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Morte nella Vita
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E-book193 pagine3 ore

Morte nella Vita

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Morte nella vita è un romanzo del 1946 dello scrittore britannico Olaf Stapledon.
Non propriamente di fantascienza (il genere in cui sono solitamente classificate le opere di Stapledon), il romanzo affronta il tema della vita ultraterrena. 

William Olaf Stapledon (Poulton-cum-Seacombe, 10 maggio 1886 – Caldy, 6 settembre 1950) è stato uno scrittore e filosofo britannico, che con le sue opere letterarie contribuì grandemente allo sviluppo del genere fantascientifico nel Novecento.

Traduzione a cura di Alessio Severo
LinguaItaliano
EditorePasserino
Data di uscita30 mag 2024
ISBN9791223045022
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    Anteprima del libro

    Morte nella Vita - Olaf Stapledon

    Breve autobiografia dell’autore

    Alessio Severo nasce il 16 agosto 1996 a Barletta, in provincia di Barletta-Andria-Trani, dove ha i parenti materni a Barletta approfittando delle festività per andarli a trovare di tanto in tanto. Ma vive i suoi primi 22 anni a Termoli (CB) in Molise, dove frequenta le scuole di tutti i gradi e raggiunge la maturità all’Istituto tecnico commerciale G. Boccardi nell’estate del 2015 con votazione 84/100.

    Incomincia nell’ottobre di quell’anno la triennale all’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara in Mediazione Linguistica e Comunicazione Interculturale, facendo per tre anni il pendolare, dove si laurea in corso il 20 novembre 2018 con voto 97/110. Ancora prima di laurearsi nel settembre del 2018 si trasferisce a Pisa e inizia il percorso magistrale in Linguistica e Traduzione, curriculum traduttivo, alla rinomata Università di Pisa, dove si laurea in corso il 22 febbraio 2021 con votazione 103/110.

    È proprio il soggiorno pisano (durato un anno e mezzo a causa del Coronavirus che lo obbliga a tornare a Termoli il 22 marzo 2020 e a terminare gli ultimi esami e la tesi a distanza, non tornando più a Pisa) che aumenta la sua passione di diventare traduttore, giornalista e scrittore e si appassiona di traduzione, linguistica e letteratura.

    Dopo i tirocini fatti presso l’Università di Chieti-Pescara nel 2017 e l’Università di Pisa, con anche la traduzione del sito del Parco Regionale delle Alpi Apuane dall’italiano all’inglese tra il settembre e l’ottobre 2020, nel 2021 traduce testi dall’italiano all’inglese per il MACTE - Museo di Arte Contemporanea di Termoli.

    Ha tradotto (anche come parte della tesi magistrale) l’autobiografia inglese di Wayne Rooney, ovvero My Decade in the Premier League in italiano, di cui ha scritto anche una breve biografia in uscita nel 2024 con Urbone Publishing. Ha tradotto anche il libro Typology and Universals di Croft durante gli anni universitari a titolo personale. Ha tradotto il volume Ponti in pietra delle Alpi Apuane dall’italiano all’inglese, finito di stampare nel febbraio 2022. Ha tradotto anche il celebre Animal Farm di George Orwell per VJ Edizioni, pubblicato il 20 dicembre 2022, e Matilda per Gilgamesh Edizione, in uscita nel 2024.

    Ha il livello C1+ in inglese e spagnolo e l’A2 in francese, ha ottenuto il PET in inglese nel 2014 e la licenza di SDL TRADOS STUDIO 2019 for Translators – Getting started, valid from 28 May 2019.

    Un’altra sua aspirazione nata soprattutto durante gli ultimi mesi del percorso magistrale è quella di diventare giornalista in ambito sportivo e di gossip e mondo della televisione, e a tal proposito scrive quotidianamente dal 2021 e collabora per alcuni mesi con LaNostraTV, tvpertutti.it e Televisionando, prima di cominciare a scrivere per AnticipazioniTV dal settembre 2023. Inoltre, dal novembre 2021 scrive articoli sul calcio dilettantistico molisano per Tuttocampo.

    L'obiettivo dell'autore.

    Con questa opera il mio obiettivo principale è quello di collocarmi tra i professionisti della traduzione e di promuovermi il più possibile. Infatti, dopo la laurea Magistrale in linguistica e traduzione, ho cercato di tradurre più testi con argomenti che rientrassero nei miei interessi per immettermi in questo mondo, più che guadagnare soldi sulle vendite dei libri. E così dopo la laurea ho finito di tradurre a titolo personale My Decade in the Premier League di Wayne Rooney e Typology and Universals di William Croft, con la speranza di trovare editori disposti a pubblicare la mia versione. E poi ho tradotto il volume Ponti in pietra delle Alpi Apuane dall’italiano all’inglese per il Parco Regionale delle Alpi Apuane, ma soprattutto La Fattoria degli Animali per VJ Edizioni e Matilda per Gilgamesh Edizioni, con il primo pubblicato nel 2022, il secondo in programma per il 2024. E tra i due ho iniziato a tradurre anche questo testo, ovvero Death Into Life, con la speranza di riuscire a pubblicarlo con qualche casa editrice così da continuare il percorso iniziato nel mondo della traduzione. Il mio fine è tradurre più libri possibile nel miglior modo possibile e magari riuscire a entrare a far parte del team di traduttori di una buona casa editrice. Come traduttore sono per una versione scorrevole in italiano, facendo sì che il testo non sia di difficile comprensione per ogni tipo di lettore, ma rimanendo allo stesso tempo fedele all’originale, cercando di non snaturarlo ma di trasmettere lo spirito dell’autore originale, dato che in una buona traduzione non deve vedersi la mano del traduttore, ma deve in qualche modo richiamare lo stile dell’autore del testo della lingua di partenza. Sono favorevole all’uso di note a piè di pagina, ovvero le note del traduttore, dove spiegare alcune cose che sono magari scontate per l’autore o per il periodo storico in cui è stata scritta l’opera, ma magari di difficile comprensione per il lettore moderno. Ed è ciò che ho fatto anche in questo testo in più di una occasione.

    CAPITOLO I – LA BATTAGLIA GLI INCURSORI

    Diecimila ragazzi si trovavano nell’alta atmosfera. Squadriglia dopo squadriglia, le loro complesse macchine sfrecciavano verso il bersaglio, cariche di morte. Sotto c’era l’oscurità; e sopra, le stelle. Sotto, il tappeto invisibile dei campi e delle case; sopra, e ben oltre le stelle lampeggianti, le galassie invisibili, che scivolavano nell’immenso buio, squadriglia dopo squadriglia di universi, schierati nello spazio sconfinato mai misurato.

    In uno dei bombardieri c’erano sette ragazzi. Sette giovani menti in un’unità configurata; ognuna egoista, ma tutte unite interiormente da fibre di cameratismo in acciaio temprato. E tutti imprigionati allo stesso modo, con il corpo e la mente, nel loro complesso macchinario.

    Sette ragazzi, e per puro caso una falena. Era entrata, senza dubbio, nell’aereo quando l’equipaggio stava prendendo posto. Da allora aveva svolazzato qua e là, su e giù per la sua prigione, da una torretta a cupola trasparente all’altra, stuzzicata da qualche desiderio sconosciuto, bisognosa, sebbene inconsapevolmente, di un amico. Lo cercava, scontrandosi delicatamente prima con una giovane guancia di un uomo e poi con un’altra, baciandole come il battito di ciglia di un’amata invisibile, e passava invano i minuti contati della sua vita. O tremante spingeva con debole pressione contro le finestre della prigione, attirata dai puntini di luce nel cielo; ma non concependo alcuna immensità, alcuna galassia.

    Anche i sette ragazzi avevano i loro desideri più eloquenti. Desideravano disperatamente la vita che era normale per la loro natura umana, e più cosciente, ma incompiuta. E, come la falena, a volte le loro menti svolazzavano impotenti alle finestre della prigione, interrogando vanamente le stelle.

    IL MITRAGLIERE DI CODA

    Il mitragliere di coda non aveva mai sentito parlare di galassie. Anche le stelle erano per lui poco più che luci vaganti. Sapeva, naturalmente, che si trattava di soli; ma che importanza aveva? Questa cosa lo opprimeva. Ripudiata, era sprofondata quasi troppo in profondità per la memoria. E anche se, in sere come questa non poteva fare a meno di ricordare e chiedersi, dopo un momento di vuoto si annoiava. Sentiva che le stelle non lo aiutavano affatto. Quaggiù sulla Terra era un inferno, nonostante il susseguirsi in modo allettante di gioie inappaganti, con il sesso, la birra e l’estasi amara e sconvolgente del combattimento aereo. C’erano anche dei momenti piuttosto spaventosi ma in qualche modo esaltanti in cui qualcosa di profondo dentro una persona sembrava prendere possesso, così che tutta la vita cambiava colore e diventava estremamente importante, e ci si mangiava le mani per essere stati così perditempo. Ma quei momenti non duravano molto. Erano dovuti probabilmente alla digestione, alle ghiandole o a qualcosa del genere. No, quaggiù era un inferno; e lassù c’erano solo stelle vuote. E ora, a peggiorare le cose, stava iniziando a colargli il naso [1] . Già gli faceva il solletico e lo esasperava, e non aveva per niente la mente lucida. Gli avrebbe rovinato i nervi? Avrebbe fallito la sua parte nello spettacolo? Qualunque cosa fosse successa, non avrebbe dovuto deludere l’equipaggio. Era davvero importante. Importante? Perché importava? Per un momento un abisso di vuoto si aprì dinanzi a lui, ma lo saltò coraggiosamente. Diavolo! Non sapeva perché importava, ma era così; era estremamente importante che l’equipaggio facesse bene. Poi, ricordando un assalto precedente, quando intorno all’aereo c’erano fuoco ed esplosioni di colpi, sentì un’agitazione interiore. Naturalmente, era probabile che tutti e sette ne sarebbero usciti sani e salvi. Ma alcuni equipaggi non ce l’avrebbero fatta. E prima o poi…si immaginò l’aereo in fiamme.

    Il panico gli piombò addosso; ma lo scacciò all’istante. Non doveva fare pensieri del genere. Piuttosto, bisognava pensare all’abilità del pilota e alla sua artiglieria. Oh, bene! Molto presto sarebbero corsi a casa all’alba, alleggeriti dalle bombe, e dalla paura. Poi avrebbero fatto colazione. Quanto voleva vivere! Il bacio avventato della falena lo aveva stranamente eccitato, come il solletico dei capelli di una ragazza sulla guancia, pensò. Non era ancora mai stato a letto con una ragazza, anche se spesso faceva finta di esserci andato. E avrebbe potuto morire quella notte senza averlo mai fatto. Perché, si chiese, era così impacciato con le ragazze? Forse aveva davvero paura di loro, paura di danneggiare qualcosa di sacro in loro. Non riusciva mai a liberarsi di quella sensazione, anche se sapeva che era sciocca. Erano solo animali femmina, e lui uno maschio. E così copriva la sua timidezza riverente con una spavalderia da uomo di mondo; ma loro non si facevano ingannare. Lei non si faceva ingannare [2] . E poteva illuderlo e allontanarlo così facilmente, quella puttanella seducente. Ma oddio, forse...forse stavano entrambi complicando le cose; forse c’era davvero qualcosa di sacro; forse l’attività di amare era davvero la via da seguire, se solo avessero avuto la tecnica giusta. Ormai il bombardiere era sopra il Mare Stretto. Il riflesso della luna crescente era una macchia di luce dinanzi a loro. La falena spingeva con più insistenza verso la maggiore luminosità, mentre molto più in basso, invisibile, ogni cresta d’onda, ogni goccia d’acqua e bolla di schiuma, era bagnata dalla luce della luna.

    Il mitragliere di coda non sapeva che sotto quell’acqua salata ci fosse una valle antica. Lì, le foreste erano cresciute accanto a un grande fiume. I mammut si erano fatti strada tra le sterpaglie, e avevano nuotato nell’acqua impetuosa, cercando nuovi pascoli nell’isola futura. I subumani accovacciati avevano usato pietre non tagliate come strumenti, e armi nelle loro liti subumane, preludendo alle bombe. Ma per il mitragliere di coda il Mare Stretto era solo il fossato difensivo del suo Paese insulare. E il suo Paese era fatto solo di campi e case, città e miniere, re e principesse e così via. E naturalmente della gente più per bene del mondo; e della patria di un impero che diffondeva il rispetto per i valori umani in ogni continente. Alcuni dicevano che non era così, mannaggia a loro! Dovrebbero sapere che non è il caso di infangare il proprio nido. Ma anche se avessero avuto ragione, e l’impero fosse stato un grande imbroglio, che importanza aveva? Era solo la gente a casa che importava davvero. Era per loro che gli equipaggi combattevano, e per uno stile di vita dignitoso. Dignitoso? Cosa poteva significare veramente? Sacro? Assolutamente giusto? O solo una cosa fatta, un’abitudine senza fondamento?

    Una terra oscura in quel momento si profilava oltre il mare illuminato dalla luna. Presto si sarebbero trovati di fronte alle difese del nemico, e allora non avrebbe dovuto più sognare. Grazie a Dio, anche se era impacciato con le ragazze, era veloce e sicuro con la pistola; e anche se mentre si avvicinava al bersaglio il suo cuore si inteneriva e le gambe potevano a volte tremare, era glaciale abbastanza quando cominciava lo spettacolo. I sette ragazzi avrebbero agito come un’unica cosa vivente, sincronizzando perfettamente insieme le loro funzioni. Ma oh, lui voleva continuare a vivere. Bisognava ovviamente impedire a quegli stronzi di distruggere tutto. E la fortezza dell’isola doveva essere difesa, insieme all’impero e a tutto il resto. Sì, e anche se si desiderava da morire la vita civile, era bello sapere che si faceva parte del più grande spettacolo, e lo si faceva con stile, come i pochi, i fantastici pochi, nella battaglia d’Inghilterra. Ma oh, lui voleva vivere.

    Bene, se fosse rimasto in vita fino alla pace, non si sarebbe preoccupato della politica. Si sarebbe divertito da morire per rimediare a tutto questo. All’improvviso ebbe una visione di sé a vendere spazzolini porta a porta con le medaglie e le ali su un cappotto civile malandato. Una cosa del genere era successa dopo l’ultima guerra, ma non doveva succedere a lui! Se non gli avessero dato qualcosa di meglio, lui e quelli come lui avrebbero distrutto tutto. Il Paese aveva sicuramente bisogno di essere ripulito. Era senza dubbio tutta colpa di quegli sporchi ebrei. Bene, se la vita avesse significato vivere da ex militare, sarebbe stato molto meglio morire quella notte, e lo avevano fatto. Che dolore! Come quando si era bruciato la mano, ma dappertutto. E la morte? Non si parlava mai di queste cose. Non le sussurrava nemmeno al suo io interiore, se poteva farne a meno. Quella notte, in qualche modo, non gli interessava. Doveva affrontare i fatti. Era molto più facile per i Tedeschi e i Giapponesi, che credevano di andare nel Valhalla o qualcosa del genere. Ma per noi era diverso. Naturalmente, il Padre era sicuro che fossimo tutti destinati a una specie di paradiso o a qualcos’altro. Almeno diceva di esserlo, ma era ciò per cui veniva pagato. Rischioso scommetterci, comunque. Ma se la morte fosse stata solo uno spegnimento, un’interruzione della corrente, che senso avrebbe avuto tutto ciò, questa confusione di paradiso e inferno quaggiù?

    Ancora una volta il mitragliere di coda rimuginò sull’ampia cupola a punta . Quelle stelle, quei soli, lo guardavano tutti con uno sguardo freddo e oggettivo; o sbattevano le palpebre, per vederlo meglio; per mangiarti meglio, mio caro. Alla fine, conosceva i diavoli per come erano veramente. Così almeno si convinse a metà.

    In realtà, ovviamente, lo ignoravano come lui ignorava qualsiasi piccolo fagocita nel suo flusso sanguigno. Le stelle scorrevano a migliaia, le loro miriadi, squadriglia dopo squadriglia, fagociti nel flusso sanguigno della nostra galassia. Profondità dopo profondità, scorrevano lungo i canali dello spazio, le stelle grandi e le stelle piccole, quelle vicine e quelle lontane, i giovani giganti e i nani senili. Né il mitragliere di coda né alcuna intelligenza terrestre poteva sapere quale fosse il loro significato. Eppure, nella mente del mitragliere di coda gravava pesantemente qualche oscuro, minaccioso indizio sul loro possibile significato. Rabbrividì e si soffiò il naso. Cristo! Che significato avevano quei grandi incendi sanguinosi? Quelle scintille volanti, forse, provenivano da qualche fuoco nascosto, molto più grande. Che pensiero! Doveva ricomporsi. Per lui i razzi, la contraerea, i proiettili traccianti, dovevano avere più valore; e doveva mantenere un occhio attento e una mano ferma. Perché da un momento all’altro potevano apparire i caccia nemici, mentre ancora lontano era il bersaglio, la città.

    LA CITTÀ E I SUOI ABITANTI

    Molto più avanti c’era la città al chiaro di luna, esposta, in attesa. Le sirene avevano suonato. Vista dall’alto dai piloti di pattuglia, questa metropoli era un’enorme macchia su un tappeto di foreste, laghi, fiumi e stradine. Era una macchia amorfa, eppure oscuramente complessa, come un lichene o una crescita di origine fungina. Si estendeva sulla pianura, vagamente organica, distesa, un animale schiacciato sull’asfalto. Ma era ancora viva. Fasci di luce riflettori si spingevano verso l’alto, scrutando il cielo, sondando l’alta atmosfera, svanendo davanti

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