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Crepuscolo
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E-book190 pagine2 ore

Crepuscolo

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Info su questo ebook

"Crepuscolo", secondo volume della collana Pancratium, è un romanzo di formazione con una dimensione domestica dei protagonisti Elena e Roberto, già conosciuti ne "La lunga giornata".
Elena e Roberto sono genitori di due splendidi bambini, Paolo e Veronica, con una vita sociale piena e appagante. Sono dei professionisti affermati, soprattutto Roberto, conosciuto e apprezzato nel mondo scientifico. Questa sua notorietà lo porterà a conoscere luoghi e persone che finiranno con l'influenzare la sua vita, anche personale.
In un contesto che abbraccia tutti gli anni '80 del Novecento, dal terremoto dell'Irpinia all'ascesa di Giovanni Paolo II al soglio pontificio, fino allo sgretolarsi del blocco sovietico, si insinua un evento drammatico che sconvolgerà la vita di questa giovane famiglia felice e unita.
In questo frangente così tragico Elena dimostrerà tutto il suo coraggio, la sua forza, il suo amore per la vita e la sua famiglia. Roberto invece sarà come annichilito, per fortuna ci sono i suoi figli che hanno bisogno di amore, cure e attenzioni.
Dopo il buio c'è sempre la luce, dapprima pallida e incerta, che pian piano diventa sempre più vivida.

... la storia continua.
LinguaItaliano
EditoreBookness
Data di uscita9 lug 2024
ISBN9791254895467
Crepuscolo

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    Anteprima del libro

    Crepuscolo - Francesco Vincenzo Desimone

    INTRODUZIONE

    Un altro capitolo si aggiunge alla raccolta di volumi Un secolo di vita italiana della collana Pancratium, che ho il piacere e l’onore di curare e coordinare.

    Al termine di una lunga giornata giunge l'ora del crepuscolo, ovvero il momento che prelude la fine, il declino. Eppure dalla lettura non sembrerebbe, certo nelle prime pagine viene descritto il dramma del terribile terremoto del 23 novembre 1980 che colpì gran parte del Mezzogiorno d'Italia, una tragedia mai davvero superata, che dimostrò l'inefficienza dello Stato unitario nei confronti del Sud.

    Nello scorrere le pagine assistiamo ai cambiamenti che avvengono nella vita dei protagonisti. Elena e Roberto ci accompagnano in un percorso di vita familiare e professionale, solo per fare un esempio, con loro conosciamo la vita nei paesi della cortina di ferro, alle contestazioni che porteranno alla caduta dell'URSS con il contributo e l'appoggio del papa polacco e degli USA, sempre presenti come un deus ex machina.

    Come ebbe a scrivere George Orwell in Omaggio alla Catalogna «Una delle più orribili caratteristiche della guerra è che la propaganda bellica, tutte le vociferazioni, le menzogne, l'odio povengono inevitabilmente da coloro che non combattono».

    Anche in questo la descrizione e il ricordo dei crimini descritti o accennati sottolineano, ancora una volta, la necessità per la società civile di non dimenticare affinché non si ripetano tragedie già vissute troppe volte, affinché non si perdano altre occasioni proposte e offerte da visionari.

    Questo capitolo di storia ha un finale drammatico. Un lungo sonno eterno sembra avvolgere il lettore, ma dopo il buio c'è sempre la luce, dapprima pallida e incerta, che pian piano diventa sempre più vivida.

    ... la storia continua.

    La curatrice

    Un secolo di solitudine

    PARTE I

    23 novembre 1980. La terra trema

    La fine degli anni ’70 si manifestò con un inverno freddo: come una riedizione dei gelidi inverni degli anni ’60, con temperature basse e venti rumorosi che a volte si confondevano con il rumore di un tuono.

    In realtà, dalla metà del XIV secolo si è assistito a una continua graduale espansione dei ghiacciai, come quelli alpini, con lunghi congelamenti per larghi tratti dei grandi fiumi, dal Tamigi in Inghilterra al Po in Italia, dalle Alpi fino a Venezia. È stata la piccola Era Glaciale, durata cinque secoli fino a metà dell’Ottocento. Da allora è iniziato un processo di risalita termica, continuato negli anni acuito solo in tempi recenti destando preoccupazione per i fenomeni che ne sono determinati. Gli effetti perversi dei cambiamenti climatici si riflettono sullo scioglimento dei millenari ghiacciai, dalle Alpi ai Poli, sulla desertificazione che avanza pressoché indistintamente su territori sempre più ampi del pianeta, fino all’effetto serra dovuto al numero sempre più elevato di attività umane, civili e soprattutto industriali.

    Si era ormai alla fine del periodo invernale. Dopo la drammatica tragedia del terremoto, Elena e Roberto vivevano finalmente sereni questo incredibile e freddo inverno del 1980. Pioggia e neve avevano imperversato in molte regioni italiane, e non solo italiane. Un amico di Roberto che si trovava a Boston con una borsa di studio, scriveva del lungo e rigido inverno del Massachusetts, freddo e nevoso come nemmeno i suoi colleghi americani avevano mai vissuto in passato.

    Anche in Campania l’inverno fu straordinariamente rigido, il Natale fu accompagnato per più giorni consecutivi da abbondanti nevicate. I paesaggi acquistavano nuove forme e nuove tinte, le albe si presentavano come una meraviglia della natura, con colori che sembravano dipinti da una mano divina. Il chiarore del nuovo giorno entrava nell’anima, un alito di vita, un soffio che vivificava e recava calma e felicità. Questo inverno, dopo un ultimo sussulto, alla metà di marzo si scioglieva sereno e tranquillo nel tepore della primavera.

    «A un tratto la verità brutale ristabilisce il rapporto tra     me e la realtà. Quei nidi di vespe sfondati sono case, abitazioni, o meglio lo erano»

    (Alberto Moravia, Ho visto morire il Sud)

    Gli anni ’70 si erano congedati con un evento traumatico. Il 23 novembre 1980, domenica sera, intorno alle 19:30 o poco più, un sisma devastante colpì il Mezzogiorno d’Italia con una magnitudo di 7.0, con epicentro al confine della Campania, la Basilicata centrosettentrionale e parte della provincia di Foggia in Puglia. L’epicentro fu localizzato in un piccolo comune della provincia di Salerno, Castelnuovo di Conza, distante da Paestum circa 80 Km. Questo terremoto causò almeno tremila vittime e circa 300mila sfollati. La terra tremò per circa 90 secondi, su un’area di circa 20.000 chilometri quadrati. La tragedia registrò episodi estremamente drammatici. Nel Potentino, a Balvano, il crollo della chiesa di S. Maria Assunta causò la morte di 77 persone, di cui 66 bambini e adolescenti che assistevano alla celebrazione della Messa. Paesi come Conza, Laviano, Lioni, S. Angelo dei Lombardi, Senerchia, Santomenna, Calabritto fino ad Avellino, subirono ferite profonde. Il sisma colpì anche alcuni quartieri di Napoli come Poggioreale, con molte case colpite e numerosi edifici gravemente danneggiati. La tragedia fu immediatamente accompagnata da polemiche e critiche violente.

    Il vecchio e amato Presidente della Repubblica Sandro Pertini, due giorni dopo il sisma in televisione commentò con amarezza l’inefficienza e il ritardo degli interventi, l’inesistenza della Protezione Civile, l’abbandono del territorio, l’assoluta carenza di infrastrutture, oltre alla totale latitanza dello Stato. In quei giorni, per una tragica coincidenza, in un piccolo comune dell’area del Cratere, come veniva denominata l’area delimitata dal sisma, un amministratore locale, deluso e sfiduciato, aveva polemicamente organizzato un convegno per celebrare il 1° centenario della richiesta per l’allacciamento idrico, per portare l’acqua nelle case degli abitanti di quei territori così sfortunati.

    «Non ci sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci. Ancora dalle macerie si levano gemiti e grida di disperazione di sepolti vivi».

    La denuncia indignata del presidente Pertini si era levata due giorni dopo il sisma. Infatti, per la verità, i soccorsi in tutta l’area sarebbero arrivati solo dopo cinque giorni! Alcune autorità politiche e amministrative si dimisero, lo stesso fece qualche ministro: ma i morti non potevano essere resuscitati. Servirono soprattutto a nascondere sotto uno spesso strato di vernice le colpe e le vergogne di un ceto politico che aveva completamente abbandonato questo pezzo del paese unificato da più di un secolo: pochi ponti e strade di accesso e collegamento, spesso peraltro in pessime condizioni, poche e scadenti infrastrutture, a cominciare da quelle per l’energia elettrica e per le radiotrasmissioni, la quasi impossibilità di comunicazioni a distanza, carenza di acquedotti e di strutture sanitarie in un territorio dello Stato dove la protezione civile era quasi totalmente assente. Per fortuna si mobilitò la popolazione civile, semplici cittadini, volontari, operai, contadini, studenti si impegnarono da subito a cercare fra le macerie, ad aiutare e soccorrere i feriti, a cercare di dare una degna sepoltura ai morti. Anche le poche Università presenti al Sud, in realtà solo Napoli e Bari in un panorama ricco di tali strutture al disopra della linea gotica, si impegnarono in tale opera. Alcune strutture e gli edifici più vecchi, fra cui quello dove lavorava Roberto, furono colpiti e puntellati. Uno dei migliori studenti di Roberto, originario di Laviano, nel sisma ebbe la casa distrutta e con essa vennero sepolti tutti i suoi familiari.

    Lentamente ripresero le varie attività. E allora iniziarono le insopportabili passerelle dei politici, specie di quelli maggiormente responsabili di questi abbandoni e di queste arretratezze dei territori, in uno Stato sempre più disunito, o peggio assente. Poi l’angoscia per i lutti e le distruzioni, la memoria per le omissioni cedettero il passo alla dimenticanza. Vennero promessi aiuti, provvedimenti immediati, investimenti e risorse. A giudicare dai risultati tutto rimase confinato nel libro dei sogni o delle buone intenzioni. E nel continuare ad affidarsi alla benevolenza della Provvidenza Divina che, purtroppo, in questa tragica circostanza era apparsa distratta.

    Verso il Natale

    Intanto l’estate volgeva gradualmente al termine. Stavano ritornando i colori e il fascino dell’autunno in Campania, un clima gradevolmente caldo e mite, senza afa, senza sbalzi estremi del termometro. Colori sfumati e dolci, poche giornate o ore di pioggia leggera, venti leggeri che senza violenza erano come carezze morbide e tenui: il periodo migliore per visitare Napoli e la Campania, e forse la maggior parte del Mezzogiorno d’Italia. Poi ottobre finì e con novembre il tempo iniziò a guastarsi sempre più velocemente: erano le prime avvisaglie dell’inverno.

    Secondo una consolidata tradizione di quei territori, già nelle ultime giornate di autunno con l’inizio del nuovo anno scolastico, all’Istituto Nautico di Sorrento, tutto il personale, dai professori ai bidelli, dagli addetti alla segreteria ai giovani assunti con contratti precari, erano impegnati nella realizzazione di un presepe vivente sulle verdi colline di Cesarano, alle spalle della cittadina. Si trattava di una suggestiva rappresentazione della Natività attraverso gli occhi e la fede degli abitanti locali, che erano organizzatori e attori, dei figuranti in carne e ossa. Per l’occasione si costruivano piccoli villaggi corredati di casette e botteghe artigiane, proprio come nei Presepi napoletani del Settecento. Venivano rievocati e riprodotti antichi mestieri, lavori ormai divorati dal grande dimenticatoio della storia, lavori e usanze che un tempo scandivano la vita delle campagne e dei villaggi. Case e interi borghi venivano costruiti con arte e passione da maestri della costruzione tipica dei pergolati di Sorrento e di tutta la penisola sorrentina, per la protezione dei limoni e altre specie vegetali vulnerabili ai freddi invernali, con gli alti pali di castagno e piccole murature in tufo, il materiale vulcanico così disponibile e abbondante nell’area vesuviana.

    Cesarano è stata definita la Betlemme di Sorrento. Moltissimi volontari partecipavano all’allestimento della celebrazione del Natale, con centinaia di figuranti, agli abitanti del posto si univano turisti, visitatori e curiosi, creando un’atmosfera di calda nostalgia, con i ricordi dolci e tristi per la scomparsa di mestieri e tradizioni, alcuni nemmeno adeguatamente rimpiazzati o sostituiti. E tanti confinati nei ricordi minimi ma non meno intensi o struggenti degli anni di un’infanzia lontana e, ahimè rimpianta! I vecchi mestieri venivano raffigurati con cura e attenzione ai più piccoli dettagli, rifacendosi alle riproduzioni storiche, alle vecchie stampe, alla memoria e ai racconti, figure scomparse ormai da decenni di venditori di bibite di acqua e succo di limone, arrotini, uomini e donne intenti alla raccolta delle nocciole o delle noci, alla raccolta e spremitura delle olive, contadini che su grossi bracieri arrostivano le caldarroste, passanti che si scaldavano al calore del fuoco rallegrato dall’aroma intenso delle castagne. Non mancavano le piccole rustiche pizzerie con gli avventori seduti ai tavoli, i torchi familiari e i tinelli per vinificare, i contadini di Bonea, di Meta e di Massaquano che producevano apprezzati formaggi, artigiani esperti per la produzione di artistici utensili in ferro battuto.

    Tutti gli abitanti della zona, dai neonati nelle loro carrozzine sospinti da madri premurose e apprensive, a uomini e donne di tutte le età, partecipavano a questa rievocazione collettiva, con la rappresentazione di episodi della Natività del Bambino, della sua nascita povera al freddo e al gelo come ricorda la solenne cantata di Sant’Alfonso, con riferimento alla sua esperienza di esule e migrante, carico residuale sarebbe stato etichettato con disprezzo successivamente da un ministro di un governo italiano cattolico, (Matteo Piantedosi, ministro dell’Interno nel Governo Meloni, n.d.a.) che così rivelava la sua vera natura inumana, mascherata sotto lo slogan Dio, Patria e Famiglia, completamente e da sempre disatteso da quella parte politica, senza dignità e valori, che aveva già partorito Mussolini e Hitler. Così si evidenzia che non c’è limite all’indifferenza e al cinismo, crimini che offendono più della spada e delle armi.

    Elena aveva partecipato attivamente e con convinzione a tutte le lunghe e complesse fasi dell’organizzazione del Presepe vivente, con l’energia e la determinazione di una giovane donna convinta delle sue idee, che si gloriava di professare senza timore né intenti prevaricatori, ma laicamente, gioiosamente. Come altre donne del posto di tutte le età e condizioni sociali, aveva speso ore a preparare i dolci tipici del Natale, che venivano consumati liberamente dietro un contributo volontario, il cui importo veniva destinato all’aiuto delle persone bisognose. A questi, da qualche anno in misura sempre crescente, si uniranno i migranti, disperati che affideranno a mezzi di fortuna pericolosi la possibilità di garantire un futuro a loro e ai loro figli, spesso non ancora nati, sempre se non verranno risucchiati dal grande cimitero aperto che è il Mediterraneo.

    Le celebrazioni del Presepe vivente erano comuni a tutti borghi del territorio sorrentino. Anche i figlioletti di Roberto ed Elena partecipavano a questi eventi, vestiti con maglioni e giacche pesanti per difendersi dal freddo ormai intenso.

    Un presepe era stato allestito anche a Bonea, una frazione di Vico Equense, la loro cittadina di residenza. Per il forte campanilismo che in quelle zone sopravvive da sempre, Elena si sentì in obbligo

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