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Rosso d'Ischia
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E-book212 pagine2 ore

Rosso d'Ischia

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Info su questo ebook

Il ritrovamento del corpo di un anziano nel piccolo cimitero di Sant’Angelo, a Ischia, dà il via alle indagini della polizia locale, coordinata dal commissario capo Criscuolo. Il cadavere è vestito in maniera trasandata e senza documenti addosso, inoltre dall’autopsia emerge che il decesso non è avvenuto a causa del colpo ricevuto alla nuca, ma a seguito di un infarto. Risaliti all’identità dell’uomo, il commissario e i suoi collaboratori rinvengono all’interno della sua misera abitazione un biglietto che sembra profetizzare ciò che gli è accaduto, insieme a una breve lista con tre nomi e il luogo dov’è morto. Criscuolo e i suoi saranno costretti a scavare nel passato della vittima, portando alla luce un segreto rimasto sepolto per ben cinquant’anni. Su tutto la vita e la bellezza genuina dell’isola di Ischia che fa da sfondo alle ricerche coi suoi profumi e colori partenopei.
LinguaItaliano
EditoreNero Press
Data di uscita17 lug 2024
ISBN9791281435209
Rosso d'Ischia

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    Anteprima del libro

    Rosso d'Ischia - Massimo Bertarelli

    immagini1immagini2

    Rosso d’Ischia

    di Massimo Bertarelli

    Editing di Tatiana Sabina Meloni

    Copertina di Laura Platamone

    elaborata a partire da Adobe stock

    #302882532 © Wirestock

    ISBN: 979-12-81435-20-9

    © 2024, Associazione Culturale Nero Cafè

    Nero Press Edizioni

    https://nerocafe.net

    https://neropress.it

    immagini3

    Tu vivrai tante vite

    e lo farai attraverso i personaggi

    dei tuoi libri.

    1

    È inutile che vai da quella parte. Anche se sto facendo fatica a venirti dietro, non ti lascio andare, non riuscirai a sfuggirmi.

    Perché non vuoi ascoltarmi, perché non vuoi sentire le mie ragioni?

    Vuoi davvero costringermi a ricorrere alle maniere forti?

    Ti sto chiedendo di fermarti, di lasciarmi spiegare. Ci sto mettendo tutta la mia buona volontà. Ci pensi? Sarebbe la prima volta che riusciamo a parlarne con un poco di tranquillità.

    E tu, invece, che cosa fai?

    Mi deridi.

    Mi insulti.

    Mi urli contro.

    E, a ogni cosa che cerco di dirti, la risposta è sempre la stessa.

    No.

    No.

    Basta no, adesso basta.

    E fermati, perdio, fermati, tanto non vai lontano.

    Ti afferro per un braccio, ti volti, mi schiaffeggi.

    Mi sputi in faccia.

    Mi strattoni per divincolarti ma non te lo permetto, non ti lascio, devi stare ad ascoltarmi.

    E gridi ancora no, no, no.

    Basta no, non ce la faccio più! E voltati, ascoltami, almeno per una volta fammi dire, fammi spiegare.

    Riesci a staccarti dalla presa. Hai lo sguardo pieno d’odio e non dici più di no.

    Adesso minacci.

    Mi dispiace. Pensare che potevamo parlarne come si fa tra persone civili, ma con te non si può.

    A questo punto te la sei cercata.

    Fai per andartene, ti colpisco e cadi per terra.

    Ti sono sopra, ti sovrasto e adesso sì che non hai più via di scampo.

    Mi spiace che debba andare a finire così, ma non ne posso più.

    Non ne posso davvero più.

    2

    Mimmo Criscuolo non ne può più.

    Affonda la testa nel cuscino, ma che sia coricato sul lato destro o sinistro non fa alcuna differenza. Un orecchio gli rimane sempre scoperto e, volente o nolente, ascolta.

    C’è un parlottare fitto, un sottofondo costante di voci diverse che dal salotto al piano di sotto si diffonde su per le scale.

    Una grandissima rottura di scatole.

    A Tonina sua vuole ancora un bene dell’anima ma, santa donna, come diavolo ha fatto a entusiasmarsi, ad affezionarsi, a sembrare addirittura drogata per quell’insulsa fiction spagnola che trasmettono ogni giorno, di pomeriggio, e adesso pure al martedì sera?

    Non riesce a spiegarselo.

    Un mistero.

    E per un commissario capo non è certo un motivo di vanto.

    Stanco di rigirarsi nel letto, potrebbe alzarsi, indossare le cuffie wireless e andare in salotto ad ascoltare un CD di Peter Gabriel.

    Non è dell’umore giusto.

    Potrebbe scendere in cucina a prepararsi una tazza di camomilla, fare apposta rumore in modo che Tonina si accorga della sua irritazione.

    E se lei equivocasse le sue intenzioni pensando abbia problemi digestivi per non avere rispettato le regole ferree della dieta?

    Il cazziatone serale proprio no, per carità!

    Alla larga.

    E allora, che fare?

    Scalcia lontano lenzuolo e copriletto. Nonostante il freschetto di metà ottobre, esce sul terrazzo in maglietta e mutande. Ogni volta che le indossa non può fare a meno di notare come ci siano ancora troppe X davanti alla L. Si sta impegnando, ma scendere sotto quota cento chili ancora non gli è riuscito. Si appoggia con le mani al bordo della piccola balaustra, chiude gli occhi e inspira a fondo.

    Ah, il profumo dei suoi limoni, i quattro alberi che occupano tutto il giardino, carichi di frutti sodi e maturi. I rami oltrepassano la bassa cancellata e, in strada, deve essere semplice per chi passa di lì alzarsi sulla punta dei piedi e servirsi. Difatti, da quella parte c’è soltanto una distesa di foglie.

    Punta il naso verso il cielo. Spera che una leggera brezza lo avvolga con l’aspro sentore della salsedine oppure, scendendo dalle balze dell’Epomeo, trascini con sé il profumo della rigogliosa vegetazione del vicino Parco Pineta Marina. Non è sera, calma piatta.

    In mare, i pescatori si saranno già resi conto che è nottata di bonaccia, ma caleranno comunque speranzosi reti e nasse. E non è nemmeno da pensarci a pescare con le bombe, il profondo silenzio di una notte tranquilla e stellata sarebbe loro nemico.

    Ha un moto d’orgoglio ripensando che, da qualche mese, la pesca di frodo non è più un problema per Ischia, e questo grazie all’inchiesta da lui condotta pochi mesi prima. Anche i Carabinieri, la Guardia Costiera e la Finanza hanno drizzato le antenne. Sorride considerando che, per usare un termine quanto mai appropriato in questo frangente, hanno dovuto stringere le maglie delle reti.

    Tuttavia, sono mesi che non riesce a togliersi dalla testa che il remunerativo giro di affari in nero messo in piedi dalla camorra, crollato sotto il peso dell’ingordigia di un pescatore strozzato dai debiti di gioco, si ripresenterà con interpreti e modalità diverse. Lo sa bene perché è il suo mestiere: si tratta solo di aspettare.

    Tonina si infila sotto le coperte. Mimmo è ancora sveglio ma fa finta di dormire.

    A un orario improponibile riesce ad addormentarsi.

    3

    Mimmo Criscuolo entra in commissariato, tira uno sbadiglio. Gli si fa incontro Marrazzo.

    «Dottore, hanno appena chiamato da Sant’Angelo. C’è un cadavere nel cimitero, è un uomo».

    Il commissario porta le mani sulle guance.

    «Uè, ma questa è una notizia da telegiornale. Dici overo¹? Un cadavere dentro al cimitero?»

    L’agente avvampa.

    «No, scusate, mi sono espresso male. C’è un morto ammazzato, ma fuori dalle tombe. L’ha trovato il guardiano che apre la mattina».

    Mimmo sbuffa.

    «Va bene, andiamo, però guidi tu».

    L’agente si gira, fa due passi verso il suo ufficio ma Mimmo lo richiama.

    «Marrà, ti avviso, non pensarci nemmeno di fare la strada di Barano, intesi? Facciamo il giro largo che serve per svegliarmi, tanto il morto non tiene fretta».

    Mimmo osserva dal finestrino i giochi di luce del sole sul mare che costeggia la spiaggia di Citara. Al suo fianco, l’agente non ha modificato l’iniziale espressione immusonita e non ha aperto bocca. Marrazzo non ha nemmeno inserito nel lettore fuori ordinanza uno dei suoi CD piratati degli AC/DC o compagnia bella. Mimmo non ha dubbi, dopotutto spesso ama dire: per certe cose, tengo un naso che manco i cani da tartufo. Marrazzo non si è risentito per la scelta di una strada più turistica, ma per un’assenza.

    Quella di Elena Carbone, il sostituto procuratore, impegnata in una riunione alla questura di Napoli. Che tra quei due stia covando sotto la cenere la fiamma di un’infatuazione è sempre più evidente, ne è certo.

    Tra una frenata e una ripartenza ha tempo per ripensare ai tanti sopralluoghi che hanno fatto insieme.

    Marrazzo, alla guida, si dimostra o ciarliero o distratto, intimidito o spavaldo a seconda della giornata, comunque sempre con un occhio a guardare la strada e l’altro piantato nello specchietto retrovisore. Lo sistema ogni volta con cura in modo da avere la migliore visuale del volto di Elena, seduta dietro il posto del passeggero.

    Lei disinvolta, a ogni ora del giorno curata e profumata come appena uscita da un centro benessere. Allegra, comunicativa e con un occhio a guardare la strada e l’altro a incrociare nel retrovisore il volto di Marrazzo, che più passa il tempo e più arrossisce.

    Lui seduto dietro Marrazzo, avvinghiato con entrambe le mani alla maniglia sopra la portiera, gli occhi fissi sulla strada e costretto ogni minuto a dire all’agente di rallentare e guardare davanti. Tuttavia non gli sfugge mai l’alchimia fatta di sguardi, sorrisi, rossori, di vibrazioni emozionali che invadono a doppio senso di marcia l’interno dell’auto di servizio.

    Mimmo ricorda il giorno durante il quale fu lei a permettergli di sbirciare nella sua anima. Gli aveva confessato di essere alla ricerca di un uomo diverso dal solito bambinone che le capitava di ritrovarsi sempre tra i piedi. Era inoltre preoccupata di come il suo periodo fecondo stesse abbreviandosi giorno dopo giorno, costringendola a pensare di non riuscire a diventare madre.

    Che Marrazzo sia cotto perso di lei è più che evidente, gli basta guardare come si comporta. Ciò che non riesce a spiegarsi è che cosa li trattiene. È sicuro che ancora non ci sia stato niente tra di loro. Sospetta sia una barriera di origine psicologica, più in carico a Marrazzo che a Elena. A lui deve pesare e fare da freno l’incontestabile differenza di ceto e cultura. Eppure Mimmo è anche convinto che, in fin dei conti, Elena, bambinone o no, per un amore vero non si farebbe troppi scrupoli.

    Senza rompere il silenzio, arrivano a Sant’Angelo. Superano il grande slargo dove fanno capolinea le linee di servizio, oltre il quale non è consentito il transito ai mezzi tranne a quelli autorizzati. Anche se bisognoso di una ripulita, sul cartello comunale si legge ancora come all’interno del paese si circoli soltanto a piedi, in bicicletta o su piccoli carrelli elettrici.

    Sopra uno di questi trabiccoli viene fatto accomodare Mimmo che, con la sua mole, costringe il guidatore a sedersi mezzo dentro e mezzo fuori. Dietro, dove vengono caricate le valigie dei turisti, prende posto a fatica Marrazzo. Si aggrappa al telaio del tettuccio.

    Percorrono un tortuoso tragitto in salita attraverso il paese. Per arrivare alla chiesetta di San Michele Arcangelo c’è solo una stretta via. Come la imboccano, trovano un africano seduto sopra una massiccia panca in muratura ricoperta da una miriade di maioliche dipinte. Ha piazzato lì la propria bancarella ambulante di collanine e ciondoli.

    Si deve essere accorto della divisa di Marrazzo e salta in piedi. Con gesti veloci e consolidati arraffa le sue povere mercanzie. Mimmo gli fa segno di lasciare perdere, di non preoccuparsi e, passandogli davanti, viene gratificato da un radioso sorriso.

    Al culmine della lunga salita, l’autista ferma la vetturetta. Alla loro destra c’è un tipico scorcio da cartolina: l’intero paese è incastonato tra il blu intenso del mare e il cielo sgombro da nubi. A sinistra, il bianco accecante della facciata della chiesetta di San Michele è interrotto da un maestoso mosaico verticale.

    Mimmo si prende un attimo di tempo per gustarsi i dettagli. Nella parte superiore, il santo sta infilzando con la spada il demonio ai suoi piedi. Più in basso, è raffigurato il profilo del borgo collegato con una stretta lingua di terra a un imponente scoglio.

    «Marrà, la sai la storia di questa chiesa?»

    L’agente fa spallucce.

    «Durante la Seconda guerra mondiale stava là, sullo scoglio grande. Poi gli inglesi ci presero gusto a bombardare l’isola e allora gli abitanti la spostarono qui sopra. E la salvarono. Però San Michele a quello qui dentro non l’ha protetto dal male. Andiamo a vedere chi è».

    Oltrepassano l’apertura ricavata nel muro di cinta, protetta da un alto cancello di ferro a due battenti. Da una parte si entra in chiesa, sull’altro lato c’è l’ingresso del cimitero.

    Marrazzo si ferma nel piazzale, sotto l’ombra di un vecchio ulivo. Mimmo sale un paio di gradini e la suola delle scarpe raschia la ghiaia che ricopre i vialetti.

    È all’interno di un piccolo camposanto, un quadrato di poche decine di metri per lato. La parte centrale è riservata ai tumuli a terra, lungo i muri perimetrali si ergono cappelle di varie dimensioni.

    Sul lato fronte mare ci sono un vigile urbano e un altro uomo. Immobili come statue, entrambi con lo sguardo fisso a terra, verso un punto che Mimmo sospetta ospitare ciò che ha fatto scattare la richiesta d’intervento.

    Muovendosi con cautela, arriva fin dove la stradina curva a destra con un preciso angolo retto. E lì, prono in terra, c’è un vecchio con una ferita nella parte posteriore del cranio. È in una posizione simile a quella assunta dai militari costretti a strisciare sotto un tunnel di filo spinato. Ha l’indice della mano sinistra puntato in direzione di una tomba nelle vicinanze.

    Mimmo segue con lo sguardo l’indicazione, osserva la particolarità della lapide. Sotto il nome del defunto c’è scritto Pittore Ischitano, oltre a una frase ricordo dei parenti. In basso, risalta un’iscrizione poetica con a fianco una tavola di ceramica su cui è dipinta una veduta del paese, a coprire per buona parte una lastra di un bel travertino dal colore rosso sfumato. Una tonalità simile alla piccola e breve scia di sangue dietro la vittima.

    4

    I ragazzi della Scientifica non sono ancora arrivati e nemmeno quell’odioso di De Vincenzi, il medico legale che gli sta sulle scatole. Si rivolge alle due persone che, a pochi passi da lui, non si sono spostate di un millimetro.

    «Buongiorno, sono il commissario capo Domenico Criscuolo. Chiariamo subito una cosa fondamentale: avete toccato qualcosa?»

    Alzano la testa in contemporanea come se una scossa elettrica avesse loro ricaricato di colpo le batterie.

    «No, no, certo che no. O meglio, sì: ho aperto il cancello. Che ne potevo sapere?»

    A Mimmo viene da sorridere ma si trattiene.

    «Ho il piacere di parlare con…?»

    «Gennaro Cuoppo, ma per tutti sono Rinuccio. Ai vostri ordini, commissà».

    Per forza, arriverai a un metro e mezzo con le suole rinforzate e il riportino in testa.

    «Siete voi il custode, vero?»

    «Eh, sì, certo. Qua le chiavi le teniamo solo io e don Francesco, mo’ starà arrivando pure lui».

    Il vigile è rimasto fermo sull’attenti, non muove un muscolo. Mimmo si avvicina per mettere a fuoco il cognome sulla targhetta di riconoscimento.

    «Capo Proli, mi serve il vostro aiuto. Dovreste piazzarvi qui fuori, sulla strada davanti al cancello. Meglio se l’accostate e non fate passare nessuno tranne gli uomini della Scientifica, il medico legale e il parroco. Tra poco arriveranno. Grazie

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