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La carta rovesciata
La carta rovesciata
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E-book282 pagine3 ore

La carta rovesciata

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Info su questo ebook

In un agosto torrido che non regala sussulti, Vito Serpieri, giovane dalle modeste origini e un passato tormentato, scompare misteriosamente a pochi giorni dal suo matrimonio con la ricca ereditiera Laura Altamura. È la gemella Virginia a dare l’allarme: a preoccuparla, ancor più dell’assenza del fratello, è l’inquietante responso dei tarocchi che soltanto qualche sera prima gli aveva letto.
Virginia è l’unica che sembra non avere dubbi: quello di Vito non può essere un allontanamento volontario. Non passa molto tempo prima che i timori della ragazza trovino conferma e che il corpo del gemello riaffiori dalle acque di Posillipo.
In una Napoli insolitamente vuota, Mindy Iannaccone è chiamata a mettere da parte il suo tira e molla sentimentale con Pietro e investigare su una morte che si traveste solo in apparenza da suicidio. Chi era davvero Vito Serpieri? Con quante persone aveva dei conti in sospeso? E che ruolo svolge in questa oscura vicenda il fidato ispettore Egidio Molinari, di cui Virginia è da sempre innamorata?
In una continua gimkana tra cupi vaticini e indizi reali, Mindy si troverà ad affrontare una catena di eventi pronta a mettere in crisi le sue granitiche certezze. E imparerà una volta di più che le cose, nella vita come nella morte, spesso non sono quello che sembrano
LinguaItaliano
EditoreNero Press
Data di uscita16 lug 2024
ISBN9791281435186
La carta rovesciata

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    La carta rovesciata - Alessandra Pepino

    immagini1immagini2

    La carta rovesciata

    di Alessandra Pepino

    Editing di: Daniele Picciuti

    Layout e copertina di Laura Platamone

    Copertina realizzata a partire da Adobe Stock:

    #448521789 © slava

    ISBN: 979-12-81435-18-6

    © 2024, Associazione Culturale Nero Cafè

    Nero Press Edizioni

    https://nerocafe.net

    https://neropress.it

    immagini3

    A Giulio,

    mentre scrivevo queste pagine, eri già dentro di me

    ***

    A un certo punto della notte, poteva capitare che uno dei due si svegliasse.

    Da bambini, quando dormivano uno sopra e l’altra sotto nel letto a castello, bastava allungare una mano per ritrovarsi: le loro inquietudini, in sincrono dal tempo in cui dividevano lo spazio angusto del grembo materno, avevano il potere di trovare quiete in quella mescola di pelle e unghie. Con l’età adulta, le cose potevano dirsi relativamente cambiate. Una bussata di nocche sulla parete che divideva le loro stanze era il segnale segreto con cui sostituire l’antico rituale: il sonno di entrambi, fragile come una ragnatela, permetteva loro di ritrovarsi a metà strada, sul divano del grande soggiorno immerso nell’oscurità.

    Quella afosa sera di inizio agosto, dopo aver atteso inutilmente la risposta al di là della parete, la ragazza si decise a scivolare fuori dalle lenzuola, e percorrere in punta di piedi il lungo corridoio. Non ebbe bisogno di accendere la luce, ne conosceva ogni mattonella, dalle più lisce a quelle scheggiate: era la loro casa da sempre. Nell’ultimo periodo, non aveva fatto altro che pensare a come sarebbe stato il dopo, quando lui si sarebbe trasferito; in cosa si sarebbero trasformate le sue notti, con chi avrebbe potuto spartire il peso dei sogni difettosi.

    Lo scoprì con sorpresa già sveglio: i contorni della sagoma buia di suo fratello si disegnavano accanto alla tenda bianca, trafitta dal bagliore intermittente delle poche auto che attraversavano la strada.

    «Non sei tu che non hai sentito, sono io che non ho bussato» disse lui, intuendo il dubbio affacciatosi nella mente della gemella.

    «Stai bene?» gli chiese lei, mentre si lasciava sprofondare dal suo lato del divano.

    L’altro si voltò, per un attimo una metà del viso sembrò perforare l’ombra. «Solo un po’ di pensieri» rispose.

    Lei picchiò il palmo della mano sul cuscino, lo invitò a raggiungerla. «Guarda che è normale essere nervosi. Io pure lo sarei al posto tuo».

    Con un sorriso senza slancio, suo fratello si accoccolò come un cucciolo, la testa sulle gambe che tante volte lo avevano accolto. Non avevano necessità di fare attenzione al tono della voce: il padre, nell’altra stanza, era ormai completamente sordo e di notte appoggiava l’apparecchio sul comodino, accanto a un bicchiere d’acqua mezzo pieno.

    «Ci pensi mai a come sarà dopo?» le chiese.

    Lei sembrò prendere tempo, poi sospirò. «Ci sveglieremo e batteremo le nocche su un muro che non ci darà risposta».

    «Dico sul serio. Io sono preoccupato, soprattutto per te. E sai bene a cosa mi riferisco».

    Un lampo infiammò la stanza, giusto il tempo di strapparli alle ombre: l’elettricità che aveva scosso l’aria per l’intero pomeriggio era ormai addensata in un groviglio inestricabile sui tetti della città. Dopo essersi scambiati uno sguardo, i due gemelli si disposero in attesa del tuono che sarebbe arrivato.

    «Si sta preparando un bel temporale» vaticinò lei, volgendo lo sguardo verso la notte buia al di là dei vetri.

    Non aveva voglia di addentrarsi nel solito discorso, tanto meno di confidare a suo fratello quanta paura avesse a causa del loro imminente distacco.

    «Magari rinfresca, non sarebbe male» ribatté lui.

    Il tuono ruggì come promesso, così forte che il fragore sembrò agguantarli dall’alto. Poi fu la volta della pioggia, che prese a infuriare sui palazzi e sull’asfalto, cancellando ogni traccia d’estate.

    Mentre gli accarezzava i capelli con la cura di sempre, le parve di raccogliere tra le dita tutte le angosce che gli si annidavano nella testa. Ripensò a quante volte avesse ripetuto quel gesto, e a quanto bisogno ne avessero ancora, nonostante i quasi trent’anni suonati.

    «E se ti facessi i tarocchi?» chiese, fermando all’improvviso il massaggio concentrico.

    «Ma dai!» fece lui, alzando gli occhi verso il viso al rovescio di sua sorella. Anche in quella posizione, i loro lineamenti apparentemente diversi potevano sovrapporsi.

    «Tanto ormai siamo svegli» tagliò corto lei, prima di costringerlo ad alzarsi per permetterle di raggiungere la ribaltina in noce, che troneggiava al centro della parete di fronte.

    «Lo sai che non ci credo a quelle scemenze» insistette l’altro, mettendosi a sedere.

    «Lo so» fece lei e, nel dirlo, tirò fuori le carte da una scatola di legno mangiata dal tempo. «Ma io sì! Quindi…»

    Un altro tuono fece ondeggiare i vetri della balconata.

    «Accendi la candela, svelto. Chiudo la finestra, che tra poco ci allaghiamo».

    Lui eseguì di malavoglia, proteggendo la debole fiammella con uno scudo di dita. Il rumore del vetro che si richiudeva parve confinare fuori lo scalpiccio inafferrabile di uno spettro.

    Sua sorella gli si sedette accanto, cominciando a mescolare le carte con gesti conosciuti a memoria. Quel movimento ipnotico lo riportò ai giorni dell’occupazione, al liceo, quando fuori all’aula C si formava un cordone impaziente di adolescenti che non vedevano l’ora di farsi svelare il futuro da quella mezza strega di sua sorella.

    «Credevo che avessi smesso» le disse, sperando di scalfirne la concentrazione.

    Lei si strinse nelle spalle e continuò a mescolare. Maneggiare le carte l’aiutava a entrarvi in sintonia, a trasferire la loro energia al corpo, e viceversa. Poi aprì il mazzo a ventaglio e lo avvicinò velocemente alla fiamma della candela.

    «Guarda che prendiamo piede¹!» la canzonò, tirandole un cuscino addosso.

    «Zitto» lo ammonì lei.

    «Dobbiamo purificare le carte».

    Negli attimi di silenzio che seguirono, lui fece vagare lo sguardo sui vetri marchiati dal temporale. Non voleva contraddire sua sorella – soprattutto adesso che stava per lasciarla sola con il padre in quella grande casa – ma vederla maneggiare quelle carte lunghe e misteriose gli aveva sempre restituito un carico di inquietudine.

    «Facciamo una lettura lineare» disse lei, spaccando in due parti asimmetriche il mazzo e poi disponendo tre file coperte sul tavolino in cristallo. Per ogni fila, due tarocchi da girare.

    «Passato, presente, futuro. E vediamo cosa dicono le stelle».

    L’ennesimo lampo, seguito da un rombo squassante. Poi, finalmente, sua sorella girò la prima carta.

    «L’appeso» disse, annuendo piano.

    Lui si portò una mano alla fronte. «Lo sapevo, la prima jastemma²!»

    La ragazza gli scoccò un’occhiataccia. «Potrebbe sembrare un simbolo di sofferenza» spiegò, inarcando il sopracciglio destro «ma in realtà non lo è. La carta determina una prova importante, un sacrificio temporaneo che però implica un traguardo. È tutto vero: hai sofferto, hai saputo attendere, ma alla fine stai per raccogliere i primi frutti».

    Lui sospirò, rassegnato a una nuova rivelazione.

    «La forza» spiegò lei, voltando il secondo simbolo. «Sei un uomo intelligente, capace di risolvere le situazioni facendo ricorso all’astuzia, senza abbandonarti a soluzioni drastiche o frettolose».

    «E ci volevano i tarocchi per capirlo?»

    La provocazione cadde nel vuoto.

    «Mi pare che sia un’attenta fotografia del tuo passato. Vero, fratellino?»

    Lui si grattò il collo con un movimento nervoso, le fece cenno di continuare. Voleva soltanto che sua sorella togliesse da mezzo quelle maledette carte.

    «Come sua maestà desidera» lo schernì la ragazza. «Andiamo a vedere cosa ci prospetta il presente».

    Il fruscio della carta, capovolta sul dorso, gli provocò un piccolo brivido.

    «Oh! Ma guarda un po’: gli amanti!» esclamò lei, con un sorriso. «Importanti scelte in campo affettivo: un matrimonio, per caso?»

    Lui sgranò gli occhi, simulando stupore. «Stupefacente!»

    «Fai poco lo spiritoso, fino a ora mi sembra che le stelle non mentano».

    «Fammi indovinare: la prossima carta è quella dei figli maschi?»

    «Vediamo» rispose lei, con un risolino. Poi svelò il simbolo nascosto. La fronte, senza che se ne rendesse conto, subì una subitanea increspatura.

    «Che succede? C’è una femminuccia all’orizzonte?»

    Sua sorella evitò di guardarlo. «La luna» disse con un filo di voce, prima di infilare una mano tra i capelli. «Vedo un’atmosfera sinistra, portatrice di inganno. Potrebbero esserci delle insidie nascoste ad attenderti. Per esempio, un nemico travestito da amico».

    Gli parve di avvertire la bocca secca, ma tentò subito di esorcizzare quel guizzo irrazionale di inquietudine. «È un modo velato per dirmi che mi conviene rivedere la nomina del testimone?»

    «Non scherzare» fece lei, che sembrava aver smarrito d’un botto tutta la leggerezza ostentata fino a qualche attimo prima. «Dovresti rifletterci, forse c’è qualcuno che non si sta comportando in modo chiaro…»

    «Facciamo così» disse lui, alzandosi e schioccandole un bacio sulla fronte. «Posa queste carte e andiamocene a dormire, che tra quattro ore suona la sveglia».

    «Non possiamo» obiettò lei, stranita. La luce della candela proiettava pozze d’ombra sul volto di suo fratello. «Non abbiamo ancora scoperto cosa nasconde il futuro».

    «Oh, sì che possiamo» disse lui, assestandole un pizzicotto leggero sulla guancia. «Guarda me, l’ho praticamente già fatto».

    Ascoltò i passi del gemello perdersi nel corridoio.

    Fuori, il temporale sembrava aver esaurito la sua furia: una quiete spettrale si era posata sull’asfalto lucido.

    Si voltò, sperando di vederlo ricomparire da dietro lo stipite; ma fu tutto inutile, davanti a lei si apriva soltanto una botola di buio senza contorni.

    Inspirò a fondo, incerta se raccogliere le carte e chiuderle nel loro scrigno di legno, o andare avanti da sola nella lettura. Era consapevole che, in assenza dell’interessato, l’energia finiva per disperdersi fino a quasi annullarsi, ma qualcosa di feroce, una specie di morso all’altezza dello stomaco, le suggeriva di proseguire.

    Le dita tremarono in modo impercettibile a contatto con il cartone. Trattenne il respiro e svelò la carta: quello che il suo cuore temeva prese forma sul tavolino dove, da piccoli, infinite volte avevano risolto gli incastri dei puzzle.

    Le sembrò le mancasse il respiro, e che la fiammella tremasse, soffiata da una bocca invisibile.

    Ma il balcone era chiuso, l’aria immobile e opprimente.

    Non ebbe bisogno di voltare l’ultima carta: il precipizio che la vita di suo fratello avrebbe presto imboccato era già fiume che scava la roccia, in caduta libera dentro di lei.

    Capitolo 1

    Con un click, il jack di cuori va a sovrapporsi alla donna di picche, liberando un’intera casella sullo schermo luminoso.

    La guancia afflosciata nel palmo della mano, un ventilatore sparato in faccia nel tentativo di fare a brandelli la calura, e un infuso freddo lasciato poco più in là a macerare in una tazza bianca, stai aspettando che si faccia un orario consono per considerare conclusa questa giornata infernale.

    Il suono di una notifica in arrivo ti convince a rimpicciolire la schermata del solitario, per recuperare quella di un social network che mostra il volto sorridente di un’altra donna. Quella che da qualche mese è piombata nella tua esistenza, riducendo in macerie il rapporto che hai sempre amato definire di non amore con il tuo amico di una vita, Pietro.

    Provi un’impercettibile fitta di vergogna per quell’intrusione non autorizzata nell’universo virtuale della tua rivale ma, come al solito, sai trovare l’ennesimo compromesso interiore, e aspetti che apra il messaggio sulla chat di Facebook. Finisce così che ne leggi il contenuto, rallegrandoti senza alcun entusiasmo che il mittente di quelle poche righe non sia lo stesso che ha appena scritto a te, avvisandoti che l’indomani rientrerà dalla vacanza in Grecia, ma una collega che ti gira l’invito per una rassegna cinematografica all’aperto.

    Prendi un lungo sorso della tisana senza zucchero che non sa di niente.

    Spiare la tua rivale è diventato il passatempo più gettonato in quest’estate impietosa che procede a singhiozzo.

    «Commissario, bentrovata!»

    Per la sorpresa, per poco non sputi la bevanda sulla tastiera.

    «Che ti possino, Molina’!» ruggisci, tanto per dargli il bentornato. «Mi hai fatto venire un appietto³!»

    L’ispettore Egidio Molinari è abituato alle tue ruvide esternazioni, e in fondo ti vuole bene anche e soprattutto per il tuo caratteraccio; forse è per questo che continua a sorridere, come se niente fosse. Lo vedi compiere il giro della scrivania, giusto in tempo perché tu possa affrettarti a tornare alla schermata del solitario, occultando la marachella virtuale.

    «Si batte la fiacca, eh, commissa’?» chiede lui, affacciandosi sulla partita interrotta a metà.

    Grugnisci, come tuo solito. Anche se, sotto sotto, sei felice per il ritorno anticipato del tuo braccio destro. Le ultime due settimane in centrale, da sola, ti hanno a dir poco depressa.

    «In ogni caso sto bene, grazie per avermelo chiesto» fa lui, sarcastico. «La vacanza è stata perfetta, mare incantevole e cibo squisito; per non parlare del Martina Franca pugliese, freddo e delicato al punto giusto».

    Lo soppesi con lo sguardo: è abbronzatissimo, e visibilmente rilassato. La controfigura del poliziotto stanco e nervoso che aveva preso le ferie poco più di dieci giorni prima.

    «Non dovevi tornare lunedì, tu?» gli chiedi, abbandonandoti allo schienale della sedia girevole.

    «Dovevo, sì» conferma. «La verità è che sentivo troppo la vostra mancanza».

    Assottigli gli occhi in due asole, sorridi come un serpente. «Se non la smetti, ti servo subito il cocktail di benvenuto, e ti metto a compilare verbali a tempo indeterminato».

    Egidio ride di gusto. Sai che cosa sta pensando: il commissario Iannaccone con il caldo diventa, se possibile, ancora meno tollerante.

    «Comunque lo vedo che stai bene, sai? Sembri un tronista appena uscito dal Cocoricò di Riccione».

    «Commissa’ e come vi permettete? Passi per il tronista, ma a Riccione ci andrete voi. Da oggi in poi, per noi, solo Salento!»

    «Noi?» gli fai eco, la fronte aggrottata. «Quindi non ci sei andato da solo, in vacanza… marpione di un Molinari!»

    L’ispettore si gratta la nuca. «Alla fine ho convinto Davide a partire con me. E bene ho fatto, sembra che ci siamo ritrovati».

    Esulti in silenzio. In maniera neppure troppo velata, tifi da sempre per quel rapporto osteggiato dai troppi dubbi di Molinari, ostinatamente restio a condividere la sua omosessualità in famiglia e sul luogo di lavoro.

    «Non posso dire di essere contenta, farei un torto a quel povero ragazzo che ha deciso di abbracciarsi la croce di innamorarsi di te».

    Egidio vorrebbe stringerti, e lo sai. Sei la sola con cui riesca a parlare liberamente delle sue inclinazioni sessuali: la tua assoluta mancanza di convenevoli e di compassione, ti rendono un interlocutore schietto e affidabile. Una specie di prete che non assolve ma tuttavia capisce.

    «Voi, invece?» ti domanda, non senza una punta di preoccupazione. «Come avete trascorso questi giorni? Molto lavoro?»

    «Se mi stai domandando se ho sgominato il male in solitudine, mentre voi altri ve ne stavate chiappe in acqua, bevendo calici di bianco, allora la risposta è no: pure i criminali, con questo calore, si sono messi in ferie».

    «Meglio così, almeno vi siete riposata».

    «Riposata?» gli fai eco con una voce che non prelude a nulla di buono. «Io non me lo ricordo neanche più che significa riposare, Molina’! Vai in commissariato, arresta Tizio, interroga Caio, mangia un’insalata scondita, poi vai a farti pesare dalla dietologa, esci e – mi raccomando – non mancare pilates! Fai uno spuntino con una mela verde, corri al supermercato che sono finite le scatolette per il gatto del demonio, torna finalmente a casa, cucina un trancio di merluzzo bollito e, se tutto va bene, fatti quelle tre, quattro ore di sonno che non servono a un cazzo. Ora dimmi: ti sembro riposata?»

    Riprendi fiato, socchiudi gli occhi. Poi ti rituffi nella tisana intiepidita.

    «Pietro non è ancora tornato, eh?» chiede timidamente il tuo collega.

    «No!» sbotti. «E va bene così! Ci mancava solo lui, già così ho i miei problemi».

    Molinari si illumina. «In compenso, però, la dieta sta funzionando: avete le guance scavate scavate!»

    «Eh, le guance, Molina’. Risaputo punto di accumulo di adipe» lo incenerisci, con un gran sospiro.

    Per quanto sia abituato a questa valanga di malumore, Molinari non sa più come arginarti.

    «Certo che si muore di caldo, qui dentro» commenta, sventolandosi con una cartellina.

    «Condizionatore rotto, mon amour» spieghi, indicando l’inutile cassetta appesa al muro. «Lo sai da quanti giorni è stato chiamato il tecnico? Sei. Comprendi? Sei giorni di girarrosto».

    Molinari viene colto da un’idea.

    «Vi faccio vedere due foto del Salento, sì?»

    In un attimo, arriva dietro la scrivania e, prima che tu possa far nulla per evitarlo, ha già preso in mano il mouse e ridotto a icona il solitario lasciato a metà.

    «Uè, ma che fai!» tuoni.

    La pagina che appare sullo schermo non ti lascia appello.

    «Commissario, di nuovo?» ti ammonisce Egidio con una punta di rammarico. Il profilo Facebook della riccioluta infermiera con cui da qualche mese si frequenta Pietro è proprio lì, davanti ai vostri occhi.

    Tu distogli lo sguardo, mortificata per essere stata beccata a ficcanasare, poi sbuffi.

    «Solo qualche volta, giuro!» Ti difendi. «E poi che vai trovando, la colpa è di Milone! Un buon poliziotto non dovrebbe accettare mai di infiltrarsi negli account altrui, anche se a chiederglielo è il capo».

    Molinari sta per riattaccare la solita ramanzina sulla necessità di rimanere distaccati, e di non diventare facile preda della competizione amorosa, quando il collega, quasi sentendosi chiamare in causa, fa provvidenziale capolino dalla porta dell’ufficio.

    «Uè, Milone, proprio di te stavamo parlando!»

    «Commissario, scusatemi» esordisce lui, prima di rivolgersi a Molinari. «Bentornato! Ti ho visto entrare prima, meno male che stai ancora qua».

    «Hai bisogno di aiuto?»

    «Io no» risponde Milone. «Ma la fidanzata tua sì».

    Tu ed Egidio Molinari vi scambiate una lunga occhiata.

    «Sta di là, in sala d’aspetto» prosegue l’agente, con un cenno rapido del capo. «Non tiene una bella faccia, le ho detto che ti avrei chiamato».

    Capitolo 2

    Virginia era seduta sulla punta di una sedia della saletta d’aspetto, i palmi delle mani piantati sulle ginocchia, la testa bassa e incassata nelle spalle.

    Sembrò riconoscere a memoria i passi di Molinari, perché i suoi occhi si alzarono di scatto prima ancora che le scarpe da ginnastica di lui facessero ingresso nel suo campo visivo.

    «Ehi!» fece Egidio, un attimo prima di bloccarsi, tendere le mani e poi ritrarle di botto, preda dell’impaccio.

    La ragazza si alzò, fece un passo in avanti.

    «Io non sapevo…» biascicò. «In realtà credevo fossi ancora fuori città».

    Molinari rivide con chiarezza le ultime chiamate perse su display del suo cellulare. Chiamate cui non aveva risposto, e che chiaramente non avevano avuto alcun seguito da parte sua. Si sentì un uomo minuscolo al cospetto di quegli occhioni che non gli avevano mai chiesto nulla, accontentandosi di fare da toppa alle serate mondane in cui Molinari non riteneva opportuno presentarsi senza accompagnatrice. Non ultima, una festa per una promessa di matrimonio tra colleghi, durante la quale Virginia era stata presentata a tutto il commissariato come la fidanzata ufficiale dell’ispettore.

    «Sono appena rientrato. Anzi, scusami davvero se non ti ho richiamato…»

    «Lascia perdere, si vede che non hai avuto modo» rispose Virginia con un sorriso amaro.

    Era davvero messa male, il volto congestionato, i capelli in disordine, come raramente a Egidio era capitato di vedere.

    «Ma che è successo? Come mai sei qui?»

    In tutti quegli anni, in cui la loro frequentazione aveva conosciuto degli alti e bassi, non si era mai spinta fino in commissariato.

    «Ho bisogno del tuo aiuto, Egi’».

    Incapace di reprimersi, Virginia avanzò e gli prese le mani. Un attimo dopo il mento cominciò a tremarle, gli occhi le si fecero di acqua.

    In quello stesso istante, dall’ufficio in fondo al corridoio, si materializzò la figura tozza del commissario Iannaccone.

    Virginia sembrò lasciarsi distrarre per qualche secondo dalla visione di quella donna corpulenta, vestita con un pantalone della tuta e una t-shirt di cotone priva di forma. Sotto i capelli a caschetto, striati qua

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