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Vite a Spirale
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E-book174 pagine2 ore

Vite a Spirale

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Info su questo ebook

Una sera qualunque tra i locali di Milano, la luna nel cielo e la testa piena di desideri, ma improvvisamente tutto precipita, come in una spirale. Bea scompare nel nulla, come se la città l'avesse inghiottita, o come se avesse deciso di lasciarsi sprofondare nelle sue antiche fondamenta, dove riposano i fantasmi di una natura umana che si fa universale nel suo ripetersi di gioie, speranze, drammi e dolori.

Un lungo e interminabile giorno, in cui le ore si susseguono e si intrecciano, proprio come le vicende dei personaggi, impegnati nella ricerca della ragazza scomparsa quanto nella ricerca di sé stessi.

Le vite dei protagonisti si sviluppano come spirali in un giorno che sembra senza fine, trascinando con sé il lettore, in una Milano che non è solo lo sfondo degli eventi, ma partecipa, con le sue sfumature e architetture, all'animo umano, fino a diventarne una componente indissolubile.
LinguaItaliano
Data di uscita13 giu 2024
ISBN9791222746197
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    Anteprima del libro

    Vite a Spirale - Chiara Merolla

    Le sfumature del buio

    La notte può essere incredibilmente lunga, sembrare senza fine e senza inizio, come una spirale che si avvolge su sé stessa fino a scomparire in un’alba grigia. Beatrice riusciva a visualizzare perfettamente quella spirale, mentre fissava il giallo intenso della decorazione riccioluta ricavata dalla scorza di un limone e sistemata in bilico sul bordo del suo bicchiere da cocktail. Doveva ammettere che l’abbinamento tra il giallo intenso della frutta ed il rosso brillante del liquore era davvero accattivante, proprio come il sapore dolce che le scorreva lungo la gola fino a sprofondarle nello stomaco a riscaldarle tutto il corpo. Si sentiva felice, piena di risate e di buoni propositi.

    Era in compagnia delle sue compagne di università, che avevano una vera dimestichezza con i locali di Milano e che l’avrebbero accompagnata tutta la sera a far festa per le vie incredibilmente affollate. Perché? Non c’era nessuna ragione, non doveva esserci. Erano giovani, erano vive, e la notte di Milano era a loro disposizione. Era così che si faceva, anche se Bea non ne capiva granché. Sapeva solo che doveva essere fatto. Era necessario, come iscriversi alla sessione per poter dare un esame, o pagare la retta per potersi iscrivere alla sessione.

    Bea si tolse il coprispalle, rimanendo in canotta nera costellata di fiori bianchi di magnolia e strass. Stava morendo di caldo, forse era il cocktail. Sentiva la testa farsi leggera, una debole pressione dietro la nuca accompagnata da un dolce peso sul petto. Guardò il bicchiere, ancora praticamente pieno, considerando di aver bevuto sì e no quattro sorsi che la stavano già mandando al tappeto. L’orologio segnava la mezzanotte in punto. La serata era appena iniziata.

    La Fra si mandava ripetutamente i lunghi capelli biondi dietro la schiena in un movimento eccessivamente esagerato da modella, ed esageratamente ripetuto da video su TikTok. Era snervante a lungo andare, ma bastava non farci troppo caso, come era meglio non notare che la Camy stava parlando ancora e sempre di sé stessa, immersa in situazioni improbabili.

    L’altra sera ero in questo locale con un ragazzo bellissimo. Fa il modello, ha sfilato per tutti i migliori! È pazzo di me!

    Bea sorrideva sorniona. Era l’alcol si capisce, le impediva di rimanere seria di fronte a quell’enorme valanga di scemenze che Camy le stava facendo franare addosso senza alcun riguardo alla verosimiglianza degli eventi. Raccontare quelle storielle però rendeva Camy felice e animava la serata. Bea le era persino grata, dato che, per quanto la riguardava, non avrebbe saputo di che parlare oltre agli esami, alle vacanze sempre uguali in riviera romagnola e alla morte di sua nonna. Era perennemente a corto di argomenti interessanti, come se in fondo la sua vita fosse solo una facciata di scelte ed esperienze, tanto banali e noiose da non meritare nemmeno di essere raccontate da colei che, in prima persona, le aveva attraversate. Molto meglio ascoltare le altre, fingendo di bere un cocktail, mentre pensava sarebbe stato meglio un innocuo analcolico alla fragola.

    Le ragazze lasciarono il locale per andare a ballare. Nonostante fosse già ottobre, la notte era insolitamente tiepida, mentre si addentravano nella folla brulicante sempre più densa di corpi e di facce. Sembrava l’eterno ripetersi di volti sempre uguali, perché più si è attorniati da persone e più queste perdono di significato. La musica dei locali si mescolava nella folla chiassosa in una marea caotica e colorata, accecante ed assordante nel suo ritmo ipnotico. Beatrice alzò lo sguardo verso la distesa blu cupa di un cielo senza stelle, troppa luce quaggiù per lasciare spazio al firmamento. Solo la luna poteva ancora brillare come un bottone d’argento. Le piaceva quell’occhio metallico che la osservava da lassù, ma c’era troppo rumore, troppi odori, troppe distrazioni, non poteva parlare nella sua lingua muta di puro sentimento verso quel satellite che le mostrava eternamente la stessa faccia, come le attrici agli obiettivi il loro lato migliore.

    Mila le afferrò un polso e la trascinò dietro di sé. Che guardi? Ti sei incantata?

    Niente… rispose Bea, ma Mila non la stava già più ascoltando. Quello che doveva dire, lo aveva detto.

    Fra e Camy erano già disperse nella calca, ma si sarebbero ritrovate in Moscova all’ingresso del locale. Infatti, erano proprio lì a fumare e spargere racconti di altre epocali serate. Fra con il suo tono perennemente annoiato, come se ogni conquista e ogni sbornia fossero ormai la più noiosa delle routine. Le offrirono una sigaretta, Bea rifiutò, la presero in giro, ma era normale.

    Ho già troppi vizi, non mi serve anche il fumo.

    Guarda che non fumiamo mica per fumare! risero all’unisono, scambiandosi occhiate. Se dentro trovi un ragazzo che ti chiede di uscire, che fai? Resti lì in piedi a fissarlo?

    La sigaretta ti dà un tono, e puoi dirgli che non sei uscita per stare con lui, ma solo per farti un tiro. Camy gesticolò in un modo che riteneva sensuale, imitando le espressioni facciali che avrebbe utilizzato in un ipotetico incontro galante fuori dal locale. Ne ricordò giusto uno, avvenuto qualche giorno prima. Il ragazzo, ovviamente bellissimo, aveva una Maserati parcheggiata in sosta vietata. L’aveva invitata a farsi un giro, ma lei aveva rifiutato perché non era il suo tipo.

    Bea si chiese se mentisse solo a loro o se credesse davvero alle storie che raccontava. Aveva sentito che per essere un bravo bugiardo, bisognava prima di tutto essere convinti della verità delle proprie menzogne. Non che fosse importante, tutti hanno diritto a essere felici. Se Camy aveva bisogno di spargere quelle avventure immaginarie, Bea non si sentiva certo in diritto di chiedergliene conto in alcun modo.

    Il club era una miscela di paillette, tacchi, orologi costosi destinati ad essere rubati, bicchieroni pieni di ghiaccio per allungarli, musica assordante e bassi così forti da rimbombare nel cuore. Il DJ scaldava la folla, che soffriva già il calore di innumerevoli corpi ammassati, in cui le acque di colonia maschili rendevano solo più nauseante l’odore di sudore che si stava addensando. Bevevano. Faceva caldo, troppo caldo, la gola era perennemente secca. Bea e le sue amiche cantarono a squarciagola il ritornello delle ultime HIT del momento. Per le strofe ogni tanto inventavano, tanto nella confusione non si sarebbe notato se avessero sbagliato.

    Bea non avrebbe saputo dire da quanto tempo fossero nel locale, sembrava pochissimo ed insieme aveva l’impressione che fossero sempre state rinchiuse lì dentro, come se la loro vita non fosse stata altro che confusione, stordimento e incapacità di sentire le parole dell’altro né, tantomeno, di fare sentire le proprie.

    Ragazzi. Camicia bianca, pantaloni scuri e orologi da polso vistosi, che qualche cameriere o PR aveva già segnalato alle bande di rapina-rolex che si muovevano per la movida come dei bambini in un Toys Centre. Quando si erano uniti al loro gruppo di sole ragazze? Forse Fra li conosceva, o forse no. Bea si vergognava a chiedere chi fossero, tanto non avrebbe sentito la risposta nel frastuono.

    Mila prese un altro giro per tutti, facendo partire l’invito a bere verso Bea, che non voleva addentrarsi nei meandri tortuosi della vodka.

    Bevi! Bevi! Bevi! Il gruppo scandiva ritmicamente le parole battendo le mani all’unisono come in un rituale tribale. Si aspettavano che lei lo facesse, non poteva rifiutare quel rito di passaggio. Era necessario, era tutto necessario. Bea si sentiva immersa in una corrente di inevitabilità, come Ulisse nei flutti del mare. Il senso di stordimento peggiorò inevitabilmente, insieme a quella strana pressione dietro la nuca. Delle mani le stringevano i fianchi, sentiva il fiato di qualcuno alle spalle, sapeva di erba e vodka. Voleva scappare, ma vide i volti delle amiche che la incoraggiavano. Era ciò che andava fatto, era necessario, e comunque la folla era ovunque opprimente, non ci sarebbe stato scampo.

    Qualcuno ebbe l’idea di cambiare locale. C’era un bar che dava shot a 1 euro e tutti la presero come una grande scoperta, neanche fosse l’America. Tutti fuori. Aria. Finalmente un po’ d’aria fresca, nonostante la selva umana in cui farsi largo a spintoni, irritando inevitabilmente qualcuno che la minacciava ubriaco. A Bea non importava. Era immersa nella folla, insieme a centinaia, forse migliaia di ragazzi suoi coetanei, eppure era come stesse sprofondando nel vuoto. Non si era mai sentita così priva di legami, così piccola e superflua agli occhi del mondo, come in quel marasma di occhi e risate. Sentiva il contatto con gli altri corpi come se non fossero umani. Quando si scontrava con qualcuno tra i corridoi dell’università, sentiva pienamente la persona con cui era entrata in contatto, ma adesso era come essere circondata da pupazzi. Non erano reali, non lo era nemmeno più lei. Erano superflui, inutili pezzi di carne alla mercè di forze più grandi. Non le importava niente di Fra, di Camy, di Mila, nemmeno di Bea. Sì, proprio di quella Bea che ora riusciva a vedere dall’esterno come fosse stata un’altra persona invece che sé stessa. Era sola, lo erano tutti, ma le sembrava di essere più sola degli altri e senza speranza.

    Stai bene?

    Occhi azzurri, capelli castani, le sembrava quasi bello nel fisico asciutto e nelle braccia forti, nonostante le labbra un po’ tozze e il naso leggermente aquilino. Aveva intuito il suo malessere, la sua solitudine? Era lì per aiutarla? Che bello sarebbe stato, se fosse stato vero. Lo aveva immaginato tante volte, quell’incontro che la traeva in salvo dall’annegare dentro sé stessa.

    Queste serate non sono il mio genere. Non si riesce nemmeno a parlare. Continuò lui. Federico, piacere. Le porse la mano, proprio come se fosse sul bordo di una barca e lei dovesse solo afferrarla per essere tratta all’asciutto.

    Era dolce, gentile, il suo alito nemmeno puzzava poi tanto, solo l’odore acre del tabacco e il dolciastro di qualche amaro alle erbe. Rimasero almeno due ore a parlare, solo loro due, in coda al gruppo che transumava da una discoteca all’altra, da un bar all’altro, fino ad accumulare un numero record di timbri colorati sugli avambracci. Federico era uno sportivo, iscritto ad un club di tennis e paddle, l’indomani avrebbe giocato una specie di torneo tra amici. Gli avrebbe fatto piacere se lei fosse andata a vederlo. Bea promise, già si immaginava a bordo campo. Studiavano alla stessa università, che fortuna dissero entrambi all’unisono, si sarebbero potuti trovare tra una lezione e l’altra. Bea arrossiva, aveva fatto proprio bene a uscire quella sera, nonostante la preoccupazione di rimanere alzata fino all’alba.

    Ci pensi mai a cosa succederà dopo l’università? gli chiese Bea.

    Non lo so, forse vado all’estero, ma poi torno a Milano, mi piace questa città, però, non riesco proprio a immaginarmi a fare niente di preciso, ma so come immaginarmi. In un ufficio al centro, giacca e cravatta, bello stipendio… però, cosa fare non lo so. Contabilità, marketing, consulenza finanziaria… davvero, mi sembra tutto uguale.

    Lo capisco, vale anche per me. Bea gli sorrise. Qualunque strada avesse scelto nella vita, non sarebbe più potuta tornare indietro e cambiare sentiero. A volte pensava persino che avrebbe fatto meglio a scegliere un’altra facoltà, come medicina, o giurisprudenza, ed essere tutt’altro. Soffriva dell’angoscia della scelta, ma non poteva continuare ad addentrarsi nella propria insicurezza e nella consapevolezza della limitatezza, che nella morte trovava solo il punto di una frase complessa. Beatrice rise nervosa, forse lo aveva spaventato con i suoi discorsi, ma Federico la tranquillizzò vago, dicendole che aveva proprio colto nel segno. Sorrideva anche lui, neanche fossero sulla stessa lunghezza d’onda e fosse stato il destino a farli incontrare.

    Federico le chiese se voleva passare da lui. Beatrice sentì il cuore accelerare più del ritmo della musica nei locali. Le sembrò di essere improvvisamente entrata in un forno e tutta la sua pelle stesse bruciando piano. No, si conoscevano da due ore, non poteva andare da lui. Tuttavia, sentiva il cuore stringersi nella paura. Se avesse rifiutato e lui fosse scomparso, se fosse stata solo la magia di quella serata che le offriva il destino? Se una volta rifiutata la mano che le veniva offerta, sarebbe stata abbandonata di nuovo al suo mare solitario e al proprio lento naufragare? Pensò a suo padre. No, non doveva avere paura. Era troppo presto, troppo veloce. Sarebbe bastato scambiarsi i numeri e si sarebbero reincontrati. Non aveva senso correre.

    Erano passate le tre, Bea doveva andare. Avrebbe dovuto dormire a casa di Camy, si erano accordate per tornare alle due, ed erano già in ritardo di un’ora sui suoi buoni propositi. Camy però si stava divertendo e non aveva intenzione di rincasare. Le disse di andarsene se era tanto stanca, ma Bea le ricordò che si erano accordate in modo diverso.

    Camy sgranò gli occhi. Ho chiesto alla mia coinquilina se potevo invitare un’amica, ma per oggi aveva già invitato il fidanzato. Te l’avevo detto, no? era ovviamente una menzogna, non era mai successo. Non voleva rinunciare nemmeno ad un minuto di quell’allegro carosello di musica e colori, in cui credeva che ogni sguardo fosse a lei diretto come ad una regina. Trovava Beatrice immatura ed infantile, con quell’insistere a rincasare prima che i locali chiudessero. Era una ragazza inevitabilmente noiosa, e lei non vedeva motivo per darle quella concessione, mentre tutti gli altri continuava a divertirsi senza alcun problema. La scusa che si era appena inventata, però, metteva Beatrice in una posizione molto più scomoda.

    Beatrice, allora, si rivolse a Mila e Fra, ma anche loro si stavano divertendo, e anche loro non potevano ospitare nessuno. Fra dormiva da Mila, e in casa di Mila non c’era posto per più di un ospite. Bea sbiancò, se tornava a casa in taxi a quell’ora i suoi si sarebbero infuriati, già vedeva le sopracciglia cispose di suo padre che la giudicavano cupe dall’alto, ricordandole deluso che non sapeva stare al mondo. Lei gli aveva assicurato che avrebbe dormito a casa di un’amica, che era tutto perfettamente organizzato, ed invece nulla stava andando secondo i piani. Poteva continuare a gironzolare con le amiche a forza di inerzia,

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