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Perchè muore un gigolò: Un caso per Elisa Bramanti tra passione, delitti e mafia russa
Perchè muore un gigolò: Un caso per Elisa Bramanti tra passione, delitti e mafia russa
Perchè muore un gigolò: Un caso per Elisa Bramanti tra passione, delitti e mafia russa
E-book314 pagine4 ore

Perchè muore un gigolò: Un caso per Elisa Bramanti tra passione, delitti e mafia russa

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Info su questo ebook

É appena diventata avvocato Elisa Bramanti, la praticante legale che con la sua ostinazione nel precedente romanzo, “Colleghi e Carogne”, aveva risolto il caso dell’impiegato ingiustamente accusato di aver massacrato di botte il direttore corrotto. Superato l’esame si accinge a fare un po’ di vacanza al mare, ma quando arriva sulla spiaggia dell’isolotto dei Gabbiani trova il bagnino, suo compagno di studi del liceo, ucciso a colpi di spranga. La famiglia della vittima la incarica di seguire l’inchiesta della magistratura come parte civile e l’avvocata viene a sapere dalla polizia che il suo amico era in realtà un gigolò che si vendeva a donne e uomini. Per la polizia il bagnino (che gestisce anche il chiosco bar dell’isolotto) è vittima della passione tradita di una nota manager di una finanziaria, sulla cinquantina, nota come “Panterona” per la sua aggressività. Per quanto sconvolta dalla doppia vita non sospettata dell’amico, Elisa non crede alla pista passionale e cerca di trovare il vero movente nelle battaglie della vittima a tutela delle bellezze naturali. Indagando con ostinazione, mette inconsapevolmente il naso in una vicenda di speculazioni gestite anche da personaggi della mafia russa e pubblici dipendenti e amministratori corrotti, che non esitano a neutralizzare ed eliminare ogni possibile ostacolo con una serie di delitti che pare inarrestabile.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mag 2024
ISBN9788832281880
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    Anteprima del libro

    Perchè muore un gigolò - Marco Amerigo Innocenti

    UNO

    Seduta sul bordo del piccolo battello-navetta che collegava ogni venti minuti la terraferma all’isolotto dei Gabbiani, Elisa Bramanti si godeva la splendida giornata di sole di inizio estate. Pregustava la lunga nuotata nell’acqua limpida con cui avrebbe celebrato il buon esito dell’esame per diventare avvocato. E anche la fine delle restrizioni contro la pandemia del Covid 19 che consentiva finalmente di riprendere una vita quasi normale. Avrebbe dovuto sentirsi felice e piena di energia.

    Avvertiva invece un profondo senso di angoscia, che non riusciva a spiegarsi. Era inquieta, cupa. Si sforzava di abbozzare un sorriso pensando a Filippo Girolami, il suo compagno di banco del liceo che stava per vedere. Ora lavorava come barman-bagnino nel chiosco-bar che serviva lo stabilimento balneare sulla spiaggia dell’insenatura più bella. Sarebbe stato il primo a festeggiare con lei. Un privilegio ambito da tante ragazze affascinate da quel marcantonio bello, vivace e divertente, ma che Elisa vedeva soltanto come l’amico del cuore, intelligente, generoso, presente. Fisico scultoreo, palestrato, sguardo penetrante da playboy, era davvero un personaggio con quei lunghi capelli biondi e la barba curata, all’origine del soprannome con cui tutti lo conoscevano, fin dai tempi della scuola: Profeta. Era una leggenda anche per la sua contagiosa allegria e le battute a raffica che, insieme alla risata incontenibile, erano state la disperazione dei professori. Filippo non aveva mai rappresentato il tipo giusto per la neo-avvocata, ma l’amicizia tra loro era rimasta solida anche dopo la maturità. Non si erano persi di vista, come accaduto con quasi tutti gli altri.

    A rinsaldare il loro rapporto era pure l’amore per l’ambiente, in nome del quale proprio di recente avevano combattuto una battaglia per far rimuovere dalla spiaggia pagode e tende in stile arabo. Strutture impattanti, arredate con tanto di orrendi triclini che volevano ricordare gli ozi dell’antica Roma. Erano stati fatti montare, in una caletta protetta dalle rocce e circondata da una bella pineta, dal patron del villaggio turistico che troneggiava sulla costa prospiciente l’isolotto. Sua pure l’annessa discoteca Your success, ricercatissima per la costante presenza di esponenti del jet set. Decisi a fermare lo scempio, dalla primavera in poi gruppi di ambientalisti e villeggianti avevano avviato una mobilitazione di settimane. Per sensibilizzare l’opinione pubblica erano stati inviati interventi ai giornali, uniti a partecipazioni in dibattiti sulle Tv locali, oltre a post sui social, flash mob e sit-in. Bersaglio degli attivisti in difesa della natura erano le strutture che facevano a pugni con la caratteristica vegetazione mediterranea, composta soprattutto da tamerici ramosissime, piante di mirto e di olivastra. Filippo aveva anche inviato vari esposti alla Procura della Repubblica, mandati quando aveva capito che negli uffici dell’amministrazione comunale godeva di più di un protettore il patron della discoteca, Curzio Bergonzoni. Il milionario re dei cafoni, come veniva definito dai denigratori, era un borioso imprenditore che organizzava per i suoi affari nel settore immobiliare e finanziario le feste che mischiavano facoltosi e famosi personaggi con giovani idolatranti, in cerca dell’occasione giusta negli incontri ai bordi delle piscine e nei separé del locale. Per le pubbliche relazioni e per stringere accordi, il patron ricorreva anche agli inviti nel ristorante della discoteca e sul suo yatch di sessanta metri, ormeggiato nel porto turistico dove toglieva spazio a quasi tutte le altre imbarcazioni, più piccole. A desistere dal procedere nel devastante progetto, il re dei cafoni era stato indotto dal rischio dell’apertura di un fascicolo di atti relativi sul presunto scempio, anticamera dell’iscrizione nel registro degli indagati da parte del procuratore Claudio Cavalcanti. Un magistrato di cui era nota l’avversione per i sistemi al limite della legalità a cui a volte ricorreva il mondo dei potenti affaristi. Tra l’altro era stato appurato che, nelle operazioni di pulizia e abbellimento, iniziate e poi sospese nella caletta, erano stati in realtà abbattuti arbusti e tante piante della macchia tipica. Secondo Bergonzoni toglievano inutilmente spazio alle strutture del paradiso artificiale che voleva far sorgere, a due passi dal mare. Se la pubblica accusa fosse andata avanti e avesse approfondito la questione, per l’imprenditore sarebbe stata più che fondata l’ipotesi di vedersi incriminare per reati ambientali. Il discotecaro aveva allora sparato a zero contro gli ambientalisti e quanti avevano avversato un’iniziativa che, diceva, doveva portare bellezza e ricchezza. Sarebbe stata comunque realizzata in un’altra zona turistica, dove gente più intelligente, insisteva l’imprenditore, era ben felice di accogliere il suo generoso e lungimirante progetto. Alla fine aveva però dovuto smontare tende e pagode, tra gli sberleffi di tanti volontari di Legambiente e bagnanti che avevano assistito giulivi alle opere di rimozione.

    L’impegno ambientalista di Elisa era peraltro motivo di attrito con l’austero avvocato Lorenzo Cristaldi, nel cui studio la giovane aveva appena finito il praticantato. La sua partecipazione diretta alla mobilitazione contro le orribili strutture sulla spiaggia, immortalata in più di una fotografia sui media, non era piaciuta al penalista. La riteneva una pubblicità inopportuna per uno studio noto per la riservatezza, oltre che per le capacità (e le parcelle) del legale. Non senza qualche discussione, Cristaldi aveva tuttavia concesso alla neo-collega, in procinto di diventare associata, qualche giorno di vacanza, premio per l’esame superato e utile periodo di riposo prima della full immersion nelle cause. I cui incartamenti il professionista aveva già fatto mettere sulla scrivania della giovane. Si era divertito a vedere la faccia della collega quando lui non aveva battuto ciglio alla notizia dell’esito dell’esame, indicandole per tutta risposta la montagna di fascicoli sul suo tavolo.

    Bene, avvocata, ora mettiti a lavorare, aveva commentato, glaciale.

    La Bramanti, che si era aspettata un’accoglienza più calda e festosa, era stata sul punto di esplodere. Aveva rischiato di piangere dalla rabbia. Orgogliosa come era, si era però seduta e aveva cominciato a sistemare i faldoni, sotto lo sguardo attento del legale.

    E questo cosa è?, gli aveva chiesto, sorpresa, ma ancora imbronciata, sventolando l’assegno sbucato sotto un fascicolo.

    Ilare al punto da mostrare uno dei suoi rarissimi sorrisi, Cristaldi aveva risposto: Direi che si tratta del giusto riconoscimento per il tuo impegno e le tue capacità. Già che ci siamo, questa carogna di penalista bacchettone dell’Ottocento, come tu mi giudichi, ti dà anche una settimana di ferie pagate.

    Elisa, paonazza e imbarazzata, era rimasta incredula: In cambio di cosa questa insolita e sconosciuta generosità?.

    Della tua apprezzata collaborazione e di niente altro. Non ti montare la testa, però. La professione è sempre più dura e complessa, la concorrenza agguerrita. Non ti do consigli, tanto so che fai sempre come ti pare. Su, ora vatti a fare delle belle nuotate. E non mi ringraziare, non sapresti proprio farlo.

    Mentre il battellino si accostava al pontile dell’isolotto, l’associata ripensava al colloquio. Avrebbe dovuto ritrovare il sorriso, invece era tornato quell’inspiegabile senso di angoscia. Perché, se l’attendeva una inebriante giornata di sole e mare? Per di più sarebbe stata allietata dall’esuberanza dell’amico barman-bagnino, che certo non l’avrebbe lasciata sola a prendere la tintarella sul lettino che le aveva riservato. Filippo non le avrebbe negato la sua divertente compagnia nei momenti in cui non era obbligato a servire i clienti al bar del chiosco, dove si affittavano anche ombrelloni, canoe e patini per fare il bagno al largo.

    A originarle immediatamente un terribile presentimento fu il capannello di persone, quasi tutte protette dalla mascherina, che vide accalcate sul retro del bar quando, scesa dal gozzo, arrivò sulla spiaggia. Si sentì soffocare. Il cuore le cominciò a battere a mille nello scorgere il nastro messo dalla polizia per non fare accedere i curiosi accalcati sul retro del chiosco, nella zona in cui erano sistemati i bidoni della spazzatura. L’atterrì notare agenti in divisa, accanto ai volontari della Croce Rossa appoggiati ad una lettiga. Si avvicinò a piccoli passi, incerta e interdetta, poi cominciò a correre, disperata.

    Vide. Lasciò cadere la borsa con pinne, maschera e asciugamani e lanciò un grido disperato: Filippo, Filippo…. I poliziotti non le consentirono di superare lo sbarramento, ma riuscì ugualmente a riconoscere il corpo senza vita dell’amico sotto il lenzuolo. Il medico legale l’aveva alzato per i primi accertamenti sul cadavere, del quale si intuiva la testa fracassata in mezzo a un lago di sangue semi-raffermo. L’urlo strozzato della neo-penalista risuonò per tutta la baia: Nooo, nooo… Filippo, nooo….

    Le andò incontro l’ispettrice Laura Gambetti. Elisa l’aveva conosciuta l’anno prima, quando la polizia aveva condotto le indagini su un cliente dello studio Cristaldi, accusato di aver aggredito il direttore della Servitax, la società in house del Comune che si occupava della riscossione dei tributi locali. Il cliente, Osvaldo Buonaiuti, tra l’altro amico di famiglia della avvocata, era un sottoposto vessato, mobbizzato e proprio per questo sospettato. La Gambetti, come il vicequestore Alberto Maltagliati, aveva fatto di tutto per incastrarlo. Alla fine i poliziotti avevano dovuto arrendersi di fronte alle prove a discolpa raccolte dalla Bramanti con l’aiuto del suo amico Riccardo Genziani, collaboratore dello studio investigativo di un ex carabiniere. Tra la penalista, il vicequestore e l’ispettrice da allora non correva buon sangue. L’approccio della poliziotta fu brusco.

    Lo conosceva?, chiese senza degnarsi di offrire il mimino conforto alla persona sconvolta che aveva davanti.

    Cosa gli hanno fatto? Chi è stato?, urlò Elisa. Poi, con un filo di voce, schiantata dal dolore e dallo shock, aggiunse: Sì, lo conosco… Lo conoscevo, era il mio compagno di banco del liceo. Voglio vederlo, fatemelo vedere.

    Impossibile. Le suggerisco anzi di allontanarsi, non è un bello spettacolo. Si tenga comunque a disposizione, dovremo presto ascoltarla.

    Non rispose. Si mise a sedere su uno scoglio piatto. Singhiozzando, rimase ad assistere, attonita, alla scena del medico legale che portava avanti i primi riscontri sulla vittima. Poco distanti c’erano Maltagliati e l’ispettore Ugo Giandomenici che interrogavano il conducente del battello e altre persone che potevano aver visto Girolami nelle ore prima dell’agguato. Era già arrivato Cavalcanti. Anche il procuratore scorse la Bramanti, che ormai conosceva bene per i frequenti incontri-scontri in più di un’istruttoria. Nonostante operassero su due sponde opposte, tra il magistrato e l’avvocata c’era un rapporto di stima e reciproca simpatia. Il comportamento del magistrato, che l’aveva raggiunta, fu più umano.

    Mi hanno detto che quel povero ragazzo ucciso era un suo amico. Mi spiace. Faremo il possibile per trovare l’assassino e capire perché gli hanno fatto fare una fine così orrenda. Tutto si sarebbe aspettato, meno di vedersi crollare addosso, in un pianto irrefrenabile, quella ragazza che si mostrava tosta, determinata, ostinata e quasi insensibile. Impacciato, il procuratore attese che la penalista si fosse un po’ calmata per chiederle se c’era qualcosa che gli inquirenti potevano fare per lei.

    Continuando a singhiozzare a tratti, Elisa rispose.

    Sono stravolta, non riesco a realizzare cosa è accaduto. Non posso crederci. Come lo hanno ammazzato? Ha sofferto?.

    Con voce pacata, calmo, Cavalcanti le disse che dai primi rilievi l’assassino o gli assassini avevano colto il barman di sorpresa, alle spalle, mentre gettava l’immondizia nei bidoni. Lo avevano ripetutamente colpito con un corpo contundente. L’arma del delitto al momento non si era trovata. Doveva in ogni caso essere molto pesante, viste le ferite e le fratture sul cranio.

    Non crediamo che abbia sofferto. Non deve essersi nemmeno accorto dell’arrivo dell’aggressore, certamente non ha avuto il tempo di reagire, di difendersi, intervenne il medico legale, che si era avvicinato. Anche lui aveva avuto modo di conoscere la Bramanti, alla quale non negava mai spiegazioni sui risultati delle autopsie che gli era capitato di eseguire in casi seguiti dallo studio legale Cristaldi.

    Ad una prima valutazione, il procuratore riteneva che il delitto fosse premeditato. Lo indicavano tra l’altro i cavi delle telecamere posizionate per controllare l’interno del chiosco e la spiaggia di fronte. Erano stati tagliati pochi giorni prima dell’agguato. Lo aveva subito riferito il venditore ambulante che da mattina a sera girava con la sua merce in quella zona. Era la stessa persona che aveva trovato il bagnino privo di vita. Per Cavalcanti, non c’era dubbio che qualcuno avesse deliberatamente messo fuori uso il sistema di sorveglianza. L’omicida voleva essere sicuro di poter agire indisturbato e di non essere riconosciuto.

    Il sabotaggio del sistema di videosorveglianza è un elemento che ci indirizza verso la premeditazione, spiegò all’avvocata, che si sforzava di trattenere il pianto. Il killer ha agito secondo un piano preciso e prestabilito. Doveva conoscere molto bene la zona, oppure l’aveva studiata con cura prima di colpire. Il cellulare della vittima è sparito, mentre nel ripostiglio del bar c’era un Ipad nascosto sotto un’asse della pavimentazione in legno. Lo ha trovato la Gambetti, che ne esaminerà subito il contenuto. Speriamo possa esserci utile. Nel locale c’è un gran caos, fatto che ci fa ritenere che l’assassino cercasse qualcosa. Non sappiamo cosa e soprattutto se l’abbia trovato.

    Elisa non si dava pace. È assurdo, chi poteva avercela con Filippo? Lui è... era sempre disponibile con tutti, non avrebbe fatto male a una mosca. Perché, perché?.

    Lo scopriremo, glielo prometto. È un delitto atroce, feroce, cattivo. Non resterà impunito.

    La penalista aveva ripreso a piangere sommessamente. Le lacrime le rigavano il volto. Ebbe uno scossone quando avvertì sulla pelle un fazzoletto che gliele asciugava. Riconobbe subito Abdou, l’anziano venditore ambulante marocchino che aveva trovato il suo amico morto. Spesso si fermava a parlare con lei sotto l’ombrellone. Da molti anni vendeva borse di marche contraffatte, quasi identiche alle originali, e faceva discreti affari. Poche persone lo trattavano con la gentilezza e la cordialità di quella giovane donna, che quasi sempre gli offriva acqua per dissetarsi e anche un panino, o un po’ di frutta. Abdou le era grato, dagli altri si sentiva evitato. Capelli e barba corta, ormai bianchi, alto e segaligno, l’immigrato veniva quasi sempre allontanato in malo modo da persone che mostravano di aver quasi paura di lui. Meno che quando, soprattutto le signore, notavano qualche bella borsa a buon prezzo che faceva gola. Allora si avvicinavano e scoprivano il caldo sorriso del venditore che sapeva metterle a loro agio e si mostrava abilissimo nel convincerle a comprare. Quel sorriso accogliente e i suoi discorsi profondi e sensati avevano subito conquistato Elisa, che lo ascoltava attenta e quasi affascinata dalle storie che illustravano la realtà del suo Paese e le vicende della sua travagliata vita. Con lei Abdou parlava a lungo, riposandosi per qualche minuto all’ombra e raccontandole della sua famiglia in Marocco, delle condizioni di vita in Africa, non più così dissimili rispetto all’Italia. Sperava di tornare a casa, prima o poi.

    Su, signorina – le disse nel suo buon italiano, abbozzando un sorriso – cerca di riprenderti. Sono davvero addolorato. Filippo era un bravo ragazzo, non meritava quella fine. L’ho trovato io, è stato tremendo. Lo sai, al mattino sono il primo ad arrivare sulla spiaggia. Mi piace l’aria fresca e mi godo la baia senza gente. E poi devo sistemare la mia merce. Lo faccio nel casotto, per evitare che le borse si riempiano di sabbia. Filippo mi mette… mi aveva messo a disposizione un tavolo e una sedia per lavorare meglio. Mi portava il caffè e facevamo sempre quattro chiacchiere. Non l’ho mai visto triste. In questi ultimi giorni mi pareva un po’ stanco, aveva le occhiaie. Sapevo perché, con tutte le femmine che gli correvano dietro. Gli strizzavo l’occhio e lui rideva, di gusto. Ma non raccontava mai le sue notti d’amore. Era molto riservato.

    "Lo so. Nemmeno a me ne parlava. Era l’unico argomento sul quale non si apriva. Avevo smesso di fargli domande, anche per non sembrare gelosa. Eravamo molto amici, soltanto amici. E in ogni caso mi rispondeva sempre Top secret. Conosco più di una ragazza, anche qualche signora, che invece si vantava di averlo conquistato, non lesinando particolari sulle sue prestazioni".

    Pensi che possa essere un delitto passionale?.

    Non scherziamo, Abdou. Lo escludo. Spero che gli inquirenti trovino il vero motivo e gli assassini.

    Il venditore si accorse che la sua interlocutrice era diventata pensierosa, quasi assente.

    Posso fare qualcosa per te, signorina?.

    No, Abdou. Sto pensando ai genitori del nostro amico, li conosco. Sono stata tante volte a casa loro, sono persone perbene. Gente semplice, grandi lavoratori. Oltre a Filippo, hanno tre figli più piccoli. L’ultimogenito, Mario, è un soggetto autistico. Fa ancora la scuola media, seguito da un’insegnante di sostegno priva di preparazione specifica. Lui capisce tutto, ma non parla. È di indole buona, anche se a volte i compagni lo isolano. Non manca qualche carognetta che tenterebbe di bullizzarlo. Quasi tutti i professori lo considerano un fastidio, un freno alla crescita complessiva della classe. Per la famiglia è un dispiacere e un calvario permanente.

    L’avvocata raccontò che, dolore a parte, i genitori dovevano sostenere costi ingenti per gli psicologi e altre figure professionali di cui avevano bisogno per cercare di guarire Mario. Non potevano contare granché sulla sanità pubblica.

    So che ogni mese per le cure private e l’assistenza di un trainer spendono più di duemila euro. È per aiutare la famiglia che Filippo si è messo a lavorare. Aveva superato la prova per essere ammesso alla facoltà di medicina, ma gli studi costano troppo.

    Il venditore parve sorpreso.

    Non lo avrei immaginato. Pensavo che disponesse di parecchi soldi in tasca. Bella macchina, sempre ben vestito, orologio d’oro al polso. Quello magari è falso, però credevo proprio che facesse una bella vita.

    Elisa spiegò all’ambulante che il barman lavorava anche in una ditta di catering, quando la stagione balneare era finita. La metà di quello che prendeva andava ai genitori. Vivendo in casa, i soldi che restavano al suo amico non erano poi così pochi. Il padre era portiere in una cartiera, la madre bidella alle elementari. Senza l’aiuto di Filippo avrebbero avuto problemi seri. Quel poco che avanzava dalle spese per il bilancio domestico e per assistere Mario era destinato a pagare l’istruzione degli altri due figli, almeno fino alla maturità.

    Abdou la interruppe.

    Lo sapevi che Filippo stava mettendo da parte i soldi per poter ricominciare gli studi universitari?.

    Me lo aveva detto e io lo spronavo. È… era molto intelligente, avrebbe superato gli esami con facilità. Dovrò andare a fare visita ai genitori, ma non so se ce la faccio.

    Se vuoi, ti accompagno io.

    Davvero? Mi faresti un gran favore.

    Di nuovo era assorta. Il venditore gliene chiese il motivo.

    A cosa pensi ora?.

    Tu quando l’hai trovato, di preciso?.

    Ero arrivato con il primo battello, alle sette.

    Credi che lo avessero ammazzato da poco o che lo avessero colpito durante la notte?.

    Non ne ho idea. Però ho notato che il sangue cominciava a seccare. Quello che è certo è che ieri sera, alle otto, era ancora vivo. Mi ha salutato dicendomi che si fermava un po’ di più per sistemare. Aveva un mezzo sorriso che mi ha fatto pensare che aspettasse qualcuna delle sue ammiratrici.

    Il procuratore mi ha detto di aver saputo da te delle telecamere messe fuori uso. Da quando?.

    È successo pochi giorni fa. Filippo era infuriato, pensava al gesto di qualche teppistello che aveva cacciato dal chiosco perché disturbava. Non era la prima volta che subiva le stupide vendette di giovanotti aggressivi. Tra loro c’era chi beveva troppo e non reggeva gli alcolici, non solo birre. Altri arrivavano sotto gli effetti degli stupefacenti. Infastidivano i clienti, litigavano tra loro per le ragazze o per una partita a carte, e Filippo era costretto a intervenire. Mi aveva detto che qualche testa calda lo aveva minacciato. Fatto sta che aveva trovato i cavi delle telecamere tranciati e aveva chiamato la ditta della manutenzione, perché il sistema fosse riattivato al più presto. Dovevano venire domani per la riparazione.

    Hai visto se durante il giorno c’era qualche donna, in particolare, che gli girava intorno?.

    Me lo ha chiesto anche la polizia. C’era la fila, come sempre. Quando lui era al banco del bar, sembrava che tutte le signore e signorine della spiaggia fossero diventate tremendamente assetate. Però non mi è parso che qualcuna si fermasse ad aspettarlo. Quando sono andato via, era solo. Può darsi che abbia passato la notte qui. Il suo gommone è fermo all’ancora. Ma lui potrebbe essere arrivato stamani alle sei, lo faceva spesso. Più facile però che lo abbiano assalito durante la notte, approfittando del buio.

    Per quanto si sforzasse di recuperare lucidità, Elisa non si raccapezzava.

    Saranno il medico legale e gli inquirenti a fare chiarezza, concluse sconsolata, ma non rassegnata. Certo è che se avesse passato la notte nel chiosco, in compagnia, Filippo potrebbe essere caduto in una trappola. Chi l’ha organizzata? E perché? Sono sconvolta e confusa. Provo un dolore terribile, sono sgomenta. Devo reagire, farò il possibile perché i criminali che lo hanno ucciso passino il resto della vita in galera. Davvero verresti con me dai genitori di Filippo? Credo che ci andrò domani. Saranno già stati informati dalla polizia, non me la sento di rischiare di dover essere io a dare la terribile notizia.

    DUE

    Quando la mattina successiva si trovò con Abdou per andare insieme a lui dai genitori della vittima, Elisa ebbe un ripensamento.

    Non ce la faccio, sto troppo male. Mi metterò a piangere non appena apriranno e aggiungerò dolore al dolore. Torniamo indietro.

    Devi farti forza, signorina. È come se te lo chiedesse Filippo. Devi farlo per lui. Andiamo.

    Arrivati davanti all’abitazione che si affacciava sui canali, dove residenti e turisti tenevano le piccole imbarcazioni, la Bramanti notò con sgomento che era vuoto il posto solitamente occupato dal gommone dell’amico, di fronte alla porta di casa. Cominciava a fare parecchio caldo e nel fosso erano poche le barche ormeggiate. I proprietari in quel periodo uscivano in mare la mattina presto, per andare a pesca, oppure poco più tardi per raggiungere le insenature più belle della costa e fermarsi a fare il bagno prima che arrivasse la folla. Nell’acqua quasi ferma si riflettevano le facciate di diversi colori, tutti vivaci, delle vecchie costruzioni. Fino a non molti anni prima la zona era considerata un quartiere popolare, abitato da pescatori e gente di modeste condizioni. Spesso non avevano i mezzi per ristrutturare le loro case. Con lo sviluppo del turismo però gli immobili lungo il canale erano arrivati a quotazioni molto alte. Risiedere lì era diventato uno status symbol per i ricchi delle grandi città che cercavano un alloggio da comprare nel luogo prediletto per la villeggiatura. Elisa considerò che ai tempi delle superiori, attraverso Filippo, aveva conosciuto quasi tutti i ragazzi del quartiere dei Navicelli, come veniva chiamato. Un bel gruppo, che però non esisteva quasi più. Non solo perché ciascuno aveva fatto la sua strada, ma soprattutto perché le famiglie meno abbienti erano state più o meno coattivamente espulse dalla zona. I proprietari delle abitazioni non residenti avevano sfrattato gli affittuari non facoltosi appena possibile, per poter vendere gli immobili a più danarosi vacanzieri. Anche chi aveva la casa di proprietà aveva finito per cedere di fronte a offerte più che allettanti. Erano considerazioni che non facevano altro che aggiungere tristezza nella penalista. Non trovava il coraggio di presentarsi ai familiari dell’amico massacrato.

    Abdou, suona tu. Io non ci riesco.

    Il venditore la prese sotto braccio: Sono accanto a te, la persona che i familiari conoscono però sei tu. Solo tu puoi in qualche modo confortarli. Coraggio. Ti vedranno volentieri, credimi, sei un’amica che voleva molto bene al loro figlio.

    Ad aprirle venne il fratello della vittima, studente liceale. Diciotto anni, vivace e intelligente, aveva avuto per Filippo, dieci anni più di lui, un amore e un’ammirazione immensi. La notizia dell’omicidio lo aveva schiantato. Testa incassata tra le spalle, incurvato, esitava a guardare Elisa. Rimase interdetto vedendo il venditore marocchino accanto a lei.

    Ciao Giovanni, mi sono fatta accompagnare da Abdou. Sulla spiaggia era la persona con cui Filippo parlava di più. Ha trovato lui tuo fratello.

    Non riuscì a proseguire e scoppiò in lacrime. Si sciolse in un pianto anche Giovanni, che l’abbracciò. Facendo cenno di entrare anche al venditore, sussurrò: Grazie per essere venuta, siamo distrutti. A papà e mamma farà piacere vedere la compagna più cara a mio fratello. Siamo ancora sotto shock, non sappiamo darci spiegazioni. Il dolore è insopportabile.

    Per l’avvocata fu la più brutta mezz’ora che avesse mai passato. Non c’era modo di consolare i genitori di Filippo, in particolare la madre. Nel suo volto Elisa

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