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Destini incrociati
Destini incrociati
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E-book429 pagine5 ore

Destini incrociati

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Info su questo ebook

Luigi e Serena, imprenditori nel settore della ristorazione a domicilio, sono sull’orlo della bancarotta a causa delle restrizioni legate alla pandemia di COVID-19. Determinati a cambiare il corso delle cose, decidono di compiere una rapina in una ricevitoria del lotto, ma ben presto si rendono conto che l’impresa avrà conseguenze ben più gravi di quanto immaginato. A indagare sul caso è la squadra anticrimine di Milano, capitanata dal Commissario Corrado Gemma, che immediatamente intuisce di trovarsi di fronte a due criminali senza scrupoli. Gemma, inoltre, è impegnato anche nella gestione di una crisi personale: la salute precaria di sua moglie Teresa. Fortunatamente, può contare sull’aiuto della figlia Laura, giovane poliziotta trasferita da poco proprio nel suo stesso commissariato. In questo modo le vite di Luigi, Serena, Corrado e Laura si intrecciano in un intricato gioco del destino, spingendoli a compiere azioni che mai avrebbero pensato possibili fino a poco tempo prima. Destini incrociati è un romanzo che esplora il delicato equilibrio tra bene e male, immergendosi nelle profonde contraddizioni dell’animo umano spinto al limite estremo della disperazione. Con colpi di scena e tensione crescente, tiene incollati i lettori fino all’ultima pagina.

Antonio Pinto nasce a Mesagne (BR) il 13 marzo 1973. Si diploma nel 1992 presso il Liceo Scientifico “Francesco Muscogiuri”. Nel 1995 inizia a lavorare nelle Assicurazioni Generali passando per INA Assitalia. Questa esperienza lavorativa si conclude nel 2015. Da sempre appassionato lettore, resta affascinato delle atmosfere gotiche dei racconti di Edgar Allan Poe. Inizia il proprio percorso come autore agli inizi del 2000, quando scrive una serie di racconti brevi sull’amore e sulle sue diverse facce. Attualmente convive sempre a Mesagne con la sua compagna di una vita, Antonella Antonucci.
LinguaItaliano
Data di uscita3 apr 2024
ISBN9788830698185
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    Anteprima del libro

    Destini incrociati - Antonio Pinto

    Nuove Voci – Prefazione di Barbara Alberti

    Il prof. Robin Ian Dunbar, antropologo inglese, si è scomodato a fare una ricerca su quanti amici possa davvero contare un essere umano. Il numero è risultato molto molto limitato. Ma il professore ha dimenticato i libri, limitati solo dalla durata della vita umana.

    È lui l’unico amante, il libro. L’unico confidente che non tradisce, né abbandona. Mi disse un amico, lettore instancabile: Avrò tutte le vite che riuscirò a leggere. Sarò tutti i personaggi che vorrò essere.

    Il libro offre due beni contrastanti, che in esso si fondono: ci trovi te stesso e insieme una tregua dall’identità. Meglio di tutti l’ha detto Emily Dickinson nei suoi versi più famosi

    Non esiste un vascello come un libro

    per portarci in terre lontane

    né corsieri come una pagina

    di poesia che s’impenna.

    Questa traversata la può fare anche un povero,

    tanto è frugale il carro dell’anima

    (Trad. Ginevra Bompiani).

    A volte, in preda a sentimenti non condivisi ti chiedi se sei pazzo, trovi futili e colpevoli le tue visioni che non assurgono alla dignità di fatto, e non osi confessarle a nessuno, tanto ti sembrano assurde.

    Ma un giorno puoi ritrovarle in un romanzo. Qualcun altro si è confessato per te, magari in un tempo lontano. Solo, a tu per tu con la pagina, hai il diritto di essere totale. Il libro è il più soave grimaldello per entrare nella realtà. È la traduzione di un sogno.

    Ai miei tempi, da adolescenti eravamo costretti a leggere di nascosto, per la maggior parte i libri di casa erano severamente vietati ai ragazzi. Shakespeare per primo, perfino Fogazzaro era sospetto, Ovidio poi da punizione corporale. Erano permessi solo Collodi, Lo Struwwelpeter, il London canino e le vite dei santi.

    Una vigilia di Natale mio cugino fu beccato in soffitta, rintanato a leggere in segreto il più proibito fra i proibiti, L’amante di lady Chatterley. Con ignominia fu escluso dai regali e dal cenone. Lo incontrai in corridoio per nulla mortificato, anzi tutto spavaldo, e un po’ più grosso del solito. Aprì la giacca, dentro aveva nascosto i 4 volumi di Guerra e pace, e mi disse: «Che me ne frega, a me del cenone. Io, quest’anno, faccio il Natale dai Rostov».

    Sono amici pazienti, i libri, ci aspettano in piedi, di schiena negli scaffali tutta la vita, sono capaci di aspettare all’infinito che tu li prenda in mano. Ognuno di noi ama i suoi scrittori come parenti, ma anche alcuni traduttori, o autori di prefazioni che ci iniziano al mistero di un’altra lingua, di un altro mondo.

    Certe voci ci definiscono quanto quelle con cui parliamo ogni giorno, se non di più. E non ci bastano mai. Quando se ne aggiungono altre è un dono inatteso da non lasciarsi sfuggire.

    Questo è l’animo col quale Albatros ci offre la sua collana Nuove voci, una selezione di nuovi autori italiani, punto di riferimento per il lettore navigante, un braccio legato all’albero maestro per via delle sirene, l’altro sopra gli occhi a godersi la vastità dell’orizzonte. L’editore, che è l’artefice del viaggio, vi propone la collana di scrittori emergenti più premiata dell’editoria italiana. E se non credete ai premi potete credere ai lettori, grazie ai quali la collana è fra le più vendute. Nel mare delle parole scritte per esser lette, ci incontreremo di nuovo con altri ricordi, altre rotte. Altre voci, altre stanze.

    Capitolo 1

    «Amico, l’ultimo che mi ha puntato contro una pistola è finito all’obitorio» sibilò il Commissario Corrado Gemma, suscitando le risa del vigilante che gli stava prendendo la temperatura col termometro laser.

    «36,2 si può accomodare Commissario» rispose l’uomo con le lacrime agli occhi.

    «Entrare in un ambulatorio medico è peggio che fare visita agli ergastolani» borbottò Gemma alla moglie mentre arrivavano nella sala d’attesa del poliambulatorio Vezza di Milano. Subito un soffio d’aria calda ritemprò la coppia che aveva pazientemente atteso un quarto d’ora sotto una pioggia gelida prima che gli venisse dato il permesso di accedere. D’altronde erano le regole della nuova normalità ai tempi del covid. Il Commissario aveva già lanciato due occhiatacce ad un’infermiera che lo stava guardando male perché si era abbassato la mascherina. Quell’affare non lo sopportava proprio. Ogni volta si appannavano gli occhiali e non riusciva a vedere più nulla. Si sentiva soffocare e quel pezzo di carta in faccia dopo un po’ puzzava di muffa.

    Il Commissario era uomo di legge e conduceva le sue inchieste con la massima precisione e meticolosità. Nessuna condanna era stata mai scalfita in tribunale dal lavoro degli avvocati difensori. Per questo la gestione della scienza su questo assassino invisibile non lo convinceva. Come poteva comportarsi questo virus in un modo in un posto e in un altro modo in un altro? Come poteva quella semplice mascherina trattenere goccioline di saliva infetta? Troppi dubbi per lui che era abituato a prove certe e incontrovertibili. Come se non bastasse Gemma odiava le sale d’attesa dei medici. Si sentiva come se fosse punto da mille aghi. Non riusciva a trovare pace. Quando si sedeva sentiva l’impulso di alzarsi e quando era in piedi sentiva che era meglio stare seduti. Allora provava di nuovo a sedersi e a distrarsi con un giornale ma adesso al posto di riviste impolverate c’era solo un dispenser vuoto di amuchina. Corrado odiava quella finta sembianza di ambiente asettico. Non sopportava quelle sedie scomode fatte di pezzi di tubo saldati e di un telino, una volta bianco, che faceva da seduta e schienale. Odiava la puzza di disinfettante che ti attanaglia la gola appena varchi la soglia di un ospedale. Odiava la voce del medico e del paziente che filtra da dietro la porta chiusa. Non riusciva a capire come la moglie potesse starsene tranquillamente seduta a leggere qualcosa sul suo smartphone come se niente fosse. Anche l’odiosa ffp2 che indossava sembrava non darle alcun fastidio. Eppure se erano là era proprio per lei: Teresa.

    La Signora Gemma aveva da poco compiuto 44 anni ed era ancora la splendida donna che aveva conosciuto a 16 anni. Era alta circa 1,70 ed ora che la menopausa l’aveva fatta ingrassare un po’ pesava circa 68kg. Aveva i capelli lunghi marrone chiaro che portava sciolti e le cadevano sulle spalle come se fossero stati di seta. Gli occhi erano neri, profondi, bellissimi. Corrado ci si era perso dentro la prima volta che li aveva visti quando i loro sguardi si erano incrociati in una domenica oziosa in cui con gli amici faceva lo struscio in piazza. Guardandola si era subito sentito come se attraverso i suoi occhi si fosse aperto un tunnel che l’aveva condotto direttamente nel cuore di quella ragazzina gracile ma già bella formata. Il Commissario si era innamorato subito di quella signorina dai profondi occhioni neri e prestissimo aveva deciso di farla sua. Non era stato difficile per lui farsi notare da quella che sarebbe diventata sua moglie. Corrado era un uomo imponente. Alto più di 1,85, robusto ma non grasso. Aveva i capelli sale e pepe alla George Clooney e un viso pulito, senza sbavature. Si erano subito fidanzati e prima che qualcuno gliela portasse via a soli 23 anni l’aveva portata all’altare facendola diventare ufficialmente la donna della sua vita. Teresa aveva sempre goduto di una salute di ferro e non aveva visto i medici se non quando era incinta della loro unica figlia. Eppure il giorno prima mentre si faceva la doccia si era sentita un piccolo nodulo al seno destro. Gemma aveva avuto l’impressione che la terra gli mancasse da sotto i piedi quando la moglie gli aveva dato la notizia.

    «Non iniziare a fare castelli» l’aveva subito rimbrottato lei quando lui si era rabbuiato pensando già al peggio. Poi aveva immediatamente preso appuntamento con il Dottor Professor Vacca che a lui faceva tanto ridere. Ogni volta questo titolo lo faceva pensare al Dottor Professor Guido Tersilli l’irresistibile personaggio interpretato da Alberto Sordi in un divertente film visto in tv. Vacca aveva la fama di essere un luminare della senologia e molto esoso nelle parcelle ma il Commissario non pensava minimamente a quanto avrebbe dovuto spendere per la salute della moglie. Era ansioso per quello che lei potesse avere e il pensiero che qualcosa di brutto poteva averla colpita lo faceva sudare freddo come mai prima di allora. Eppure Teresa faceva finta di niente. Avvolta nel suo vestito di lana nero lungo fino al ginocchio, con le gambe accavallate, ignorando anche l’iperattività che aveva contagiato suo marito, pareva che stesse aspettando un tavolo al ristorante. Finalmente la porta si aprì e una coppia fece capolino uscendo visibilmente rilassata. La porta si socchiuse e Gemma quasi non respirò. Poi si aprì nuovamente e una voce da dietro l’invitò a entrare. Il cuore del Commissario arrivò fin sopra le orecchie. Teresa invece si alzò con noncuranza e lo precedette nello studio. Il dottore era munito di apposita pezza chirurgica che gli nascondeva il viso e portava con noncuranza un Rolex di oro al polso.

    «Avete disinfettato le mani prima di entrare?» chiese il medico.

    Gemma vide un piccolo dispenser di una marca qualsiasi di igienizzante col tappo ormai giallo. «Se tocco quel flacone prendo la peste» rispose indispettito al medico mentre Teresa solertemente si stava già strofinando le mani con l’odioso gel. Lo sguardo della moglie gli fece capire che doveva farlo anche lui. Bestemmiando in cuor suo e cercando di toccare il meno possibile il tappo del dosatore, si fece cadere una piccola quantità di prodotto sulle dita. Subito la puzza di alcol lo prese alla gola e iniziò a tossire abbassando la mascherina per poi riportarla subito su appena il medico lo guardò bieco. Bene o male lo specialista diede il gomito a entrambi e li invitò ad accomodarsi. Si trattava di un ometto alto non più di 1,55 con una bella pancia prominente. I capelli erano ormai quasi un ricordo. Per questo aveva optato per un improbabile riportino che lo rendeva ridicolo. Portava un occhialino sul naso poggiato sopra la mascherina che gli dava una voce curiosa. Gemma si guardò in giro. La stanza era dipinta di un fastidioso colore chiaro e la presenza di una finestra con i vetri smerigliati rendeva l’ambiente claustrofobico innervosendo ulteriormente il Commissario. La moglie spiegava al luminare i motivi della visita ma lui era perso nei suoi pensieri. Abbassò nuovamente l’odiata pezza sul viso beccandosi nuovamente lo sguardo di rimprovero da parte dell’omuncolo che gli fece segno con la mano di rialzarla. Gemma portava sempre a teatralizzare le cose ed ora nella sua mente vedeva quei 10 minuti che sarebbero arrivati da lì a poco come una sorta di giudizio divino da dove sarebbe potuto uscire come un uomo sollevato o distrutto. Il senologo indicò alla moglie una porta e la seguì facendo segno a lui di non entrare. Gemma rimase in una posizione strana, tra l’alzarsi e il rimanere seduto. Il medico fece accomodare prima la moglie e mentre chiudeva dietro di sé la porta della sala visita rimbrottò di nuovo il Commissario che meccanicamente si era abbassato nuovamente la mascherina. Gemma allargò un po’ la giacca e mostrò il calcio della beretta di servizio. L’uomo capì l’antifona e chiuse subito la porta dietro di lui. Corrado si sedette ma per pochi istanti. Subito iniziò a fare il bis del solito balletto fatto prima in sala d’aspetto e che lo vedeva ora vagare per la stanza come un’anima in pena. Cercava di origliare dietro la porta dove sua moglie veniva visitata dal medico ma quello che giungeva alle sue orecchie erano solo vaghi borbottii. Poi gli sembrò di sentire un «si rivesta pure» e allora ebbe l’impressione che il suo cuore volesse uscire dal petto. Si sedette che aveva il fiatone come se avesse corso. Cercò di sembrare indifferente mentre la porta si apriva e il luminare e Teresa si materializzarono nella stanza. Gemma tentò di capire dalle loro espressioni cosa si fossero detti ma non riuscì a decifrarle.

    «Bene Signora» esordì Vacca «direi di fare domani stesso una mammografia e poi un ago aspirato così ci togliamo ogni dubbio». Prima che il Commissario potesse chiedere qualcosa Vacca tirò fuori dal tiretto della scrivania un blocco di fatture e con fare abile e veloce ne scrisse una per poi ripiegarla in modo che si vedesse solo la cifra del suo onorario: 250€ di visita e 80€ di ecografia, totale 330€. Il Commissario era troppo preoccupato per pensare a quanto stava sborsando per 5 minuti di visita. Non capiva bene che cosa fosse quest’ago aspirato e che dubbio doveva togliersi l’omino. Aveva anche paura di chiedere qualcosa visto che ormai l’uomo gli tendeva la fattura con un sorrisino soddisfatto aspettando di essere pagato. Gemma scucì la cifra richiesta e uscì con Teresa dallo studio ancora più preoccupato di quando ci era entrato.

    Gemma e Teresa non si dissero una parola nel tragitto di ritorno. Vide la moglie persa nei suoi pensieri ma quasi avesse timore di risposte sgradite rinunciò a fare domande. Poi alla fine non riuscì più a trattenere l’ansia e le chiese con filo di voce: «allora?».

    Teresa non si girò a guardarlo. «Allora niente, mi ha visitato e anche lui sente un piccolo nodulo alla palpazione, prima di questo esame non sapremo niente». Il Commissario sentì l’intestino contorcersi fino a farlo sudare freddo.

    Capitolo 2

    Nemmeno il riscaldamento accesso dal mattino presto allontanava i brividi di freddo che Luigi provava ormai da diverse ore. Si era seduto sul divano che ornava l’open space della loro bella villetta di campagna in attesa del Tg delle 20. Quella sera avrebbe capito che fine avrebbe fatto la sua attività. Forse era proprio il terrore di perdere tutto ciò che lui e sua moglie avevano faticosamente costruito ad averlo gettato in quel baratro di attesa e angoscia che si manifestava sotto forma di ghiaccio che gli scorreva nelle vene. Attese impaziente l’inizio del telegiornale.

    Il servizio sulle parole del Presidente del Consiglio non era ancora finito che l’uomo scaraventò lontano il telecomando del televisore. «Hai sentito che ha detto?» disse imprecando. La moglie Serena sapeva che era meglio lasciar sbollire la sua rabbia prima di parlare. «Ci ha fatto chiudere due mesi col lockdown ed ora se ne esce vietando le feste private! Porca troia!». L’uomo si alzò dal divano gettando per aria la coperta con la quale cercava di tenere lontano il gelo che provava nel cuore. Adesso girava per la stanza come un toro impazzito. «Dove cazzo li prendiamo 7000 Euro al mese che abbiamo di mutuo per questa fottuta casa con annessi e connessi? Viene a darceli lui?». Concluse sedendosi nuovamente con la testa tra le mani. «Siamo fottuti. Tra poco ci porteranno via la villetta e il nostro sogno, i nostri sacrifici andranno nella pancia dei soliti banchieri».

    Nonostante lei avesse solo 25 anni e lui 27 si conoscevano da tanto e da 5 anni erano sposati. Luigi era abbastanza tarchiato, alto solo 1,66; pesava 55 kg fatti però di muscoli e addominali saettanti. Aveva i capelli corti di colore nero pettinati sempre con abbondante gel. Aveva il culto del fisico perfetto e nel garage della loro nido d’amore si era costruito una piccola palestra personale. Serena era una bellissima ragazza nel fiore della sua giovinezza. Aveva un fisico asciutto e atletico, ben distribuito nel suo 1,75 d’altezza. Portava un seno abbozzato che spesso valorizzava con dei reggiseni riempitivi beccandosi i rimproveri del marito che invece amava i decolté piccoli. Quelli che entravano in una coppa di champagne. Era bionda naturale e aveva gli occhi azzurro mare. Quello che colpiva della sua bellezza era una carnagione bianca con una pelle liscia che pareva di marmo. A vederla truccata e vestita con minigonna e tacchi a spillo senza calze con i top colorati che tanto amava si poteva rimanere incantati per ore. La ragazza non aveva mai visto negli occhi dell’uomo la disperazione come quella sera.

    «Troveremo una soluzione» disse lei dolcemente.

    «Quale?».

    «Potresti tornare a fare il maître in qualche ristorante o albergo ed io potrei iniziare a lavorare in cucina ad esempio».

    «Ma se sono alla canna del gas anche loro! Pensi che assumano? Hai sentito quel bell’imbusto che ha detto? Solo un terzo di clienti nelle sale di ricevimento, plexiglass e stronzate varie. Chi vuoi che vada a mangiare fuori col rischio pure di prendersi sto maledetto virus? Siamo fottuti te lo dico io!».

    La donna non voleva darlo a vedere ma sapeva bene che il marito aveva ragione. La ristorazione era ormai un morto che cammina, ma era la loro professione. Luigi aveva studiato da maître e lavorava a tempo pieno in un albergo di Milano che si trovava a 20 km dalla loro abitazione costruita tra il capoluogo e Castellazzo. L’uomo era bravissimo nel suo lavoro. Non era difficile che qualche facoltoso cliente dell’albergo lo assumesse per dirigere feste e banchetti privati. Ed era proprio grazie a quella entrate extra che in 3 anni aveva potuto acquistare prima il terreno e poi costruire la loro casa. Serena veniva da una rinomata famiglia napoletana che realizzava fuochi d’artificio. Prima di trasferirsi al Nord in cerca di fortuna aveva anche lavorato nella realizzazione di botti e petardi specialmente nel periodo natalizio. Ma la sua vera passione era la cucina. Era particolarmente portata per i dolci. Ne faceva di ogni tipo. Dopo anni di prove aveva messo a punto la ricetta di una torta ai 6 cioccolati. Era così buona che Luigi la proponeva come dessert quando veniva assunto nei galà privati. Questo dolce era così speciale che glielo chiedevano anche in albergo. Pochi sapevano che uno dei segreti della ricetta messa a punto da Serena era proprio il cioccolato. Andavano una volta al mese in Svizzera in una nota azienda di Sorengo ad acquistarlo. Nei periodi nei quali lavoravano di più potevano recarsi anche ogni 15 giorni. Senza quel particolare tipo di cioccolato la torta non aveva la giusta consistenza e cremosità. Serena era abbonata ad ogni rivista di cucina e ben presto era diventata un’ottima cuoca. Per questo avevano pensato di creare una loro attività. Non avevano abbastanza soldi per permettersi di aprire un ristorante e i debiti già fatti per costruire la casa rendevano impossibile l’accedere ad altri finanziamenti. Avevano optato per un servizio di catering e consegne a domicilio di alta cucina fondando un delivery dal nome La forchetta del Gourmet. L’inizio non era stato dei più semplici però crescevano. Giorno dopo giorno. Sacrificio dopo sacrificio. Goccia dopo goccia di sudore. Poi era arrivata una cosa inaspettata. Un virus letale che stava mietendo vittime e generando lutti su lutti. Erano stati costretti a chiudere quando lo Stato aveva fatto scattare il lockdown. I due coniugi si erano barricati in casa guardando sfilate di bare e lacrime. Aspettavano un aiuto economico che era arrivato sotto forma di una manciata di euro. Dopo un po’ erano anche tornate ad essere imbucate nella loro cassetta le bollette e tutti i balzelli legati alla loro impresa. Così come lo Stato aveva preteso, con dispiacere, fino all’ultimo centesimo delle tasse dovute. Con la loro attività ferma al palo e gli incassi azzerati Serena sapeva bene che non avrebbero potuto pagare il mutuo contratto per costruire casa e soprattutto per creare la cucina professionale che gli serviva per la loro impresa. Si guardò intorno triste. Quella villetta era stata progettata e arredata da lei. Aveva voluto un grande spazio aperto destinato a soggiorno. Poiché era meridionale e cercava nel nebbioso Nord la luce calda del sole, aveva preteso nel progetto che quella stanza avesse due grandi vetrate. Una dava sul giardino interno che si estendeva per quasi un ettaro e andava a terminare in un’area industriale dismessa dove un triste capannone abbandonato rappresentava il fallimento di un imprenditore locale che aveva deciso di costruire auto sportive a mano. L’altra immensa vetrata si affacciava sul cortile antistante la casa a cui si accedeva da un grande cancello automatico. Da quello spazio aperto che tanto sognava si entrava nella cucina da una porta posta sulla sinistra della stanza. Mentre altri due usci si aprivano sulla destra del suo soggiorno. Uno portava nel piccolo disimpegno da cui si arrivava nel bagno, nella loro camera da letto e in quella di futuri bambini. L’altra, scendendo solo 5 gradini, portava nel garage. Dall’esterno potevano entrare direttamente nel box aprendo il basculante automatico. Serena aveva voluto tutta quell’automazione perché conosceva bene il clima piovoso e nevoso che regalava inverni gelidi e non aveva intenzione di diventare fradicia ogni volta che doveva entrare o uscire di casa per aprire a mano i vari cancelli.

    «Quanti soldi abbiamo in banca?» chiese.

    «Solo 2000 Euro» rispose Luigi con un filo di voce.

    «I i soldi di quando facevi sport?» chiese la donna.

    «Serena io sono stato campione regionale e nazionale di tiro con la pistola. Mica ero Ronaldo. A parte qualche coppa di latta e qualche attestato mi davano solo un rimborso spese». I due rimasero pensierosi mentre in televisione passava la solita intervista al tele-virologo di turno.

    Era buio da un pezzo e nonostante i due si fossero coricati tardi, come sempre non riuscivano a prendere sonno. I giorni si susseguivano uguali e nonostante tutto il loro impegno ogni via che pensavano di imboccare per risolvere la loro situazione ben presto diventava un vicolo cieco.

    «Dormi?» chiese Serena girandosi verso Luigi e abbracciandolo.

    «No» rispose l’uomo.

    «A che pensi?».

    «Che è arrivata l’ora di darsi da fare».

    «Come pensi di fare qualcosa senza un soldo e pieni di debiti?».

    L’uomo si mise di fianco e i due si guardarono negli occhi: «E se fosse lo stato stesso a pagarci i debiti?». La moglie lo guardò interdetta. «Rapinare le ricevitorie e togliere a quei ladri di Roma quello che ci hanno tolto! Nessuno si farebbe male. Non succederebbe nulla nemmeno ai tabaccai che sono assicurati. Saremmo tutti contenti!» disse tutto di un fiato Luigi per paura che poi non avrebbe avuto la forza di ripeterlo.

    «Sei impazzito!» rispose la donna girandosi nel letto e dandogli le spalle.

    «Pensaci. È la nostra unica salvezza ed un modo per vendicarci di quei parassiti».

    «E come pensi di farlo? Tu che hai urtato un’auto ed hai citofonato per ore a tutti i condomini della strada per trovare il proprietario e pagargli i danni? Vorresti metterti a fare rapine?».

    «Tu puoi sopportare l’idea di perdere la casa e vedere il nostro sogno andare in fumo?» ribatté l’uomo stizzito.

    «No» rispose con filo di voce la donna.

    Serena rifletteva sulle parole del marito. Uno strano brivido di piacere le era corso dietro la schiena all’idea di compiere quelle rapine. Sentiva dentro di sé come si fosse aperta una porta e lei stesse scivolando giù verso sensazioni mai provate.

    «Come vorresti farlo?» chiese.

    Luigi ebbe un fremito di piacere quando si rese conto che anche la moglie era dalla sua parte. «Con una moto, è più pratica e veloce. Entreremmo nell’orario di chiusura, spaventeremmo un po’ il proprietario con le pistole e poi incasseremmo e spariremmo in un secondo» disse il marito.

    «Bel piano del cazzo. E chi ce le dà le armi?».

    «Ti sei rimbambita? Ti sei dimenticata che ho le pistole da competizione in cassaforte? Tanto ci servono solo per fare scena».

    Serena aveva imparato a sparare incuriosita come tutti da quello strano sport praticato dal marito, ma dopo un po’ si era stancata e ci aveva rinunciato. «Non si farebbe male nessuno» pensò ad alta voce la donna assaporando ancora una volta quel brivido di piacere che mai avrebbe immaginato di sentire.

    «No, in più sono anche assicurati te l’ho detto. Non perderebbero un euro».

    Ci fu un attimo di silenzio. Poi Serena disse: «Facciamolo, vediamo se sei capace».

    L’uomo la girò verso di sé, la strinse tra le braccia e la baciò sulla fronte: «per te sarei capace anche di scalare nudo il monte bianco» disse. Serena rise, si sfilò la camicia da notte rimanendo nuda. Spogliò il marito lentamente e poi fecero l’amore fino all’alba.

    Capitolo 3

    Luigi si era messo a lavorare al suo proposito di vendetta con la stessa puntigliosità e precisione con la quale svolgeva il suo lavoro di maître. Aveva pensato che se la cosa fosse andata liscia come immaginava avrebbero potuto anche fare tre colpi a settimana in coincidenza con i giorni di estrazione del lotto; martedì, giovedì e sabato. In poco tempo avrebbero potuto accumulare quanto gli serviva per pagare i propri debiti e poi sarebbero spariti dalla scena del crimine per sempre. Dei misteriosi rapinatori in moto non si sarebbe mai saputo più niente. Per prima cosa aveva trovato su autoscout24 una splendida Ducati Monster 1.100 nera. Da un sito web aveva fatto arrivare dalla Cina un ingegnoso sistema che montato su auto o moto premendo un pulsante faceva calare sulla targa un tendino nero nascondendola. L’ideale per i piloti delle autostrade che volevano fregare autovelox e tutor. Avevano venduto su un’App dedicata alcuni mobili del salotto del loro villino per poter pagare la moto in contanti e si era fatto arrivare il copritarga inserendo l’indirizzo del capannone abbandonato che giaceva desolato proprio dietro casa loro. Si era fatto trovare all’esterno di quel rudere quando era arrivato il corriere per la consegna. Il primo problema che doveva affrontare era a chi intestare la Ducati. Servivano dei documenti falsi ma lui non era certo un uomo in grado di conoscere falsari. Così si ricordo di un’anziana cliente, la Signora Angela Capra, che ogni tanto li chiamava per farsi portare la crostata meringata al limone che era uno dei tanti cavalli di battaglia di Serena. Disse alla moglie di prepararla, poi mise a punto il suo piano.

    Luigi sfidava il traffico di Milano a bordo della sua Smart bianca. Sul sedile del passeggero faceva bella mostra di sé un cartone per dolci che conteneva la crostata appena sfornata da Serena. Era ormai buio da circa un’ora e un vento gelido spazzava le vie di Milano. L’uomo arrivò sotto casa della sua cliente dopo circa venti minuti di strada. Scese dall’auto con la crostata in mano e rabbrividì in un istante. Andò al citofono del condominio e cercò il cognome della donna. Suonò due volte. «Chi è?» disse una voce al citofono.

    «Signora sono Luigi del servizio di consegne a domicilio» rispose l’uomo.

    «Ma io non ho ordinato nulla giovanotto» obiettò l’anziana.

    «Sì Signora lo so. Ho per lei un omaggio mio e di mia moglie. Lo stiamo portando a tutti i clienti per informarli che appena passa l’emergenza sanitaria torneremo operativi».

    «In questo caso venga pure» rispose l’anziana facendo scattare la serratura della porta d’ingresso. L’appartamento era al piano terra di un palazzo costruito negli anni Cinquanta. Per arrivarci bisognava passare le vecchie rampe di scale che si abbarbicavano fino al settimo e ultimo piano dello stabile. Vecchie e deboli lampadine coloravano di un giallo antico l’androne del palazzo. Sulle pareti facevano bella mostra di sé dei rivestimenti in plastica ormai staccati e penzolanti. Molti mattoni erano consumati e una forte puzza di chiuso e di muffa prendeva alla gola Luigi ogni volta che entrava. L’ingresso dell’appartamento della donna era proprio a fianco al vecchio ascensore che faticosamente saliva e scendeva emettendo gemiti sinistri che ne sconsigliavano l’uso. La Signora Capra era dietro la porta di casa sua sorridente.

    «Che piacere vederla» disse l’uomo «le ho portato la crostata meringata al limone di mia moglie».

    Sul viso della donna si aprì un grande sorriso e finalmente si spostò di lato lasciando che l’uomo entrasse. «Che gentili grazie! Tutta per me?».

    «Sì Signora è tutta per lei» rispose Luigi aprendo il cartone e tirando fuori il dolce.

    «Che meraviglia! Sa, non dovrei abusarne perché ho un po’ di diabete… Ma per questa crostata potrei anche morire!».

    L’uomo rise. «Non lo dica neppure per scherzo» rispose.

    «Ma non le devo niente?» chiese ancora la donna.

    «No signora è un pensiero mio e di mia moglie. Ci farebbe piacere averla nuovamente come nostra cliente appena ci danno il permesso di tornare a lavorare».

    «Almeno posso offrirle qualcosa?».

    «Se non è di troppo disturbo solo un bicchiere d’acqua».

    «Ma certo! Glielo vado a prendere subito». L’anziana uscì dalla stanza e Luigi si guardò nervosamente intorno in cerca della borsetta della donna. Sapeva che la teneva sempre nell’ingresso e aveva visto i suoi documenti quando la prendeva per tirare fuori il portamonete per pagarlo. Finalmente la scorse su una sedia sotto il tavolo che regnava nel piccolo ingresso dell’appartamento. Subito l’aprì e tirò fuori la carta d’identità e la tessera sanitaria. Le mani gli tremavano e nella foga di prendere i documenti rovesciò sul pavimento il contenuto dell’intera borsetta. Imprecando cercò disperatamente di reinserire tutto dentro prima che l’anziana tornasse. Aveva recuperato gran parte di quello che si portava dietro la donna ed era riuscito a fare la foto alla tessera sanitaria. Non riusciva a trovare la carta d’identità nonostante avesse nervosamente cercato in ogni angolo. Senza quel documento tutto il lavoro che aveva fatto era inutile. Si stese sul pavimento e la vide infilata sotto un vecchio mobile. Riuscì a stendere il braccio più che poteva e a recuperarla con la punta delle dita mentre sentiva distintamente l’anziana tornare. Luigi si rimise in piedi pulendosi con la mano i vestiti impolverati. Fotografò finalmente anche questa e la ricacciò nella borsa chiudendola in fretta. La donna arrivò nell’ingresso con l’acqua mentre lui stava risistemando tutto come l’aveva trovato. Ci fu un attimo d’imbarazzo da parte di entrambi.

    «Questa tavolo è stupendo, non l’avevo mai notato» disse Luigi passandoci sopra la mano.

    «È degli anni Trenta. Era di mia madre».

    «Se un giorno volesse venderlo mi avvisi» disse l’uomo prendendo il bicchiere d’acqua e svuotandolo in un sorso. «Bene Signora allora aspettiamo presto il suo ordine» disse salutando la donna e guadagnando l’uscita.

    «Ci conti e ringrazi anche sua moglie per

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