di solito erano un chiaro segnale. Non era il momento di cadere in uno dei miei cicli.

    Le porte dell’ascensore finalmente si aprirono e, quando entrai nella stanza di mio fratello, ebbi la sensazione di essere appena stato in guerra. Mi arrestai bruscamente non appena vidi Caiden, disteso sul letto d’ospedale, con il corpo coperto di sangue, lividi e bende.

    Un dolore invisibile mi attraversò il corpo, come se la connessione tra gemelli fosse reale e io riuscissi a provare una parte di ciò che doveva provare lui in quel momento.

    Era sdraiato lì, una statua immobile, e il mio cuore si sentì come se qualcuno mi stesse stringendo il petto in una morsa.

    I miei genitori erano abbracciati su una poltrona accanto al letto. Quando mia madre alzò lo sguardo dalla spalla di mio padre e mi vide, scoppiò in un pianto e scattò in piedi. Si precipitò su di me, gettandosi tra le mie braccia, mentre i suoi singhiozzi riempivano la stanza.

    «Mamma, dimmi che sta bene,» pregai con voce rotta. Non sapevo cosa avrei fatto se fosse stato qualcosa di irreversibile. Caiden era il mio gemello, metà della mia anima. Non potevo immaginare un mondo in cui non fosse al mio fianco.

    Scacciai il senso di colpa che mi attanagliava la pelle per Everly. Caiden avrebbe capito quando gli avrei detto come mi sentivo. Avrebbe capito che avevo bisogno di Everly per respirare. Per lui non era mai stato così.

    Lui avrebbe capito.

    «Sta solo dormendo, figliolo,» disse mio padre. Si avvicinò a dove stavo cercando di confortare mia madre e mi diede una pacca sulla spalla. Per un attimo sembrò quasi che volesse abbracciarmi. In quel caso avrei capito che la situazione era davvero grave. Dal momento in cui mi avevano diagnosticato il bipolarismo, non avevo più ricevuto un abbraccio da mio padre.

    Mi ero rassegnato.

    Inspirai a fondo, sollevato. Le crisi isteriche di mia madre non sembravano corrispondere a un’effettiva gravità della situazione. Mio fratello stava solo dormendo. Potevo accettarlo. Di qualsiasi cosa Caiden avesse avuto bisogno, io sarei stato lì per lui.

    L’avrei accompagnato a fare fisioterapia, l’avrei portato in giro, gli avrei dato da mangiare… gli avrei dato tutto ciò di cui aveva bisogno.

    Tranne lei, mi sussurrò una voce carica di senso di colpa.

    Mio padre mi tolse di dosso mia madre che ancora singhiozzava e io presi il telefono, accigliandomi nel vedere che Everly non aveva ancora risposto.

    Non era da lei. Sospirando, le inviai un altro messaggio prima di rimettere il telefono in tasca e riportare la mia attenzione su Caiden e i miei genitori.

    «Che cos’ha? Che cosa è successo? Perché stava guidando nella tempesta?» chiesi, forse un po’ troppo in fretta per ricevere risposta.

    I singhiozzi di mia madre si interruppero bruscamente e la rabbia le si riversò sui lineamenti. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma sentimmo un basso gemito.

    Caiden si stava svegliando.

    Mia madre e mio padre si misero da un lato e dall’altro del letto e lo guardarono speranzosi. Feci un passo avanti per raggiungerli, ma poi mi fermai, qualcosa mi fece esitare. Guardai il quadretto che formavano loro tre, i genitori adoranti con il loro figlio d’oro. Era un po’ ironico che fossi stato io ad aver ereditato l’aspetto dorato. Da quando erano iniziati i miei problemi, io ero rimasto in disparte e loro erano diventati sempre più uniti.

    Mi scrollai di dosso la sensazione di malessere e mi costrinsi a camminare verso il capezzale di Caiden.

    Gemette di nuovo. Aprì gli occhi lentamente e mia madre ricominciò a piangere, stavolta, speravo, di sollievo.

    Caiden spostò lo sguardo sul mio, confuso, e io rilasciai il respiro che trattenevo dalla telefonata di mio padre. Era sveglio. Tutto sarebbe andato bene.

    Continuò a fissarmi e nel suo sguardo tremolò qualcosa che non avevo mai visto prima… qualcosa che assomigliava molto all’odio.

    Ma non poteva sapere cosa avevo fatto la sera precedente. Non c’era modo. E avrebbe capito una volta che l’avesse saputo. Avrebbe voluto che io fossi felice. Avrebbe voluto che lei fosse felice.

    Lo sapevo e basta.

    «Caiden,» soffiai fuori, scostandomi i capelli dal viso con una mano tremante.

    Non aveva ancora distolto lo sguardo e poi fu come se un fulmine lo avesse colpito. Si mise a sedere, gemendo, con un’espressione di panico sul viso.

    «Everly!» urlò freneticamente. «Dov’è?» Guardò per tutta la stanza come se la stessimo nascondendo in un armadio. «Everly!» urlò ancora.

    I miei genitori scattarono su di lui nel tentativo di farlo sdraiare, ma io ero pietrificato, cercando di capire perché la chiamasse in quel modo.

    «Caiden, sono sicuro che arriverà presto. Le ho lasciato qualche messaggio. Probabilmente sta dormendo.»

    «Everly!» urlò di nuovo, e all’improvviso diede un pugno in pieno viso a mio padre, facendolo cadere a terra, mentre lottava per sganciare i fili e i tubi.

    Alla fine tornai in me e lo afferrai per tenerlo fermo sul letto, mia madre si precipitò fuori dalla stanza a chiamare le infermiere.

    «Arriverà presto, fratello. Devi calmarti,» lo rassicurai a denti stretti mentre mi assestava un colpo al costato sinistro.

    «Era in macchina,» gridò, in preda al panico. «Era in macchina.» Non l’avevo mai sentito parlare così.

    Mi ci volle un minuto intero per capire cosa stesse dicendo e quando lo capii mi si gelò il sangue.

    Era il mio turno di andare nel panico.

    «Everly era in macchina?» Ebbi un sussulto. «Come sarebbe a dire? Dov’è? Sta bene?» Le domande mi uscirono di getto, proprio come quando avevo chiesto ai miei genitori di lui.

    Mi venne il voltastomaco quando scosse la testa e una lacrima gli scese sul viso. «Era in macchina, Jackson. Ti prego, scopri come sta,» mi implorò.

    «Resta a letto,» gli ringhiai prima di lasciarlo andare e uscire di corsa. Nel corridoio, mia madre stava urlando alle infermiere di portare il culo in camera e aiutare suo figlio.

    La ignorai e corsi verso la scrivania dove era seduta un’infermiera che alzava gli occhi al cielo per i modi di mia madre.

    Come biasimarla?

    Ma ero pronto a fare una scenata ancora più grande se qualcuno non mi avesse detto dov’era Everly… e in fretta.

    «Everly James,» le dissi, battendo nervosamente le dita sul bordo del bancone. «È in questo ospedale? In che stanza è?» Le lacrime mi si bloccarono in gola e per un attimo mi vergognai un po’ di non averne avute poco prima per il ragazzo con cui avevo condiviso l’utero, e tuttavia bastava una piccolissima possibilità che Everly si fosse fatta male ed ero spacciato.

    «Rallenta, figliolo,» rispose lei, con tono rassicurante, mentre iniziava a digitare sul computer. «È la ragazza che è entrata con il signor Parker?»

    «Penso di sì,» risposi, anche se, a pensarci bene, non riuscivo a capire perché Everly fosse in macchina con Caiden. Perché avrebbe dovuto lasciare il mio letto per andare con lui? Non aveva alcun senso.

    «Mmm,» mormorò, distogliendomi dalla spirale di pensieri.

    «Cosa?» la incalzai disperato.

    «Mi risulta essere in sala operatoria. In condizioni critiche, in effetti.»

    «Condizioni critiche.» Ripetei le parole lentamente, senza capirle.

    L’infermiera annuì comprensiva, immaginai riuscisse a leggere la devastazione scritta sul mio viso. «Le farò sapere appena avrò novità. Ma non hai un bell’aspetto, tesoro,» aggiunse con dolcezza.

    Suppongo che avrei dovuto tirarmi indietro e aspettare, grato per le informazioni che mi aveva dato nonostante non fosse tenuta a farlo. Ma non ci riuscii. «La prego, mi dica cosa le è successo,» implorai. Un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra. Mi sentivo morire. Avevo bisogno di stare con lei. Non doveva essere sola. «La prego, lei è tutto per me.»

    L’infermiera aveva un’aria combattuta, per via delle regole sulla privacy e tutto il resto, ne ero certo. Ma non mi sembrava che capitasse spesso di vedere un uomo della mia stazza piangere come un bambino. Si guardò intorno, forse per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando, e si sporse verso di me.

    «Posso solo basarmi su quello che c’è scritto sulla cartella clinica ma, almeno in via preliminare, le è stata diagnosticata la rottura del femore, del braccio, della milza, una perforazione dei polmoni, una lesione cerebrale traumatica… e gravi lacerazioni al viso. È arrivata in ospedale priva di sensi. Mi dispiace tanto, tesoro.»

    Spostai il peso da un piede all’altro, con la sensazione che l’aria mi fosse stata risucchiata dai polmoni.

    «Sopravviverà?» chiesi rauco. La vista periferica cominciava a restringersi. Stavo per avere un attacco di panico o un episodio, cosa che non potevo permettermi in quel momento.

    Piccolo angelo. Le parole passarono dai pensieri alle labbra, finché non le ripetei più volte senza senso.

    «Qualcuno prenda una barella. Sta per crollare,» urlò l’infermiera alzandosi dalla sedia.

    Un attimo dopo il mondo era scomparso.

    Piccolo angelo.

    Mi svegliai con le voci accese dei miei genitori nelle vicinanze. «È tutta colpa di quella troia,» si infervorava mia madre.

    «Ha una fica fatta d’oro?» ribatté mio padre.

    Mi ci volle un secondo per capire, e poi fui io a infuriarmi non appena compresi a chi si riferissero.

    «Non parlare così di lei, cazzo,» sputai. I miei genitori si zittirono all’istante e poi mia madre apparve ai piedi del mio letto, torcendosi le mani.

    «Sei sveglio,» osservò calma, perché era evidente che il tempo degli isterismi era riservato solo a quando il suo bambino perfetto non stava bene.

    «Qualche aggiornamento su Everly?» chiesi mentre sporgevo le gambe fuori dal letto, come aveva fatto Caiden. Ma nel mio caso i miei genitori si limitarono a guardare mentre staccavo la flebo e mi alzavo.

    «Non vuoi sapere cosa è successo?» disse la voce roca di mio fratello. Mi resi conto solo in quel momento che mi avevano sistemato su un letto proprio accanto a lui.

    «Quello che voglio sapere è come sta. L’infermiera…» Mi si spezzò la voce. «Le sue ferite erano gravi. L’infermiera non sa se ce la farà.»

    Caiden chiuse gli occhi e le lacrime iniziarono a scorrergli sul viso. Strinse le labbra e potei vedere un minuscolo guizzo sulla sua guancia. «Cazzo.»

    «Everly è ancora in sala operatoria, ragazzi,» cercò di dire mio padre con tono pacato, anche se lo sforzo per farlo era evidente. I miei genitori avevano sempre odiato Everly a causa della sua famiglia. A quanto pareva, papà aveva un socio in affari che aveva perso un po’ di soldi per colpa del padre di Everly, e mio padre non era mai riuscito a superarlo. Dopotutto, niente era più importante dei soldi sul conto in banca suo e del suo amico.

    «Potete andare a prendermi qualcosa da mangiare?» chiese Caiden supplichevole. Roteai gli occhi mentre i miei genitori annuivano e si precipitavano fuori dalla stanza, non videro la sua richiesta per quello che era… il desiderio di parlarmi da solo.

    La disperata preoccupazione che provavo per Everly mi serrò le viscere. Non avevo tempo di ascoltare Caiden. Dovevo scoprire dove si trovava. Magari avrei potuto sostare nei corridoi, inviare incoraggiamenti morali, preghiere, buoni pensieri. Avrei fatto qualsiasi cosa.

    «So che ti ha scopato,» annunciò Caiden all’improvviso, catturando la mia attenzione. Stava fissando il muro di fronte a sé, senza degnarmi di uno sguardo, anche se doveva sapere che le sue parole erano letteralmente proiettili nel mio petto.

    «C-cosa?» balbettai. Non ero preparato a quella conversazione. «Senti, posso spiegarti…»

    «Ha giocato con entrambi. Abbiamo fatto sesso tutta l’estate. Ha solo deciso che non ero abbastanza.» L’emozione sembrò sopraffarlo. «Mi ha chiamato subito dopo che ti sei addormentato, per incontrarci. Abbiamo fatto sesso in macchina e poi mi ha detto che ti aveva scopato. Se ne vantava, cazzo. È per questo che mi sono schiantato.»

    Si strinse ferocemente al lenzuolo dell’ospedale prima che il suo sguardo scuro si congiungesse finalmente con il mio. «La amo,» mi confessò con voce rotta. «La amo così tanto, cazzo. Non so come abbia potuto farlo.»

    L’oscurità cominciò a diffondersi nel mio sangue che divenne denso e velenoso, si muoveva nelle arterie e poi nelle vene, fino a essere pompato nel corpo dal mio cuore morente.

    Sentii un leggero ronzio nelle orecchie.

    Caiden stava ancora parlando, ma io non riuscivo a sentire nulla di ciò che diceva. Era come se il mio corpo si fosse spento alla notizia che ero stato tradito dalla ragazza a cui avevo promesso la mia cazzo di anima. Mi sentivo la pelle pruriginosa e tesa, come se potessi frantumarmi in un milione di pezzi al minimo tocco. Che cosa era andato storto? Come aveva fatto la ragazza di cui mi ero innamorato da bambino a diventare un mostro? Come eravamo arrivati a quel punto, in cui la persona che pensavo di conoscere meglio di chiunque altro poteva voltarsi e pugnalarmi alle spalle?

    Credo che la mela non sia caduta lontano dall’albero, pensai amaramente, considerando che Everly James avrebbe potuto dare del filo da torcere a suo padre.

    Non ero mai stato in grado di capire, senza guardarmi gli occhi, quando il buio stava calando, ma lì, in quel momento, lo sentii. E lo accolsi con favore. Perché significava che non avrei dovuto pensare, che non avrei dovuto sentire.

    «Jackson,» mi chiamò bruscamente mio fratello, mentre mi tornava l’udito. Ma io mi limitai a sorridere come un folle, felice che presto quell’incubo sarebbe finito.

    Caiden continuava a chiamare il mio nome, ma io non rispondevo. Non sapevo nemmeno più se stessi respirando.

    E accolsi il

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