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Deep Surfing
Deep Surfing
Deep
Surfing
Domenico Quaranta
Deep Surfing
Selfpublishing, 2016
_ Domenico Quaranta
Indice
00. Intro 09
01. Net Art 19
Net Art: le origini (2004) | La leggenda della net.art
(2005) | Olia Lialina & Dragan Espenshied: Zombie
& Mummy (2003) | Carlo Zanni: Altarboy (2004) |
Young-Hae Chang Heavy Industries: The Art of
Sleep (2006) | Andy Deck: Screening Circle (2006) |
Rosa Menkman (2011) | Aram Bartholl: Dead Drops
(2011) | Net Performance (2011) | F.A.T. Lab (2013)
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dri e icone sacre, piccole gif animate scovate in fondo a chiss quale
repository.
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Intanto, per voi lettori, l, alla portata di un click. Questo testo non
ha immagini, ma ogni nome qui riportato una parola chiave che pu
portare a un lavoro, o ad altri nomi. Linchiostro qui riversato avr
raggiunto il suo scopo se funzioner come un preludio per la naviga-
zione. Cerca su Google o digita lURL:____________________
Pubblicato con il titolo Impara larte e mettila in rete in Vita e Pensiero, Issue 1,
Gennaio Febbraio 2016, pp. 126 132.
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01. Net Art
Net Art: le origini (2004)
20 | La leggenda del-
la net.art (2005) 78 |
Olia Lialina & Dragan
Espenshied: Zombie &
Mummy (2003) 84 | Car-
lo Zanni: Altarboy (2004)
86 | Young-Hae Chang
Heavy Industries: The
Art of Sleep (2006) 91 |
Andy Deck: Screening
Circle (2006) 94 | Rosa
Menkman (2011) 97 |
Aram Bartholl: Dead
Drops (2011) 104 | Net
Performance (2011) 108 |
F.A.T. Lab (2013) 122
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per fare arte. Alle caratteristiche distintive della net art sar de-
dicato il paragrafo successivo, ma prima di affrontare questo argo-
mento conviene fare un passo indietro, e considerare brevemente
le caratteristiche dei media digitali in genere, di cui la Rete ed i
vari software che ne garantiscono il funzionamento non sono che
unarticolazione. Nota Lev Manovich (2001, p. 37): tutte le funzio-
ni per cui [il computer] viene utilizzato hanno lo stesso potenziale
di cambiamento sui linguaggi culturali preesistenti, e tutte, inoltre,
potrebbero lasciare la cultura inalterata. E ancora: ...oggi ci tro-
viamo coinvolti in una nuova rivoluzione mediale: il passaggio di
tutta la cultura, in ogni sua espressione, verso forme di produzione,
distribuzione e comunicazione mediate dal computer. In quanto
new medium, la rete si trova quindi coinvolta in una rivoluzione
linguistica pi generale, a cui conviene fare cenno.
Lo studioso di origini russe, oggi docente negli Stati Uniti, au-
tore del seminale The Language of New Media (2001), che offre la
pi completa e stimolante analisi della portata dei media digitali sul
mondo della comunicazione in genere. Allinizio del testo, Mano-
vich individua cinque principi dei nuovi media, a cui far ricorso
lungo tutta la sua trattazione:
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Quello che mi piace tanto del rapporto arte/nuovi media e della net.
art il fatto che non se ne ancora trovata una definizione. (Josephi-
ne Bosma)
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e fortunati: web art, browser art, software art, hacker art, ascii art,
cyber art... Tra questi, consideriamo brevemente quelli che fra gli
altri hanno dimostrato lambizione di proporsi come etichette com-
prensive delle varie tipologie di fare arte in Rete.
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User dora in poi il termine net art nel suo senso pi largo, rela-
tivo alle pratiche artistiche basate su Internet, dai progetti web agli
esperimenti di live-audio fino ai progetti di comunicazione che si
servono dei protocolli IRC (Internet Relay Chat), FTP (File Transfer
Protocol), Telnet e degli altri protocolli di Internet.
... utilizzo il termine net art per definire un ambito piuttosto vasto, che
comprende una serie di progetti e di sperimentazioni artistiche che
coinvolgono la Rete, le sue tecnologie, i suoi protocolli, il suo linguag-
gio. Allinterno di questo ambito esistono esperienze estremamente di-
verse tra loro. Ci sono opere che decostruiscono criticamente le tecno-
logie di rete, altre che ne indagano le possibilit estetiche, altre ancora
che affrontano le ricadute psico-sociali della rivoluzione digitale. Ci
sono progetti che studiano linterfaccia come soglia manipolabile tra
linformazione grezza e la sua visualizzazione e infine altre che hanno
un carattere perfomativo o fortemente politico.
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Una delle caratteristiche di Internet che sin dai suoi primi anni
di vita balzata prepotentemente allocchio degli utenti la sua
strutturale anarchia. Abbiamo gi citato lopinione di Jaron Lanier,
che vede in Internet la prima vera anarchia della storia. Internet
un medium anarchico e rivoluzionario, e di questo si sono accorti
subito hacker, attivisti e artisti, che hanno letto la Rete come una
TAZ (Zona Temporaneamente Autonoma), unisola di libert su cui
innestare una vera e propria contro-rete. Questo carattere del me-
dium riemerge in gran parte della net art. Nota David Ross in un
testo chiave della riflessione sulle caratteristiche dellarte in rete:
La net.art [sic] anarchica e pericolosa. Non dovremmo ignorare
la sua intrinseca anarchia.
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plice natura della rete, ossia al suo essere insieme rete di persone e
rete di macchine: lavorando su una rete di persone interconnesse,
la net art crea eventi pi che oggetti materiali, e si serve di fattori
non oggettuali quali la relazione tra individui, la comunicazione,
linformazione, recuperando in questo leredit del concettuale e di
Fluxus; daltra parte, la net art si serve delle tecnologie digitali, la-
vorando con oggetti mediali la cui natura ha pi a che fare con lim-
materialit del segnale che con la materialit degli oggetti fisici (cfr.
Manovich 2001, pp.171-175). In questo senso, converrebbe sosti-
tuire il termine immaterialit con virtualizzazione. Lo suggerisce
Valentina Tanni sulla scorta di Lvy:
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La net art esce dal network, per operare in una societ retificata e
interconnessa. Un atteggiamento non nuovo, quindi, ma che oggi si
va radicalizzando, come nota Valentina Tanni:
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Estratto da: Domenico Quaranta, Net Art 1994 1998. La vicenda di daweb, Vita
e Pensiero, Milano 2004, ISBN: 8834319710.
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[1] Alexei Shulgin, Net.art, The Origin, messaggio inviato a Nettime il 18 marzo
1997.
[2] Vuk Cosic, One Artist One Art System, in net_condition, 1999, http://on1.zkm.
de/netcondition/projects/project15/bio_e
[3] Vuk Cosic, in Josephine Bosma, Vuk Cosic Interview: net.art per se, in Netti-
me, 29 settembre 1997.
[4] Josephine Bosma, The Dot on a Velvet Pillow - Net.art Nostalgia and net art
today, 2003. In Per Platou (a cura di), Skrevet i stein. En net.art arkeologi [Written
in Stone. A net.art archaeology], catalogo della mostra, Museet for Samtidskunst,
Oslo, 22 marzo - 25 maggio 2003. http://www.student.uib.no/%7Estud2081/utstil-
ling/
Pubblicato in: Marco Deseriis, Luca Lampo, D. Quaranta (a cura di), Connessioni
Leggendarie. NET.ART 1995-2005, Ready-made, Milano 2005. Creative Commons
License 2005.
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http://artcontext.org/act/05/screeningCircle/
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File Formats (2010), una serie di sette video e dieci file di immagine
di diverso formato in cui, come ha spiegato, demistifica attivamente
i pi popolari effetti glitch. Il Vernacular , allo stesso tempo, un
saggio, una guida per glitch artist in erba, e una collezione di esperi-
menti che non vorrebbero essere ripetuti, ma che inevitabilmente lo
saranno finch il loro potenziale non si sar esaurito.
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Intere generazioni sono cresciute con lui, e si sono abituate alle sue
caratteristiche e ai suoi errori. E Mr Compression la personifica-
zione di un processo informatico. Si meritano un poema? Secondo
lAngelo della Storia, s. Ma Dear Mr Compression anche la storia
di una donna che parla a un uomo che la fa soffrire; e la performance
live allorigine di Collapse of PAL stata anche, secondo Menkman
[11], un estremo tentativo di inviare un messaggio a qualcuno che
poteva ricevere quel segnale. Si tratta solo di specificit mediale?
Secondo lAngelo della Storia, no.
Pubblicato in Rosa Menkman. Order and Progress, exhibition brochure, Fabio Paris
Art Gallery, Brescia, January 2011
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dead drop non parla, non rivela nulla di chi lha installata, diventa
una pubblica propriet che pu essere usata da tutti. Al di la dellog-
getto, una questione che riguarda, anche e soprattutto, i suoi con-
tenuti. Nelle intenzioni di Bartholl, Dead Drops si presenta come
una alternativa offline, DIY, peer-to-peer alla fantomatica Cloud,
una straordinaria possibilit che sta per rivelando anche i risvolti
sinistri. Il termine inglese identifica, infatti, la crescente disponibi-
lit di servizi (gratuiti o a pagamento) che ci invitano a considerare
lo spazio server, invece del nostro computer privato, come luogo di
archiviazione ideale dei nostri dati digitali: una via luminosa, ma
che prelude anche a un potere di controllo senza precedenti. Nes-
suno, invece, pu controllare le dead drop, uno spazio condivi-
so e immateriale, eppure ben ancorato ai muri delle nostre case. Si
pu avviare una sistematica opera di distruzione delle chiavette e
di persecuzione di chi le installa; si pu svuotare la loro memoria,
o installarvi dei programmi che monitorino il comportamento degli
utenti; ma rester sempre, qua e l nel mondo, qualche spazio sicuro
in cui condividere ci che si vuole.
Unaltra deriva interessante del progetto la sua capacit di sol-
lecitare idee visionarie sulla circolazione dei contenuti, anche ar-
tistici. Qualche giorno fa, lo scrittore Bruce Sterling ha annuncia-
to Dead Drops, unapplicazione liberamente scaricabile per smart
phone che consente di individuare rapidamente le dead drop
disponibili nei paraggi. Ma se liniziativa risente un po dellhype
della realt aumentata, decisamente pi interessante il suo progetto
di creare una narrazione distribuita per dead drop, disseminando
racconti e frammenti nelle chiavette in cui si imbatte: come una
bottiglia affidata alloceano. In luglio, lartista Michael Manning
ha lanciato il primo Street Show, in cui i lavori (immagini, suo-
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Va notato che, nonostante gli artisti siano stati fra i primi a conce-
pire la rete come spazio pubblico, e a intendere i propri lavori come
interventi costruttivi, relazionali o performativi in questo spa-
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mailing list, forum, canali IRC, siti Web, ecc.) Questi eventi posso-
no essere di scala ridotta, ma possono anche ambire a una scala di
massa. il caso del cosiddetto virtual sit-in, o netstrike, in cui
la comunit della rete chiamata ad occupare, in un momento
stabilito, un sito target, fino a comprometterne il regolare funzio-
namento. Il primo netstrike fu indetto nel 1995 dallartista italiano
Tommaso Tozzi per protestare contro gli esperimenti nucleari fran-
cesi a Mururoa. In questo caso, i partecipanti furono invitati a colle-
garsi, alle 18 del 21 dicembre 1995, ai siti Web del governo france-
se, e a ripetere loperazione a intervalli di pochi secondi di tempo,
semplicemente aggiornando la pagina. [11] Poco pi tardi, questa
forma di protesta verr ripresa da Ricardo Dominguez dellElec-
tronic Disturbance Theatre (EDT) in sostegno alla causa zapatista e
contro il governo messicano. LEDT metter a disposizione anche
un programma (il Floodnet, 1997) che automatizza il processo di
aggiornamento della pagina target.
Pratiche di costruzione, appropriazione, simulazione, e molti-
plicazione identitaria. Si tratta di una delle strategie pi diffuse e uti-
lizzate, in innumerevoli declinazioni, e spesso in congiunzione con
altre. La net art ha visto gli artisti costruirsi identit fittizie (come
Netochka Nezvanova, nome rubato a un personaggio di Dostoevskij
per dare vita a una misteriosa e virulenta identit attiva in rete tra il
1995 e il 2001); appropriarsi di identit esistenti, appartenenti a indi-
vidui, istituzioni o aziende ( il caso degli 0100101110101101.org,
che interpretarono pubblicamente il Vaticano e la Nike, o del collet-
tivo americano RTMark, che dopo aver creato falsi siti di aziende e
istituzioni, prese a interpretare pubblicamente quelle stesse identit
a partire dalla World Trade Organization in conferenze e sui me-
dia); simulare identit inesistenti (per sostenere loperazione Vote-
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server della mostra via FTP, scambi i contenuti delle cartelle degli
altri artisti, mettendo in discussione il concetto di autore e lidea che
fare arte in rete volesse dire creare pagine web.
Creazione di piattaforme collaborative per la creazione e lespo-
sizione di lavori in rete. Un esempio pu essere fornito dai numerosi
lavori piattaforma di Alexei Shulgin: da Refresh! (1996), una mo-
stra a cui chiunque poteva partecipare collegando il proprio lavoro
a una catena di siti connessi tra di loro attraverso laggiornamento
automatico della pagina; a contest come la Form Art Competition
(1997), in cui i partecipanti erano invitati a proporre lavori realizzati
utilizzando soltanto gli elementi (menu a tendina, checkbox, bottoni
e campi di testo) dei moduli delle pagine web.
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3. Conclusioni
Dopo il collasso della New Economy, la rete avvia un lento pro-
cesso di stabilizzazione e consolidamento. Il Far West diventa un
luogo un po meno selvaggio, e un po pi regolato. La divulgazione
e labitudine rendono gli utenti un po meno indifesi di fronte a temi
come i virus, lo spam, gli hacker; le grandi aziende conquistano e di-
fendono tutti gli spazi che le possono riguardare, i motori di ricerca
diventano sempre pi complessi e pi difficili da manipolare.
Anche la socialit in rete, fino a quel momento trascurata dalle
aziende (e ampiamente delegata ad attivisti e artisti) viene, da un
lato, promossa e, dallaltro, normalizzata dalle piattaforme sociali
del Web 2.0. Incentivando la produzione di user-generated con-
tent, e levoluzione degli utenti in prosumer, sistemi di blogging
e microblogging, piattaforme per la condivisione di video e imma-
gini, network sociali e sistemi Wiki favoriscono, senza dubbio, la
democratizzazione della produzione di contenuti in rete, ma al con-
tempo ne controllano e ne limitano le possibilit.
In altre parole, ci che negli anni novanta poteva assumere la
forma selvaggia di un netstrike, oggi assume la forma regolata di
un tweet, di un gruppo di Facebook, di un video su YouTube. Nel
frattempo, anche le forme originarie sono diventate inefficaci: oggi,
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[1] La prima networked performance Satellite Arts Project 77, di Kit Galloway
e Sherrie Rabinowitz. Levento si avvaleva della connessione satellitare, e consen-
tiva a danzatori attivi in due localit diverse di danzare assieme in un unico spazio
virtuale condiviso. Cfr. www.ecafe.com/getty/SA/.
[2] In questa sede, con questo termine facciamo riferimento sia agli ambienti di
gioco online (MMORPG), sia ai mondi sintetici che simulano il mondo reale senza
affidare al partecipante un ruolo preciso (MMORLG).
[3] MMORPG e MMORLG affondano le loro radici nei MUD (Multi-user Dungeon),
una tecnologia disponibile dai tardi anni Settanta; e pur avendo trovato una prima
manifestazione di successo negli ambienti di chat, sono stati rilanciati dalluso di
massa di MMORPG come World of Warcraft (2004) e di MMORLG come Second
Life (2003).
[4] Helen Thorington, Jo-Anne Green, Michelle Riel, About networked_performan-
ce, in networked_performance, s.d, reperibile online allURL www.turbulence.org/
blog/about.html.
[5] Una presentazione pi ampia che comprende anche una tassonomia provviso-
ria stato proposta da Thorington e Riel in una serie di contributi alla mailing list
empyre. Cfr. Thorington & Riel 2005.
[6] Angelo Plessas: Every Website is a Monument, Gloria Maria Gallery, Milano, 14
gennaio 10 marzo 2011.
[7] www.mouchette.org.
[8] www.0100101110101101.org.
[9] cfr. Quaranta 2009.
[10] Per maggiori informazioni sulle opere descritte di seguito e per una bibliografia
di riferimento, cfr. almeno Deseriis, Marano 2008.
[11] Per maggiori informazioni, cfr. www.tommasotozzi.it e Di Corinto, Tozzi 2002.
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Riferimenti bibliografici
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F.A.T. Lab
Pu una rivoluzione essere condotta a ritmo di rap? Concordo,
la parola un po forte e andrebbe usata con moderazione, o me-
glio non usata quando si parla di arte, ambito in cui diventata, per
ottime ragioni, un tab. E, credetemi, ci ho pensato molto, prima
di usarla. Il fatto che lidea di applicare alla pratica artistica lap-
proccio hacker e la filosofia del movimento free software non riesco
proprio a descriverla in modo diverso. Collaborazione paritaria, re-
lease early, release often, with free software you have freedom
- cosa ha a che fare tutto questo con larte contemporanea? In una
galleria, un museo o una fiera quello che vediamo sono di solito una
serie di oggetti rifiniti, pezzi unici o in edizione limitata, che circo-
lano in un circuito relativamente ridotto, benedetti da un brand il
nome dellartista che si ripete immutato su didascalie e autentiche.
Quando esiste, la collaborazione deve comunque sottostare alle re-
gole della brand identity e nella maggior parte dei casi tuttaltro
che paritaria (chiedete agli operai della Jeff Koons LTD). Libert e
gratuit sono leggende ben coltivate, ma il mondo dellarte, si sa,
funziona in un altro modo.
In questo senso, il Free Art and Technology (F.A.T.) Lab potreb-
be essere inteso, in prima istanza, come un intelligente hack del
mondo dellarte contemporanea. Fondato nel 2007 dagli artisti Evan
Roth e James Powderly, allora fellow presso lEyebeam di New
York, il gruppo cresciuto fino ad includere 25 artisti, hacker, in-
gegneri, musicisti e graffiti writer attivi su tre continenti diversi, in
un range che va da Golan Levin, programmatore e artista, al writer
KATSU, passando per Jonah Peretti (fondatore dellHuffington Post
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02. Media
Hacking
Arte e politica ai tempi
di Internet (2005) 128 |
Media Hacking. Arte e
manipolazione dei media
(2006) 134 | Eva e Fran-
co Mattes: Nikeground
(2004) 148 | The Yes Men
(2006) 154 | UBERMOR-
GEN.COM (2009) 157 |
Intervista a UBERMOR-
GEN.COM (2009) 174
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questuante: quello che fanno non pi, come negli anni Settanta,
agire politicamente in uno spazio artistico per un pubblico limitato;
ma un colpire con forza un punto sensibile, con lobiettivo di portare
il loro messaggio, utilizzando le tattiche del marketing e delladver-
tising, a incunearsi nel flusso dei media. E a conquistarsi uno spazio
nel nostro immaginario.
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per noi esistono solo grazie ai media, dato che poche hanno avuto
un riscontro reale. Ci non gli ha impedito di fare paura, tenendo
la societ civile in uno stato di terrore permanente che ci ha fatto
accettare di tutto: le limitazioni alla libert di espressione, la guerra
in Iraq, Guantanamo, i rapimenti della CIA in Europa. Liperreali-
smo gelido e cruento di Where-next (2005) si radica in questo cli-
ma, in cui la perdita della sensibilit segue alla paura. Where-next
un sito di scommesse (gambling game) che invita a indovinare
il luogo e la data del prossimo attentato terroristico utilizzando le
mappe di Google. Ogni volta che avviene un attentato, i creatori
del sito individuano la puntata che si avvicina di pi, e regalano al
vincitore una t-shirt che porta impressa una fotografia dellattentato,
sormontata dalla scritta I PREDICTED IT. Accanto alla mappa, il
sito propone un banner con il World Trade Center ancora in piedi,
con la macabra scritta This space is for rent! e Your ad HERE
stampato sul fronte delle Twin Towers. Spregevole, vero? Forse
per questo che gli autori del sito hanno deciso, dopo liniziale opa-
cit, di uscire dalla finzione mediatica e rivelare la struttura ideolo-
gica del progetto: una denuncia sarcastica e amara del capitalismo,
che scommette sulle nostre vite. Sfortunatamente non puoi ancora
distruggere culture differenti dalla tua a colpi di dollari, McDonal-
ds e video di Paris Hilton; non puoi bombardare il paese che vuoi,
sostenendo che quello che fai offrire aiuto umanitario, e poi inse-
diare nuovi governi. Sfortunatamente non puoi nemmeno ridurre i
diritti civili nel tuo stesso paese, arrestando in maniera indiscrimi-
nata nuovi cittadini, migranti e attivisti. Spiacente! Quello che puoi
fare scommettere su dove colpir il prossimo attentato terroristico.
E incrociare le dita che non si tratti del posto dove vivi, spiega
lavviso che introduce al progetto. Il sito opera dei collettivi ita-
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Pubblicato in: Antonio Caronia, Enrico Livraghi, Simona Pezzano (a cura di), Larte
nellera della producibilit digitale, Mimesis Edizioni, collana Eterotopie, Milano
2006, ISBN 978-88-8483-469-0. Pp. 81 90.
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UBERMORGEN.COM
its different because its fundamentally different [1]
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etoy.com
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Nel 1999, poco prima che etoy subisca lattacco di una (sua quasi
omonima) multinazionale del giocattolo (eToys) e si trovi a coordina-
re una battaglia per la libert di informazione (e per la propria soprav-
vivenza) da cui uscir vittorioso [8], Hans Bernhard lascia il collettivo
insieme ad altri agenti del gruppo originario. etoy sopravviver sia
alla scissione, sia allattacco di eToys. Negli anni seguenti, rafforzer
il suo organico e la sua dimensione internazionale, mantenendo la sua
dimensione corporativa e continuando a giocare il suo gioco al di fuo-
ri del mercato dellarte, ma al contempo rinnovandosi continuamente
attraverso progetti di ricerca a lungo termine indirizzati a gruppi so-
ciali differenti: i bambini (etoy.DAYCARE, 2002 - 2004), gli anziani
e i defunti (MISSION ETERNITY, dal 2005) [9].
Quanto a Bernhard, labbandono di etoy coincide con linizio di
una nuova avventura personale e artistica, molto diversa da etoy ma
capace, al contempo, di mettere a frutto gli esiti di quegli anni stra-
ordinari. Come raccontano Wishart e Bochsler, Bernhard stato, con
Herbert / Zai, uno degli elementi centrali nella vita di etoy, e nella sua
stessa nascita:
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Deep Surfing 02. Media Hacking
The relationship of Herbert and Hans was intense [...] Though they
were not lovers, they behaved like a couple finishing each others
sentences, sharing confidences and trust in one another. Hans had a
kind of immediate and spontaneous courage that fired Herbert up, and
in the past they had goaded each other into doing increasingly outra-
geous stunts. But their friendship masked a rivalry and was, in part,
an expedient alliance. I know that I am greedy, says Herbert, but
Hans is endlessly greedy. I always said that, if you let him, he empties
the buffet without caring about other people. Hans remembers, We
decided to be friends rather than enemies. [10]
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Deep Surfing 02. Media Hacking
Se etoy stata the first street gang in the information super hi-
ghway, UBERMORGEN.COM , verrebbe da dire, una compa-
gnia a conduzione famigliare. Se etoy si nutriva di testosterone, dro-
ghe, amicizia e velleit adolescenziali sublimate, UBERMORGEN.
COM rivela una nuova maturit, che non soltanto quella dei suoi
protagonisti, ma anche quella di una nuova fase dei sistemi di comu-
nicazione, che hanno sviluppato gli anticorpi per virus come etoy,
e possono ormai essere sovvertiti pi a un livello metaforico che
reale. Con UBERMORGEN.COM, le teorie maturate da Bernhard
si confrontano con la ricerca figurativa, con lapproccio unfriendly
e con la consapevolezza dei meccanismi delleconomia di lizvlx.
Anche il rapporto con il mondo dellarte si rivela decisamente pi
maturo. Spiega Bernhard nellintervista citata:
Artist is fine with me, it makes things less complicated. [...] Becoming
an artist was rather simple, it was all about usability. Although in the
beginning with etoy we did not really consider our work as art
but rather as radical self-experiments, social and technological expe-
riments but after eliminating all other candidates (such as sports, po-
litics, etc.) there was nothing left but art. Today I consider this process
to be freestyle research. Conceptual art is crossed with experimental
research and mass media stunts but the products (sites, digital ima-
ges, sculptures, emails, log files, paintings, drawings, etc.) are positio-
ned in an art context. During project phases we play different roles and
use a series of different aliases, sometimes we even swap aliases with
other entities [...] With such identity changes, we position ourselves as
doctors, businesspeople, retired military personnel or teenagers. [11]
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Entertainment
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We are constantly tilting back and forth between art world and mass
media entertainment. E!-Monsters such as Robbie Williams, Madonna,
Britney Spears or former boy-group The Backstreet Boys create(ed)
highly self-referential and subversive products and shoot them at very
content and context-sensitive global audiences. The consumers are
not stupid and with high-end forms of entertainment you communicate
through the guts and not via brains. Intuitively the recipient understan-
ds the vibe and becomes partially schizophrenic by enjoying the comfy
feeling of the beat while feeling the psycho vibe. [15]
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Kunst
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[1] La frase, pronunciata da William Wood, Chief Counsel, Secy. of State of Califor-
nia durante la puntata del 24 ottobre 2000 del format legale della CNN Burden of
Proof, intitolata Bidding for Ballots: Democracy on the Block e dedicata a [V]ote
Auction, stata trasformata da UBERMORGEN.COM in uno dei motti del progetto.
[2] Accessibile online allindirizzo http://www.ubermorgen.com/2000/, che conserva
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Intervista a UBERMORGEN.COM
UBERMORGEN.COM, il duo fondato nel 1999 da lizvlx e Hans
Bernhard, non ha bisogno di presentazioni. In 9 anni di vita riu-
scito a stupire e a confondere tutti: i media mainstream e la critica
darte, i social network e lFBI, Art Basel e Ars Electronica. Piace ai
collezionisti e a chi odia larte contemporanea e, di suo, adora eBay
e Richard Stallman. Abbiamo parlato di allucinazioni consensuali e
di corporation, di media hacking e di affermazione, di cultura pop
e di bombe E, ovviamente, del loro ultimo progetto (The Sound
of eBay, 2008, dora in poi SoE), che chiude in bellezza la tri-
logia dedicata al commercio elettronico dopo il dot.com crash: la
EKMRZ Trilogy (2005 - 2008).
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per spacciata?
UBERMORGEN.COM: Si, una bella analogia. Potrebbe essere
la ragione. Sembrava solo la cosa giusta da fare. Abbiamo aspettato
almeno un decennio per trovare il progetto che ci permettesse di la-
vorare con lestetica del televideo. SoE (ecco di nuovo il link, giusto
nel caso ve lo siate perso: http://www.Sound-of-eBay.com) era ide-
ale per questo, non c alcun ovvio collegamento con la pornografia
n con qualsiasi argomento collegato come il genere, il sesso, il sa-
domasochismo Dopo aver concluso il design e aver licenziato la
versione 1.0 del progetto, Dragan Espenschied (Drx) ci ha mandato
un link a un progetto veramente bello da lui fatto nel 2001 e chiama-
to Teletextbabez (lo trovi qui: http://drx.a-blast.org/~drx/projects/
teletext/index.en.html ).
Lestetica lo-tech/res corrisponde anche alla nostra strategia di
Media Hacking, che afferma che possiamo avere un notevole ri-
scontro (100 milioni di persone) lavorando con semplici strumenti
low-tech/res come telefoni cellulari, email e html. Infine, appoggia-
mo pienamente la sostenibilit tecnologica: il televideo un paras-
sita della televisione, nato verso la met degli anni Settanta in Gran
Bretagna e allinizio degli anni Ottanta nellEuropa centrale lo
adoriamo, e meglio ancora, lo usiamo tutti i giorni.
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www.Sound-of-eBay.com
www.ubermorgen.com
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03. Arte
Generativa
e Software
Art
I figli ideali di Lewitt
(2005 - 2006) 186 |
Generative Ars (2006)
198 | Minimal Software
(2006) 207 | Limiteazero
(2005) 210
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[Parte I]
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Parte II
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[1] In Baumgaertel, Tilman, Interview with Vuk Cosic, inviata a Nettime il 30 giugno
1997.
[2] Cramer, Florian, Concepts, Notations, Software, Art, 23 marzo 2003, reperibile
online allindirizzo http://userpage.fu-berlin.de/~cantsin
[3] Burnham, Jack, Notes on Art and Information Processing. In Software Informa-
196
Deep Surfing
tion Technology: Its New Meaning for Art, catalogo della mostra, New York, Jewish
Museum 1970.
[4] Shanken, Edward A., The House That Jack Built: Jack Burnhams Concept of
Software as a Metaphor for Art, in Leonardo, Volume 6, Number 10, novembre
1998. http://mitpress.mit.edu/e-journals/LEA/ARTICLES/jack.html
[5] LeWitt, Sol, Sentences on Conceptual Art, in 0-9, New York, no. 5. January
1969.
[6] Reas, Casey, [software] structures, June 2004, reperibile online allindirizzo
http://artport.whitney.org/commissions/softwarestructures/
[7] A. Alexander, C. P. Doll, F. Cramer, RTMark, A. Shulgin, Read_Me 1.2 Jury Sta-
tement, maggio 2002, URL
http://www.runme.org/project/+statement/
[8] J. Lillemose, A Re-declaration of Dependence. Software art in a cultural context
it cant get out of, in Read_me 2004, URL http://www.artnode.org/art/lillemose/
readme2004.html
[9] F. Cramer, Concepts, Notations, Software, Art, 23 marzo 2003, reperibile online
allindirizzo http://userpage.fu-berlin.de/~cantsin
[10] J. F. Simon Jr.,Every Icon Statement, in Parachute, gennaio 1997, reperibile
online allindirizzo http://www.numeral.com/articles/paraicon/paraicon.html
[11] J. F. Simon Jr., Mobility Agents. A Computational Sketchbook v1.0, Whitney
Museum & Printed Matter, Inc.,
New York, 2005. Il sito del Whitney lo rende accessibile nella sezione Artport, allin-
dirizzo http://artport.whitney.org/gatepages/october05.shtml
[12] J. Lillemose, cit.
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Deep Surfing 03. Arte Generativa e Software Art
Generative Ars
A circa mezzo secolo dalla comparsa del termine, larte genera-
tiva resta ancora, per il pubblico dellarte, un mistero. Non che sia
difficile da comprendere, anzi: il problema sembra piuttosto capire
dove collocarla nel panorama dellarte attuale. Figure come Casey
Reas, Ben Fry, Joshua Davis, Yugo Nakamura, Marius Watz, John
Maeda, Philip Galanter o Golan Levin, che si muovono con disin-
voltura fra arte, programmazione pura e visual design, continuano a
sconcertare, e il fatto che il termine arte generativa sia utilizzato
anche per parlare di musica, poesia, architettura e industrial design
non aiuta certo a risolvere la questione.
Personalmente, credo che il problema stia proprio nel termine, o
meglio nel modo in cui viene normalmente inteso. La successione,
lungo il Novecento, di espressioni come Pop Art, Minimal Art, Con-
ceptual Art, Digital Art e cos via induce a pensare che Generative
Art vada letto nello stesso modo: come espressione di uno stile, una
tendenza, un movimento pi o meno compatto di artisti. Per capi-
re larte generativa necessario fare un passo indietro, e guardare
piuttosto a termini come ars combinatoria o, pi in generale, al
significato latino del termine ars pi che a quello attuale di arte.
Come il greco techn, il latino ars indica una tecnica, un insie-
me strutturato di regole e operazioni che consentono di fare qualco-
sa. Larte generativa , appunto, una tecnica, un metodo, una pratica,
un modo di procedere. Questo elemento presente in quasi tutte le
definizioni di arte generativa, ma meriterebbe forse di essere porta-
to, una buona volta, in primo piano. Si consideri, ad esempio, la de-
finizione ormai canonica proposta da Philip Galanter nel 2003: Per
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frase di Edward del Bono che dice: Il caso non ha limiti, limma-
ginazione invece ne ha. Kinetoh non altro che una raccolta di
ricordi di viaggio da quel territorio sconosciuto che si estende tra i
limiti dellimmaginazione e le potenzialit del caso.
Quanto il lavoro di Watz chiassoso ed eccessivo, tanto quello
del milanese Alessandro Capozzo rivela unestetica sobria, rigorosa
e minimale. Laspetto cromatico ridotto ai minimi termini, con una
preferenza di colori spenti, spesso giustapposti ad altri pi accesi
(ma quasi mai andando oltre la bicromia). Le forme si dispongo-
no in reti, aggregati di linee, arborescenze, e spesso si sviluppano
secondo dinamiche organiche, ottenute adottando algoritmi di vita
artificiale. Quella di Capozzo lestetica del codice, ma se da un
lato lascia trasparire la sua natura matematica e algebrica, dallal-
tro rivela una delicata musicalit, una poesia delleffimero che na-
sce dallosservazione minuziosa della vita: come in Exuvia (2006),
uninstallazione creata in collaborazione con Katja Noppes e gioca-
ta sul limite incerto tra la vita e la sua pallida sindone, il cui titolo fa
riferimento allesoscheletro delle larve.
La dimensione dellinstallazione congeniale anche al duo mi-
lanese Limiteazero (Paolo Rigamonti e Silvio Mondino), che si de-
finisce uno studio di architettura, media art e media design. Interes-
sati alla mediazione tra spazio virtuale e spazio reale, i Limiteazero
ricorrono occasionalmente ai metodi generativi al fine di dare vita,
per citare il titolo di un loro lavoro, a metafore attive in grado di
rendere percepibili ai sensi, con suoni, forme e colori, gli elementi
costitutivi e le strutture degli spazi immateriali. Ancora, il punto di
riferimento la vita, anche se a quella organica si sostituisce, questa
volta, quella del network e di quel mondo al di l dello specchio che
, per noi, lo spazio dei bit.
205
Deep Surfing 03. Arte Generativa e Software Art
[1] Generative art refers to any art practice where the artist uses a system, such as
a set of natural language rules, a computer program, a machine, or other procedu-
ral invention, which is set into motion with some degree of autonomy contributing to
or resulting in a completed work of art.
[2] I work and think very differently when creating art and design.
[3] ... what generative artists have in common is how they make their work, but not
why they make their work or even why they choose to use generative systems in
their art practice.
[4] The artist describes a rule-based system external to him/herself that either
produces works of art or is itself a work of art.
[5] ...the universe itself is a generative system.
[6] My visual style tends towards extremes, taking colour strategies and form
systems that clearly have an origin in the pop culture, but are exaggerated to the
point where conventional aesthetic expectations break down. I work with code as a
way to create visual systems, exploring the material qualities of different algorithmic
approaches, seeking to surprise myself as much as anyone else.
Link e risorse
- Philip Galanter, What is Generative Art? Complexity Theory as a Context for Art
Theory, 2003, http://www.philipgalanter.com/downloads/ga2003_paper.pdf
- AAVV, Special: Generative art, in Artificial.dk, 9 giugno 2004, http://www.artifi-
cial.dk/articles/generativespecial.htm
- Thomas Petersen and Kristine Ploug, Generative art is as old as art. An inter-
view with Philip Galanter, in Artificial.dk, 6 settembre 2004, http://www.artificial.dk/
articles/galanter.htm
- Thomas Petersen, Generative Art Now. An Interview with Marius Watz, in Artifi-
cial.dk, 20 settembre 2005, http://www.artificial.dk/articles/watz.htm
- Tjark Ihmels, Julia Riedel, The Methodology of Generative Art, in Mediaartnet,
2004, http://www.mediaartnet.org/themes/generative-tools/generative-art/
- AAVV, Generative art definitions, http://www.soban-art.com/definitions.asp. Una
serie di definizioni di arte generativa raccolte da Bogdan Soban.
- Generative Art, in Wikipedia. The Free Encyclopedia, http://en.wikipedia.org/
wiki/Generative_art
- Generative.net, http://www.generative.net
- Generator.x, http://www.generatorx.no
206
Deep Surfing 03. Arte Generativa e Software Art
Minimal Software
La software art ha ribadito pi volte le solide liasons che intrattie-
ne con la tradizione artistica del Novecento. Considero listruzione
di LaMonte Young Traccia una linea retta e seguila un esempio di
software art ha dichiarato Florian Cramer. E proprio Cramer ne ha
disegnato pi volte la complessa genealogia, che comprende la po-
esia dadaista e larte processuale, le performance Fluxus e il lavoro
di un minimalista-concettuale come Sol Le Witt.
Nel 1998 John F. Simon, Jr., autore di lavori capitali della sof-
tware art come Every Icon, partecipa a una collettiva a tre dal titolo
Formulations, curata da Timothy Druckrey presso la galleria San-
dra Gering (New York): con lui, Hanne Darboven e Sol Le Witt. In
questa occasione, Simon espone degli inchiostri su carta derivati da
Combinations, unapplet java che costruisce matematicamente tutte
le possibili combinazioni di quattro linee colorate allinterno di uno
spazio bidimensionale. Accanto al minimalismo, un altro importan-
te referente per Simon lastrazione, Klee in particolare, i cui Diari
costituiscono lo sfondo su cui si collocano sia How much does color
weigh?, sia Mobility Agents, il suo ultimo progetto, annunciato dal
Whitney Museum per ottobre, che nasce dalla domanda: I disegni
di Klee, Kandinskij e Miro anticipano un medium dinamico come
la computer graphic? Dove conducono le loro teorie se attivate
nel software?
Qualora le affinit elettive potessero sembrarci ancora insuffi-
cienti, ecco accorrere in nostro soccorso Casey Reas, con un lavoro
che per rigore metodologico e icasticit dei risultati non lascia adito
a dubbi. Pubblicato nel giugno 2004 nella sezione Artport del sito
207
Deep Surfing 03. Arte Generativa e Software Art
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Deep Surfing 03. Arte Generativa e Software Art
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Deep Surfing 03. Arte Generativa e Software Art
Limiteazero
1. Metafore attive
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Deep Surfing 03. Arte Generativa e Software Art
2. Fantasmi sensibili
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Deep Surfing 03. Arte Generativa e Software Art
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Deep Surfing 03. Arte Generativa e Software Art
Pubblicato in Teknemedia in due parti nel maggio 2005. Online agli indirizzi www.
teknemedia.net/magazine_detail.html?mId=621 e www.teknemedia.net/magazi-
ne_detail.html?mId=634.
215
04. Arte e
Videogame
Game Aesthetics (2006)
218 | Game Art (2007)
238 | Machine Animation
(2011) 245 | Art Games
(2013) 263 | Molleindu-
stria (2004) 273 | JODI:
Max Payne Cheats Only
(2006) 275 | Eddo Stern
(2005) 279 | Cory Arcan-
gel (2005) 283
217
Deep Surfing 04. Arte e Videogame
Game Aesthetics
New York, 1933. Un gorilla enorme cade dal pinnacolo dellEm-
pire State Building. una scena entrata di prepotenza nel nostro
immaginario, ricalcata negli anni Sessanta da Andy Warhol in al-
cuni episodi della serie Death and Disaster e, pi di recente, dalla
rappresentazione mediatica del disastro delle Twin Towers.
New York, 2005. Lo stesso gorilla cade dallo stesso grattacielo.
Ma questa volta non vediamo pi la silhouette modernista del gratta-
cielo, a fianco del quale anche lenorme bestia sembra un punto che
volteggia nel cielo. Questa volta, lo vediamo cadere con gli occhi
della donna che sta allorigine di tutta la vicenda, salita sul grattacie-
lo in un estremo tentativo di salvare questo mostro dal cuore tenero.
Viene spontaneo chiedersi come mai Peter Jackson, ammiratore
fanatico del primo Kong, abbia deciso di rinunciare, nel suo remake,
a quello splendida immagine per una potente, ma decisamente meno
icastica, soggettiva. C, sicuramente, un motivo interno alla storia.
Nel primo King Kong, la protagonista femminile vittima della-
more della bestia; nel remake di Peter Jackson, invece, corrisponde
alle tenerezze dello scimmione, e la sua vicenda psicologica ha un
ruolo importante nella narrazione. Lo spettatore adotta, in parte, il
suo punto di vista, ed giusto che questo diventi il punto di vista
privilegiato. Ma ci non basta a negarci limmagine che attendiamo
lungo tutte le tre ore del film. Il fatto che locchio cinefilo dello
spettatore di un remake si trova a competere con lo sguardo dallin-
terno cui ci hanno abituato i videogame: e ne esce sconfitto. Lesi-
genza di vivere dentro la storia ha preso il sopravvento sullesigenza
di riconoscersi in una iconografia forte. Torna a mente La passione
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
Info-Aesthetics
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
menti per fare nuova arte; in breve, come interfacciarli non con dati
numerici, ma con lesperienza, la soggettivit e la memoria umane.
[3]
Videogame Aesthetics
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
222
Deep Surfing
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
cui si dedica ai paesaggi reali, e con la stessa attenzione con cui Ca-
naletto si dedicava ai ponti, ai campielli e alle gondole di Venezia; o
come quella di Marco Cadioli, che si introduce nei giochi online fo-
tografando quello che vi succede, esattamente come i tanti reporter
embedded che seguono le vicende di altre guerre non meno virtuali,
come il recente conflitto in Iraq. Infine, come fenomeno di massa,
il mondo dei videogame lancia, inevitabilmente, delle mode, come
il gusto medievaleggiante che dai giochi di ruolo di massa online
(MMORPG) si trasferito presto nella realt, dando vita a rituali e a
mascheramenti collettivi cui ammicca Eddo Stern nelle sue straordi-
narie sculture, che trasferiscono questa estetica al computer, tramite
involontario e dal design inspiegabilmente freddo e funzionale
di incontri, di storie e di mondi che con questa macchina da ufficio
non sembrano pi avere nulla a che fare [10]; e ha, manco a dirlo, i
suoi fenomeni regressivi e nostalgici, come quella passione per le-
poca degli 8 bit che ha dato vita a una vivacissima scena musicale,
alle invasioni urbane del francese Invader (che materializza licona
di Space Invaders negli spazi pubblici, in forme ora subliminali, ora
decisamente invadenti) e a molti dei lavori presenti in questo libro.
Ma le estetiche del videogame escono dallo schermo per infiltrare
la realt anche in molti altri progetti qui presenti: nel John Carmack
(2004) di Brody Condon, che rende omaggio allinventore di Doom
costruendogli un monumento poligonale; nei lavori del collettivo
russo AES+F, che si serve del linguaggio della fotografia di moda
per unaudace riflessione sul modo in cui i media ci restituiscono
la violenza, la guerra e linfanzia; e nel costume ideato dallartista
svizzera Shusha Niederberger, che ha trasformato il suo stesso cor-
po in avatar.
224
Deep Surfing 04. Arte e Videogame
...i game artist hacker operano come hacker della cultura che manipo-
lano le strutture tecno-semiotiche esistenti a fini diversi o, come dice
lartista Brett Stalbaum, che cercano di penetrare i sistemi culturali
per fargli fare cose che non avrebbero mai dovuto fare. [11]
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
226
Deep Surfing 04. Arte e Videogame
Penso che 8, come molto del nostro precedente lavoro, sia un tenta-
tivo di far venire alla luce una forma di arte non moderna. Pensiamo
che larte moderna sia arrivata a un vicolo cieco... stiamo cercando di
portare unesperienza artistica a un pubblico pi ampio. Penso che i
videogame siano arte. Nella maggior parte dei casi sono cattiva arte.
Ma anche gran parte dellarte cattiva arte... La scelta di fare un
gioco non violento e non competitivo che si concentra sul piacere
di per s una affermazione ideologica. Il fatto che dia unimmagine
positiva di una cultura ispirata dallIslam anchesso non privo di
implicazioni ideologiche in questi giorni. Direi addirittura che fare un
gioco che tenta di essere esteticamente piacevole sia essa stessa una
scelta ideologica. [17]
227
Deep Surfing 04. Arte e Videogame
228
Deep Surfing 04. Arte e Videogame
spazi pubblici, e come tali passibili delle stesse forme di uso sociale
e di riformulazione cui sono soggetti gli spazi pubblici e politico,
il gioco ha anche il merito di mettere a confronto lestetica poligo-
nale del videogioco con quella del graffitismo, dei suoi simboli e
delle sue icone.
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
Barocco videoludico
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
Retro-Aesthetics
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Deep Surfing 04. Arte e Videogame
[1] What comes after modernism, postmodernism, and new media? Welcome to
INFO-AESTHETICS. / INFO-AESTHETICS is not only the aesthetics of data. / INFO-
AESTHETICS is the new culture of INFORMATION society. / INFO-AESTHETICS is
already here. Do you see it? In Manovich, Lev, Info-Aesthetics Manifesto, marzo
2001. Reperibile online allindirizzo http://www.manovich.net/IA/index.html
[2] A computer: Never before a single machine was an engine of economy -- AND
the main tool for representation. INFO-AESTHETICS needs to reflect this duality. In
Manovich, Lev, Info-Aesthetics Manifesto, cit.
[3] ...suggests that the new aesthetics already exists in information interfaces and
information tools that we use in everyday life... Similarly, I argue that computer
applications employed in industry and science simulation, visualization, databa-
ses are the new cultural forms of information society. The challenge before us is
to figure out how to employ these tools to create new art; in short, how to interface
them not to quantified data but to human experience, subjectivity and memory. In
Manovich, Lev, Info-Aesthetics Summary, ottobre 2001. Reperibile online allindi-
rizzo http://www.manovich.net/IA/index.html
234
Deep Surfing 04. Arte e Videogame
[4] Aesthetics pervade all media, and games are no exception. In Hayward, David,
Videogame Aesthetics. The Future!, 2005. Online allindirizzo http://modetwo.net/
users/nachimir/vga/
[5] Bolter, Jay David, e Grusin, Richard, Remediation. Understanding New Media,
The MIT Press, Cambridge, London 1999. Trad. it. Remediation. Competizione e
integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini & Associati, 2002. Pag. 121.
[6] Manovich, Lev, The Language of New Media, The MIT Press 2001. Trad. it. Il
linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares 2002. Pag. 118
[7] Citato in Bolter Grusin, cit.
[8] In Manovich, Lev, The Language of New Media, cit. Pag. 229.
[9] A videogame artist is not the one who creates a videogame, but someone
who copies it. As well as a painter, is not the guy who eats a piece of bread, but
the one who paints it, a videogame artist doesnt even plays a videogame but
he just extracts stuff from it. Its easy and beautiful. The coolest thing to do! In
Manetas, Miltos, Copying from videogames, is the art of our days, 2002 2004.
Reperibile online allindirizzo http://www.manetas.com/txt/videogamesis.html
[10] Cfr. anche Stern, Eddo, A Touch of Medieval: Narrative, Magic and Computer
Technology in Massively Multiplayer Computer Role-Playing Games, 2000/2002. In
Frans Mayra (a cura di), Computer Games and Digital Cultures Conference Procee-
dings, Tampre University Press, 2002. Online allindirizzo http://www.eddostern.
com/texts/Stern_TOME.html
[11] ...game hacker artists operate as culture hackers who manipulate existing
techno-semiotic structures towards different ends or, as described by artist Brett
Stalbaum, who endeavor to get inside cultural systems and make them do things
they were never intended to do.. In Schleiner, Anne-Marie, Game Plug-ins and
Patches as Hacker Art, in Cracking the Maze, nota della curatrice, 16 luglio 1999.
Reperibile online allindirizzo http://www.opensorcery.net/note.html
[12] Bittanti, Matteo, The uber-pop gamescapes of Mauro Ceolin, febbraio 2004,
in netartreview, http://www.netartreview.net/weeklyFeatures/ceolin.html
[13] http://www.escapefromwoomera.org/
[14] http://www.waco.c-level.cc/
[15] http://www.selectparks.net/acmipark.htm
[16] Cfr. Hayward, David, cit.
[17] I think 8, like a lot of our older work, is an attempt for a non-modern kind of
art to come to the surface. We think that modern art is a dead end... we try to bring
an artistic experience to a larger audience, yes. I think video games are art. In most
cases they are bad art. But most fine art is also bad art... The fact that we choose
to make a non violent and non competitive game that focusses on pleasure is very
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much an ideological statement. The fact that it displays a positive image of a culture
inspired by Islam is also not without ideological implications these days. I would
even say that making a game that attempts to be aesthetically pleasing is even an
ideological decision. Quaranta, Domenico, Il piacere del gioco vi salver. Intervista
a Tale of Tales, in Miss Marple, gennaio 2005, www.missmarple.it. Versione inglese
in A minima, issue 10, 2005.
[18] With Doom, a medium developed out of a game, an opportunity to create
ones own worlds. With Doom, id Software put a potent piece of software for cre-
ating three-dimensional spaces into the hands of its customers.. In Baumgaertel,
Tilman, Modification, Abstraction, Socialization. On Some Aspects of Artistic Com-
puter Games, in Media Art Net, 2004, http://www.medienkunstnetz.de/themes/
generative-tools/computer_games/
[19] In The Language of New Media Manovich, discutendo la logica del database,
nota che i videogiochi non seguono una logica da database, sembrano piuttosto
ispirarsi alla logica dellalgoritmo. Impongono al giocatore di eseguire un algoritmo
per vincere. Man mano che procede, lutente scopre progressivamente le regole
che muovono luniverso del gioco, la logica sotterranea, il suo algoritmo. Si tratta,
secondo Manovich, di un altro esempio di transcodifica, ossia di codice infor-
matico trasformato in codice culturale. Cfr. Manovich, Lev, The Language of New
Media, cit., pagg. 277 278.
[20] The photo-real push is almost as established a part of game culture as sho-
oting or driving, and for some it is becoming just as tired. Maybe though, games
have to push all the way to photo-realism before intentionally pushing away from it
becomes more than a marginal pursuit. In Hayward, David, cit.
[21] http://sod.jodi.org
[22] http://www.untitledgame.org
[23] http://retroyou.org/retroyou_RC_full_radioControl/
[24] http://nostalg.org
[25] Post-media aesthetics should adopt the new concepts, metaphors and
operations of a computer and network era, such as information, data, interface,
bandwidth, stream, storage, rip, compress, etc. In Manovich, Lev, Post-media
Aesthetics, luglio 2001, reperibile online allindirizzo http://www.manovich.net/
DOCS/Post_media_aesthetics1.doc
[26] Bittanti, Matteo, Cover Story, in Bittanti, Matteo (a cura di), Gli strumenti del
videogiocare. Logiche, estetiche e (v)ideologie, Costa & Nolan, Milano 2005. Pag.
287. Bittanti sta parlando delle Screenshots di John Haddock.
[27] Il termine di J. C. Herz. Cfr. J. C. Herz, Joystick Nation: how videogames ate
our quarters, won our hearts and rewired our minds, 1997. Trad. it. Il popolo del
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joystick. Come i videogiochi hanno mangiato le nostre vite, Milano, Feltrinelli 1998.
[28] The Street finds its own uses for things - uses the manufacturers never ima-
gined. Gibson, William, Rocket Radio, in Rolling Stone, giugno 1989. Trad. it.
Radio Razzo, in Gibson William & Sterling Bruce, Parco giochi con pena di morte,
Milano, Mondadori 2001.
[29] Carmagnola, Fulvio, Synopsis..., cit., p. 130.
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Game Art
Nel 1993 la id Software, una piccola azienda texana specializ-
zata in videogiochi sparatutto, fa una scelta che avr conseguenze
rilevanti per il suo successo commerciale, ma ancor pi a livello
sociale e culturale: distribuisce Doom, il suo ultimo prodotto, come
shareware. Qualche mese dopo, uno studente neozelandese mette
a punto un programma che consente di personalizzare linterfaccia
del gioco. La pratica della game modification contagia rapidamente
gli utenti, e anche alcuni artisti.
Linteresse di questa categoria per i videogame legata, senza
dubbio, a motivi generazionali, ma non solo. Nel corso degli anni
Novanta lindustria videoludica si impone come uno dei settori
principali dellintrattenimento, superando addirittura lindustria ci-
nematografica, cui del resto impone alcuni dei propri personaggi e
delle proprie narrazioni; i videogiochi diventano prodotti sempre
pi complessi, alla cui creazione contribuiscono diverse tipologie
di creativi, molti dei quali sono artisti; anche la percezione pubblica
cambia, mentre nel mondo accademico si sviluppano i Game Stu-
dies, e molti cominciano a sostenere che i videogiochi siano unarte.
[1]
Gli artisti sono fra i primi a raccogliere questi stimoli. Alcuni,
per lo pi provenienti dalle file della Net Art, prendono a modificare
videogiochi commerciali come Doom e Quake, per destabilizzarne
linterfaccia o per utilizzarne il potente motore grafico allo scopo di
costruire nuovi set e nuove narrazioni. Altri prendono a progettare
videogiochi come opere darte (un esempio precoce litaliano An-
tonio Riello, che nel 1997 firma Italiani brava gente). C chi dipin-
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[1] Cfr., ad esempio, Jenkins, Henry, Games, the new lively art, in Jeffrey Goldstein
(ed.), Handbook for Video Game Studies, Cambridge, MIT Press, 2005.
[2] Il termine nasce in riferimento alla manipolazione artistica di videogiochi com-
merciali o ai giochi dartista, ma si estende abbastanza rapidamente a artefatti
pi tradizionali (quadri, sculture e fotografie) che fanno riferimento al mondo dei
videogiochi. Per una disanima pi approfondita cfr. lintroduzione di Matteo Bittanti
a GameScenes: M. Bittanti, D. Quaranta (a cura di), GameScenes. Art in the Age of
Videogames, Milano, Johan & Levi 2006.
[3] Da machine cinema o machine animation, il termine indica un insieme di
tecniche che permettono di girare un film allinterno di un videogioco, e il genere
cinematografico che ne nato. Per un approfondimento, cfr. lampia voce proposta
da Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/Machinima
Pubblicato in Flash Art, numero 263, aprile maggio 2007, po. 110 111.
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Machine Animation
Nel corso del primo decennio del nuovo Millennio, la forma del
machinima evoluta in una formula sufficientemente codificata da
farne un genere trasversale, che spazia da produzioni di alta pro-
fessionalit a prodotti grezzi e amatoriali. Parimenti, la sua storia
stata studiata da appassionati e ricercatori, e ha assunto una forma
piuttosto lineare, che procede dalla demoscene degli anni Ottanta e
Novanta, ai Quake Movies per lo pi, speedrun e documentazioni
di gioco in multiplayer fino alle prime prove narrative (Diary of
a Camper, 1996), alla codificazione del termine con il varo, nel
2000, del sito machinima.com, a opera di Hugh Hancock e del ge-
nere, che sacrifica la leggerezza delle demo originarie alle esigenze
di una pi vasta circolazione, finendo per prediligere i formati video
standard.
Oggi, quando si parla di machinima, si fa per lo pi riferimento
[1] a un video narrativo, girato in un ambiente di gioco online od
offline servendosi degli strumenti di registrazione e di controllo
della videocamera messa a disposizione dal gioco stesso, a volte
allestendo unapposita scenografia e arruolando altri personaggi
siano essi bot o giocatori come attori. Questa descrizione ben
lontana dal rendere la complessit del fenomeno e la molteplicit di
declinazioni possibili, sia allinterno che allesterno di queste sem-
plici regole di genere; ma utile per individuare una linea mainstre-
am, sulla base della quale individuare e valutare loriginalit degli
artisti che con questo genere si sono confrontati che poi il prin-
cipale intento di questo contributo.
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Come noto, sin dagli anni Sessanta gli artisti si sono serviti del
video, a fianco della o in alternativa alla fotografia come mezzo
per documentare le proprie performance. Questa destinazione docu-
mentaria accomuna la storia della video arte a quella dei machini-
ma, che, come abbiamo visto, nascono fra laltro come mezzo per
documentare le performance ludiche dei giocatori.
Perch, tuttavia, un videogioco potesse essere concepito come
contesto legittimo per una performance artistica, era necessario
che la dimensione ludica passasse in secondo piano. Un gioco un
contesto narrativo allinterno del quale le azioni del giocatore sono
vincolate allo sviluppo, il pi possibile lineare, di una storia. Ogni
deviazione dalla regola rallenta il gioco, e nei casi estremi porta
alla sua interruzione (ossia, alla morte del giocatore). Ai fini del
gioco, importante imparare le mosse da compiere, e compierle alla
maggiore velocit possibile. In questo contesto codificato, non c
spazio per la performance in senso artistico che , per sua stessa
natura, scelta di libert, scarto dalle convenzioni su cui si regola la
vita.
Non un caso che le prime performance di artisti negli ambienti
di gioco consistano in uno scarto dalle regole di gioco, che ha, per
lo pi, conseguenze suicide. Nel 2001, lartista americano Joseph
Delappe si connette a Elite Force Voyager Online, nomina il suo
personaggio Allen Ginsberg e, invece di combattere, prende a re-
citare Howl. La performance documentata da alcune screenshot
e da un video, girato con una videocamera esterna che riprende il
computer e le mani dellartista.
Non disponiamo ancora di una storiografia documentata a pro-
posito, ma probabile che Howl: Elite Force Voyager sia la prima
performance artistica in un ambiente di gioco. Negli anni successi-
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e repulsione.
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[1] Cfr. la definizione proposta dalla sezione Frequently Asked Questions del sito
della Academy of Machinima Arts and Sciences, disponibile allURL www.machi-
nima.org/machinima-faq.html. Ben documentata anche la corrispondente voce
di Wikipedia, disponibile allURL http://en.wikipedia.org/wiki/Machinima (ultima
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Art Games
Negli ultimi anni, il dibattito sullo statuto artistico del videogioco
stato cos acceso da meritarsi persino una pagina dedicata su Wiki-
pedia [1]. Questo fatto non deve stupire. Se da un lato il videogioco
emerso come una delle forme (e delle industrie) culturali principali
del tardo Ventesimo secolo, dallaltro le resistenze indotte dalla sua
origine, la sua funzione sociale, il suo stesso nome non accennano a
calare. Se da un lato, nella pratica, gli intrecci e gli scambi tra vide-
ogioco e cinema, videogioco e letteratura, videogioco e televisione
[2], e persino videogioco e arti visive si fanno sempre pi intensi
e affiatati, dallaltro, a livello teorico, sono ancora in pochi coloro
disposti ad ammettere che un idraulico italiano e la sua principessa
abbiano potuto dar vita a una stirpe di monne lise.
Come prevedibile, il dibattito pieno di ambiguit e malintesi,
legati per lo pi al senso e alla dignit culturale (o mancanza di) che
si attribuisce, di volta in volta, ai termini chiave del dibattito: arte,
gioco e videogioco. Senza entrare nel merito di una quaestio
che finirebbe per occupare gran parte di questo testo, possiamo li-
mitarci a far notare che essa si sviluppa lungo una traiettoria che in-
clude tesi come: il videogioco non arte perch larte qualcosa di
molto pi limitato di un videogioco, il videogioco non arte perch
concede troppo potere di controllo al fruitore, ma anche il video-
gioco arte perch i concept artist si ispirano alla grande tradizione
pittorica occidentale.
Del resto, in gran parte, queste ambiguit non sono nuove, ma si
sono riproposte puntualmente ogni volta che si trattato di prende-
re atto della natura artistica di un nuovo medium, dalla fotografia,
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Sulla base del modello che abbiamo proposto, le prime due cate-
gorie sono fenomeni interni al mondo dei videogiochi, di cui eviden-
ziano la ricchezza di forme e registri, le tensioni evolutive, il desiderio
di riconoscersi come una forma darte compiuta e autonoma. Questa
ricchezza va riconosciuta e valorizzata, ma, vale la pena ribadirlo,
qualificare come artistiche solo le declinazioni alte della produzio-
ne culturale legata a un mezzo specifico significa escludere a priori la
possibilit di un riconoscimento del valore artistico della produzione
mainstream e di genere, cui sono andare incontro, come abbiamo vi-
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Pubblicato con il titolo ART GAMES. The Videogame as a Legitimate Art Medium,
in Comunicazioni sociali, Milan 2013, n. 2, pp. 207 215.
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Molleindustria
Lungo tutto il Novecento, gli artisti si sono serviti degli strumenti
pi diversi per sviluppare un discorso politico. Tornano alla mente
i collage dadaisti, la nuova oggettivit tedesca, il cuneo rosso di El
Lissitzky, i paroliberi futuristi, i muralisti degli anni Trenta, Guer-
nica e Guttuso... Eisenstein era convinto che il cinema, attraverso il
montaggio, potesse diventare un mezzo straordinario di indottrina-
mento politico, e il suo uso a scopo propagandistico durante lultima
guerra ne stata unefficace dimostrazione. Anche i videogame pos-
sono essere utilizzati allo stesso fine. Si parlato, e si parla ancora,
di una ideologia dei videogame; li si accusati, come il cinema, di
indurre alla violenza. Ma se lecito dubitare che possano trasfor-
mare i nostri figli in assassini, vero che una buona fetta del mer-
cato videoludico cerca di trasformarli in soldati, difensori del Bene
contro il Male, liberatori degli oppressi, esportatori di democrazia.
Mettendo le mani sul mezzo videoludico, gli artisti non mettono
in discussione il loro utilizzo politico, ma rivendicano il diritto di
smascherarlo e di servirsene per trasmettere al giocatore unaltro
tipo di discorso. Tecnicamente, le alternative possibili sono due: in-
tervenire, modificandolo, su un videogioco esistente (come hanno
fatto, tra gli altri, jodi o retroyou) o crearne uno nuovo. La seconda
via la pi difficile, perch la creazione di un videogioco richiede
una macchina produttiva complessa; ma anche la pi efficace, ai
fini di una riscrittura radicale della forma videogioco. Perch, come
rileva Molleindustria, le regole di un gioco sono la sua ideologia:
unideologia che la tattica delle patch pu rivelare, al massimo scal-
fire, ma mai riscrivere. Lideologia del gioco, in altre parole, non sta
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Eddo Stern
La tendenza diffusa a identificare tra loro nuove tecnologie e in-
novazione, induce spesso a cadere in un altro equivoco piuttosto
banale, secondo cui gli artisti new media sarebbero tutti degli in-
novatori. In realt sono pochi gli artisti capaci di un uso realmente
innovativo del mezzo, e ancor pi raramente linnovazione produce
risultati di qualit.
Eddo Stern probabilmente uno dei pochi casi in cui entrambe
queste promesse vengono mantenute. Israeliano residente a Los An-
geles, Eddo Stern ha attirato di recente lattenzione con Dark Game
(2006), un prototipo di videogame in cui i due contendenti sono pri-
vati, in modi diversi, delluso della vista: un esperimento precedu-
to da progetti complessi come Tekken Torture Tournament (2001),
un torneo a Tekken 3 in cui i colpi ricevuti dagli avatar venivano
trasmessi ai partecipanti sotto forma di scosse elettriche; Cockfight
Arena (2001) , una performance in cui i partecipanti controllavano
il loro avatar sullo schermo - un pennuto impegnato in una battaglia
fra galli - con il proprio corpo mascherato e ricoperto di sensori;
Runners (1999 - 2000), in cui il giocatore controlla, con gli stessi
movimenti del mouse, tre diversi avatar in Everquest, arrivando a
dover scegliere quale adottare e quali sacrificare.
Su un altro versante, Eddo Stern ha sperimentato con il video,
realizzando, in tempi non sospetti, alcuni notevoli esempi di machi-
nima.
Il primo, Sheik Attack, risale al 1999, ma dimostra gi una straor-
dinaria maturit. La riflessione sullutopia sionista, dal sogno della
costruzione dello stato di Israele ai suoi tragici sviluppi recenti,
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Cory Arcangel
I dont love the games so much, but I really love the systems. I love the
look that the old Systems have. [1]
I like the idea of making things out of trash [one can easily find an
NES in a dumpster these days], and I like the idea of actually having to
break into something that I find in the trash even better.[2]
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en are actually the bits and bytes of the computers own brain. The
data was always right in front of your nose. Now you can watch it.
[5] Ebbene: interrogato da Bruneau sulla presunta povert di questo
lavoro, Arcangel risponde: Simplicity is an asset, not a weakness...
look at something like the cloud work. that is very simple. The smal-
ler the idea the happier I am. [6]
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to do is move the joypad left or right to see it. And I really like the
yucky stuff that the TV signal adds to the pixel perfect style. People
forget that the pixel design style that is really popular is kinda like a
mirage. That aesthetic only exists in the heads of designers because
back on the day pixel graphics were all displayed on TVs which of
course make everything blurry. [9]
La cartuccia delle nuvole Super Mario Clouds (2002), for-
se il lavoro pi noto di Arcangel: una cartuccia di Mario in cui ha
cancellato tutto tranne le nuvole, che scorrono sul cielo azzurro da
sinistra verso destra, ininterrottamente. Sembrerebbe un video, ma
non lo , e soprattutto pesa molto di meno: 32k, per lesattezza. In
uno spassoso tutorial scritto per spiegare, riga per riga, il codice del
lavoro, Arcangel spiega che, sul NES, le immagini si costruiscono
con quadrati di 8 x 8 pixel, per un totale di 8k di grafica: These two
hardware limitations defined the aesthetic of most early 80s video
games on the Nintendo, and making art for this system is a study of
these limitations. [10] Giocando con i limiti della macchina e con
il codice di programmazione, Arcangel crea unicona ipnotica, im-
mediatamente riconoscibile, leggera ai limiti dellidiozia, e insieme
delicata metafora di tutto il suo lavoro.
Sulle cartucce di Mario Cory Arcangel tornato diverse altre
volte. In Super Abstract Brothers, che in realt anticipa le nuvole di
circa un anno, sostituisce tutti i personaggi e gli sfondi con forme e
configurazioni astratte, trasformando Super Mario Brothers in uno
strano Tetris che sfida il nostro legame con le immagini e con un
mondo che quando siamo immersi nel gioco tendiamo a percepire
come reale. In fantasy cutscenes #2 (2004), invece, nella stessa car-
tuccia sono inserite delle didascalie che ammiccano tanto al cine-
ma muto quanto alla narrazione fumettistica, mettendo in collisione
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Del resto, laveva pur detto: Believe me, if I could order Pizzas
by painting, I definitely would paint. [12] E se con le sue cartucce
modificate, Arcangel diventa pittore, non rinuncia certo alle pizze.
Pizza Party (2004) un programma UNIX a linea di comando con
licenza GPL che pu essere utilizzato per ordinare pizze via Inter-
net, e lanciare improvvisati pizza party. Si tratta, in sostanza, di
un hacking al sito di Dominos, che rimescola gli ingredienti a cui
Arcangel ci ha abituato, senza mai annoiarci: leggerezza, estetica
low-tech, gusto del ridicolo e dellinutile, portato ai limiti della de-
menzialit. Poco noto nel mondo dellarte, Pizza Party diventato un
piccolo cult fra gli hacker: un pubblico a cui Cory Arcangel non ha
certo rinunciato per quello delle gallerie.
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[1] Eryk Salvaggio, Cory Arcangel Doesnt Even Like Super Mario Brothers. Inter-
vista a Cory Arcangel, aprile 2003, http://www.turbulence.org/curators/salvaggio/
arcangel.html
[2] Cory Arcangel, [Introduction], 2002, http://www.beigerecords.com/
cory/21c/21c.html
[3] John Bruneau, John Bruneau Interviews Cory Arcangel, sd, http://dma.sjsu.
edu/~jbruneau/projects/arcangel_intv/arcangel_intv.htm
[4] Eryk Salvaggio, Cory Arcangel Doesnt Even Like Super Mario Brothers, cit.
[5] Alexander Galloway, Data Diaries, introduzione al progetto. http://rhizome.org/
object.rhiz?32948
[6] John Bruneau, John Bruneau Interviews Cory Arcangel, cit.
[7] Hanne Mugaas, ( A talk: ), sd, http://www.indexof.no/Arcangel_Mugaas.html
[8] Eryk Salvaggio, Cory Arcangel Doesnt Even Like Super Mario Brothers, cit.
[9] Ibidem.
[10] Cory Arcangel, [Introduction], cit.
[11] Cory Arcangel, Idea, 12 giugno 2004, http://www.deitch.com/projects/sub.
php?projId=153
[12] Ibidem.
293
05. Mondi
virtuali
Rimediazioni. Larte in
Second Life (2007) 296 |
The Artist as Artwork in
Virtual Worlds (2008) 303
| Rinascimento Virtuale?
(2008) 317 | Gazira Babeli
(2007 - 2011) 329
295
Deep Surfing 05. Mondi virtuali
296
Deep Surfing 05. Mondi virtuali
Unarte nativa
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Deep Surfing 05. Mondi virtuali
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Deep Surfing 05. Mondi virtuali
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Deep Surfing 05. Mondi virtuali
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Deep Surfing 05. Mondi virtuali
Uscire da SL
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Deep Surfing 05. Mondi virtuali
[1] In un messaggio spedito alla mailing list -empyre- il 18 agosto 2007: https://mail.
cofa.unsw.edu.au/pipermail/empyre/2007-August/msg00156.html
[2] Comunicazione personale, 17 agosto 2007.
[3] Gazira Babeli: [Collateral Damage], ExhibitA, Odyssey, 16 aprile 2007.
Pubblicato in Flash Art, numero 266, ottobre novembre 2007, pp. 114 116.
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Virtual Performances
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Second Life (dora in poi, SL) nasce nel 2003 per iniziativa di
una (allora) piccola e visionaria azienda californiana, che prende il
nome dalla via in cui risiede: Linden Lab. Il suo successo come en-
vironment artistico potrebbe essere spiegato in vari modi, ma credo
che due sentieri siano particolarmente produttivi. Il primo quello
evidenziato da Matteo Bittanti in apertura alla sua introduzione a
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Gazira Babeli
Gazira Babeli uno dei molti avatar di Second Life che hanno
deciso di tenere un velo sullidentit del loro alter-ego reale: una
pratica diffusa fra gli utenti comuni, ma di solito disattesa dai perso-
naggi pubblici, che il pi delle volte cercano di rendere ben chiaro
chi siano nella realt.
Anche perch, evidente, il loro successo in SL pu essere un ot-
timo strumento promozionale per la loro attivit reale. Questo vale
in modo particolare per gli artisti, il che spiega abbastanza bene la
nuvola di curiosit che si addensata sul capo (o meglio, sul cap-
pello, uno dei suoi attributi fondamentali) di Gazira, probabilmente
lartista pi nota e stimata di SL - e, indubbiamente, uno dei casi
pi riusciti di costruzione identitaria. Ovviamente, limpossibilit
di considerarla lemanazione di qualcuno di identificabile ha contri-
buito alla realt di Gazira, cos come il suo usare SL non come uno
strumento promozionale, ma come il suo ambiente nativo, lunico
luogo in cui pu dire di essere . Anche le sue opere contribuiscono
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Rinascimento virtuale?
Nel 1927, un signore tedesco di nome Erwin [1] ha riconosciuto
nella prospettiva, il frutto pi succoso del nostro Rinascimento, una
nuova visione del mondo, che viene ricostruito e organizzato attra-
verso lo sguardo delluomo, piazzatosi beatamente al centro. Qual-
che anno fa, un altro signore (questa volta, un russo di nome Lev
[2]) ha sostenuto che la prospettiva stata soppiantata da una nuova
forma simbolica, quella del database. Se oggi il mondo ci appare
come una collezione infinita e destrutturata di immagini, testi e altri
dati, ha scritto Lev, lunico modo per dargli ordine organizzarli in
un database, un archivio strutturato di dati. La logica del database,
dice Lev, si oppone a quella della narrazione una successione line-
are di dati e, dico io, a quella della prospettiva un insieme di dati
organizzati da un determinato punto di vista.
I mondi virtuali sembrano conciliare queste due prospettive, par-
don, queste due forme simboliche. Si affidano a un database, un
insieme strutturato e infinitamente ampliabile di dati, e orga-
nizzano questi dati secondo le regole della prospettiva, attorno a un
punto di vista unico. Luomo, presuntuosamente rinominato avatar
[3], torna ad occupare il centro, e a riorganizzare con il suo sguardo
il mondo che lo circonda. Luniverso, nella, sua versione virtua-
le, torna ad essere antropocentrico, pardon avatarcentrico. Questo
mondo non rappresentato, come nei quadri rinascimentali, ma
simulato, come nel teatro. Il corridoio di Thalia del Palladio, gi
riconosciuto da Salvador Dal come luogo emblematico dellincon-
scio, diventa simbolo della nuova vita sintetica, che con linconscio
ci azzecca parecchio.
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Contro il postkitsch
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non ebbe gli stessi problemi con il grafico che disegn le scatole
Brillo, o il fotografo che immortal Jackie Kennedy durante il fu-
nerale del marito. Questi due oggetti, per riconoscimento unanime,
non sono arte. La foto di Caufield vorrebbe esserlo, ma non lo ,
perch fa parte dello stesso armamentario pop da cui provengono gli
altri due artefatti. La Pop Art non rende arte il pop (o, se preferiamo,
il kitsch), ma costruisce su di esso un discorso di secondo livello.
questo discorso che distingue lavanguardia dal kitsch. Mutuo que-
sti due termini, ovviamente, da Clement Greenberg [4], che pur non
riconoscer mai lo statuto artistico della Pop Art. Eppure il suo di-
scorso supporta a meraviglia il nostro. Secondo Greenberg, il kitsch
la risposta del mercato alle nuove esigenze estetiche aperte dalle-
strema rarefazione dellavanguardia: Per far fronte alla domanda
del nuovo mercato, venne inventato un nuovo prodotto, la cultura
ersatz, il kitsch, destinato a coloro che, insensibili ai valori della
vera cultura, sono tuttavia avidi di quelle distrazioni che soltanto la
cultura, di qualsiasi genere essa sia, in grado di fornire. [5] Una
delle prerogative pi interessanti del kitsch, individuata genialmente
da Greenberg, la sua capacit di assorbire lavanguardia: da essa
il kitsch ricava dispositivi, artifici, stratagemmi, pratiche, temi, li
converte in sistema e scarta il resto... quando trascorso abbastanza
tempo, il nuovo viene saccheggiato per delle nuove bevande miste,
dei cocktails che vengono poi annacquati e serviti come kitsch.
[6]
Questo meccanismo valido ancora oggi. Quello che venuto
meno, complicando di gran lunga le cose, il fattore tempo. Oggi
lavanguardia viene assorbita immediatamente dal kitsch. Accade
sempre pi spesso che la pubblicit assomigli allarte dellanno pri-
ma. Ma il fatto che la cosiddetta arte dei social network abbia assor-
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Contro liperformalismo
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Conclusione
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[1] Erwin Panofsky, Die Perspektive als symbolische Form, 1927. Trad. it. La pro-
spettiva come forma simbolica, Milano 1961.
[2] Lev Manovich, The Language of New Media, Cambridge, MIT Press, 2001. Trad.
it, Il linguaggio dei nuovi media, Milano, Olivares 2002.
[3] Presso la religione Induista, un Avatar lassunzione di un corpo fisico da
parte di Dio, o di uno dei Suoi aspetti. Da Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/
Avatar_%28religione%29
[4] Clement Greenberg, Avantgarde and Kitsch, in Art and Culture, Critical Essays,
1961. Trad. it. Avanguardia e kitsch, in Astratto, figurativo e cos via, Torino, Alle-
mandi 1961.
[5] Greenberg, cit., p. 22.
[6] Greenberg, cit., p. 23.
[7] Cfr. Mario Gerosa, Rinascimento virtuale, Milano, Meltemi 2008.
[8] Il discorso sarebbe diverso se le valutassimo come architettura sperimentale,
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Pubblicato in Mario Gerosa (ed.), Rinascimento virtuale. Larte in Second Life e nei
Virtual Worlds, La Torre di Legno, Firenze 2008. ISBN: 9788895144009. Italian /
English
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Gazira Babeli
Gaz, Queen of the Desert
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We still dont understand what life is and yet, we are talking about
a second one. One life at a time, please! Maybe these lives (RL and SL)
are not so different: symbolic abstractions and virtuality are common
attributes. [1]
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The Space
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The body
My body can walk barefoot, but my avatar needs Prada shoes. [9]
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insostituibile.
Con i suoi lavori, Gazira Babeli libera il corpo dellavatar da
questi vincoli, e ci invita a vederlo per quello che : una conven-
zione rappresentativa, che possiamo violare a nostro piacimento.
Buy Gaz 4 one Linden! (aprile 2007) ci consente di condividere, al
costo simbolico di 1 Linden Dollar, il corpo open source di Gazira
Babeli: restiamo noi stessi, ma possiamo usare (e abusare) del suo
abito nero, del suo corpo, persino del suo cappello. In altre parole,
chiunque pu diventare Gazira Babeli. Del resto, Second Life pie-
na di gemelli: sono gli avatar dei residenti pi inesperti, che non
hanno ancora imparato a personalizzare il proprio corpo. Anche qui
torna in mente il mondo di Perky Pat, in cui le persone, sotto leffet-
to della droga, si identificano in un numero limitato di personaggi,
trovandosi a condividere il corpo di Perky Pat o del suo fidanzato
Walt. Ma il lavoro anche una riflessione pi generale su un concet-
to di identit sempre pi ambiguo, e nel contempo cos importante
da diventare, in Second Life, una sorta di discrimine sociale tra una
massa di newbie che condividono un corpo stereotipato e una lite
di esperti in grado di esibire la propria individualit.
Come Together (aprile 2007) propone invece la fusione dei cor-
pi. Lopera consiste in un piedistallo circondato da numerose palle
colorate, che in Second Life stanno a rappresentare il rapporto ses-
suale. Cliccando su di esse, lavatar viene trasportato sul piedistallo
dove si fonde con i corpi degli altri visitatori, agitati da una serie
di movimenti irrefrenabili e in successione randomica. Ancora una
volta, i simboli vengono sovvertiti, e la parodia di una azione reale
(il sesso) viene ricondotta a una modalit di fusione e di movimento
sincronizzato dei corpi possibile solo tra avatar.
Ma la violazione pi radicale quella messa in scena da Avatar
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Surreal Real
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[1] Gazira Babeli, in Wirxli Flimflam, Gaza Stripped. Interview with Gazira Babe-
li, in Slate Magazine, January 2007, online at http://www.slatenight.com/index.
php?option=com_content&task=view&id=143
[2] Cfr. Matteo Bittanti, [Introduzione], in Mario Gerosa, Second Life, Meltemi,
Roma 2007. P. 14.
[3] Gazira Babeli, in Wirxli Flimflam, cit.
[4] Cfr. la definizione di Grey Goo in Wikipedia: http://en.wikipedia.org/wiki/
Grey_goo
[5] http://arsvirtua.com/
[6] 13 Most Beautiful Avatars, a cura di Marisa Olson. Cfr. http://
www.0100101110101101.org/
[7] Gazira Babeli, [Collateral Damage]. Second Life Works 2006 2007, ExhibitA
Gallery, Odyssey (38, 30, 23). Dal 16 aprile 2007.
[8] Cfr. Philip K. Dick, The Three Stigmata of Palmer Eldritch, 1964. Ed. It. Le tre
stimmate di Palmer Eldritch, Fanucci 2006. Nel romanzo, le bambole Perky Pat
sono dei simulacri che se associati allassunzione di una droga allucinogena,
il Can-D offrono ai terrestri deportati su Marte una esperienza temporanea di
traslazione in un mondo immaginario in cui vivere una vita molto simile a quella che
conducevano sulla terra.
[9] Gazira Babeli, in Tilman Baumgrtel, My body can walk barefoot, but my ava-
tar needs Prada shoes. Interview with Gazira Babeli, in Nettime, March 23, 2007,
online at http://www.nettime.org/Lists-Archives/nettime-l-0703/msg00032.html
[10] Second Front (http://slfront.blogspot.com/) un collettivo internazionale di per-
formance artist nato in Second Life il 23 novembre 2006. Cfr. Domenico Quaranta,
A Leap Into the Void. Interview with Second Front, in Rhizome.org, 1 marzo 2007,
http://rhizome.org/thread.rhiz?thread=24830&page=1#46877
[11] Gazira Babeli, in Wirxli Flimflam, cit.
[12] Inke Arns, Read_me, run_me, execute_me: Software and its discontents, or:
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Its the performativity of code, stupid! In: Olga Goriunova / Alexei Shulgin (eds.),
Read_me. Software Art and Cultures Conference, Aarhus: University of rhus (DK)
2004, pp. 176-193. Reperibile online http://www.projects.v2.nl/~arns/Texts/Media/
Arns-Article-Arhus2004.pdf
[13] Gazira Babeli, in Tilman Baumgrtel, cit.
[14] A San Simeone Luis Buuel ha dedicato nel 1965 il film Simn del desierto, a
cui Gazira dichiara di essersi ispirata.
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lente di Second Life ancora per poco: coloni, transfughi del reale
e semplici curiosi stanno arrivando a frotte, attratti dalle sirene dei
media e dal miraggio di una seconda vita.
Hacker fra gli hacker, Gazira Babeli comincia a essere oggetto
di un nuovo sguardo, quello degli artisti. Le sue performance non
autorizzate fanno scalpore in un mondo in cui la meraviglia la prima
sensazione ad affacciarsi, e la prima a cedere il posto alla noia; e in
meno di un anno Odyssey, la comunit di artisti che Gazira ha con-
tribuito a lanciare, le tributa una retrospettiva, che diventa la prima
convincente affermazione della possibilit di fare arte dentro a uno
scalcinato software 3D [3]. In un mondo in cui gli artisti si affan-
nano a replicare il reale (costruendo cubi bianchi e decorandone le
pareti) o a sperimentare con le presunte potenzialit creative di un
software disegnato da altri, Gazira indica unaltra strada, che passa
attraverso la sovversione dellallucinazione vissuta consensualmen-
te dagli altri utenti. Tu dici mondo, e lei scatena un terremoto o
una tempesta di immagini pop; tu dici corpo, e lei te lo deforma;
tu dici museo, e lei lo riempie di pizze; tu dici Pop, e lei ti im-
prigiona in una lattina di zuppa Campbells.
Se questo gioco si esaurisse dentro i ristretti confini di un mon-
do virtuale, avrebbe ben poco da comunicare allesterno. Ma per
Gazira, Second Life un laboratorio, uno spazio protetto dove con-
durre esperimenti pericolosi senza produrre effetti letali. Allieva di
Stanley Milgram e di Philip Zimbardo (che coordin, nel 1971, le-
sperimento psicologico della prigione di Stanford), Gazira Babeli
si chiusa per quattro anni in una realt simulata, sovvertendone le
convenzioni e osservando le conseguenze delle sue azioni. Se il suo
mondo fosse il Truman Show, e noi tutti fossimo Truman, Gazira
sarebbe colei che ci bombarda di riflettori, riscrive la sceneggiatura
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Gaz, Queen of the Desert fu scritto come testo di accompagnamento alla mostra
[Collateral Damage], tenutasi a ExhibitA Gallery, sullisola di Odyssey, nellaprile
2007. Gazira is dead? Long live Gazira! stato pubblicato nella brochure della
mostra Gazira Babeli Come Together, tenutasi presso la Fabio Paris Art Gallery a
Brescia nel 2011. Concepiti per la prima e ultima personale di Gazira Babeli, i due
testi ne incorniciano in qualche modo lavventura di artista.
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Archivist in the Internet
Age (2011) 358 | Arche-
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| Terms of Service (2012)
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(2013) 386
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Vernacular Video
Da meccanismo di distribuzione, la radio pu trasformarsi in uno
strumento di comunicazione [] Accadr quando imparer non solo
a trasmettere, ma anche a ricevere; in altre parole, quando dar alla-
scoltatore la possibilit di essere ascoltato, e non solo di ascoltare;
quando, invece di isolarlo, lo metter in contatto [1].
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Archive Fever
Mai come ora unepoca stata cos informata su se stessa [...] Mai
come ora unepoca ha conosciuto cos poco di se stessa. - Siegfried
Kracauer [11]
Come hanno ribadito, tra gli altri, Jacques Derrida [12] e Allan
Sekula, gli archivi sono sistemi di potere: incarnano il potere implicito
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Atlas
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An Archival Impulse
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[1] il titolo di un video del 2010 di Evan Roth. Come questo, anche i titoli di pa-
ragrafo successivi sono rubati a opere e testi che hanno avuto un ruolo importante
nella gestazione di questa mostra.
[2] Matthias Winzen, Collecting so normal, so paradoxical, in Ingrid Schaffner,
Matthias Winzen, Deep Storage. Collecting, Storing and Archiving in Art, catalogo
della mostra, Prestel Verlag, Munich New York 1998.
[3] Hito Steyerl, In Defense of the Poor Image, in e-flux journal, # 10, November
2009. Disponibile online allURL http://www.e-flux.com/journal/view/94.
[4] Boris Groys, From Image to Image File and Back: Art in the Age of Digitaliza-
tion, in Art Power, MIT Press, Cambridge, Massachusetts 2008, pp. 83 91.
[5] Domenico Quaranta, The Real Thing / Interview with Oliver Laric, in Artpulse,
Vol. 2 No. 1, Fall 2010.
[6] Seth Price, Redistribution, 2007 in corso.
[7] La frase di Guthrie viene spesso usata dallo scrittore Cory Doctorow come
preambolo alla versione e-book di molti suoi libri e romanzi pubblicati sotto licenza
Creative Commons e liberamente disponibili in rete. Cf. http://craphound.com/.
[8] La frase fu pronunciata per la prima volta da Stewart Brand alla prima Hackers
Conference, nel 1984. CF. http://en.wikipedia.org/wiki/Information_wants_to_be_
free.
[9] Patricia Cohen, Internet Use Affects Memory, Study Finds, in The New York
Times, July 14, 2011.
[10] In informatica con il termine inglese di cloud computing si indicano un insieme
di tecnologie che permettono sia di memorizzare/archiviare dati che di elaborarli
(con CPU o software) tramite lutilizzo di risorse distribuite e virtualizzate in rete. La
creazione di una copia di sicurezza (backup) automatica e loperativit si trasferi-
sce tutta online. Da Wikipedia, http://it.wikipedia.org/wiki/Cloud_computing.
[11] Siegfried Kracauer, Photography, in The Mass Ornament, Cambridge, Massa-
chusetts, Harvard University Press, 1998, p. 58.
[12] Jacques Derrida, Archive Fever. A Freudian Impression, in Diacritics, Vol. 25,
No. 2, Summer 1995, pp. 9 63
[13] Allan Sekula, Reading an Archive: Photography Between Labour and Capital,
1983. In Brian Wallis (a cura di), Blasted Allegories. An Anthology of Writings by
Contemporary Artists, Cambridge, Massachusetts, MIT Press 1987, pp. 114 128.
[14] Walter Benjamin: Unpacking my Library: A Talk about Book Collecting, in
Illuminations, Fontana, London 1982, pp. 59 67.
[15] Michael S. Bernstein, Andrs Monroy-Hernndez, Drew Harry, Paul Andr,
Katrina Panovich and Greg Vargas, 4chan and /b/: An Analysis of Anonymity and
Ephemerality in a Large Online Community, 2011. Disponibile online allURL http://
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people.csail.mit.edu/msbernst/papers/4chan-icwsm2011.pdf.
[16] Cf. Marisa Olson, Lost Not Found: The Circulation of Images in Digital Visual
Culture, in Words Without Pictures, September 18, 2008, pp. 274 284.
[17] Cf. Gerald R. Nelson, DDDDoomed Or, Collectors & Curators of the Image: A
Brief Future History of the Image Aggregator, Edition MK, 2010.
[18] Seth Price, Dispersion, 2002 in corso. Disponibile online allURL http://www.
distributedhistory.com/Dispersion08.pdf.
[19] Hal Foster, An Archival Impulse, in October, Issue 110, Fall 2004, pp. 3 22.
[20] Nel dicembre 2008, il fotografo francese Patrick Cariou ha denunciato Richard
Prince, la sua galleria (Larry Gagosian) e il suo editore (Rizzoli Books) per aver utiliz-
zato senza il suo consenso 41 fotografie dal suo libro Yes, Rasta (2000). Nel marzo
2011, un giudice americano ha condannato Prince a distruggere qualsiasi traccia
di ogni lavoro derivato dalle immagini di Cariou, non riconoscendone la natura
trasformativa.
Spunti bibliografici
ARDEN Roy, Hans Peter Feldmann, Contemporary Art Gallery, Vancouver 2006.
Exhibition brochure, available online at www.royarden.com/media/ardentexts/ar-
den_feldmann.pdf.
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BENJAMIN Walter, The Work of Art in the Age of Mechanical Reproduction, 1936
(Lopera darte nellepoca della sua riproducibilit tecnica, Einaudi, Torino 2000.
BENJAMIN, Walter, Unpacking my Library: A Talk about Book Collecting, in Illumi-
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BERGER John, Ways of Seeing, Penguin Books, London 1972 (Questione di sguar-
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BOSMA Josephine, Nettitudes. Lets Talk Net Art, Institute of Network Cultures /
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BOULLET, Victor / The Institute of Social Hypocrisy (ed.), The Sound of Downloa-
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BOURRIAUD Nicolas, Post Production. La culture comme scnario: comment lart
reprogramme le monde contemporain, 2002 (Postproduction. Come larte ripro-
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BOURRIAUD Nicolas, The Radicant, Lukas & Sternberg, New York 2009.
BUCHLOH, Benjamin H. D., Gerhard Richters Atlas: The Anomic Archive, in
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Mostre
ATLAS. How to carry the world on ones back? May 07 August 07, 2011, ZKM |
Museum of Contemporary Art. Curated by Georges Didi-Huberman.
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Deep Storage. Collecting, Storing, and Archiving in Art, July 5 August 30, 1998,
P.S.1, New York. Curated by Ingrid Schaffner (First shown at the Haus der Kunst,
Munich in 1997 with the title Deep Storage: Arsenale der Erinnerung).
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Versioni
Nel luglio 2008 Sepah News, lorgano di informazione dellIra-
nian Revolutionary Guard, fa circolare limmagine di un test missi-
listico, ripresa da France-Presse e, a ruota, dai principali siti dinfor-
mazione. Qualche giorno dopo, Associated Press pubblica unaltra
immagine, apparentemente identica, ma con tre missili invece di
quattro. Secondo alcuni esperti, la prima fotografia sarebbe stata
manipolata digitalmente per nascondere il fallimento del quarto lan-
cio, e per rendere pi impressionante la potenza di fuoco delleser-
cito iraniano.
Esistono numerosi casi documentati di manipolazione digita-
le delle immagini pubblicate dagli organi dinformazione. Ma ci
che rende particolarmente interessante il caso del missile iraniano
che, quando ladulterazione viene resa pubblica, allovvio scandalo
si accompagna un fenomeno senza precedenti: una massa di utenti
anonimi prende a scaricare e a manipolare limmagine, per poi ri-
pubblicarla in decine di versioni differenti. Aprite Google Images,
scrivete Iranian missile test e cliccate search per averne la pro-
va.
Lincidente il punto di partenza di Versions (2009), un video-
saggio dellartista tedesco Oliver Laric. Il video considera diversi
casi di manipolazione digitale, e li collega ad alcuni esempi storici
di variazione su immagini esistenti, dalla iconoclastia protestante
alla statuaria romana. Nelle sue due iterazioni (2009 e 2010), Ver-
sions meriterebbe di essere visto da chiunque voglia comprendere le
modalit attuali di produzione e circolazione delle immagini.
Due aspetti di questo ininterrotto processo di versioning risul-
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Terms of Service
Nel giugno 2009 sono stato vittima di un piccolo, spiacevole
incidente. Al rituale tentativo di accesso mattutino al mio account
Gmail, Google ha risposto cos: Ci dispiace, il tuo account stato
disabilitato. Con crescente preoccupazione, ho continuato a leg-
gere, scoprendo che Google pu disabilitare un account a seguito
della violazione dei termini di servizio di Google o di un suo prodot-
to specifico. Non sono un geek, ma posso vantare un uso piuttosto
consapevole della rete, sufficiente per sapere di non aver commesso
alcuna violazione. Ma a Google, questo, non importava: il servizio
si arrogava il diritto di sospendere il mio account in qualsiasi mo-
mento, per qualsiasi ragione, avvisandomi o meno, e rispondendo
ai miei reclami a sua completa discrezione.
Il fatto non riguardava solo il mio account di posta. Gi allora,
e oggi pi che mai, Google ci invita a condividere i nostri dati, a
trasferire sui suoi server lintero contenuto del nostro hard disk, a
partecipare gioiosamente alla cloud. Senza eccessi, avevo felice-
mente accolto questo invito. Avevo un paio di blog su Blogspot,
diversi documenti in Google Docs, svariate gallerie di immagini su
Picasa, qualche video su YouTube. Tutto questo mi era stato sottrat-
to, senza una spiegazione precisa, e senza darmi alcuna possibilit
di riparare alleventuale errore commesso.
Dovevo avvisare i miei contatti, ma nel farlo, feci quello che so
fare meglio: indagai, e scrissi un articolo. Steso frettolosamente in
un pessimo inglese, Killed by Google ancora oggi nei limiti
di visibilit di uno sfigato critico darte uno dei miei testi pi let-
ti in rete. Nellarticolo analizzavo i termini di servizio di Google,
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Pubblicato con il titolo Lidentit nellera dei social network, in Flash Art, Issue
305, ottobre 2012, p. 30.
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07. Post
Internet
#post-internet (2014) 392
| Situare il Post Internet
(2015) 396 | Jon Rafman:
Brand New Paint Job
(2011) 417 | Enrico Boc-
cioletti: Content Aware
(2012) 424 | Brad Troe-
mel: BSTJ Store (2013)
432 | Kenneth Goldsmith:
Printing Out The Internet
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#post-internet
Interrogato sulle tendenze che sarebbero emerse dalla fiera, uno
dei direttori di Frieze London ha dichiarato nellottobre 2013: In
molte delle application c unenfasi sullarte post-internet una di-
rezione molto interessante [] Non si tratta necessariamente di in-
ternet art, ma di lavori pi fisici, che esplorano luso degli strumenti
dellera di internet per fare sculture e video, ad esempio. In gene-
rale, questo il trend del momento. La dichiarazione di Matthew
Slotover ha aleggiato come una benedizione su Post-Net Aesthetics,
il panel organizzato nei giorni di Frieze da Rhizome presso lICA di
Londra, e moderato da Karen Archey, critica e curatrice che lo scor-
so gennaio ha inaugurato allUCCA di Pechino la mostra Art Post
Internet. Ma a sancire il successo del termine e della prospettiva
post-internet sono intervenuti tutti i nomi che contano: riviste
come Frieze e Mousse (con Artforum a fare da sponda), istituzioni
come il Fridericianum (con la mostra Speculations on Anonymous
Material), curatori come Hans Ulrich Obrist (che gi nel 2012 mo-
derava la DLD conference Ways Beyond the Internet). Senza troppe
forzature, potremmo includere in questa lista anche Massimiliano
Gioni, che ha chiuso il percorso dellArsenale con artisti da Ryan
Trecartin a Simon Denny che, volenti o nolenti, sembrano incar-
nare questa prospettiva.
Niente male, per un concetto emerso attorno al 2008 nei circuiti
della net art. La maternit la si deve a Marisa Olson, artista, critica
e curatrice che inizia a utilizzarlo in riferimento al proprio lavoro:
unarte che lesito della mia compulsiva attivit di navigazione
e download. Faccio performance, canzoni, fotografie, testi o instal-
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dra nel luglio 2013, la mania del post internet ha portato lartista
australiano Michael Staniak a vendere unopera a 25,000 , a partire
da una stima di partenza di 3,500 [5]. Paddles On! unasta di
arte digitale concepita con lambizione di creare un mercato per la
digital art, attualmente supportata da alcune gallerie, ma che rara-
mente entrata nel mondo delle aste. Staniak un artista con poco
o nessun background nella media art, che dipinge attraenti quadri
astratti con acrilico e composto di fusione in un modo che ricorda
gli effetti pittorici digitali. Il suo successo improvviso ha oscurato la
carriera pi lunga e rispettabile di alcuni degli artisti inclusi nella-
sta, i cui lavori sono rimasti invenduti o hanno avuto risultati meno
esaltanti.
Prendendo parte a un panel allArt Dubais Global Art Forum nel
marzo 2012, lartista Constant Dullaart ha esclamato: Non usate
internet come un fottuto condimento [6]. Questo il principale pe-
ricolo del post internet: usare la cultura digitale come un cosmetico
per le opere darte finch sembra alla moda e cool. Eppure il post
internet non solo questo. Contro Droitcour, in questo testo affermo
che il post internet non pu essere davvero capito senza risalire alle
sue radici nelle pratiche di group surfing emerse nel primo decennio
del XXI secolo, e senza considerare i modi in cui stato formulato
e discusso durante gli ultimi anni. Inoltre collocher il post internet
allinterno della pi lunga storia dellarte in rete, mostrando che la
sua relazione con questa storia non pu essere presentata nel modo
troppo semplificato implicito nel saggio di Droitcour da una prati-
ca radicalmente immateriale che rifiuta il mondo dellarte a una che
si prostituisce per avere un angoletto nel white cube ma molto
pi dialettica e stratificata. Infine mostrer come questa contestua-
lizzazione ci inviti a riconsiderare il post internet come una delle
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Per molto tempo non ha avuto senso esporre la net art nello spazio
reale: musei o gallerie. Per buone ragioni, delle opere della net art
si doveva fare esperienza sui propri computer connessi in rete. Ieri
per me in quanto artista aveva senso solo comunicare con le persone
sedute davanti ai loro computer, oggi posso facilmente immaginare di
rivolgermi ai visitatori di una galleria, perch la maggior parte di loro
si sar appena alzata dal proprio computer. Hanno lesperienza e gli
strumenti necessari per comprendere le idee, le battute, godere delle
opere e acquistarle. [26]
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La relazione della net art con larte contemporanea nel suo complesso
e con il mercato dellarte diventa ogni giorno pi confusa. molto af-
fascinante da guardare, comunque. Ho provato per anni a capire come
esportare i miei lavori, per rendere qualcosa super-vendibile, ma
non sono mai riuscito a capirlo del tutto, e non credo che ci riuscir
mai. [29]
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Questo breve viaggio alle origini del post internet dovrebbe chiarire
che non pu essere semplicemente ridotto a un trend da fiera darte,
alla piccola scena di Bushwick descritta da Droitcour, o con la battuta
esponi unopera, falle una foto, e falla circolare online. Al contrario il
fenomeno sembra essere il risultato della confluenza di una pluralit di
questioni, approcci e processi, e dello sviluppo di una nuova comunit
artistica, meno ristretta e pi integrata di quella che si era sviluppata
attorno alla prima net art, e pi coinvolta in una conversazione espansa.
Sarebbe difficile menzionarli brevemente senza cadere nellesercizio
di compilazione di una lista, ma dobbiamo citare almeno artisti come
Hito Steyerl, Mark Leckey, Seth Price e Metahaven, riviste darte come
Artforum, Mousse e Frieze, critici e teorici dellarte come Boris
Groys, David Joselit o Jennifer Allen, come parte in causa o ispirazione
di questa conversazione espansa; unendosi, ovviamente allottima vec-
chia squadra, che non mai stata messa da parte o dimenticata:
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pi ricca di quella degli artisti del settore a cui siamo abituati (anche
se forse pi vicina a ci che un artista dovrebbe essere, e che i
migliori artisti sono stati).
Se compresa allinterno di questo loop culturale, lopposizione
fra la radicale indipendenza della net art e lossessione con i si-
stemi di potere del mondo dellarte del post internet (Droitcour)
mostra le sue pecche. Consideriamo la caratteristica pi criticata del
post internet: il suo uso della galleria come scenario per scattare fo-
tografie documentarie da distribuire online. Droitcour scrive:
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[1] Brian Droitcour, The Perils of Post-Internet Art, in Art in America, 30 ottobre
2014. Online su www.artinamericamagazine.com/news-features/magazine/the-
perils-of-post-internet-art/.
[2] Brian Droitcour, Why I Hate Post-Internet Art, in Culturetwo, 31 marzo 2014.
Online su https://culturetwo.wordpress.com/2014/03/31/why-i-hate-post-internet-
art/.
[3] Brian Droitcour, The Perils of Post-Internet Art, cit.
[4] Andrew M. Goldstein Frieze London Co-Director Matthew Slotover on the Rise
of the Art Fair, in Artspace, 15 ottobre 2013. Online su www.artspace.com/maga-
zine/interviews_features/frieze_art_fair_matthew_slotover_interview.
[5] Per i risultati e ulteriori informazioni visitare www.phillips.com/auctions/auction/
PD010114.
[6] Cf. Alana Chloe Esposito, Dont use the internet as a fucking condiment:
Net Art at Art Dubai, in Art Fag City, 30 marzo 2012. Online su http://artfcity.
com/2012/03/30/don%E2%80%99t-use-the-internet-as-a-fucking-condiment-net-
art-at-art-dubai/.
[7] Cf. Marisa Olson in Karen Archey, Robin Peckam (Eds.), Art Post-Internet:
INFORMATION DATA, catalogo della mostra, Ullens Center for Contemporary Art
Beijing 2014, p. 95. Disponibile online su http://post-inter.net.
[8] Il blog, che si trovava al sito 122909a.com, ora offline. Una selezione dei post
stata pubblicata in Gene McHugh, Post Internet, Link Editions, Brescia 2011.
[9] Dallintroduzione del 2011 dellarchivio cartaceo del sito: Gene McHugh, Post
Internet, cit. p. 6.
[10] Artie Vierkant, The Image Object Post-Internet, in jstchillin, 2010. Online su
http://jstchillin.org/artie/pdf/The_Image_Object_Post-Internet_a4.pdf.
[11] Louis Doulas, Within Post-Internet, Part One, in pooool.info, June 2011.
Edizione riveduta (2014) disponibile qui: http://louisdoulas.info/wp-content/uplo-
ads/2014/11/Within-Post-Internet-Part-One.pdf.
[12] Katja Novitskova, Post Internet Survival Guide, Revolver Publishing, 2010.
[13] Omar Kholeif (Ed.), You Are Here. Art After the Internet, Cornerhouse and SPA-
CE, London 2014
[14] Cf. Brad Troemel, The Emergence of Dual Sites, in Brad Troemel, Peer Pres-
sure, Link Editions, Brescia 2011, pp. 67 70.
[15] Karen Archey, Robin Peckam (Eds.), Art Post-Internet: INFORMATION DATA,
cit., p. 8.
[16] Cf. il capitolo The Postmedia Perspective in Domenico Quaranta, Beyond
New Media Art, Link Editions, Brescia 2013, pp. 177 - 224.
[17] Kim Cascone, The Aesthetics of Failure: Post-digital Tendencies in Contem-
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Juarez, Domenico Quaranta (a cura di), The F.A.T. Manual, Link Editions + MU,
2013.
[33] Brian Droitcour, The Perils of Post-Internet Art, cit.
[34] David Joselit, After Art, Princeton University Press 2012.
[35] Documentazione del progetto e una dichiarazione sono disponibili online su
http://joshuacitarella.com/artifacts.html.
[36] Il progetto disponibile online su http://lincoln3dscans.co.uk/.
[37] Il progetto disponibile online su http://yuanmingyuan3d.com.
Pubblicato in inglese in Valentino Catrical (Ed), Media Art. Towards a New Defi-
nition of Arts in the Age of Technology, Gli Ori, Pistoia 2015. ISBN 978- 88-7336-
564-8.
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di cui fatto cambia di opera in opera, ora irta e cangiante, ora porosa
e opaca. In almeno un caso, la sua pelle stato rubata a un dipinto di
Franz Kline, ma il prestito ormai quasi completamente illeggibile,
pienamente integrato nellinsieme. Sullo sfondo si alternano, sempre
nella stessa posizione, interventi che simulano, di volta in volta, la pit-
tura o il collage, oppure dichiarano sfrontatamente la propria origine
digitale. E poi dadi, solidi geometrici, disegni e stampe mutuati da chis-
s quale fonte. I livelli di Photoshop si stratificano come i riferimenti
letterari, filosofici, artistici e alchemici. Ogni pezzo un viaggio nel
tempo, tra passato e futuro, alto e basso, storia e narrazione. Ogni pezzo
una risposta a ci che la nuova et sembra pretendere da un artista
come Jon Rafman.
in Jon Rafman Brand New Paint Job, exhibition brochure, Fabio Paris Art Gallery,
Brescia, April 2011.
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[1] David Hockney RA: A Bigger Picture. London, Royal Academy, 21 gennaio 9
aprile 2012.
[2] Cit. in Randy Kennedy, Apropos Appropriation, in The New York Times, 28
dicembre 2011. Online allURL www.nytimes.com/2012/01/01/arts/design/richard-
prince-lawsuit-focuses-on-limits-of-appropriation.html.
[3] Lawrence Lessig, Free Culture, 2004. Cultura libera, Apogeo, Milano 2005.
[4] La Adobe Creative Suite CS5, lanciata nel febbraio 2010.
[5] Online allURL http://it.fakenamegenerator.com/.
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mited), in cui sei wurstel tenuti assieme con una fascetta formano
con una penna e alcuni cotton fioc un innocuo ordigno per giovani
dinamitardi. Ma pi si naviga tra i lavori, lasciandosi sedurre dai
loro colori appariscenti e dal linguaggio rutilante delle didascalie,
pi si ha la percezione che la vendita, pi che un fine, sia un mez-
zo. Lo conferma anche una delle poche interviste in cui Troemel,
constatata la sostanziale incomunicabilit con il suo interlocutore,
non si abbandona a un gioco letterario paradossale e irriverente, che
diventa una ulteriore declinazione del progetto (esemplare, a questo
proposito, quella rilasciata allHuffington Post). Spiega Troemel a I
Like this Art: Voglio fondere la comprensione statistica del valore
che si propaga attraverso le note e i follower di Tumblr, la tradizione
storico-artistica dellappropriazione, lidea di Etsy per cui gli ogget-
ti devono il loro valore dal lavoro manuale, la capacit dei master
di attribuire lo status di Fine Artist ai suoi studenti, la tradizione
dellarte che attira lattenzione dei media mainstream proprio per il
fatto di non essere intesa come arte, il desiderio dellavanguardia
di sovrapporre arte e vita quotidiana dissolvendo le differenze tra
le due, il valore generato dal rivendere prodotti acquistati online su
Whole Foods, il valore concettuale attribuito a un oggetto venduto
da una galleria di Chelsea, il valore concettuale attribuito a qualco-
sa venduto come organico, la commercializzazione della ribellione,
ecc.
A questa riflessione sui contesti, il valore (concettuale e com-
merciale) dellarte nel sistema capitalistico e nelleconomia dellat-
tenzione di internet si affianca, in BSTJ Store, lesplorazione dei
modi di circolazione dellarte nellet dellinformazione: un tema
al centro dellindagine di molti compagni di strada di Troemel, e
fra le questioni pi interessanti sollevate dalla generazione definita
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blioteca non pu che ringraziare il suo dio per averlo fatto nascere
nellera dellaccesso. Eppure, queste possibilit non sono testate sul
lungo termine. Nemmeno il pi sofisticato mezzo di archiviazione
digitale pu garantirci che linformazione in esso registrata possa
durare, ed essere accessibile, per sempre. La carta, invece, dura, non
per sempre ma per un ragionevole e noto lasso di tempo.
anche per queste ragioni che Printing Out the Internet, il discus-
so progetto di Kenneth Goldsmith, andrebbe considerato qualcosa
di pi della solita provocazione, o, peggio ancora, di una impresa
donchisciottesca senza costrutto e con un impatto ambientale rile-
vante. Annunciato nel maggio 2013 con una call for submissions
in cui chiunque era invitato a stampare una porzione a sua scelta
di Internet e a spedirla alla galleria Labor di Citt del Messico per
riempire di carta uno spazio di circa 500 metri quadri, il progetto ha
suscitato da subito un vivace dibattito, sia sui media (con articoli su
Daily Mail, Animal NY, Art Fag City, Huffington Post, Washington
Post, The Guardian, CBC News e Harpers, solo per citare alcune
testate) che sui blog e i social network. Il dibattito era chiaramente
sin dallinizio nelle intenzioni del progetto, che si ispira alle solu-
zioni immaginarie della Patafisica e al motto situazionista del Ses-
santotto, demand the impossible. Secondo calcoli effettuati per
loccasione, per stampare tutto il Web (senza contare gli altri servizi
di Internet) servirebbero almeno 4,6 miliardi di pagine A4, e uno
spazio di stoccaggio molto superiore alla galleria di Citt del Mes-
sico. Il dibattito pubblico si concentrato soprattutto sullimpatto
ambientale del progetto, rasentando il ridicolo con il lancio di una
petizione (intitolata Please dont print the internet) che non ha mai
raggiunto il tetto di 500 firmatari necessari per diventare effettiva.
Ridicolo perch le pi di 10 tonnellate di carta stampata mandate
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avanguardia e kitsch.
Tema molto caro, a pi livelli di lettura, ai membri del col-
lettivo Alterazioni Video, presenti in mostra con due lavori: il turbo
film Surfing With Satoshi (2013) e linstallazione Take Care of the
One You Love (2016). Nel primo, la ricerca di Satoshi Nakamoto
leggendario inventore del Bitcoin, la criptovaluta che ha rivoluzio-
nato leconomia degli ultimi anni offre il pretesto narrativo per un
viaggio a Puerto Rico, raccontato secondo le convenzioni del turbo
film, un genere cinematografico di loro invenzione che converte
i limiti economici e produttivi in uno stile fatto di riprese amato-
riali, effetti dozzinali, sceneggiature scritte sul momento, materiale
trovato in rete. Linstallazione, concepita per loccasione, sviluppa
un filone di ricerca su cui Alterazioni Video lavora dal 2009 e che
propone la traduzione installativa o performativa di alcuni contenuti
virali di Internet.
La dimensione del lavoro online, gi presente in BEFNO-
ED, esplorata in una sua peculiare declinazione da Elisa Giardina
Papa in Technologies of Care (2016). Giardina Papa ha intervistato,
a voce e via chat, diverse lavoratrici online che offrono quelle che
potremmo definire prestazioni affettive mercificate compagnia,
dialogo, tempo, una sessione di gioco assieme. Una forma di pro-
stituzione candida, che a volte sconfina nellerotico ma che rimane
diversa da quella offerta dagli online sex workers, e che se da un
lato evidenzia una solitudine diffusa e la ricerca di surrogati affetti-
vi, dallaltro descrive un cambiamento nella struttura sociale della
rete, che sempre di pi mercifica attivit che fino a poco fa venivano
compiute per il puro piacere di farle come conversare con un estra-
neo. Le persone intervistate da Giardina Papa restano anonime e i
loro racconti sono interpretati da personaggi e voci sintetiche. La-
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DQ: Parlando sempre del lavoro degli altri, nel 2014 avete for-
malizzato un contratto per lacquisizione di idee altrui: progetti per
lo pi ritenuti esauriti dai creatori originali, ma ancora vitali per
voi, che li acquisite e sviluppate. Ad esempio Image Search Result
(2014 in corso), un progetto dallartista americano Kevin Bewer-
sdorf.
FM: Funziona cos: scegliamo una parola dalla search history del
nostro browser cio un termine che abbiamo cercato di recente
e prendiamo la prima immagine che compare da questa ricerca.
Spesso collegata a lavori che stiamo realizzando. Usando vari ser-
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DQ: Nei vostri ultimi progetti emerso con forza il tema dellin-
visibile, o di una visibilit pi discreta, che richiede sforzo e ricerca
per essere esaudita. Ad esempio, i video di BEFNOED (2014) sono
disseminati su oscure piattaforme di videosharing, e in sede esposi-
tiva sono visualizzati su schermi che si negano allo spettatore, co-
stringendolo a performance fisiche per essere esperiti. Dont Follow
the Wind (2015 in corso) un progetto espositivo che vi ha visti
nascondere delle opere darte nellarea radioattiva di Fukushima. I
video di Dark Content (2015) sono accessibili online solo via TOR
[sistema di comunicazione anonima per Internet, ndr]. Cosa vi ha
portato a sviluppare queste strategie di sparizione?
EM: Negli anni Novanta eravamo ossessionati dalla visibilit
del nostro lavoro, non di noi stessi. Ci chiedevamo perch sforzarsi
di organizzare una mostra che verr vista da trenta amici, quando in
Internet potevamo raggiungere milioni di persone in tutto il mondo,
saltando tutti gli intermediari. In questo senso la rete sembrava un
luogo selvaggio, senza confini, quasi utopico.
Oggi, paradossalmente, la mia sensazione che la rete si sia ri-
stretta: passiamo tutto il tempo negli stessi siti, un misto tra un
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09.Keywords
Virtual Objects (2005) 468
| Dont Say New Media!
(2008) 471 | Mostre open
source (2011) 480 | Inter-
net Semiotics (2011) 483 |
When an Image Becomes
a Work (2012) 486 | The
New Aesthetic (2012) 506
| Cariou vs Prince (2013)
510 | Technoviking (2013)
514 | Intervista a Matthias
Fritsch (2014) 518 | Ap-
punti sulla fotografia post
digitale (2015) 526
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Deep Surfing 09. Keywords
Virtual Objects
Quando, verso la met degli anni Novanta, si cominciato a par-
lare di net art, una delle parole chiave che ricorrevano pi spesso
sulla bocca di critici e artisti era quella di immaterialit. Logget-
to nellarte in crisi, scrive nel 1997 Catherine Davies nel forum
di Documenta X, la prima manifestazione artistica ad aprirsi allarte
in rete. Sembrava che le caratteristiche del nuovo medium rendesse-
ro una necessit inevitabile quella che per gli artisti concettuali era
stata una scelta, la deriva verso uno stato smaterializzato dellarte.
In realt, si scambiava per una caratteristica distintiva del medium
quella che era una precisa scelta estetica, che individuava i suoi pa-
dri in Duchamp, in Fluxus e nel concettuale, ed etica, con il rifiuto di
confrontarsi con il sistema dellarte (cui si preferiva quel paesaggio
di dati,accessibile a tutti e a tutti aperto, che era la Rete). Del resto,
la net art degli anni Novanta stata preceduta da almeno ventanni
di sperimentazioni con i media, che si realizzavano per lo pi in for-
ma di installazione o di ambiente: valgano, come esempi fra i tanti,
gli ambienti sensibili di Studio Azzurro, le installazioni di Piero Gi-
lardi, le protesi di Stelarc e gli spazi virtuali di Jeffrey Shaw.
Oggi le recenti innovazioni tecnologiche stanno modificando il
nostro modo di percepire il cyberspazio: non lo vediamo pi come
un mondo altro e parallelo al nostro, in cui entrare attraverso il
computer come Alice seguendo il coniglio o attraversando lo spec-
chio, ma come qualcosa di reale, completamente innestato nel no-
stro mondo: un network di oggetti e di corpi. Non solo il flusso
di dati che riempie gli interstizi tra un weareable e un palmare: il
weareable e il palmare, il collare col microchip e la nostra tessera
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Deep Surfing 09. Keywords
(1) Bertha M. Sichel, There Nothing Alarming in This Situation, in Techno Seduc-
tion, 1997. http://www.cooper.edu/art/techno/essays/sichel.html
(2) Natalie Bookchin, Alexei Shulgin, Introduction to net.art (1994 1999), 1999.
http://www.easylife.org/netart
(3)Carlo Zanni, The Protocol, 2002,http://www.zanni.org/church/The_Proto-
col_v1.htm. Cfr. anche il forum da lui organizzato nel settembre dello stesso anno,
archiviato allindirizzohttp://www.zanni.org/church/workshop/invitations.htm
(4)The Passage of Mirage Illusory Virtual Objects. New York, Rockfeller Founda-
tion, 14 settembre 16 ottobre 2004, a cura di Christiane Paul e Zhang Ga.
Web:http://chelseaartmuseum.org/projectroom/2004/passageofmirage/
La citazione proviene dal curatorial statement. Cfr. anche, in italiano, Marco Anto-
nini, Christiane Paul, in Around Photography, anno II, n. 4, gennaio-marzo 2005,
pp. 44-45.
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Un termine ambiguo
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Turing Land
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[1] R. Debatty, in Domenico Quaranta, Yves Bernard (a cura di), HOLY FIRE. Art of
the Digital Age, cat. della mostra, iMAL, Bruxelles, 18 30 aprile 2008. Brescia,
FPEditions 2008.
[2] Cfr. Andreas Broeckmann, Deep Screen Art in Digital Culture. An Introduc-
tion, in Andreas Broeckmann (a cura di), Deep Screen - Art in Digital Culture, cat.
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Pubblicato in FMR Bianca, n 5, Franco Maria Ricci, Bologna, December 2008, pp.
92 107.
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Internet Semiotics
Interior Semiotics una performance messa in scena a Chicago da
una studentessa americana di nome Natacha Stolz il 27 marzo 2010,
nellambito di una collettiva organizzata da unassociazione studente-
sca. Dopo aver aperto, non senza difficolt, una lattina di SpaghettiOs,
lartista ne versa il contenuto in un pentolino, aggiunge dellacqua e
recita: Tutto merda. Attribuiamo significato, importanza e valore alla
merda che ci circonda. Viviamo di questo significato e delle nostre pa-
role. Viviamo di valore, diamo importanza, ma tutto merda. Ripete
la sua dichiarazione al contrario, sillabandola, mentre si spalma gli spa-
ghetti sulla t-shirt. Poi afferra una forbice, si taglia i pantaloni, si infila
le dita sporche nella vagina e inizia a orinare sul pavimento. Quindi si
toglie la maglia, pulisce il tutto ed esce di scena. Il pubblico applaude.
Se di questa performance parliamo, a mesi di distanza, sulle pagine
di Flash Art, non per il suo (discutibile) valore artistico, n per il fatto
che, nel maggio 2010, qualcuno ne abbia caricato la documentazione su
YouTube. Del resto, per circa due mesi, quel video rimane nel limbo di
invisibilit a cui sono condannati materiali di questo tipo. Poi, in agosto,
succede qualcosa. Nel giro di 48 ore, il video viene visto duecentomila
volte. Mentre scrivo, il contatore di YouTube segna 1.057.191 visite,
1405 mi piace, 14.434 non mi piace.
Ci che successo che il video stato postato su 4chan, un forum
che raccoglie e commenta immagini e video di ogni tipo. I 4channers
sono tanti, giovani, tecnologicamente smaliziati e postano per lo pi in
modo anonimo, il che consente loro qualsiasi tipo di infrazione delle
regole di netiquette. L sono nati molti dei meme della rete, fenomeni
virali come i lolcats (foto di gatti accompagnate da un commento
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telan, nella forma di una scultura intitolata, come molti suoi la-
vori, Untitled (2009). Nello scatto ufficiale, firmato da Zeno
Zotti, con cui la scultura viene presentata nel catalogo di All
[3], la sua retrospettiva di congedo dallarte [4], le uniche dif-
ferenze percepibili stanno nel set il pavimento laminato di una
stanza dalle pareti bianche e nel cartello, che ha sostituito il
monito originario con un semplice ed evocativo INRI. Lin-
quadratura identica a quella dellimmagine del 2007: il centro
occupato dal cartello, la posizione del fotografo porta in primo
piano il muso dellanimale. Questultimo riprodotto perfetta-
mente: identico il modo in cui si incrociano le zampe anteriori,
e in cui si allineano quelle posteriori. Constatata lindiscutibile
efficacia dellimmagine originaria, Cattelan ha fatto il possibile
per attenersi a essa, limitandosi a ripulirla degli elementi ac-
cessori, come i passanti e il cavo blu con cui probabilmente il
cavallo stato trascinato nel luogo in cui stato rinvenuto e
fotografato.
Ma per simili che siano, le due immagini sono anche profon-
damente differenti. La prima fa riferimento a un fatto di cro-
naca, la seconda unopera darte. La prima ha la ricchezza di
dettagli della realt, la seconda lessenzialit dellallegoria. Il
cavallo pu appartenere a unimmagine trovata, ma si da tem-
po radicato nelliconografia di Cattelan come alter ego dellarti-
sta. Nellimmagine di partenza, Cattelan coglie il potenziale di
un sacrificio assurdo, e lo trasforma in una icona universale so-
stituendo il cartello originale con il cartiglio apposto sulla croce
di Cristo dai suoi carnefici. Per minimo che sia lintervento,
bastato per trasformare limmagine in qualcosa che appartiene,
indiscutibilmente, a Cattelan.
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Cleptomania
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to, ha rubato idee: agli altri artisti, ai media, alla realt di tutti i giorni.
Per ovvi motivi, sono particolarmente note le sue appropriazioni
del lavoro di altri artisti. In particolare, stata notata e ampiamente
discussa la sua ripresa, in Love Saves Life (1997), di un lavoro gio-
vanile di una allora poco nota Katarzyna Kozyra, Pyramid of Animals
(1993). Ma la lista degli esempi potrebbe continuare a lungo: dalla ri-
presa dello Spirato di Luciano Fabro (1968) in All (2007) alla donna
abbarbicata allo stipite di una porta in una fotografia di Francesca Wo-
odman risalente al 1977, ripresa in Untitled, 2007, fino al dialogo con
Joseph Beuys inscenato in La rivoluzione siamo noi (2000) e nel coevo,
e ancora pi letterale, Untitled.
Di fronte a questi furti, le reazioni della critica sono state interessan-
ti. I suoi detrattori li hanno usati per dimostrare lassenza di originalit
nellopera di Cattelan; i suoi sostenitori hanno cercato di minimizzarli,
o ridurli a citazioni (che ne farebbero un tardivo seguace del postmo-
derno, cosa che non ). Evidentemente, il peso del mito ottocentesco
del genio ancora cos forte da impedirci di seguire un artista persino
laddove lui stesso vuole condurci, dichiarando ripetutamente la sua pro-
pensione al furto.
E se decidessimo invece di seguirlo su questa strada, fino in fondo?
Facciamo unipotesi: che il furto sia la strategia formale a cui Cattelan
ha fatto ricorso con maggiore sistematicit. Che dietro buona parte delle
sue immagini ci sia unaltra immagine, un sotto-testo nascosto, che at-
tende semplicemente di venire a galla. Non per indebolire la reputazio-
ne che la sua opera si costruita nel tempo, ma per comprendere meglio
le ragioni del suo successo; non per ridurre i suoi lavori allimmagine
che li ha ispirati, ma per valutare lo scarto tra i due; non per confutarne
loriginalit, ma per capire dove sta, veramente, loriginalit di Catte-
lan.
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Permanent Food
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Internet Memes
If you have an apple and I have an apple and we exchange these apples
then you and I will still each have one apple. But if you have an idea
and I have an idea and we exchange these ideas, then each of us will
have two ideas. George Bernard Shaw [6]
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zione tra animali di specie diverse? Siamo poi cos certi che imma-
gini celeberrime come lasino seduto (Untitled, 2004), lo scoiattolo
suicida (Bidibidobidiboo, 1996), lo struzzo con la testa nel parquet
(Untitled, 1997), la vacca dal manubrio di vespa al posto delle corna
(Untitled, 1997), lasino che porta in groppa un televisore (If a Tree
Falls..., 1998), il fachiro sepolto (Mother, 1999), lelefante del Ku
Klux Klan (Not Afraid of Love, 2000), e persino lHitler inginoc-
chiato (Him, 2001) o il papa colpito dal meteorite (La Nona Ora,
1999) non abbiano unorigine bassa e vernacolare, o non siano stati
scoperti per caso navigando in quella foresta dei segni che era la
citt, e che la rete?
Conclusioni
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[1] Questo saggio stato ispirato da una conversazione con Eva e Franco Mattes.
Sono stati loro a individuare alcune delle fonti analizzate nel testo. A loro, questa
ricerca ha ispirato Catt (2011), una scultura che riproduce un meme e che stata
presentata in una mostra come opera di Cattelan, prima di essere rivendicata dai
veri autori. A me ha ispirato questo testo. Pur avendo plagiato molte delle loro
idee, mi assumo la piena responsabilit della forma che hanno assunto qui.
[2] http://www.targetrichenvironment.net/?p=897.
[2] Nancy Spector (a cura di), Maurizio Cattelan. All, Guggenheim Museum Publica-
tions, New York 2011, p.241.
[3] All, a cura di Nancy Spector, Solomon R. Guggenheim Museum, New York, 4
novembre 2011 22 gennaio 2012.
[4] Pierpaolo Ferrari, in Elena Bordignon, Toilet Paper Magazine, in Vogue.
it, 14 settembre 2010, www.vogue.it/people-are-talking-about/art-photo-de-
sign/2010/09/toilet-paper-magazine.
[5] il fenomeno dei LOLcats, di gran lunga uno dei memi pi radicati in rete. Per
approfondimenti, cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Lolcat.
[6] Citato in Permanent Food, Issue 11, 2003.
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Pubblicato con il titolo Una nuova estetica?, in Flash Art, Issue 303, giugno 2012,
p. 26.
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Cariou vs Prince
Lo scorso 25 aprile, la Corte dAppello degli Stati Uniti ha par-
zialmente ribaltato la sentenza con cui, nel marzo 2011, lartista
Richard Prince e il suo gallerista Larry Gagosian erano stati con-
dannati per violazione di copyright ai danni di Patrick Cariou, un
fotografo francese che nel 2000 aveva dato alle stampe il volume
Yes, Rasta, in cui documentava la vita dei rastafariani giamaicani.
Richard Prince aveva ampiamente attinto ai materiali di quel libro
in Canal Zone, una serie di collage e dipinti esposti da Gagosian nel
2008. La prima sentenza era stata molto dura, arrivando ad ordinare
che tutti i lavori invenduti di Prince e tutte le copie del catalogo
(pubblicato da Rizzoli, anchessa coinvolta nella denuncia) fossero
consegnate a Cariou in modo che potesse disporne come credeva
(incluso distruggerle o rivenderle), e che ai collezionisti che ave-
vano acquisito le opere fosse notificato che queste ultime erano
state realizzate illegalmente secondo il Copyright Act del 1976, e
non potevano quindi essere esposte. La sentenza di appello, invece,
riconosce a Richard Prince che per 25 delle 30 opere incriminate si
pu riconoscere il fair use, perch manifestano unestetica total-
mente diversa da quella delle fotografie di Cariou; mentre non si
esprime relativamente a cinque opere per cui la corte non sa dire se
Prince abbia trasformato il lavoro di Cariou abbastanza da renderlo
trasformativo.
Per chi abbia poca confidenza con la legislazione americana sul
copyright, il fair use una dottrina che consente lutilizzo limitato
di materiale proprietario senza rendere necessaria lacquisizione del
permesso dal detentore dei diritti. In altre parole, si tratta di una ec-
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Technoviking
Se perdete molto tempo in rete, potrebbe esservi accaduto di im-
battervi pi volte in un personaggio: il Technoviking. alto, mu-
scoloso, e indossa solo un ciondolo a forma di martello di Thor e
un paio di jeans tagliati al ginocchio. Barba e capelli biondi e i li-
neamenti del volto denunciano una inconfondibile origine nordica.
Spesso punta il dito in alto, lo sguardo minaccioso.
La sua storia interessante. Compare per la prima volta in un
video di quattro minuti, girato nel 2000 dal video maker e artista
tedesco Matthias Fritsch durante la Fuckparade, una manifestazione
estiva di musica techno che si tiene ogni anno a Berlino. Una ra-
gazza dai capelli azzurri danza davanti alla camera, fino a che viene
spintonata da un passante. a questo punto che interviene il nostro
personaggio, che ferma imperioso il passante e lo caccia, fissandolo
a lungo mentre si allontana. Da quel momento, lattenzione tutta
per lui. Il personaggio comincia ad avanzare e, di fatto, a guidare la
parata. Di tanto in tanto, la sua danza carismatica interrotta da altre
persone che richiamano la sua attenzione: uno gli passa una bottiglia
dacqua, un altro un volantino.
Il video un frammento di realt dal caratteristico stile docu-
mentario: camera a mano, bassa risoluzione, suono a presa diretta.
Ma un senso di irrealt si sprigiona a partire dallapparizione del
personaggio, cos perfetto per quel contesto e cos estraneo a esso.
Per questo, Fritsch decide di salvarlo e di farne il capitolo inaugu-
rale di una trilogia che mette in discussione lautenticit della scena
filmica. Spiega lartista: Ero influenzato dai recenti sviluppi delle-
stetica cinematografica, ad esempio da Dogma 95 e dalla scena da-
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Pubblicatoin Flash Art, issue 313, December 2013 January 2014, p. 29.
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del mio film da parte di uno spettatore ha reso il mio lavoro famoso,
e le reazioni della comunit si sono rivelate per me molto pi inte-
ressanti della preoccupazione di perdere il controllo o di essere pla-
giato. Lidea che avrei potuto avere dei problemi con il protagonista
non mi ha mai sfiorato. Era visto come un eroe. E il film era uno-
pera darte, girata durante una dimostrazione politica con una vide-
ocamera che ostentava un obiettivo molto grande e riconoscibile.
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della cultura popolare. Ci che posso dire per certo, che senza il
Technoviking non ci sarebbe il Technoviking Archive. E sicuramen-
te non avrei concepito Music from the Masses, ispirato direttamente
dallosservazione delle strategie di riciclaggio messe in campo dagli
utenti nelle loro reazioni al meme del Technoviking: lo scambio di
colonne sonore.
Un dettaglio curioso: nel tribunale di Berlino, lavvocato del que-
relante ha affermato diverse volte che la mia carriera artistica si fon-
da sul Technoviking. , questo, un punto interessante. Ipotizziamo
che abbia ragione chi , in questo caso, lartista? Chi ha dato vita
al meme e al corpo di lavori su cui mi sono concentrato negli ultimi
sei anni? Il querelante? La mia risposta : la comunit. La comunit
, in questa produzione culturale collettiva, il creatore originario, e
la principale forza artistica e creativa in campo.
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Per spiegare quel che successo alla fotografia con lavvento del
digitale, ricorro spesso a un classico di fantascienza: Linvasione
degli ultracorpi. Nel film, girato da Don Siegel nel 1956, la cittadina
americana di Santa Mira cade vittima di una strana invasione aliena.
Allinterno di enormi baccelli, gli extraterrestri evolvono in copie
perfette di un essere umano, a cui si sostituiscono dopo averlo elimi-
nato durante il sonno. Le copie sono in tutto simili agli originali, se
non per una piccola, ma decisiva differenza: sono prive di emozioni.
La fotografia digitale lultracorpo della fotografia. Arrivata si-
lenziosamente nel corso della seconda met del Novecento, la fo-
tografia digitale si discretamente sostituita alla sua controparte
analogica, ribadendo continuamente la stessa promessa: di essere la
stessa cosa, solo migliore. Nel corso degli anni, la fotografia digitale
ha mantenuto, in tutto e per tutto, la propria promessa, rimediando
perfettamente il suo modello, appropriandosi della sua funzione so-
ciale, e facendo proprio persino quello che Roland Barthes ha chia-
mato il suo noema. [1] Come i replicanti del film, la fotografia
digitale non vuole essere alcunch di diverso da ci che la fotografia
sempre stata, e tale continuer probabilmente ad apparire a chi,
come gli increduli interlocutori del protagonista del film si rifiuta
di prendere atto della realt, preferendo pensare che ci troviamo di
fronte a una naturale evoluzione degli strumenti, o a una semplice
accelerazione dello sviluppo tecnologico di un mezzo la fotografia
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Il metamedium digitale
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cipale attore in campo, essa non altro che una stringa di bit, e la sua
visione sta gradualmente influenzando la nostra.
Nella prosecuzione di questo testo, analizzer brevemente i lavo-
ri di alcuni artisti che, partendo da questo punto di svolta, provano a
interrogarsi su cosa sia la fotografia oggi e su come si relazioni con
il reale. Nello specifico, i lavori saranno scelti per illustrare tre nodi
cruciali: la postproduzione, la sovrabbondanza del fotografico, la
fotografia come dispositivo sociale.
La postproduzione
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Realizzato nel 2011, The Others potrebbe essere presto letto an-
che come una capsula del tempo che preserva una condizione in cui
le nozioni di privato e di furto hanno ancora un senso. I social
network ci stanno sempre pi abituando a unidea di fotografia come
dispositivo sociale, emanazione di noi stessi destinata ad attivare e
consolidare relazioni, sollecitare feedback, assoggettarsi alluso in-
discriminato dei nostri spettatori sia umani che algoritmici. Come
nota lartista Brad Troemel, online il valore di unimmagine si de-
termina sulla base della sua circolazione. [7] Questo meccanismo,
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[1] Roland Barthes, La camera chiara. Nota sulla fotografia, Torino, Einaudi 2003
(La chambre claire, Parigi 1980).
[2] Alan Kay, Adele Goldberg, Personal Dynamic Media, 1977. In Noah Wardrip-
Fruin, Nick Montfort (a cura di), The New Media Reader, The MIT Press, Cambridge
London 2003, pp. 393 394. Nostra traduzione.
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[3] Lev Manovich, The Language of New Media, MIT Press, Cambridge London
2001. Trad. it. Il linguaggio dei nuovi media, Olivares, Milano 2002, p. 44.
[4] Ibidem, p. 69.
[5] Cf. Domenico Quaranta, Healing the Media, Exhibition brochure, Fabio Paris
Art Gallery, Brescia, aprile 2012.
[6] Una versione online del progetto il sito Jennifer in Photoshop (2014), online
allindirizzo http://jennifer.ps/.
[7] Brad Troemel, Art after Social Media, in New York Magazine of Contemporary
Art and Theory, Issue 06, online allindirizzo http://ny-magazine.org/PDF/06.07.
EN_Art_After_Social_Media.pdf.
[8] Cf. James Bridle, Dronestagram: The Drones-Eye View, in Booktwo, 8 novem-
bre 2012. Online allindirizzo http://booktwo.org/notebook/dronestagram-drones-
eye-view/.
Pubblicato con il titolo Unopzione del men. Appunti sulla fotografia post digitale
in: Marcella Manni, Luca Panaro (a cura di), Generazione critica. La fotografia in
Europa dopo le grandi scuole, Danilo Montanari Editore, Ravenna 2015. pp 47 54
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