(Ivan Bunin) Opere. Campagna, Valsecca, Una Bella PDF
(Ivan Bunin) Opere. Campagna, Valsecca, Una Bella PDF
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Scrittori del mondo: i Nobel
La U T ET ringrazia il Club degli Editori che ha ideato que
sta collana nonché le Case Editrici che ne hanno consentito la
realizzazione concedendo i diritti e le traduzioni delle opere
prescelte per la pubblicazione.
IVAN BUNIN
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Un ion e Tipogr afico- Ed it r ice Torin ese
Edizione speciale della U TET
per concessione del Club degli Editori
su licenza della Carabba Editore e
della Arnoldo Mondadori Editore
© I934> by Arn oldo Mondadori Editore
Prefazione © 1 9 6 9 Club degli Editori - Milano
A cura di Ettore Lo Gatto
Le opere
CA M P A G N A
V A LSEC C A
U N A BE LLA V IT A
L ’A M O R E D I M IT IA
RA C CO N T I
Ivan Bunin
2.
XXXIV IVAN BUNIN
più sacro dei sentim enti porta allora alle più gran di scel
leratezze; questo sentimento alla fine diventa così grande
che il cuore dell’uomo non lo può ospitare e deve pe
rire, spezzarsi e con un colpo abbattere il suo idolo. » E
Tjutcev: « Chi nel rigoglio delle sensazioni / quando
ribolle e si rigela il cuore, / non ha conosciuto le vostre
tentazioni / suicidio ed am ore? ». N on è esagerato dire
che sia le riflessioni di Lerm ontov sia quelle di Tjutcev
sono applicabili a M itja e con lui al narratore della sto
ria del suo amore.
Da analogh e considerazioni ci pare debba essere par
tito il critico filosofo Stepun scrivendo che « quanto più
si va avanti nella lettura de L’amore di Mitja, tanto più
si sente che dietro ai due pian i esteriori - quello cioè
della natura e della vita quotidiana e quello individuale
psicologico, ce n’è anche un terzo, quello m etafisico:
la sventura dell’am ore di M itja non è del tutto sua; in
essa Bunin mette in luce la tragedia di ogni am ore um a
no, che emana dalla situazione cosmica dell’uom o, come
essere che si trova tra due m ondi ».
I due m ondi sono appunto quelli dell’am ore sacro
(l’aggettivo è usato da Lerm on tov) e dell’am ore profa
no, dell’am ore sentim entale e dell’am ore sessuale. M a è
proprio a proposito dei due m ondi in cui l’uom o che
am a sì trova diviso, che Stepun polem izza con l’analisi
che de L’amore di Mitja aveva dato a suo tem po la
scrittrice Z in aida Gippius, la quale era arrivata alla con
clusione contraria a quella dello Stepun, che cioè Bunin
non aveva giustam ente rappresentato il processo psicolo-
gico-spirituale di M itja perché « un giovanetto in na
morato che sente per la prim a volta il soffio di una gioia
non terrena, imm ancabilm ente diventa casto, appassion a
tamente casto, fino alla selvatichezza e che perciò M itja
avrebbe dovuto fuggire l’anziano del villaggio con le sue
tentazioni e tapparsi le orecchie con le m ani ». Lo Ste-
XXXVI IVAN BUNIN
della guerra ma letto assai meno che non gli scrittori suoi
contemporanei così diversi da lui come artisti, ma tanto
più suscitatori di interesse come narratori, quali furono
Gor’k ij e A ndreev. Che la tram a o intreccio non sia l’e
lemento essenziale della narrativa huniniana è gen eral
mente am m esso, ma L’amore di Mitja attrae anche per
la sua sem plice tram a, attraverso la quale il lettore è
messo di fronte, grazie alla m agica struttura, a problem i
di carattere universale, cui non nuoce la « russicità » del
la situazione e dell’eroe collocato nel proprio ambiente.
Il problem a dell’am ore, per tornare ad esso, anche se non
considerato dall’artista un aspetto della problem atica del
tempo, era stato alla base anche di racconti dei suoi pri
mi passi come per esem pio nel racconto Velga che era
già come un piccolo poem a in prosa, come lo furono più
tardi Autunno e Vecchia canzone che precedettero quelli
più realisticam ente tragici, da noi già ricordati, Presso
la strada e Ignat e più tardi Vecchia storia, tutti più o
meno sullo stesso pione delle « storie d ’am ore » che pre
cedettero, anche se non prepararono, per la diversa strut
tura artistica, L’amore di Mitja. I più lontani fra questi
racconti sarebbero comunque potuti entrare anche nella
serie di quelli che de L’amore di Mitja furon o contem
poranei.
Giunti a questo punto occorre sofferm arsi sul fatto che,
proprio dopo L’amore di Mitja, Bunin, pur non rinun
ziando al racconto più o meno lungo, nel cui tessuto
gli fosse possibile introdurre le proprie riflessioni sui pro
blem i spirituali che sem pre più lo interessavano e an go
sciavano, cedette alla tentazione di fare di questi pro
blemi il nucleo di brevi narrazioni al solo scopo di esem
plificarne l’enunciazione, che in tal m odo diveniva più
im portante del racconto stesso, suscitando l’im pressione
spirituale attraverso la breve struttura form ale, che abbia
mo già più volte detta musicale. Basti ricordare a tal pro-
XXXVIII IVAN BUNIN
Sui due scrittori che ebbero per lui un’im portanza ol
tre che spirituale artistica, T olstoj e Čechov, Bunin si
espresse più volte pno a quando nel 1937 sul prim o
scrisse e pubblicò un libro La liberazione di Tolstoj in
cui la parola « liberazione » era adoperata nel senso che
vi aveva dato T olstoj stesso parlando, come ne parla Bu
nin, di « liberazione dalla morte »; sul secondo prepa
rava anche un libro, purtroppo rim asto incom piuto, ma
che nella form a di appun ti e fram m enti è stato pubbli
cato di recente, nel 1935, a cura della vedova dello scrit
tore, che in una prefazione biograpcam ente preziosa, rie
voca tutti i particolari dei rapporti tra i due scrittori e
la genesi del libro.
La congenialità di Bunin con Tolstoj può essere det
ta indiscutibile dal punto di vista spirituale, anche se
artisticam ente l’autore de La campagna, di Vaisecca, de
La vita di Arsen’ev, si differenzi dall’autore di Guerra
e pace e di Anna Karenina per l’originalità strutturale
del periodare, per la particolare forza delle im m agini nel
la loro concisione. Ciò non significa naturalmente mag
giore originalità, o maggiore forza o maggiore concisio
ne; significa differenza, il che vale anche per il confron
to tra la struttura di certi racconti di Bunin e la strut
tura del racconto di Cechov (per esem pio tra la descri
zione della cam pagna buniniana e quella della steppa ce-
choviana). Per tornare a Tolstoj è da rilevare che Bu
nin nello scrivere il suo libro su Tolstoj si servi di un
IVAN BUNIN XLVII
-V E quanto costa?
— Poco!
— Padrone! Della pece buona ce n ’avete?
— Della pece simile, caro mio, il tuo nonno non
ce n ’aveva nemmeno alle n oz ze M
— E quanto costa?
E sembrava che dai Kràsovy non si fossero mai
fatti altri discorsi all’in fuori di questi : quan to co
sta? quanto il prosciutto, quanto il legname, quanto
i gran i, quanto la pece?...
La perdita della speran za di aver figlioli e la chiu
sura delle bettole furon o avvenimenti gravi. Tìch on
Iljìc visibilmen te invecchiò, quan do non vi fu più
dubbio che padre non sarebbe stato. Sul principio
scherzava :
— N o davvero, quel che voglio l ’otterrò! — di
ceva ai conoscenti. — Senza figli un uomo non è
uomo. È così, come un pezzo di terra senza sem i
na... È tutt’altra cosa quan do per casa ti sgambettan o
di quei tombolini...
Poi fu preso persin o da spaven to: che è questo?
un a l ’ha soffocato nel sonno, l ’altra li partorisce m or
ti! E il periodo dell’ultima gravidan za di N ast àsja
Petròvna fu un periodo duro. Tìch on Ilijc si finiva,
s’incattiviva; Nastàsja Petròvna di nascosto pregava,
di nascosto pian geva e faceva pen a e fastidio quan
do piano pian o scendeva la notte dal letto al lume
della lampadin a, credendo che il marito dormisse,
e comin ciava a mettersi a fatica in ginocchio, a cur
varsi sul pavimen to mormoran do, a guardare con 1
3.
18 CAMPAGNA
1.
Podestà rurale, anziano del paese.
. Carro stretto a quattro ruote con un’asse imbottita tra una
2
sponda e l'altra, su cui si può stare a cavalcioni.
CAMPAGNA 19
— N o, l ’erede!
— Allora è un ’altra faccenda. Un o così anche
sbudellarlo non è peccato!
— Ah ! ecco, proprio qui sta il pun to!...
Ma giun geva un ’altra notizia - che avrebbero tol
to anche le terre di estensione in feriore a cinquecen
to desjat ìn e\ - e di colpo la svagatezza, la diffidenza,
la voglia di attaccar briga si impadronivan o dell’a
nimo suo. Tutto ciò che si faceva per la casa co
minciava a sembrargli odioso.
Jegòrka, il garzone, portava fuori di bottega i sac
elli della farin a e si metteva a scuoterli. La sua te
sta ricordava quella dello scemo di città « M òtja te
sta d ’anatra ». Il cocuzzolo a punta, i capelli ispidi
e folti, - « e perché gli scemi li hanno così folti ? »
- la fronte breve e schiacciata, la faccia come un uo
vo storto, gli occhi sporgen ti e le palpebre con le
ciglia bianche da vitello quasi tese su di essi: pare
va che man casse la pelle, che se il ragazzo chiudeva
le palpebre dovesse spalan care la bocca, se chiudeva
la bocca dovesse spalan care le palpebre. E Tìch on
Iljìc arrabbiato gridava:
— Grullon e! Perché la scuoti addosso a m e?
La cuoca portava fuori un bauletto, lo apriva, lo
capovolgeva e si metteva a picchiare sul fon do col
pugno. E, capito di che si trattava, Tìch on Iljìc ada
gio tentennava il capo:
— Ah, m assaie, che vi possan o!... Fai uscir fuori
gli scarafaggi?
— Qui ce n ’è proprio un nuvolo! — giocon da
mente rispondeva la cuoca. — Se vedeste, un ’ira di
Dio!
CAMPAGNA 37
1. Rivoltella.
2. Proverbio.
CAMPAGNA 45
4.
50 CAMPAGNA
1. Capra.
2. Cfr. nota a pag. 5.
3. Plurale di m jescjan ìn .
CAMPAGNA 59
1. Il digiuno di S. Pietro.
CAMPAGNA 67
E all'improvviso soggiunse:
— Muda. Tutto muda!
Perché gli fosse sfuggita di bocca questa parola,
lo stesso Tìchon Iljìc non lo sapeva, ma sentiva che
pure non era stata detta invano. “Tutto muda” pen
sò, “ecco come il bestiame dopo un lungo e duro
inverno...” E, salutato l’impiegato postale, rimase a
lungo sulla strada guardandosi attorno malcontento.
Di nuovo cadeva una pioggia minuta, soffiava un
vento sgradevole, umido. Sui campi ondeggianti —
seminati, lavorati, coperti di stoppia - e sui bruni
boschi novelli si faceva scuro. Il cielo fosco sempre
più si abbassava verso la terra. Le strade molli di
pioggia luccicavan qua e là come fossero di stagno.
Alla stazione si aspettava il diretto che ogni giorno
ritardava di un’ora e mezza circa. Soltanto dai segna
li di campana, dai fischi, dal fracasso, dall’odore di
carbon fossile e di sam o v ar si sapeva nella corte di
Tìchon Iljìc che il treno arrivava e partiva: la sta
zione era nascosta dai fabbricati. Anche adesso si
sentiva odore di sam o v ar, e questo suscitava un de
siderio nostalgico di comodità, di una stanza calda
e pulita, di una famiglia, ovvero di partire per qual
che luogo... Ma d ’un tratto questa sensazione si mutò
in meraviglia: dal bosco spoglio di Uljànovka era
uscito e si dirigeva verso la strada carrozzabile un
uomo col cappello sodo e la sola giacca, e, dopo aver
lo guardato bene, Tìchon Iljìc riconobbe Zicharjòv,
che da molto tempo non faceva che ubriacarsi, figlio
di un ricco possidente. Il cuore gli si strinse sgrade
volmente. “Ma tant’è” pensò Tìchon Iljìc con un
senso di angoscia, “è meglio chiacchierare un po’ con
CAMPAGNA 69
5.
82 CAMPAGNA
1. Diminutivo di D en is.
CAMPAGNA 109
6.
P a r t e Se c o n d a
Kuzmà quasi tutta la vita aveva sognato di scri
vere e di imparare.
Che erano i versi! A far versi si era divertito da
piccolo. Aveva voglia di raccontare come andava in
rovina, di dipingere con una spietata sincerità senza
precedenti la sua miseria e quella esistenza terribile,
nella sua usualità, che l’aveva reso un invalido, un
fico sterile.
Riflettendo sulla sua vita egli si condannava e si
giustificava.
Sicuro, lui povero borghesuccio di provincia, qua
si sino a quindici anni aveva letto sillabando. Ma
la sua storia era la storia di tutti gli autodidatti rus
si. Era nato in un paese che aveva più di cento mi
lioni di analfabeti. Era cresciuto a Cjòrnaja Slobòda
dove ancora si battevano a morte nei pugilati. Ave
va veduto nell’infanzia sporcizia e ubriachezza, pi
grizia e tedio. L’infanzia gli aveva dato una sola im
pressione poetica: vi era uno scuro bosco adiacente
al cimitero, e un vastissimo pascolo sul poggio di
là da Slobòda, e più oltre un’ampia distesa, l’aria
calda tremante della steppa e una remota capanna
bianca sotto a un pioppo. Ma persino contro quella
capanna gli avevano inculcato avversione: ci abita-
118 CAMPAGNA
1. Il ministro W itte.
CAMPAGNA 145
7.
146 CAMPAGNA
9.
210 CAMPAGNA
1. Dimin. di samovar.
216 CAMPAGNA
1. Funzionario di polizia.
10 .
242 CAMPAGNA
11.
274 V A LSEC C A
— Tanto.
— Tu lo nomini sempre nelle tue preghiere?
— Sempre.
— Fu come dicono che ti prese uno svenimento,
quando ti portarono a Sòski?
— Davvero, uno svenimento. Noi altri, domesti
ci, eravamo delicati da far paura... deboli ad ogni
pena... da non paragonarsi con un vecchio agricol
tore! Quando Eusebio il Cornuto mi portò via col
baroccio, io ero stordita dal dolore e dallo spavento.
In città, per esserci disavvezza, per poco non asfis
siai. E quando noi uscimmo sulla steppa, quanta
tenerezza e quanto rimpianto mi venne! Passò via
contro a noi un ufficiale, che pareva tutto l u i : io
detti un grido, e giù come morta! E ritornata in
me, giacevo ancora così in fondo alla carretta e pen
savo: ora tutto m’è bello, come nel regno dei cieli!
— Era severo?
— Dio ce ne scampi!
— Sì, ma nondimeno nevvero che la più bizzarra
di tutti era la zia?
— Proprio lei, proprio lei. Io mi confido con
voi: la portarono perfino da un sant’uomo. Noi
c’eravamo abituate ai patimenti con lei! Ella avreb
be potuto campare dell’altro ed esser viva anche og
gi, come si deve, ma s’insuperbì e la testa non le
disse più il vero... Che bene le voleva Vojtkjèvic!
Invece, guarda un po’...!
— Dicci un po’ : e il nonno?
— Il nonno? Era debole di mente, e si sa, anche
a lui ne capitaron delle belle. A quei tempi eran
tutti di fuoco... Ma in compenso i signori d’allora
298 V A LSEC C A
12.
306 V A LSEC C A
13.
338 V A LSE C C A
14.
370 V A LSE C C A
— Nàstja!
Io perfino trasalii tutta.
— Che volete, Nikanòr Matvéic?
Sentii il cuore saltarmi in gola.
— Tu sai dov’è il mio salvadanaio?
— No — dico — io questo, Nikanòr Matvéic,
non lo posso sapere. Non ho mai avuto in mente
intenzioni cattive contro di voi.
— Alzati, apri il cassetto di sotto il guardaroba,
prendi la vecchia fisarmonica, è lì dentro. Dammelo
qua.
— Ma perché lo volete?
— Così. Voglio contare il denaro.
Io rovistai nel cassetto, alzai il coperchio della
fisarmonica, e lì nel mantice era nascosto un elefan
te di latta, discretamente pesante, lo sentii. Lo cavai
fuori, glielo porsi. Lo prese, lo fece risuonare, se
lo mise accanto, un vero bambino, per Dio! e si
mise a pensare chissà a cosa. Taceva, taceva, ma poi
sorrise e disse:
— Io, Nàstja, questa notte ho fatto un bel so
gno, che mi ha fatto svegliare prima dell’alba, e
sono stato molto bene tutto il giorno fino all’ora di
pranzo. Guarda un po’, mi sono perfino rasato e fat
to elegante per te.
— Ma voi, Nikan òr Matvéic, andate sempre ben
vestito.
E io stesso non capisco quello che dico, tanto sono
agitata.
— Be’ •—- dice — a quanto pare è all’altro mon
do ormai che mi toccherà andare. Che bel giovane
398 U N A B E L L A V IT A
Capri, 1911.
L’AMORE DI MITIA
Titolo originale :
M Ì T I N A LIU BO V '
II
Ili lI
VI
VII
Vi l i
IX
XI
XII
XIII
XIV
17.
466 L'A M O R E D l M I T I A
profumato, benedetto
il mondo dell’amore è innanzi a me...
— Non toccatemi! — gridò Sonka, sinceramen
te spaventata, cercando di sollevare e di scuoter via
la testa ch’egli premeva. — Se no, grido in manie
ra da far ululare tutti i lupi nel bosco! Non ho
nulla per voi, c’era il fuoco, ma si è spento! Sono
svelta e canterina, non adatta per voi!
Mitia aveva chiuso gli occhi e taceva. Il sole,
frantumandosi attraverso il fogliame, i rami e la
fioritura dei peri, gli screziava il viso di calde mac
chie, glielo solleticava. Sonka teneramente e rabbio
samente diede uno strappo ai neri ruvidi capelli di
lui. « Proprio come il crine del cavallo » gridò e
gli coprì col berretto gli occhi. Sotto la nuca egli
sentiva le gambe di lei - la cosa più paurosa al
mondo, le gambe femminili! - col capo le sfiorava
il ventre, sentiva l’odore della gonna di cotone e
della camicetta, e tutto ciò si mescolava col giardi
no fiorito e con Catia; il languido schioccare degli
usignoli in lontananza e, da vicino, il ronzìo inces
sante, voluttuosamente sonnolento d’innumerevoli
api, la tiepida aria melata e persino la semplice
sensazione della terra sotto la schiena tormentava
no, facevano languire con la sete di chi sa quale
felicità sovrumana. E a un tratto nell’abetaia qual
cosa frusciò, rise allegramente e con maligna esul
tanza; poi sonoramente echeggiò: «cuccù! cuccù!»,
e così paurosamente, così in rilievo, così da vicino
e così distintamente che si udiva il rantolo e il tre
mito della linguetta aguzza, e il desiderio di Catia
470 L ’A M O R E D I M I T I A
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
18.
498 L'A M O R E D I M I T IA
XXIII
XXIV
XXV
Il ritorno fu scandaloso.
Trifon non era rimasto in debito, aveva messo
anche dal canto suo una bottiglia, e l’anziano si era
così sborniato che non subito era riuscito a montare
sul barroccino: da prima vi era caduto sopra, e il
puledro spaventato aveva dato uno strappo e per
poco non era galoppato via da solo. Ma Mitia ta
ceva, guardava impassibile l’anziano, aspettava ch’e
gli si mettesse a posto, pazientemente. L’anziano
aizzava di nuovo il cavallo con un furore assurdo.
Mitia taceva, si teneva aggrappato forte, guardava
il cielo vespertino, i campi che tremavano e salta
vano rapidamente davanti a lui. Nel tramonto, al
di sopra dei campi, finivano di cantare le loro miti
canzoni le allodole, a levante, già inazzurrato per
la notte, scoppiavano quei lontani, pacifici lampi che
non preannunciano nulla, tranne il bel tempo. Mitia
capiva tutta questa bellezza serale, ma ora essa gli
era del tutto estranea. Nei pensieri, nell’anima c’era
una cosa sola: domani sera!
A casa lo aspettava la notizia ch’era stata rice
vuta una lettera confermante che Ania e Costia sa
rebbero arrivati il giorno dopo, col treno della sera.
Egli inorridì : sarebbero arrivati, corsi di sera in giar
dino, potevano dirigersi alla capanna, dentro il bor
ro... Ma subito si ricordò che dalla stazione li avreb
bero portati non prima delle dieci, poi li avrebbero
rifocillati, ristorati col tè...
L ’A M O R E D I M IT IA 509
XXVII
XXIX
le! Oh, sì, sì, egli lo sapeva: era inutile! Tutto era
finito e finito per sempre! Ella era caduta, conta
minata per sempre e senza ritorno! E non c’era li
mite alla disperata impotenza, all’amore, alla tene
rezza, e al disgusto verso di lei!
Prima di sera la pioggia che si era abbattuta sul
giardino con forza decuplicata e con improvvisi col
pi di tuono lo sospinse finalmente in casa. Bagnato
dalla testa ai piedi, battendo i denti per un tremito
gelato in tutto il corpo, egli si sporse a guardare
di sotto gli alberi e, accertatosi che nessuno lo ve
deva, andò di corsa sotto la sua finestra, sollevò di
fuori l’intelaiatura — l’intelaiatura era antica, con la
metà scorrevole - e, saltato dentro la stanza, chiuse
la porta a chiave e si gettò sul letto.
E cominciò rapidamente a imbrunire. La pioggia
frusciava da per tutto, e sul tetto, e intorno alla
casa, e in giardino. Il suo fruscio era duplice, di
verso, uno in giardino, un altro presso la casa, con
l ’ininterrotto mormorio e sciacquìo delle grondaie
che riversavano l’acqua nelle pozzanghere. E ciò crea
va per Mitia, caduto istantaneamente in un irrigidi
mento letargico, un’agitazione inesplicabile e insieme
con la febbre, di cui ardevano le sue narici, il suo
respiro e la testa, lo immergeva in una specie di
narcosi, creava una specie di altro mondo, un altro
crepuscolo in qualche altra casa estranea, in cui c’e
ra il terribile presentimento di qualcosa.
Egli sapeva, egli sentiva ch’era nella propria stan
za, già quasi buia per la pioggia e per la sera immi
nente, che là, in sala, alla tavola del tè, si udivano
le voci della mamma, di Ania, di Costia e del geo
L'A M O R E D I M I T I A 519
XX X
19.
530 L’AFFARE DELL'ALFIERE ELAGHIN
II
Ili
Sull’altro :
« Q u an d m ê m e p o u r t o u jo u rs... »
IV
Il procuratore diceva:
— Vi sono due categorie di delinquenti. Anzi
tutto, i delinquenti casuali, i cui reati sono frutto
di un disgraziato concorso delle circostanze e del
l’irritazione chiamato scientificamente « breve fol
lia ». E, secondariamente, i delinquenti che compio
no quello che compiono per un disegno cattivo e
premeditato: sono i nemici innati della società e
dell’ordine sociale, sono i lupi criminali. A quale
categoria dunque ascriveremo noi l’uomo seduto da
vanti a noi sul banco degli accusati? Certo, alla se
540 L’AFFARE DELL’ALFIERE ELAGHIN
VI
E più in là:
L’AFFARE DELL’ALFIERE ELAGHIN 555
E, infine:
« Farabutto! ».
IX
E ancora:
20.
562 L’AFFARE DELL’ALFIERE ELAGHIN
XI
XII
XIII
XIV
XV
24.
654 I GRILLI
Le o p e r e
Ed iz io n i e t r a d u z io n i
La c r i t i c a
n in in Silu et y ru ssk ich p isat e lej, III, ivi 1908, 4.a ed., Berlin o
1923 - F. Stepun , Lit erat u rn y e z am et k i in “ Sovremennye za-
pisk i” , XXV I I I , Parigi 1926 - D . Gorbov, M e rt v aja k rasot a
i z iv u éee bez obraiz e in U n as i z a ru b ez om , Mosca 1928 - F.
Stepun , Iv an Bu n in in “ Sovremennye Z ap isk i” , LIV, Parigi
1934 (ristam pato in V st re ii, Münch en 1962) - B. V. Mich aj-
lovskij, T v or cest ro I. A . Bu n in a in R u ssk aja lit erat u ra X X
v ek a, M osca 1939 - V. A. Aleksan drova, I. A . B u n in in “No-
vyj Z u m al” , XII, New Yor k 1946 - L. Rževskij, Pam jat i I. A .
B u n in a in “Gran i” , n. 20, Fr an kfu r t/M ain 1953 - N . U l’ja-
nov, Post e Bu n in a in “Novyj Z u m al” , X X X V I , New York
1954 - B. Narcissov, Bu n in p oet , in “ Gran i” , n. 24, Fr an k fu r t/
Main 1955 - A. Volkov, I. A . B u n in in O cerk i ru ssk o j litera-
tu ry k on ca X I X i n at ala X X v ek ov , M osca 1955 - Ju r ij Ada-
movič, Bu n in in O d in oéest v o i sv ob od a, New Yor k 1955 - S.
V. Kastorsk ij, G or’h ij i Bu n in (I z ist o rii id ejn o- t v oriesk ich
v z aisn ov ot n osen ij) in “ Zvezda” , 1956, n. 3 - Struve, Gleb. B u
nin in R u ssk aja lit erat u ra v iz gan ii , New Yor k 1956 - O. Mi-
ch ajkov, Bu n in i T o lst o j in L . N . T o lst o j. Sb orn ik st at e j o
t v orcest v e , II, Mosca 1959 - L. Niku lin , Čech ov , Bu n in , K u
p rin . Lit erat u rn y e portrety , ivi I960 - K. G. Paustovskij, Iv an
Bu n in in T aru ssk ie stran icy , Kalu ga 1961 - A. Sedych, I. A .
B u n in in D ale k ie, B liz k ie , New Yor k 1962 - T. M. Bon am i,
Ch u d oz est v en n aja p roz a I. A . B u n in a (1887- 1904), Vladim ir
1962 - K. Zajcev, I. A . Bu n in . Z iz n ’ i tv orcestv o, Berlin o, s.d.
Campagna 1
Vaisecca 269
Una bella vita 379
L’amore di Mitia 419
Racconti :
L’affare dell’alfiere Elaghin 525
Ida 585
Un colpo di sole 601
Il romanzo di un gobbo 615
Lanterne rosse 619
Il libro 625
Vestaglia a ricami 631
Una gola montana 641
I grilli 645
N ote 669
QUESTO VOLUME È STATO IMPRESSO
N EL MESE D I MAGGIO D ELL’ANNO
MCM LXIX N ELLE O FFICIN E GRAFICH E
VERO NESI D I ARNOLDO MONDADORI
PER CONTO D ELLA UTET