Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il caos, la bomba, il caos
Il caos, la bomba, il caos
Il caos, la bomba, il caos
E-book161 pagine2 ore

Il caos, la bomba, il caos

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Siamo nel 1975 alla cascina Spiotta, vicino ad Acqui Terme, dove due brigatisti sequestrano il figlio dell'imprenditore vinicolo Gancia. All'arrivo dei carabinieri succede il caos. Questo è il fatto, realmente accaduto, da cui ha inizio la confessione-racconto del brigatista in fuga, la cui identità rimane tuttora misteriosa.

Una figura controversa, densa, dura e fragile, nella solitudine della sua casa vuota ci svela il segreto attorno al quale ha costruito un'esistenza in bilico.
LinguaItaliano
Data di uscita4 set 2018
ISBN9788899368357
Il caos, la bomba, il caos

Correlato a Il caos, la bomba, il caos

Ebook correlati

Narrativa generale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il caos, la bomba, il caos

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il caos, la bomba, il caos - Daniele Stroppolo

    cover.jpg

    Il libro

    Uno lancia una bomba a mano pensando di uccidere. Pensandolo in astratto, a meno che non ne abbia già scagliate altre e conosca davvero le conseguenze di quanto sta operando; e non era il mio caso. Quindi sì, certamente ho lanciato la mia bomba per uccidere. Quel fatto ha cambiato la mia esistenza nell’agire quotidiano scavalcando filosofie, convinzioni politiche, moralità. Ha sospeso la mia vita e spento le mie possibilità di proseguire la mia azione politica per come l’avevo fino ad allora condotta e concepita. Da lì in poi ho rigato dritto: non più reati, non più reti di contatti, non più lotta. Solo studio e vita irrepresa. Ero compromesso, e se mi avessero catturato sarei stato rinchiuso nelle patrie galere per un tempo mica da ridere. Ho incontrato una vita molto più simile alla vostra, intesa al bene individuale, alla riuscita personale, alla realizzazione professionale. Gli esami universitari, un bel dottorato e una carriera accademica provinciale ma agiata. Chi mi avrebbe toccato più?

    L’autore

    Daniele Stroppolo (Udine, 1978). Dopo essersi laureato con lode a Udine in Lettere moderne e aver frequentato la scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario, ora è docente di materie letterarie in un istituto tecnico a Trieste. Ha scritto articoli di ambito culturale per pubblicazioni locali. Ha una formazione eclettica che va dalla letteratura latina alla storia della musica, alla filosofia. Ama particolarmente la letteratura e la storia del ’900, perché ritiene che interrogando il secolo scorso si possano trovare alcune risposte per gli enigmi di quello attuale. Il caos, la bomba, il caos è il suo primo romanzo.

    camera con vista – 9

    Bottega Errante Edizioni

    Via Pradamano 4

    33100 Udine

    www.bottegaerrante.it

    [email protected]

    Editing: esagramma

    Grafica e impaginazione: Federica Moro

    Ebook: Giuliano Boraso

    Coordinamento editoriale: Mauro Daltin

    ISBN 978-8899-3683-57

    Bottega Errante Edizioni è un marchio di proprietà

    dell’Associazione culturale Bottega Errante

    (sede legale: corso Garibaldi 4/C, 33170 Pordenone)

    © 2018 Bottega Errante

    Tutti i diritti sono riservati.

    È vietata la riproduzione totale e parziale del testo

    senza l’autorizzazione dell’autore e della casa editrice

    Daniele Stroppolo

    Il caos, la bomba, il caos

    Bottega Errante Edizioni

    Gli sviluppi e i personaggi di questa vicenda sono frutto della fantasia e dell’immaginazione dell’autore. Vi sono narrati anche alcuni fatti storici, peraltro noti e studiati, che sono stati ricostruiti consultando fonti accessibili a chiunque. L’invenzione letteraria ipotizza un esito non con lo scopo di scoprire una verità, ma con quello di raccontare enigmi, paure e contraddizioni.

    A chi mi è sempre stato vicino

    A chi lo è stato o lo sarà anche per brevi tratti

    1

    Non ci si aspetti un autodafé: ma che vi credete, il Padre giudicante? Non ho mai formulato confessioni e neppure – se non altro in pubblico – alcun bilancio del mio agire. Quel che è chiamato pentimento non germoglia nella mia coscienza né baluginerà in queste pagine. Certo, sono uno sconfitto. Come potrei negarlo? E oggi che aborro la morte, che ripudio tutte le morti ontologicamente, fatico io stesso a riconoscermi nel gesto di attivare un innesco o di maneggiare calci, grilletti, cani e caricatori. Ma questi esiti finali, questi dettagli da ragioneria sportiva, non mi faranno rimangiare le mie risoluzioni, le mie scelte, le mie visioni. Ho provato a liberare gli oppressi spingendomi fino alla guerra dell’uomo contro l’uomo, perché non conoscevo alternative. E poi ho dovuto ripensarmi quasi da integrato. Quasi. Infine, quello che c’è adesso, i reflui di una vita. Per horror vacui mi trovo a rivangare ed esporre, pur sapendo che riuscirò a offrire solo una tenue larva di ciò che è fluito attorno alla mia esistenza: il poco che ho capito, l’ancor meno che saprò evocare da uomo funestato e funesto, forse incapace, non titubante.

    Tra le svolte acute e precipitose del mio destino una mi era sembrata più decisiva delle altre: un fermo immagine in cui il reale ha fagocitato l’ideale in modo inaspettato, scavalcando ogni plausibile previsione.

    Uno lancia una bomba a mano pensando di uccidere. Pensandolo in astratto, a meno che non ne abbia già scagliate altre e conosca davvero le conseguenze di quanto sta operando; e non era il mio caso. Quindi sì, certamente ho lanciato la mia bomba per uccidere. E quando, da quest’azione sorprendente – anche per me – e inopinata – per loro – è emerso non un uomo astrattamente ammazzato, ma la carne pulsante di un essere umano che con un braccio spappolato e la faccia piena di sangue continuava a gridare (e non per il dolore, ma per impartire ordini!), si è affacciata una realtà fenomenica imprevedibile.

    Quel fatto ha cambiato la mia esistenza nell’agire quotidiano scavalcando filosofie, convinzioni politiche, moralità. Il vigore di quell’uomo ha sospeso la mia vita e spento le mie possibilità di proseguire la mia azione politica per come l’avevo fino ad allora condotta e concepita.

    Da lì in poi ho rigato dritto: non più reati, non più reti di contatti, non più lotta. Solo studio e vita irrepresa. Ero compromesso, e se mi avessero catturato sarei stato rinchiuso nelle patrie galere per un tempo mica da ridere. Ho incontrato una vita molto più simile alla vostra, intesa al bene individuale, alla riuscita personale, alla realizzazione professionale. Gli esami universitari, un bel dottorato e una carriera accademica provinciale ma agiata. Chi mi avrebbe toccato più? Pensavo di averla fatta franca e così ho attraversato gli spazi della vita fino a che una lettera molto più potente della bomba – niente più che una pagina in bella grafia, quasi infantile nella morbidezza dei caratteri eppure terribile, squassante nelle parole – ebbene quella lettera mi ha spinto in un angolo e oggi, non stento ad affermarlo, sono confinato nell’oscurità. Mica il buio mediano dell’ignoto che sprofila il futuro di ciascuno, no, proprio il cupo più pesto, quello che non concede speranze e avvicina sordamente alla fine. E dire che testi di quel tenore, di contenuto diverso ma composti in un linguaggio tanto simile, erano stati il pane della mia formazione politica, un tempo. Come in uno specchio che riverberi il passato, quella lettera è scorsa davanti alle mie pupille inchiodandomi ai timori più terribili, ben peggiori di altri che ho dovuto affrontare e oggi al confronto mi sembrano irrisori.

    Condannato, sì, al muro più spietato, cioè all’abdicazione dei futuri. La prospettiva si chiude, giù il sipario, restatene solo sul palco a guardare il tendone. E oltre? Non applausi ma il silenzio definitivo. A piegarmi non voi, né il destino o qualche altra macchina intenzionale o giuridica. Neppure le mie stesse responsabilità: sono condannato da una serie di eventi in qualche modo collegati al mio agire, ma secondo trame oscure e incomprensibili il cui esito non era scritto nei tempi, né risponde a una logica di premio o punizione. Mi resta da guardare l’ultima inezia: una goccia d’olio che corre su una treccia, e vai a sapere come e quando cadrà, se si arresterà in un groppo o se pian piano si assorbirà lasciando sulle fibre un alone di complicata e inutile lettura.

    Che poi a residui e superflui sono avvezzo. Gli scampoli dimenticati sono stati il mio mestiere per tanti anni! Il tardo antico, l’altomedievale e le loro produzioni difficili, irrisolte, malferme. E pensatori oscuri che cercavano di mettere ordine in quel mondo prima squadernato e poi in arrocco, illusi che un disegno superiore stesse ricombinando il mucchio di sassi nella coreografia di un mosaico. Macché. Nessuna mano provvidenziale ci pulisce il viso dalla polvere che solleviamo sbattendo i piedi nella vita. Sta tutto lì: si scalcia un po’ il terreno, ci si imbratta un po’ e poi è finita.

    Eppure nei tanti anni passati a collazionare e tradurre mi sono commosso – profondamente e non di rado. Ho percepito in quei filosofi smarriti l’affanno di stramare la dura realtà, e nulla c’è di più umano. Scavar fuori un senso, una chiave, una cifra comune. Come orientarsi? Dove sta il regolamento celeste?

    Non possiamo farci nulla: è l’olfatto della civiltà a spingerci verso il sentore ultimo, la spiegazione definitiva. Desideriamo più di tutto una griglia consolante che ci orizzonti. Quanto a me, mi sottraggo quanto posso a quella gabbia e brancolo tetro sulle macerie, non sapendo quanto io abbia contribuito al crollo o se esso sia avvenuto per altre forze. E il dubbio non allevia il dolore, l’aumenta! Avrei potuto salvarci? Avrei potuto?

    La nostalgia mi preme addosso. Se talvolta mi sembra di star meglio, un sogno arriva ad attestare le felicità di un tempo e riconduce alla mia coscienza le miserie odierne; oppure una memoria scaturisce da uno qualsiasi degli oggetti che mi stanno intorno, e fine della tregua. Forse cambiando casa, cambiando città... Ma no, ormai quasi non m’importa di sottrarmi. Solo, non mi si chieda anche di rinunciare all’ultima traccia che conservo di me stesso: la sacra rabbia che ho sempre covata. Disperato, sì, non ammansito. Non mi ridurrò a chinare il capo davanti allo stato dell’arte, come se ciò che vige fosse ciò che è giusto. La realtà nel suo sordo andare non regala segni o compensazioni, non ascolta salomonica. Srotola il tappeto dei fatti e basta, e quel che seppellisce seppellisce. Non dovrei allora amare ciò che soccombe? Non dovrei odiare i soprusi, la morte, i prepotenti, le schiere dei così sia? Mi rodano il cuore i sensi di colpa, le frustrazioni, le nostalgie abbacinanti: non mi rassegno al Grande Ordine Universale. Non mi farò ammaliare dal ghigno del vincitore. Un giorno – e non mi importa quanto lontano esso sia, quanto posteriore alla mia definitiva scomparsa – anche i nemici che hanno piantato il vessillo sul mio tronco saranno dispersi nel tempo e precipiteranno nel passato. Allora gli uomini finalmente liberi baceranno la bocca dell’esistenza, ne suggeranno il segreto e le ginocchia non avranno più da tremare.

    Io ci ho provato: qualche granello nell’ingranaggio per vedere le ruote fermarsi. Invece l’esercito dei fatti – una bomba, una lettera, infiniti altri – mi ha travolto. Ora restano il finire senza gusto e senza fretta e l’interstizio infinito della solitudine. Mi danno il tempo pasti e sonni scipiti di ogni allegria, puro mezzo per sostenermi. Ogni tanto, poi, perdo il ritmo: la notte guardo il cielo, bevo caffè, lascio che il televisore decanti le sue nenie e le mie ore. Lo stomaco brucia e l’appetito si nasconde.

    Cerco nel ricordo: forse lo scandaglio farà affiorare le ragioni per un placido distacco. Più probabilmente non me ne verrà nulla; in ogni caso altro tempo sarà evaporato e questa è già una consolazione.

    2

    Rivedo ancora gli occhi di Margherita sgranarsi: come avevamo fatto a lasciarci sorprendere così? Quale ingenui­tà, che sciocchezza da commettere! Intrappolati per una cretina distrazione, impossibilitati a dileguarci. Tanto più che il capo era lei, mica una qualsiasi! Esperienza d’azione, carisma, forza d’animo, organizzazione. Eppure – e so che sostenerlo ora non va a mio onore – è stato un suo difetto di prudenza a inguaiarci in modo irreversibile.

    I carabinieri giravano attorno alla cascina; noi guardavamo tra le stecche delle imposte e intanto alternavamo silenzi e imprecazioni. Ci siamo guardati in faccia, ma senza trasporto: avevamo negli occhi il furore vacuo di chi teme per la propria esistenza e non ha guadagno dalla coatta compagnia. Lo sconforto mi premeva addosso, soprattutto le meningi. Maledizione a quando mi avevano inorgoglito con quegli: «È da far crescere subito, questo qui, ché promette!» e: «Starete tu e Margherita alla cascina!». Io, certo, ne avevo gioito;

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1