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Di tenebre e luce
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E-book323 pagine3 ore

Di tenebre e luce

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Info su questo ebook

Verona, settembre 2022.Per Kate, sopravvissuta a un passato misterioso quanto ingombrante, la serenità risiede nelle piccole cose: un marito che adora, un lavoro soddisfacente, una vita finalmente tranquilla. Ma in questo tiepido autunno sta per succedere qualcosa di inaspettato. Un imprevisto che la metterà faccia a faccia con i misteri del soprannaturale. Ancora una volta. Per tentare di annientare quel sortilegio che pensava di aver già sconfitto non potrà che fare una cosa: tornare indietro. Nel passato. In passati diversi.Misteri e fenomeni inspiegabili legano la sua vita con i destini di sei donne vissute tra il 1629 e il 1980. Il romanzo intreccia avvenimenti storici realmente accaduti con le avventure della protagonista. Una storia che vi trascinerà in un autentico viaggio di tenebre e luce dove niente è come sembra... e dove Kate non sarà mai davvero al sicuro. Riuscirà a salvarsi?
LinguaItaliano
Data di uscita3 lug 2024
ISBN9791222747224
Di tenebre e luce

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    Anteprima del libro

    Di tenebre e luce - Giuliano Brentegani

    Parte prima

    Bamberg, aprile 2016

    Capitolo 1

    Caitriona, 26 aprile, ore 22:55

    Cinque minuti alla fine.

    Una vita intera che devo risolvere in cinque, piccolissimi, minuti. Ho viaggiato per mezzo mondo, superato insormontabili difficoltà e alternato momenti di sconforto e gioia. Una gioia apparente, in realtà. Sì perché, volente o nolente, ogni secondo della mia vita è sempre stato legato al mio ultimo confronto con il destino: le ore 23:00 di martedì 26 aprile 2016. Bamberg, Germania. Vivere o morire.

    Quattro minuti alla fine.

    Così stasera ho affrontato le mie fobie, forzato un cantiere in disuso, slogata una caviglia e tagliata ad una mano. E ora mi trovo al secondo livello di una traballante impalcatura, paralizzata dall’ansia e grondante di questa viscida pioggia severa. Il Malleus maleficarum è stretto nella mano ferita, con il mio sangue che si mescola con quello di Helena sulla copertina. E adesso? Cosa faccio? Ho paura!

    Tre minuti alla fine.

    Sussulto per il pianto, che mi coglie senza poterlo controllare, e non faccio nemmeno in tempo a farmi inghiottire dal vortice della disperazione che un lampo accecante mi avvolge con il suo spaventoso fragore. Spontaneamente mi accovaccio portando le mani davanti al viso, come per proteggermi. Ma nel far questo lascio la presa sul Malleus maleficarum. Come in uno slow motion al cinema, lo vedo roteare sotto il diluvio. Una frazione di attimi lunghi una vita. La mia vita.

    Nooo!

    Le mie grida, con la mano protesa nel vuoto nell’inutile quanto impossibile speranza di poterlo richiamare a me, sovrastano in intensità anche la furia del temporale.

    Il libro maledetto ormai è perso.

    Per sempre.

    Colgo ogni istante della sua rovinosa caduta a terra, vedendolo infine inghiottire da acqua e fango.

    È finita, Kate...

    22:58.

    Troppo tardi per scendere a recuperarlo.

    Troppo tardi per pensare a un piano B.

    Troppo tardi per tutto.

    Forse è davvero così che doveva andare. Helena magari è morta proprio nel punto in cui è caduto il libro ed io devo semplicemente rivivere questo momento sulla mia pelle.

    22:59.

    Mi manca il respiro e non mi dispiace affatto, va bene così. Anzi, è un sollievo. Sono capace di sopportare il dolore ma ora è troppo, abbandono la partita. In una frazione di secondo passo in rassegna tutti i fotogrammi della mia vita. Adesso sì, è davvero finita. No, no, no: riprenditi, Kate! Non mollare! Non puoi mollare! L’ennesimo fulmine che cade a poca distanza mi fa trasalire. E mi ridesta dal cupo torpore in cui stavo affogando. Coraggio, Kate! L’aria torna a riempirmi i polmoni. Avidamente. E l’affanno che mi stava uccidendo da dentro si trasforma di colpo in un’insaziabile voracità. Una fame di vita. Io non mollo, non devo! Adesso, qui, mi rimane solo una cosa da fare. Ci devo credere, voglio fortissimamente crederci.

    23:00.

    Allo scoccare dell’ora fatidica recito, urlando con tutto il fiato in corpo, la formula per la salvezza che avevo scoperto in Italia:

    Scongiuro te, fuoco maledetto, per i tre divini chiodi di Cristo che trapassarono le mani e i piedi del Signore e per i quattro evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni affinché, placato, ti spenga lasciando libera l’anima di Helena Braun per la sua salvezza eterna.

    La recito poi, nell’ordine, per tutte le altre: Beatriz Ana Barros, Margaret Williams, Annie Caron, Sara Zambelli e Marlene Bauer. E, infine, la recito per me:

    Scongiuro te, fuoco maledetto, per i tre divini chiodi di Cristo che trapassarono le mani e i piedi del Signore e per i quattro evangelisti Matteo, Marco, Luca e Giovanni affinché, placato, ti spenga lasciando libera l’anima di Caitriona Sheena Gleann per la sua salvezza eterna.

    Il collo non sorregge più la mia testa.

    Gli occhi roteano all’indietro.

    Un lampo accecante illumina le mie pupille.

    Buio.

    Capitolo 2

    Francesco, notte tra il 26 e il 27 aprile

    Un lungo corridoio. Bianco. Stretto. Inospitale e in salita. Kate ed io siamo nel cuore di una montagna che non conosco.

    In fondo intravediamo una porticina rossa.

    Di tanto in tanto, sulla sinistra, delle piccole aperture con delle grate consentono di vedere fuori: verde, tanto verde, e qualche picco che si erge impetuoso mostrando una natura tanto rigogliosa quanto avversa. Da questi pertugi entra un vento forte. Fortissimo. Talmente violento che fatichiamo ad avanzare.

    I capelli di Kate, davanti a me, danzano irregolari sotto le sferzate di queste correnti d’aria. Il sibilo che si ode è insopportabile, tanto che per parlarci dobbiamo urlare.

    Manca poco, ormai ci siamo, grida voltandosi per un istante verso di me.

    Annuisco arrancando e rimango alle sue spalle.

    Ma dove siamo? Che posto è questo? Sono pervaso da un senso di angoscia.

    Raggiungiamo la porticina rossa.

    Kate si ferma, estrae una pesante chiave dalle tasche dei pantaloni. È molto particolare, la testa dell’impugnatura è a forma di quadrifoglio. Dopo averla osservata, la inserisce nella serratura e apre. I bordi esterni della porta rimangono addossati al muro e l’accesso è davvero minuscolo. Entriamo e a pochi metri da noi un altro varco, identico a quello appena superato. La scena si ripete, con Kate che apre nuovamente con la sua strana chiave. Ancora un’altra porta. E un’altra ancora. Si ripetono all’infinito. D’un tratto Kate, impaurita, sembra allontanarsi da me, come se il corridoio si allungasse sotto ai nostri piedi. Nello stesso istante inizia a squillare il mio cellulare. Lei, preoccupata, mi tende una mano. Mano che non vado a stringere.

    Devo rispondere, le dico afferrando il mio telefono.

    Kate strilla. Vuole dirmi qualcosa ma il rumore del vento mi impedisce di capire le sue parole. Aspetta, ora le sento chiaramente.

    Non abbandonarmi!, le sue accorate grida.

    Mi spiace, devo rispondere.

    È sempre più lontana. Le sue disperate richieste di non lasciarla sola svaniscono piano piano assieme alla sua figura.

    Mi spiace, devo rispondere... mi spiace...

    Capitolo 3

    Sconosciuta con cane, 26 aprile, ore 23:51

    Che tempaccio. Meno male che adesso il temporale pare sia passato. Solo qualche sporadica goccia tra me e il cielo. I miei passi tra le pozzanghere sono lenti. Lenti e stanchi. Ingrid, ormai non hai più l’età per portare fuori il cane a notte fonda. D’un tratto Ulf, il mio Pinscher nano, inizia a tirare deciso il guinzaglio. Mi trascina in una viuzza e inizia ad abbaiare in modo deciso.

    Ulf, smettila, lo rimprovero.

    Più lo dico e più abbaia forte.

    Arriviamo davanti alla recinzione di un cantiere. E il suo latrato diventa quasi insopportabile.

    Basta Ulf, basta!, ripeto prendendolo in braccio nella speranza che si calmi.

    Il mio sguardo viene catturato da alcuni squarci sulla copertura arancione attorno all’area dei lavori.

    Oh mio Dio, sussulto, ma dentro c’è qualcuno... qualcuno a terra!

    Do un biscottino al mio cane per farlo smettere di abbaiare e adesso sento provenire anche dei lamenti. Guardo meglio e sembra... sembra una ragazza. È riversa, di schiena, su quello che pare un cumulo di terra. È immobile ma farfuglia qualcosa. Con le mani che tremano prendo il cellulare e compongo subito il numero per le emergenze.

    Presto, serve subito un’ambulanza: c’è una persona ferita dentro il cantiere all’intersezione tra la Franz-Ludwig Strasse e la Kessler Strasse!

    Capitolo 4

    Caitriona, quindici minuti prima...

    Bagnata.

    Completamente fradicia.

    In lontananza sento ovattati i tuoni di un temporale che sta fuggendo via. Soprattutto sento su di me le gocce di pioggia che incombono pesanti sul mio corpo, sono come enormi pietre trasparenti che mi opprimono, nel fisico e nell’anima. Il mio respiro è poco più di un rantolo. D’improvviso vengo travolta da una forte tosse, che si trasforma simultaneamente in un ruvido conato di vomito. Riesco a malapena a girare la testa e, ancora immobile, piano piano mi impossesso di aria nuova. Sono riversa di schiena a terra. Almeno credo. Non riesco a muovermi, ho male ovunque.

    Dove sono? Cosa è successo?

    Sono confusa. Frastornata. La testa mi esplode. Ho gli occhi ancora chiusi. Vorrei aprirli ma non ci riesco. Con le mani, lungo i fianchi, sento una poltiglia umida. Sembra fango. Anche il mio olfatto adesso recepisce il tipico odore della terra bagnata.

    D’un tratto qualcosa va a serrare entrambi i miei polsi.

    Non qualcosa: qualcuno.

    Chi sei? Cosa vuoi da me?

    Sgomento.

    Tachicardia.

    Ansia.

    Paura. Soprattutto paura.

    Come se il mio corpo venisse attraversato da una improvvisa scarica elettrica, i miei occhi si spalancano annegati nel terrore. Non riesco a mettere a fuoco. Tutto è buio e annebbiato. Ma una voce lontana giunge alle mie orecchie.

    Caitriona... Caitriona, svegliati.

    Francesco, tossisco, sei tu?

    La mia flebile voce non riceve risposta alla domanda. Ma l’ombra dinanzi a me prosegue.

    Oggi sei stata brava: ma devi ancora percorrerne di strada per portare a termine ciò che hai iniziato.

    Che diavolo... cosa... ma tu chi sei, co-cosa vuoi da me?

    Finalmente le mie iridi blu cobalto iniziano a comporre il puzzle della figura che ho davanti. È un uomo, barba e occhi scuri, avvolto in quello che pare un saio con sopra una zimarra. Sembra un uomo di chiesa.

    Ma... ma chi sei, un prete? E cosa vuoi da me? Sei qui perché sono morta?

    Non sono un prete. E tu non sei morta.

    Non riesco più a parlare. Sono immersa in un lago d’ansia dove affogano le mie parole. D’un tratto vengo trascinata in un turbinoso vortice che risucchia la mia vista e sento mancare i sensi. Non prima di percepire le ultime parole dello sconosciuto interlocutore:

    Ricorda di portare a termine la tua missione...

    Capitolo 5

    Francesco, 27 aprile, ore 04:03

    Un terribile cerchio alla testa.

    Sono intontito.

    Le mie stanche palpebre, pesanti come macigni, si aprono in una fessura.

    Buio. I miei sensi percepiscono solo il ticchettare della pioggia sulle finestre.

    Era solo un sogno, per fortuna.

    Non senza difficoltà mi sistemo sul bordo del letto.

    Tesoro, ho fatto un sogno inquietante... eravamo in un cunicolo all’interno di una strana montagna, con tante porte tutte uguali. A un certo punto ti sei allontanata da me, come se il terreno si allungasse sotto di noi. Pazzesco. Tu chiedevi aiuto ma io insistevo a dirti che dovevo rispondere al telefono, che squillava in continuazione. Ti giuro, era tutto troppo reale!, sussurro allungando una mano dalla sua parte del letto.

    Nessuno. Solo un lenzuolo di flanella appena stropicciato.

    Kate?

    Nessuna risposta.

    Nemmeno il tempo di ragionare un attimo che il telefono inizia a squillare. Allora non era un sogno.

    A tentoni cerco di accendere la luce. Ma dove sono? Questa non è casa mia.

    Trovo un interruttore e prende vita una vetusta abat-jour. La luce è fioca ma mi fa comunque strizzare gli occhi.

    Ma dove mi trovo? E dove cazzo ho messo il telefono?

    Seguo goffamente il trillo che insiste. Eccolo, è sul tavolino in fondo al letto. Procedo, non capisco perché mi sento così stordito, e lo afferro.

    Sì?

    "Herr Francesco?"

    Questa banale domanda in tedesco, lingua che non mi appartiene, mi catapulta alla realtà con un’improvvisa quanto devastante scarica di adrenalina. E adesso ricordo tutto.

    Bamberg.

    L’Hotel Central.

    Il Malleus maleficarum.

    Il sortilegio.

    Kate.

    ***

    Ore 04:47.

    La telefonata che mi ha svegliato nel cuore della notte era di un’infermiera. Per fortuna parlava anche in inglese. Le sue parole non mi hanno lasciato scampo: Caitriona Gleann, la mia Kate, era stata ricoverata d’urgenza presso la struttura ospedaliera della città. Punto. Non mi ha saputo dire altro. Signore fa che sia viva. Chissà perché quando è in gioco la vita di una persona cara si diventa più credenti.

    Seduto sul taxi che mi sta portando in ospedale, stringo tra le mani la lettera che Kate mi ha lasciato sul tavolino della nostra stanza. Non riesco a trattenere una lacrima. Le sue parole d’inchiostro sono la mia unica fonte di speranza. È stata avventata e testarda, questa notte, ma non me ne importa nulla: ora so per certo che la amo più della mia stessa vita.

    Finalmente arriviamo. Visto dal finestrino, con tutto quel blu l’ospedale di Bamberg rassomiglia più a un business hotel che a una struttura sanitaria. Ma non sono di certo qui per apprezzare le architetture del nosocomio tedesco.

    Pago l’autista senza prendere il resto e mi fiondo verso l’ingresso. Klinikum Bamberg, l’insegna sotto l’enorme porta girevole blu. Il bancone in legno dell’accettazione rafforza la strana impressione di trovarsi in un albergo. Vado dritto dalla ragazza in servizio e, nel mio inglese scolastico, la incalzo:

    Caitriona, Caitriona Gleann! È stata portata qui con l’ambulanza. Ha i capelli rossi. Dove si trova?

    La giovane sembra non capirmi ed io inizio a dare di matto. Mi metto le mani tra i capelli. È tutto così assurdo. L’intero salone di accoglienza dell’ospedale sembra ruotare vorticosamente, ho la nausea. I miei pensieri sono agitati come una sgangherata zattera in preda del mare in tempesta. Mi guardo attorno. D’impulso prendo per le spalle una giovane specializzanda che, impaurita dal mio gesticolare convulso, richiama l’attenzione della sicurezza. Ci mancava solo questo. Alzo le mani, mi scuso con tutti, e ripeto loro la mia domanda con più calma. O, almeno, ci provo.

    La mia ragazza è stata ricoverata da poco, mi hanno telefonato da qui. La sto cercando, dov’è? Si chiama Caitriona Gleann! C-A-I-T-R-I-O-N-A!

    Un baffuto medico sulla sessantina, nei paraggi, sente i miei discorsi confusi e disarticolati.

    Caitriona? È un nome così particolare che non si dimentica: adesso dovrebbe trovarsi al reparto di ortopedia e chirurgia traumatologica, terzo piano.

    Chirurgia? Oddio, come sta? È viva, vero? Più agitato di prima non chiedo altro, lo ringrazio, e una volta individuate le scale le divoro a due-tre gradini alla volta. Ecco in alto la scritta Orthopädie und Unfallchirurgie, Ortopedia e chirurgia traumatologica.

    Caitriona Gleann, sto cercando Caitriona Gleann, dico, tutto affannato, alla prima infermiera che vedo. L’insistente azzurrino delle pareti mi ubriaca.

    Mi fa cenno di calmarmi, mimando il gesto di respirare piano, e mi invita a seguirla. Da un boccione per l’acqua, lungo la corsia del reparto, mi porge un bicchiere colmo che trangugio con avidità. Si trova quassù in reparto da circa mezz’ora. Sì, è viva, grazie a Dio! Con voce calma e rilassata mi accompagna verso la sua stanza, comunicandomi che adesso chiamerà il medico che l’ha curata per spiegarmi le sue condizioni di salute. Verso la metà del corridoio, con un dolce sorriso mi rassicura e, con un gesto della mano, mi fa capire che siamo arrivati.

    Adesso sta dormendo ma può entrare.

    Annuisco, la ringrazio, e per una frazione di secondo la seguo con gli occhi finché se ne va. E rimango solo. Completamente solo. Io, il corridoio vuoto e la stanza dove si trova la mia Kate.

    ***

    La porta è socchiusa. Inconsciamente, ancor prima di entrare, con le mani stendo le pieghe della camicia, come se dovessi presentarmi impeccabile. Che idiota. La verità è che ho paura. Paura di quel che vedrò.

    Batticuore.

    Nausea.

    Mano sulla maniglia.

    Spingo adagio ed entro.

    Ancor prima di vederla vengo accolto dal bip del battito cardiaco proveniente dal monitor per la rilevazione dei parametri vitali.

    Kate!

    Dentro c’è solo il suo letto. Mi catapulto da lei, afferrandole una mano. Dorme. Le sfioro le labbra con un bacio delicato. Mi sembra tutta intera. Dall’avambraccio sinistro parte il tubicino per la flebo.

    Lei è il signor Francesco Castelli?

    Quella che sento provenire dalla porta è, finalmente, una voce che parla italiano, anche se con inflessione tipicamente germanica.

    S-sì, sono io. Come sta?, indico Kate con lo sguardo.

    Sono il dottor Schwartz e dirigo l’equipe che l’ha curata. Lei è un parente?

    Sono... sono il fidanzato, mi metto di fronte a lui.

    Si tranquillizzi: la signorina... Caitriona, dice abbassando gli occhiali per leggere dalla cartellina blu che regge in mano, è stata molto fortunata. Nessuna frattura, nessuna lesione interna, solo un taglio sulla mano destra, una caviglia slogata e qualche ecchimosi superficiale. Abbiamo fatto anche una TAC ma in definitiva non ha nulla di grave. Se lo lasci ripetere: è stata molto fortunata.

    Ma allora perché dorme e non si sveglia?

    L’abbiamo sedata. Quando è arrivata l’ambulanza ci è stato riferito che non era in sé, straparlava e diceva cose strane.

    "Strane?"

    "Frasi sconclusionate, tutte riferite a sortilegi... e questo nonostante sia pulita, nel sangue non abbiamo trovato tracce di alcool o droghe", conclude tuffando i suoi occhi accusatori nei miei.

    Questa sottile insinuazione, che so essere falsa, nemmeno mi sfiora. E, in verità, non me ne importa proprio nulla di quel che può aver pensato. La cosa importante è una sola: Kate è viva e sta bene, questo è ciò che conta.

    Ma... ma come l’avete trovata?, svio abilmente il discorso.

    Una signora che portava fuori il cane ha sentito dei lamenti, l’ha intravista e ha chiamato l’ambulanza. Invece, prosegue adesso severo, mi dice cosa ci faceva in un cantiere abbandonato, di notte, in mezzo a quella bufera?

    Cerco di balbettare qualcosa ma le mie corde vocali sono strozzate dall’imbarazzo. No, questo non te lo posso dire, dottor Schwartz! Tra noi attimi di interminabile silenzio.

    Va bene, mugugna infastidito guardandomi come se fossi un cretino, le stia vicino, tra un paio d’ore vedrà che si risveglierà: e mi raccomando, la convinca a non fare più stramberie del genere. La prossima volta potrebbe non essere così fortunata.

    Capitolo 6

    Francesco, 27 aprile, ore 05:59

    ...e quindi, una volta vista la mia ragazza ferita dentro al cantiere, ha subito chiamato l’ambulanza.

    La sconosciuta signora che ha trovato Kate, al secolo Ingrid Schulz, annuisce e mi racconta nel dettaglio l’accaduto. Per strada non c’era nessuno e

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