Il pianto del drago
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Anteprima del libro
Il pianto del drago - Flavio Calastri
Flavio Calastri
Il pianto del drago
ISBN 9788869633812
Elison Publishing
https://www.elisonpublishing.com
INDICE
CAPITOLO 1
CAPITOLO 2
CAPITOLO 3
CAPITOLO 4
CAPITOLO 5
CAPITOLO 6
CAPITOLO 7
CAPITOLO 8
CAPITOLO 9
CAPITOLO 10
Punti di riferimento
Copertina
Flavio Calastri
IL PIANTO DEL DRAGO
Elison Publishing
La grafica della copertina è di Nicole Pucci.
Editing del testo a cura di Lorena Çoka.
© 2024 Elison Publishiing
Tutti i diritti sono riservati
www.elisonpublishing.com
ISBN 9788869633812
CAPITOLO 1
Il popolo ai piedi del cristallo
Al centro della nostra isola vi era un enorme cristallo che si estendeva fin oltre le nuvole. Occupava tutta la zona centrale dell’isola stessa, e la sua larghezza era paragonabile a quella di una massiccia montagna. I suoi colori cambiavano in base alle stagioni: diventava color acquamarina nei giorni d’estate, ramato nei giorni d’autunno, color delle nuvole nei giorni d’inverno e di rosa brillante all’avvento della primavera. La sua superficie era simile a quella del vetro soffiato, e sembrava quasi che vi fosse dell’energia vitale che vi fluiva all’interno, come delle colossali vene che pulsavano di luce divina. Secondo le nostre tradizioni, il cristallo non era altro che la lacrima versata da uno dei nostri dei, i draghi giganti che vivevano oltre le nuvole. Mia nonna mi raccontava sempre di loro. Gomungard, il capo dei draghi, dio della terra e degli alberi, vecchio e saggio, dispensava saggezza e saperi ai suoi figli con le sue scaglie grigie e la sua enorme barba che percorreva tutto il suo corpo. Jorantill, compagna di Gomungard, dea del mare e dei venti, creò tutti noi e ci donò il libero arbitrio e la morale, rendendoci consapevoli delle conseguenze delle nostre scelte. Poi vi erano Zaronudd, dio dei fulmini e della forza di volontà, e sua sorella Erandir, dea del fuoco e del coraggio. Tutti loro volavano al di sopra della Grande Lacrima, vegliando su di noi e mettendoci alla prova. Tutti tranne uno: il terzo figlio, Astareth, il drago bandito nelle profondità della terra. Primogenito di Gomungard e Jorantill, divenne dio dei cataclismi e della rabbia, colui che fece innescare le prime guerre e i primi litigi. Data la sua natura malevola e instabile, suo padre lo incatenò al centro della terra con delle colossali catene di ferro nero, dove tutt’ora risiede sprigionando la sua aura oscura che tutt’oggi ci influenza. Il giorno in cui il dio drago imprigionò suo figlio pianse una lacrima dalla tristezza, e tale lacrima cadde sul nostro pianeta trasformandosi nel gigantesco cristallo, dando luce a tutte le forme di vita terrene e mortali. Il mio popolo viveva nelle foreste che circondano la base della Grande Lacrima. Secondo i nostri antenati, il nostro popolo si trovava su quest’isola, l’Isola Benedetta, sin dagli albori della nostra specie. Chi era anziano si occupava di narrare i miti e le tradizioni a chi era più giovane, e chi era più giovane si occupava del mantenimento dei nostri villaggi, usufruendo di tutto ciò che l’isola ci offriva come sostentamento.
Una mattina di un giorno estivo, mi alzai dalla branda per adempiere alle mie solite mansioni giornaliere. Mi fissai a una lastra di vetro situata accanto al mio letto per vedere (ancora una volta) il mio volto. I miei lunghi capelli rossi iniziavano ad arrivarmi fin sotto le spalle, e i legacci che usavo per tenere insieme le trecce necessitavano di essere cambiati. Intorno ai miei occhi smeraldini portavo i segni dei numerosi addestramenti con la spada fatti negli ultimi anni. Cicatrici che non si sarebbero mai rimarginate. Le mie labbra carnose portavano a sua volta segni di tagli e di ferite. Mi ricordo ancora quando mia madre mi ripeteva che nessuno mi avrebbe mai sposata con una faccia conciata in quel modo, e mio padre reagiva sempre ridendo di gusto. Fu lui il primo a donarmi una spada, e fu lui il primo ad insegnarmi a maneggiarla. Nonostante le lamentele di mia madre, anche lei era contenta che seguissi la mia strada. I suoi commenti sdegnati derivavano più dal suo essere in apprensione per me, l’unica figlia che aveva a quel tempo. Apprensione che diminuì alla nascita di mia sorella. Mi misi addosso la camicia sbracciata color granato che indossava spesso mia madre, seguita poi dai pantaloni e dagli stivali di pelle che mio padre indossava per andare a lavoro. Nemmeno il tempo di sistemarmi per bene gli indumenti che la voce di quella piccola peste di mia sorella iniziò a chiamarmi dalla porta d’ingresso.
«Kae! Kae! Muoviti! Oggi hai la cerimonia!»
«Va bene Sanni, stai calma. Arrivo.» Mia sorella, la piccola Sanni, era una ragazzina un po’ più piccola di me, con i capelli rossicci come i miei e una sola lunga treccia che le arrivava fino alla parte bassa della schiena. I suoi grandi occhi verdi adornavano un volto fanciullesco dai tratti morbidi, decorato con delle meravigliose lentiggini scure. Almeno lei, per fortuna, aveva un senso del vestirsi un po’ più decente del mio. Mi prese per la mano e mi trascinò fuori dall’abitazione. Avevo una cerimonia importante a cui partecipare. Corremmo giù per il viale che si inoltrava nei boschi e che conduceva al resto del villaggio. Tutti gli abitanti si trovavano lì, usciti anch’essi dalle loro abitazioni di legno e paglia. Nonostante fosse un giorno estivo, l’aria nella foresta era particolarmente umida. Gli uccellini cinguettavano come loro solito, ma non riuscivano comunque a coprire la voce di Tordun che sbraitava per raccogliere le attenzioni degli abitanti.
«Ordine! Ordine! A breve partiremo per il Promontorio di Gomungard, dove i nuovi spadaccini riceveranno la benedizione degli dei!» Tordun era il sacerdote del nostro villaggio. Era un uomo anziano mezzo stempiato, un po’ ingobbito e sempre burbero, ma tutti gli volevano bene. Si occupava di svolgere le cerimonie religiose e di narrare ogni mattina ai più piccoli le leggende dei draghi divini. Inoltre, era uno dei migliori amici della mia famiglia.
«Dove sono i giovani che devono presenziare alla cerimonia? Ah, eccoli! Ci sono tutti.» Al compimento della maggiore età, i giovani del villaggio dovevano sottoporsi alla cerimonia di avviamento alla vita adulta. Ognuno di noi sarebbe stato benedetto dai draghi al Promontorio di Gormungard e, dopo la festività notturna, avrebbe potuto cominciare a guadagnarsi da vivere autonomamente a partire dal giorno seguente, diventando ciò che aveva sempre desiderato di essere.
«Sei pronta, Kae?» Mi chiese la mia dolce sorellina. «Si, sono pronta.»
«Mamma e papà ci stanno guardando dal fianco dei draghi, Kae. Sarebbero fieri di te!» Sanni aveva sempre parole dolci per me. Da quando i nostri genitori erano morti il nostro legame era diventato ancora più profondo e inscalfibile. Il trauma della loro morte ci perseguitò per molto tempo, eppure Sanni riuscì, nonostante la sua giovane età, ad affrontarlo meglio di me, sua sorella più grande. Vi era la forza di un drago nel cuore di quella ragazzina, e io l’avrei protetta fino alla fine dei miei giorni. Anche a costo della mia stessa vita.
«Beh, se non avete altro da borbottare possiamo partire per il Promontorio!»
Ci incamminammo tutti quanti verso il luogo della cerimonia. Passammo per i sentieri dell’enorme foresta che viveva ai piedi della Grande Lacrima, per le mulattiere delle praterie verdi e per le coste che cadevano a strapiombo sul mare infinito. Ogni volta che passavo di lì mi chiedevo sempre cosa ci fosse al di là dell’oceano. Gli anziani raccontavano di alcuni di noi che in passato partirono in spedizione per vedere cosa ci fosse dall’altro lato del grande blu, ma nessuno è mai tornato. Infine, venne emessa una legge per impedire a chiunque di noi di abbandonare l’isola, e voci di crudeli creature che uccidono gli esseri umani nelle terre dall’altro lato del mare iniziarono a circolare in tutti i villaggi ai piedi del cristallo. Uccelli dalle piume porpora volavano a poca distanza da noi. I piccoli animali che abitavano nel verde fuggirono al sentire del nostro passaggio. Il sole risplendeva forte, graziandoci della sua splendida luce. Arrivammo al luogo della cerimonia, il Promontorio di Gormungard. Si affacciava direttamente su una scogliera a strapiombo sul mare, ed era abbastanza rialzato da riuscire a farci percepire la brezza del vento sulla pelle. Vi erano grosse statue di pietra raffiguranti i draghi divini disposte a cerchio, e al centro un possente tavolo di pietra utilizzato per le cerimonie. Tutto il popolo del villaggio si mise ai lati per assistere al rituale, mentre noi giovani giunti alla maggiore età ci mettemmo di fronte al grande tavolo, in attesa delle parole di Tordun. Eravamo in sei. Oltre a me vi erano Jola, la figlia del fabbro; Marion, l’orfano amante della scultura; Velia, primogenita di Tordun; Larun, figlio di un arrogante pastore del villaggio e, infine, Nim, un ragazzetto che aveva perso la vista anni prima a seguito di una malattia. Tutti eravamo qui per essere benedetti dai draghi e avviarci verso il nostro destino. Vedevo sia tensione che preoccupazione negli occhi dei partecipanti, esattamente come ne avevo io. Stavamo per affrontare il passo più importante della nostra vita. Tra la folla cercai gli occhi di Sanni. Incrociare lo sguardo con lei mi fece sentire più tranquilla, e il suo enorme e luminoso sorriso sostituì la preoccupazione con pura e genuina eccitazione.
«Bene, ascoltatemi! Oggi siamo qui riuniti per celebrare il rito di passaggio per i nostri giovani che hanno raggiunto la maggiore età! Si tratta di un momento importante, poiché ognuno di loro diverrà in tutto e per tutto un adulto e dovrà, da questo momento in poi, adempiere ai doveri del villaggio. Ognuno di loro ha scelto che strada vuole percorrere, e gli dei benediranno il loro cammino.» Dopo che Tordun pronunciò tali parole, cadde il silenzio assoluto, spezzato solo dal rumore delle onde e dell’acqua che si infrangeva sugli scogli. Il sacerdote si voltò verso le statue dei draghi e alzò le mani al cielo.
«Gormungard, Jorantill, Zaronudd, Erandir. Tutti voi, o sommi draghi celestiali, benedite questi giovani e guidate i loro passi verso un destino di luce. Tenete l’influenza di Astareth lontano dai loro cuori, e aiutateli ad usare le loro teste e le loro mani solo per il bene, e mai per il male.» Tordun prese dal tavolo di pietra delle ciotole contenenti delle spezie profumate raccolte dal bosco vicino. Le accese con delle pietre focaie e iniziò a diffondere il profumo che emettevano mentre bruciavano. Avevo già sentito quell’odore in passato, quando presenziai alle cerimonie di altre persone, ma mai lo sentii così