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Calibro Zero
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E-book207 pagine3 ore

Calibro Zero

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Info su questo ebook

Questi racconti sono stati insigniti del Terzo Premio Dostoevskij da parte della casa editrice Aletti di Villanova di Guidonia (Roma). Hanno conseguito il primo posto nella categoria Raccolta di Racconti Inediti. Si tratta di una parodia del giallo classico. Il protagonista è un investigatore privato che vive a Napoli e risolve, ma non sempre, casi di genere molto particolare. I racconti sono stati definiti dai primi lettori in diversi modi, ad esempio umoristici, surreali, fantastici. L'autore preferisce però chiamarli "favole minimaliste". La descrizione di luoghi napoletani è ben dettagliata e il sottilmente comico detective dall'impermeabile azzurro scolpisce a suo modo un'impagabile epopea partenopea.
LinguaItaliano
Data di uscita10 lug 2024
ISBN9791221433111
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    Anteprima del libro

    Calibro Zero - Francesco Caputo

    Indice

    CALIBRO ZERO CONTRO L’AMBIGUO

    IL COCCODRILLO DELL'IMPERATORE

    CALIBRO ZERO CONTRO L’ESTINTO

    LA BANDA DEL CLUB  DEGLI AMICI DI SATANA  DEL SERGENTE PEPPE

    TYRANNOSAURUM PRAECOX

    CONTE CAPONI

    IL PENNARELLO ROSA

    L’AMICO ‘MMERICANO

    Francesco Caputo

    Calibro Zero

    Collezione

    di fantasmi napoletani

    Si ringraziano gli amici per aver fornito ispirazione per alcuni dei racconti di questa raccolta

    Titolo | Calibro Zero

    Autore | Francesco Caputo

    ISBN | 9791221433111

    © 2024 - Tutti i diritti riservati all’Autore

    Questa opera è pubblicata direttamente dall'Autore tramite la piattaforma di selfpublishing Youcanprint e l'Autore detiene ogni diritto della stessa in maniera esclusiva. Nessuna parte di questo libro può essere pertanto riprodotta senza il preventivo assenso dell'Autore.

    Youcanprint

    Via Marco Biagi 6 - 73100 Lecce

    www.youcanprint.it

    [email protected]

    Made by human

    CALIBRO ZERO CONTRO L’AMBIGUO

    "Siamo fatti della stessa sostanza

    di cui sono fatti i sogni e

    il nostro breve sonno

    è circondato da una lunga notte"

    Shakespeare

    Calibro Zero stava riposando davanti al camino spento del suo studio. Nemmeno i chiodi o i grilli della vecchia stanzetta avrebbero voluto dargli credito. Si era accesa una sigaretta in attesa di un cliente e, non potendo allungarsi fino a far arrivare i piedi sulla base del camino, era scivolato sulla poltrona verde e si era addormentato con la sigaretta accesa in bocca. Più che l’odore acre di fumo che veniva dal pavimento, lo aveva risvegliato il Don Don del campanello che una sagoma dai lunghi capelli aveva suonato dietro alla porta a vetri della stanzetta. Guardatosi attorno, Calibro aveva individuato il potenziale focolaio d’incendio che, partito dal tappetino sotto la poltrona, si era già esteso parzialmente alla gamba destra della poltrona stessa. Domò l’incendio prima che si propagasse nell’intera stanza, mentre altre due volte il Don Don del campanello risuonava in essa. Infine, grato alla figura coi capelli lunghi per avergli salvato la vita, le aprì la porta. Si trovò di fronte una ragazza molto carina, dalla chioma ondulata e castana, con un sorriso furbo e il mento leggermente a punta, gli occhi verdi e le gote fresche e rosee, di poco più di vent’anni, più bassa di lui di un paio di spanne, che indossava un maglione nero e un pantalone verde. La ringrazio esordì Calibro appena quella lo vide. E di che? fece la ragazza, entrando nel locale e andando ad accomodarsi nella poltroncina nera davanti alla scrivania. Di avermi salvato la vita, naturalmente.

    Solo con il fatto di essere entrata? Lei è veramente una persona galante.

    No, non intendevo questo... lei mi ha letteralmente salvato da una fine terribile...

    Beh, certo, starsene tutto il tempo chiuso in questo bugigattolo... dev’essere orrendo... Perché non apre la finestra? Lei fuma molto, vero? C’è una tale puzza di fumo, qui.

    Io... beh, credo che aprirò la finestra concluse Calibro Zero e sollevò il saliscendi. Dall’alto del grattacielo diede una rapida occhiata alla città senza colore che si stendeva sotto di lui, poi rimise la testa nella realtà della sua stanza, una realtà molto più piacevole del solito perché rallegrata dalla presenza gaia di un musetto triangolare e di due occhi verdi e vivaci.

    Senta, non posso perdere tempo. Il mio problema è grave...

    Mi dica subito... vediamo se posso aiutarla.

    Lei dovrebbe aiutarmi, appunto, a ritrovare una fisarmonica... Fisa... rmonica? domandò Calibro interrompendosi a metà parola. Certo.

    Di che tipo di fisarmonica si tratta?

    È una fisarmonica che mio padre aveva avuto in dono da un suo amico di Vienna.

    Una fisarmonica austriaca?

    Sì.

    Suo padre è dunque... musicista? continuò Calibro soppesando le parole.

    In un certo senso... Lui è il mendicante che lavora all’angolo della piazza laggiù, piazza Duomo.

    Lui?

    Sì... si chiama Gilet e lavora lì. Lo conosce?

    L’ho notato qualche volta... il mendicante cieco che suona la fisarmonica... gli ho anche dato qualche spicciolo, spesso... ma come...?

    Beh, vede, forse penserà che qualcuno, approfittando del fatto che è cieco, gliel’abbia tolta di mano. Niente di tutto questo... la fisarmonica è stata rubata in casa nostra, una sera che eravamo assenti.

    Calibro aggrottò le sue biondissime sopracciglia. Avete subito una rapina?

    No... i ladri hanno rubato solo la fisarmonica rispose la ragazza avvicinandosi alla scrivania e appoggiandovi le braccia. Cos’ha di particolare una fisarmonica austriaca?

    Il viennese Damian nel 1829 inventò la fisarmonica. Non lo sapeva?

    Confesso la mia ignoranza fece Calibro scuotendo il capo.

    Un raggio di sole entrato dalla finestra scivolò sulle stanghette dei suoi occhiali d’oro, provocando un riflesso che a sua volta raggiunse gli occhi della ragazza, facendoli brillare di luce verde e dorata.

    E quindi questa è la prima fisarmonica costruita da questo suo viennese?

    Ma no, cosa va a pensare... Le fisarmoniche viennesi sono di buona qualità, anche se quelle costruite in Italia sono superiori. Questa però è una comune fisarmonica viennese di recente costruzione, senza un particolare valore storico o venale; di costruzione abbastanza pregevole, sì... ma non ha un valore enorme... solo che è stata regalata a mio padre da un suo amico viennese... e mio padre, e anch’io veramente, ci eravamo molto affezionati.

    Ma lei mi ha detto che qualcuno è venuto in casa sua proprio per rubare la fisarmonica... chi potrebbe essere interessato ad un oggetto senza valore particolare?

    Io non ho detto questo, veramente. Solo che qualcuno è venuto in casa nostra a rubare la fisarmonica. Quanto a chi è stato, questo deve scoprirlo lei, mi scusi.

    Calibro spostò per un attimo il suo sguardo, che finora aveva indugiato sul viso della cliente, in basso, mettendo a fuoco con i suoi occhiali, involontariamente, le curve dei seni della donna, che erano appoggiati morbidamente sul tavolo, in mezzo ai gomiti. Poi, sollevando di nuovo gli occhi, disse: Sì, certo... ma lei ha qualche sospetto, oppure conosce qualcuno che, per dispetto o per qualche altro motivo, potrebbe...?

    Mah, non so... no, direi di no... direi proprio di no.

    Bene, accetto il caso.

    Oh, ma è fantastico... e, mi dica, il suo onorario?

    Oh, non si preoccupi... per lei è gratis... le devo la vita, non si ricorda?

    Ma che dice? fece la ragazza sorridendo... Sempre così galante, lei?

    Eh, lei non si rende conto di quanto è vero ciò che dico. Devo però chiederle almeno la cortesia di collaborare alle spese. Sa, potrei avere bisogno di comprare un biglietto della metropolitana o dell’autobus per spostarmi in città...

    Ma certo, certo, disponga pure... davvero non vuole essere pagato?

    No, non potrei proprio accettare da lei, no...

    Che cavaliere... Beh, mi faccia sapere allora.

    La ragazza a questo punto si alzò...

    Certo... mi lasci il suo indirizzo... passerò a casa sua per ritirare informazioni circa la fisarmonica e anche circa suo padre, se non le dispiace... ho bisogno di maggiori dettagli, sa.

    Venga quando vuole... questo è il mio biglietto da visita.

    Morgana Lautremontis. Nome musicale. Anche lei è musicista?

    No, faccio l’attrice.

    Ah... bene, bene. Ci rivediamo, dunque.

    Addio... e provi a fumare dei sigari.... sono più aromatici e non lasciano questa puzza di bruciato in tutta la stanza.

    Arrivederci, signorina, arrivederci. Calibro guardò il musetto della signorina che si allontanava in direzione della porta, le parti basse inguainate nel pantalone verde attillato. Quando lei si girò, ammirò di nuovo il visetto dall’aspetto pulito e furbesco, indugiò per un secondo sui seni dolci messi in evidenza dal pullover nero. Quindi alzò la mano per ricambiare il saluto della ragazza e osservò sospirando la sagoma che si proiettava sul vetro della porta, mentre lei la chiudeva, scivolando via lentamente. L’investigatore fece per mettersi in bocca una nuova sigaretta e si arrestò a contemplarla un attimo prima che fosse arrivata alle labbra. È proprio vero che il fumo può ucciderepensò e, gettatala via senza accenderla, andò di nuovo ad accomodarsi su quello che restava della poltrona semibruciata davanti al camino spento, dove si stese ricominciando a sonnecchiare.

    Dopo aver meditato nel sonno per un paio d’ore, come faceva sempre prima di dedicarsi a un nuovo caso, Calibro decise di mettersi in azione. Si ravviò i capelli biondi nello specchio, pulì le lenti e le stanghette dei suoi occhiali d’oro, aggiustò l’impermeabile azzurro che portava sempre addosso e che si era spiegazzato durante il sonno, quindi lasciò l’ufficio al ventottesimo piano del grattacielo del Centro Direzionale, scese le scale a piedi (l’uso dell’ascensore gli era stato proibito perché non aveva pagato le ultime quattro o cinque quote condominiali) e, uscito all’aria aperta, si avviò verso il centro della città. A quell’ora c’era troppo traffico e non gli sarebbe convenuto più di tanto prendere un autobus, poiché rischiava di metterci molto più tempo che a piedi. Mentre passava per le vie del centro, la sua fantasia fu assorbita dalle ragazze che camminavano per la strada e dalle vetrine dei negozi. Era uno strano paese quello in cui viveva Calibro Zero. Una repubblica governata da una serie di re che si alternavano a turno al governo. Ma quasi nessun re sembrava aver ben governato, tanto che la repubblica era andata in rovina. I re stessi ormai contemplavano soltanto le rovine della repubblica da loro stessi creata e sembravano impotenti a redimerle.

    Dopo un po’ giunse in piazza Duomo e la prima cosa che notò fu che all’angolo della strada porticata che si trovava prima della Cattedrale, mancava il mendicante cieco che suonava la fisarmonica. Era evidente che il furto dello strumento gli impediva di lavorare, almeno momentaneamente. Calibro indugiò a guardare gli archi e le volute della cattedrale, tutta in marmo bianco, in stile gotico, con quelle guglie che si arrampicavano verso l’alto a cercare il cielo, tentando di imprimersi bene in mente le forme bizzarre della chiesa. Poi guardò i due porticati ai lati della chiesa, avanzati di qualche metro rispetto a essa. Le colonne di marmo bianco ingrigito dal tempo sorreggevano una volta dello stesso colore, facendo cornice, sul lato sinistro, a un caseggiato dall’intonaco grigio e rosso. La prima cosa da fare per svolgere il suo incarico era, naturalmente, studiare l’ambiente dove il suo cliente, vittima del furto della fisarmonica, aveva trascorso buona parte delle sue giornate fino a poco tempo prima. Il caso, a un primo sguardo, si presentava difficile. Qualcosa lo suggeriva nell’aria imbronciata della chiesa e nell’aspetto dimesso e triste del porticato. Se non fosse stato per quella macchia di rosso nell’intonaco, infatti, i portici avrebbero dato un’idea di sofferenza viva e presente, la cui causa era ardua da decifrare. Questo, naturalmente, non era lo scopo della sua indagine. Lui aveva solo il compito di raccogliere indizi atti a curare gli interessi del suo cliente. La macchia rossa, ad ogni modo, testimoniava una vitalità non ancora del tutto perduta. Calibro si allontanò dunque dal Duomo e, camminando sul lato sinistro della strada, sul lato opposto al porticato, si andava avvicinando a piazza Cavour. Ripensava al viso della giovane ragazza che aveva illuminato la sua stanza quella mattina. Pensava anche che senza di lei oggi non sarebbe stato ancora vivo e che, oltre a salvargli la vita, gli aveva dato anche una ragione per vivere e gli aveva regalato una nuova avventura con il caso della fisarmonica da risolvere. Perciò era allegro e si sentiva ben disposto verso il mondo e la vita, anche se cominciava ad avvertire un certo languore nella parte alta dello stomaco. Mezzogiorno era passato da un pezzo e Calibro non mangiava dal mattino del giorno precedente, quando aveva preso un cappuccino e una brioche. Ultimamente i casi erano pochi. Non aveva tuttavia proprio potuto farsi pagare dalla signorina Morgana la quale era entrata nella sua stanza in maniera così provvidenziale da salvargli la vita. Ripensò al suo bel visino e alle sue cosce affusolate e si chiese se l’avrebbe mai rincontrata. Ad un certo punto, poco prima di sbucare nella piazza, sul muro che gli scorreva affianco vide un manifesto che reclamizzava un evento teatrale. Era giallo con le scritte rosse, ben visibili. Calibro si fermò a leggerlo e quello che vide scritto lo fece trasalire.

    Il cartello recava queste parole:

    Finalmente a Napoli, dopo tanti anni di assenza, tornano

    L’AMBIGUO

    e la straordinaria banda delle

    Facce Sorridenti

    Al teatro Notsirà per una settimana...

    approfittate dell’occasione,

    che non si ripeterà più per molti anni a venire

    "Accidenti - pensò Calibro, in preda ad una grossa agitazione - dunque L’AMBIGUO è qui! È tornato a Napoli dopo tanto tempo! Vuoi vedere che..." e cominciò a congetturare che il furto della fisarmonica fosse legato al ritorno di quella banda di attori guitti e musicanti da strapazzo capitanati da L’AMBIGUO. L’AMBIGUO era una vecchia conoscenza di Calibro Zero: era un attore dandy, molto elegante, con un fisico da ballerino e una faccia simpatica sulla quale erano rimasti ben evidenti i segni lasciati dall’acne giovanile. Era un nemico molto temibile, probabilmente il nemico più difficile e terribile che Calibro avesse mai affrontato. L’AMBIGUO lo aveva sconfitto già più di una volta e l’investigatore aveva dovuto ingoiare più di un boccone amaro da questo avversario tanto raffinato ed elegante quanto duro e fatale nel mettere a segno i suoi colpi. Per questo motivo, Calibro gliel’aveva giurato: prima o poi gliel’avrebbe fatta pagare. Ad ogni modo, doveva continuare la sua indagine. Aveva notato, passando rasente al muro, numerosi altri indizi. Sentiva la scia del profumo della figlia del mendicante, che, evidentemente, era passata parecchie volte per quella strada. Avvertiva inoltre l’odore del sigaro che spesso aveva visto fumare al mendicante stesso, quando faceva qualche pausa smettendo di suonare la fisarmonica che gli dava da vivere. Questi due odori, naturalmente, li aveva iniziati a percepire fin dalla piazza dove era il Duomo ed ora, che si avvicinava alla fine della via, anch’essa chiamata via Duomo, iniziavano a scemare, mentre altri odori prendevano il loro posto. Si era infine reso conto che il muro recava i segni di mani diverse, che contribuivano ad accrescere un senso di incontenibile decadimento che tutta la strada comunicava. Tra quelle mani vi erano le mani del mendicante e di sua figlia, insieme a tante altre. Si era accostato al muro per toccarlo più volte, saggiare la sua ruvidezza, tentare di risalire alle persone che lo avevano toccato confrontando la quantità e qualità di molecole che si erano staccate da esso. E così facendo aveva potuto raccogliere già una buona mole di dettagli importanti. Ma adesso, ecco all’improvviso quel particolare del manifesto reclamizzante lo spettacolo dell’AMBIGUO. Calibro si chiedeva se ciò non cambiasse le carte in tavola, se potesse esserci qualche nesso. Provò a leggere con più attenzione il manifesto: in effetti L’AMBIGUO rimaneva in città, o meglio in teatro, per una settimana. Anzi, no, era già arrivato tre giorni fa, quindi sarebbe rimasto per altri quattro giorni. Dunque, L’AMBIGUO era già a Napoli da tre o, magari, anche quattro giorni. E, guarda caso, la fisarmonica del padre di Morgana era sparita proprio tre giorni prima, come gli aveva detto la ragazza. Continuando a riflettere, Calibro riprese a camminare e arrivò finalmente in piazza Cavour, dove un traffico ancora più fitto di quello che aveva incontrato in via Duomo sembrava fagocitarlo. Salì a bordo di un autobus che avrebbe dovuto portarlo alla casa di Morgana e Gilet. Evitò di pagare il biglietto perché, a causa della folla, non poteva raggiungere la macchinetta timbra-biglietti. Schiacciato come un’aringa, viaggiò fino al quartiere dell’Avvocata dove vivevano Morgana e suo padre o anche, a voler guardare le cose da un altro punto di vista, Gilet e sua figlia.

    La porta a vetri della casetta arroccata sulla salita dell’Avvocata risuonava quando si apriva perché vi erano appesi dei sonaglini. Morgana andò ad aprire e invitò Calibro ad accomodarsi. Gli offrì una tazza di tè con dei pasticcini, che servirono a Calibro per placare in parte la fame, e si sedette con una tazza di tè in mano. Un gatto venne ad accoccolarsi sul suo grembo, mentre lei abbassava la radio che stava ascoltando. Calibro la osservò accavallare le gambe. Stettero così, un po’ a chiacchierare, un po’ a guardarsi in silenzio per alcuni minuti. La ragazza guardava di sottecchi quell’investigatore allampanato, alto e magrissimo dai corti capelli

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