Affare Dreyfus
Affare Dreyfus
L'affare costituì lo spartiacque nella vita francese tra i disastri della Guerra
franco-prussiana e la Prima Guerra Mondiale: costrinse ministri a dimettersi,
creò nuovi equilibri e raggruppamenti politici, spinse a un tentato colpo di Stato.
Si crearono e scontrarono, nell'arco di due decenni, due campi profondamente
opposti: i "dreyfusardi", che difendevano l'innocenza di Dreyfus (tra loro si
distinse Émile Zola con il suo intervento giornalistico denominato "J'accuse"), e
gli "antidreyfusardi", partigiani della sua colpevolezza. La degradazione di Alfred Dreyfus
Indice
Contesto storico
L'origine dell'Affaire: la scoperta del «bordereau»
L'accusato
L'Affaire
L'arresto
Il giudizio militare e la degradazione
L'Isola del Diavolo e la prosecuzione delle indagini
La risonanza mediatica e la nascita dell'intellettuale moderno
Il Processo di Rennes: 7 agosto - 9 settembre, 1899
La grazia, 19 settembre 1899, e la lenta riabilitazione, 12 luglio 1906
Il ferimento del 1908
La morte di Dreyfus
Commenti e interpretazioni dell'Affaire
Tappe principali
Curiosità
Drammi teatrali sull'Affaire
Romanzi storici sull'Affaire
Opere audiovisive sull'Affaire
Note
Bibliografia
Collegamenti esterni
Contesto storico
La Francia della Terza Repubblica si trovava, all'indomani della sconfitta nella guerra franco-prussiana - a cui era seguita
l'invasione della Prussia e la distruzione della Comune di Parigi - lacerata al suo interno dal contrasto tra i repubblicani e i
monarchici. A causa dell'aumento della popolazione ancora legata alla monarchia, era sempre possibile un ritorno della corona.
Ancora pochi anni prima, il generale Patrice de Mac-Mahon, allora presidente della repubblica, sciolse l'Assemblea Nazionale il
16 maggio 1877, intenzionato a favorire il ritorno al trono della dinastia degli Orléans; tuttavia l'intento non ebbe seguito e, anzi,
lo stesso Mac-Mahon rimase in carica come Presidente per un periodo di 7 anni (come venne stabilito proprio in quel periodo,
con un dibattito parlamentare del 9 novembre 1873), impegnandosi da quel momento sempre più a favore dello stato, nel rispetto
della propria carica. Tuttavia, in questi due decenni, la Francia beneficiò di prosperità e crescita che crearono la sensazione di un
apparente successo della Terza Repubblica. Dal 1879 al 1899 furono al potere i repubblicani moderati; mentre gli esponenti di
forze fortemente conservatrici, comunque molto forti, si raggrupparono attorno al ministro della Guerra Georges Boulanger, dal
quale presero il nome di boulangisti.
L'accusato
Dreyfus, un ufficiale di artiglieria ebreo alsaziano assegnato allo Stato Maggiore dell'esercito francese, ha 35 anni, è un ricco
ebreo originario di Mulhouse, in Alsazia. Dopo la sconfitta della Francia con la Prussia, nel 1870, e la cessione dell'Alsazia ai
tedeschi l'anno successivo, ha optato per la nazionalità francese. Decide di lasciare l'industria di famiglia per dedicarsi al mestiere
delle armi, cosa abbastanza insolita per un ebreo dell'epoca. Sogna la «Revanche», la rivincita contro i tedeschi, ed è certo di
rivedere un giorno la bandiera della Francia sventolare nuovamente sull'Alsazia. Ha da poco terminato la Scuola di Guerra
classificandosi tra i primi, nono su ottantuno partecipanti al corso. Dal 1º ottobre sta effettuando uno stage presso il ministero
della Guerra con altri giovani ufficiali. È uno dei pochi ebrei che sono riusciti a sfondare il muro dell'ostracismo antisemita molto
diffuso nell'esercito e contro i quali si scatenò due anni prima lo scrittore e polemista Édouard Drumont, con una serie di articoli
sul suo giornale «La Libre Parole». Dreyfus è ricco, sposato con la figlia di un ricco commerciante di diamanti, due bambini, una
bella casa e amici.
L'Affaire
Il caso scoppiò il 26 settembre 1894 quando i primi atti istruttori, su un'accusa di spionaggio a favore dell'Impero Tedesco,
vengono redatti dai servizi segreti, che indicano in Dreyfus l'autore della lettera indirizzata a Maximilian von Schwartzkoppen,
addetto militare tedesco, nella quale si annunciava l'invio dei documenti militari.
L'arresto
Sabato 13 ottobre 1894, il capitano ricevette l'ordine scritto di presentarsi lunedì 15, alle ore 9, al Ministero della Guerra, per
un'ispezione generale dal ministro Auguste Mercier[2].
Lunedì 15 ottobre 1894, quando il capitano si presentò, l'arresto ebbe luogo dopo una serie di anomalie procedurali che,
probabilmente, cercavano di precostituire la prova a carico[3]. Tre uomini in borghese si precipitarono su Dreyfus, lo afferrarono
per le braccia e lo perquisirono[4]. Ad un Dreyfus sempre più sconvolto, l'ufficiale di polizia Cochefert mostrò discretamente una
pistola seminascosta fra un mucchio di carte: quando fu però chiaro che Dreyfus non accettava l'implicito[5] invito al suicidio,
Dreyfus protestò la sua innocenza[6]. Henry ed un poliziotto lo trascinarono via, facendolo salire su una carrozza e trasferendolo
al carcere militare del Cherche-Midi.
L'ulteriore violazione del diritto di difesa avvenne durante il tragitto, quando il vicecomandante dei servizi segreti, maggiore
Henry, finse di essere all'oscuro di tutto e interrogò abilmente Dreyfus, ma invano[7]. Il comandante del carcere, il maggiore
Ferdinand Forizin, prese in consegna il prigioniero e, infine, lo fece rinchiudere in una cella di segregazione. Per ordini superiori,
Dreyfus ebbe il divieto assoluto di comunicare con l'esterno, anche con la famiglia. Sempre per ordini superiori, sulla scheda di
incarcerazione non venne annotata alcuna accusa. Solo un nome: Dreyfus[8]. Fuori serpeggiano le voci più terribili: la Francia è
minacciata da un complotto ebraico.
Il 22 dicembre 1894, i giudici entrano in possesso di un dossier segreto che comprendeva una lettera all'addetto militare tedesco.
L'ha scritta il suo omologo italiano, Alessandro Panizzardi[10]. Vi si legge a un certo punto: «Quella canaglia di D.». Insomma,
per gli inquirenti Dreyfus sembra davvero colpevole. Lo stesso giorno, all'unanimità, il tribunale lo condanna alla degradazione
con infamia e alla deportazione perpetua ai lavori forzati nella colonia penale dell'Isola del Diavolo. Il 5 gennaio 1895, il capitano
viene prelevato dalla sua cella. Una guardia allenta le spalline e le decorazioni della sua divisa, in modo che sia più facile
strapparle. Un altro gendarme sega a metà la sciabola. È tutto pronto per la cerimonia di degradazione nel cortile della Scuola
Militare. Comincia alle otto e quarantacinque, mentre il condannato continua a ripetere: «Non sono mai stato un donnaiolo. Non
ho bisogno di soldi. Perché avrei tradito?». Gli spettatori rispondono: «Taci, miserabile Giuda».
A Dreyfus vengono strappati i gradi e gli viene spezzata la spada di ordinanza, nonostante si dichiarasse innocente e patriota.
Quando passa davanti ai giornalisti, Maurice Barrès prende un appunto: «Cosa ho da spartire con un tipo così, che avanza verso
di noi con l'occhialino sul naso etnico e con l'occhio furioso e secco? Dreyfus non è della mia razza».
Siamo nell'autunno 1896. La moglie di Dreyfus è sempre più convinta di un complotto ai danni del marito. Pretende la riapertura
del caso. E non è sola nella battaglia. Il 6 novembre, Bernard Lazare, un amico di Charles Péguy, fu tra i primi a schierarsi per
l'innocenza di Dreyfus pubblicando in Belgio il pamphlet L'Affaire Dreyfus - Une erreur judiciaire (L'Affare Dreyfus - Un errore
giudiziario). Il governo francese fa muro: Dreyfus è già stato giudicato, inutile chiedere un nuovo processo. Nel maggio 1896
Georges Picquart presenta al suo superiore, il capo di stato maggiore Boisdeffre, una relazione nella quale dimostrò l'innocenza
del capitano e accusava come reo di tradimento il maggiore Ferdinand Walsin Esterhazy. Il colonnello Picquart fu rimosso dalla
guida dei servizi segreti e spedito in zona di guerra in Africa (Tunisia) dove, nel marzo 1897, cadde da cavallo. Si rialzò un po'
ammaccato ed esclamò: «Se morissi, il segreto di Dreyfus morirebbe con me». L'ex capo dello spionaggio era convinto
dell'innocenza di Dreyfus[11].
Anche un diplomatico italiano allora di servizio a Parigi, Raniero Paolucci di Calboli, si convinse ben presto dell'innocenza di
Dreyfus: cominciò così a raccogliere materiale sul caso, tanto da lasciare ai posteri un notevole archivio, oggi conservato a Forlì.
Nel dicembre del 1900, Zola e Picquart ottennero l'amnistia per i fatti relativi all'"affaire".
Riguarda Ferdinand Walsin Esterhazy, il quale ha confessato di aver scritto di suo pugno il famoso «bordereau» per ordini
superiori, ossia del colonnello Sandherr, allora capo dell'ufficio informazioni - come ammesso anche da Henry - e ingiustamente
attribuito a Dreyfus. Venne congedato dall'esercito per aver, fra l'altro, sottratto 35.000 franchi e si trasferì in Inghilterra, dove
visse sino agli anni '20. Il nuovo processo militare comincia a Rennes il 7 agosto, svolgendosi in un'atmosfera pesantissima di
pressioni e minacce a giudici ed avvocati; Dreyfus fu condannato nuovamente per tradimento, a dieci anni con le circostanze
attenuanti. In realtà, nel corso del processo era stata ampiamente dimostrata l'infondatezza delle accuse contro di lui, ma la Corte
Militare subì forti pressioni dallo Stato Maggiore (seriamente compromesso da tutta la vicenda) affinché non annullasse la
condanna precedente. In ogni caso, la decisione fu presa non all'unanimità, ma con una maggioranza di cinque voti contro due: è
da notare che, tra i due che votarono per l'assoluzione, uno era il comandante de Bréon, cattolico praticante[14].
Nel maggio del 1900 - mentre a Parigi si era aperta l'Esposizione mondiale - la Camera dei deputati votò a stragrande
maggioranza contro qualsiasi ulteriore revisione del caso; a dicembre tutte le cause connesse con l'affare furono liquidate da
un'amnistia generale. Nel 1903 richiede inutilmente una revisione del processo, che gli viene negata. Solo dopo che Clemenceau
divenne primo ministro, egli venne pienamente riabilitato, nel 1906, con la cancellazione della condanna e la riammissione
nell'esercito col grado di maggiore. Il 12 giugno di quell'anno, a mezzogiorno, il presidente della Corte di Cassazione, Ballot-
Beaupré, legge la sentenza che annulla definitivamente il verdetto di Rennes e restituisce a Dreyfus, dopo dodici tragici anni, il
suo onore di ufficiale francese. Cosa che la Corte di Cassazione non aveva l'autorità di fare, perché avrebbe dovuto invece
ordinare la riapertura del procedimento.[15]. Una riabilitazione che si svolge nella totale indifferenza del pubblico: l'assoluzione
che doveva riparare l'errore giudiziario non venne accettata da tutto il popolo e, come vedremo, le passioni accesesi allora non si
spensero neppure a distanza di tempo. Il giorno dopo, il 13 luglio, il Parlamento reintegrò Dreyfus nell'esercito col grado di capo
squadrone e gli viene accordata l'onorificenza della Legion d'Onore. Il 21 luglio si tiene la cerimonia ufficiale di riabilitazione di
Dreyfus. Ma avviene nella corte piccola e non in quella grande della Scuola di Guerra, dove si era svolta nel 1895 la cerimonia di
degradazione.
Alla presenza del generale Picquart, di una piccola rappresentanza della guarnigione di Parigi e di pochi amici (i familiari,
Anatole France...), Alfred Dreyfus venne nominato Cavaliere della Legion d'Onore. Durante la cerimonia, Dreyfus rimane
«immobile, quasi stecchito, la testa alta, lo sguardo smarrito come in un sogno», scrisse il corrispondente del Corriere della Sera.
«Invano, il colonnello gli comanda di mettersi a riposo. Egli non comprende. Sembra una statua del dovere o del dolore». Subito
dopo la consegna della decorazione, i familiari e gli amici che lo circondano gridano: «Viva Dreyfus!». «No», corregge subito
Dreyfus: «Viva la Repubblica e viva la Verità». Il mese dopo la cerimonia della reintegrazione, Renato Simoni incontra in
Svizzera i coniugi Dreyfus. Egli scrive sul Corriere della Sera:
«È come se due statue tragiche fossero prese un giorno dal bisogno di diventare pacifiche e lasciassero
spianare la fronte, addolcire la bocca e mitigare lo sguardo. A osservarli, si comprende che l'Affare è finito.
Non ci sono più nemmeno i personaggi. Essi sono ritornati alla vita, hanno ripreso le proporzioni comuni a
tutti gli uomini.»
Dopo la sentenza del 1906, Dreyfus riprende servizio al forte militare di Viennes, ma il 26 giugno 1907 chiede di essere messo a
riposo (2350 franchi annui di pensione). L'ingiusto, mancato computo nella carriera di Dreyfus dei 5 anni passati senza colpe
all'Isola del Diavolo gli avrebbe impedito l'accesso al ruolo dei gradi di Generale.
«Avete ancora sofferto, e noi abbiamo ancora pianto. Ma non dovete più soffrire e noi non dobbiamo più
piangere. La bandiera della verità sventolerà più alta degli ululati della canea.»
Transitato nella Riserva, Dreyfus venne richiamato in servizio il 2 agosto 1914 presso il parco d'artiglieria della 168ª divisione e,
col 20º Corpo, partecipa alla battaglia di Verdun durante la Prima guerra mondiale, dove suo figlio Pierre comanda una batteria di
cannoni da 75. Proprio quei cannoni i cui studi iniziali, secondo le interpretazioni di Doise, sarebbero stati all'origine del caso di
spionaggio del 1894 e quindi di tutto l'Affare. L'ex addetto militare tedesco a Parigi, Schwartzkoppen, si ammala nell'inverno del
1916 sul fronte russo, e muore l'8 gennaio 1917, nell'ospedale militare di Berlino. Poco prima di morire, si rizzò improvvisamente
sul letto e «con voce terribile», racconta sua moglie, grida: «Francesi, ascoltatemi! Vi giuro, Dreyfus è innocente». Il 25
settembre 1918, Alfred Dreyfus, promosso tenente-colonnello, viene collocato nella Riserva. Poco dopo verrà insignito della
decorazione di Ufficiale della Legion d'Onore.
La morte di Dreyfus
Muore il 12 luglio 1935, per una crisi cardiaca. Non si era ripreso dopo un intervento chirurgico subìto alla fine del 1934. Anche
nei momenti più tremendi, continuava a ripetere: «Per me la libertà non è niente senza l'orgoglio»[16]. La stampa, nell'occasione,
mantenne in generale un atteggiamento di estrema cautela. L'atteggiamento rinunciatario della stampa fu così lodato il 19 luglio
dal giornale L'Action Française, secondo la quale «i famosi campioni della giustizia e della verità di quarant'anni or sono non
hanno lasciato discepoli»[17]
«Per nessuno di noi suonerà mai l'ora in cui il dolore si trasformerà in esultanza, la delusione in conquiste
insperate...Ma per Dreyfus e per Picquart la vita è stata "provvidenziale" come una fiaba. La ragione di tutto
ciò è che i nostri dolori hanno una base reale, sia essa fisiologica, umana o sentimentale. Le loro disgrazie
invece furono il risultato di errori. Beate le vittime degli errori giudiziari e no! Solo per loro, fra tutti gli
uomini, esistono la riabilitazione e la riparazione[18].»
Péguy rifiutò l'interpretazione secondo la quale i dreyfusardi sarebbero stati anticristiani ed antifrancesi:
«i nostri politicanti, con Jaurès in testa, Jaurès primo fra tutti, crearono quel duplice inganno politico: il
primo, che il dreyfusismo era anticristiano, il secondo che era antifrancese"[19]»
«Essa non fu soltanto il più appassionante "giallo" di fine secolo. Fu anche l'anticipo di quelle «deviazioni»
dei servizi segreti che noi riteniamo - sbagliando - una esclusiva dell'Italia contemporanea. Ma fu
soprattutto il prodromo di Auschwitz perché portò alla superficie quei rigurgiti razzisti e antisemiti di cui tutta
l'Europa, e non soltanto la Germania, era inquinata. Allora, grazie soprattutto alla libertà di stampa che
smascherò l'infame complotto, quei rigurgiti furono soffocati. Ma la vittoria dell'antirazzismo, che lì per lì
sembrò definitiva, fu, come sempre quella della Ragione, soltanto momentanea. Le cronache di oggi
dimostrano che nemmeno i forni crematori dell'Olocausto sono riusciti a liberarci dal mostro che si annida
nel subconscio delle società (con rispetto parlando) cristiane, e che proprio nell'affare Dreyfus diede la
misura più eloquente della sua abiezione. Ma quell'affare - destinato a passare alla Storia come l'Affaire per
antonomasia - segnò una svolta epocale anche per un altro motivo: per gli effetti che provocò nella
coscienza di un piccolo giornalista ebreo della «Neue Freie Presse» di Vienna, Theodor Herzl, destinato a
diventare l'apostolo e il fondatore spirituale dello Stato d'Israele (autore de "Lo stato ebraico", 1896). Herzl
aveva fino a quel momento negato l'esistenza di un problema ebraico, o meglio aveva sostenuto che per gli
ebrei c'era solo un modo di risolverlo: integrandosi e radicandosi nelle società in cui si erano accasati,
ponendo fine al loro eterno vagabondare, cioè cessando di essere ebrei. Egli era convinto ch'essi avessero
già pagato uno scotto troppo alto all'impegno di restare se stessi e che fosse venuto il momento di
rinunziarvi. Dreyfus, che non aveva mai letto Herzl, e forse ne ignorava financo il nome, ne aveva già
praticato l'insegnamento. Figlio di un ricco industriale alsaziano, che dopo Sedan si era trasferito a Parigi
per sottrarsi al giogo tedesco, era cresciuto in un tale culto per la Francia da scegliere, per meglio servirla,
la professione delle armi, nonostante la preconcetta ostilità che gli ottusi e retrivi ambienti militari nutrivano
per gli ebrei. Dreyfus pensò di poterla vincere col suo zelo: nessun soldato francese fu più soldato e più
francese di lui. Ma ciò non bastò a salvarlo quando i servizi segreti decisero di montare l'affaire di un
ufficiale ebreo al soldo dello spionaggio tedesco, che miscelava in una bomba esplosiva i due sentimenti
allora prevalenti nel Paese: l'antigermanesimo e l'antisemitismo. Fu questo episodio che aprì gli occhi ad
Herzl e lo convinse che, per sottrarsi alle persecuzioni, non bastava agli ebrei dimenticarsi di esserlo. E fu
allora che con passione missionaria si dedicò a propagandare nel mondo l'idea della ricostruzione di un
«focolare» ebraico in Palestina. Non fece nemmeno in tempo a vederne nemmeno i prodromi perché morì
all'inizio dell'affaire. Ma fu grazie a lui - e grazie a Dreyfus - che l'idea si diffuse - non senza suscitarvi
diffidenze e ostilità - nel mondo ebraico, e si tradusse in progetto... Nemmeno l'umiliazione della
degradazione e i cinque anni nell'inferno della Guyana erano riusciti ad annacquare i suoi sentimenti di
soldato francese. Amava la Patria...»
«La Francia ne è rimasta bruciata per sempre. La destra protestava: ci sono troppi ebrei nell'esercito e
nell'amministrazione, si diffondono come un'epidemia. L'antisemitismo è trionfante: Dreyfus confermava le
colpe attribuite alla "razza". Barrès e Maurras inneggiavano all'integrità della nazione francese. L'unica
difesa era l'Armée. Così il giudizio del consiglio di guerra, che aveva condannato il capitano, non poteva
essere scalfito dalla critica. I cattolici erano come invasati e anche all'estrema sinistra comunarda nonché
tra i socialisti si avvertivano lampi di odio per il capitalismo ebraico. Gli intellettuali, invece, difendevano
l'"universalità" dell'individuo, i diritti dell'uomo, l'innocenza evidente di Dreyfus. Dreyfus resta il simbolo
dell'errore giudiziario. È il "memento" storico per gli intellettuali, la molla che li fa scattare. I suoi sostenitori,
però, non gli hanno mai perdonato di aver accettato la grazia presidenziale»
«nel diario inedito da me scoperto che va dal 1889, anno del processo di Rennes, al 1906, quando la
Cassazione annullò la sentenza, Dreyfus cancella il cliché di uomo freddo, marziale, antipatico. La
marionetta di piombo, come si diceva. Troviamo in quelle pagine, invece, un essere timido e introverso, che
parla solo alla propria anima. Tutti biasimavano il suo aver accettato la grazia. Cosa doveva fare? Si deve
leggere il diario. Era sul punto di morire: l'Isola del Diavolo lo aveva distrutto. Altri dieci anni di carcere,
anche in Francia, gli avrebbero dato il colpo finale»
Tappe principali
1894: accusa e arresto
1895: prima condanna di Dreyfus (all'ergastolo), degradazione militare e deportazione
13 gennaio 1898: Émile Zola pubblica il celebre "J'Accuse"
1899: seconda condanna in appello (a 10 anni)
19 settembre 1899: grazia presidenziale
1906: annullamento della sentenza da parte della Cassazione e riabilitazione con la reintegrazione militare da
parte del Parlamento, ma non viene eseguita la revisione penale in appello
1907: collocamento a riposo di Dreyfus
1908: ferimento dell'ufficiale in un attentato nazionalista
1935: morte di Dreyfus, senza aver mai ricevuto l'assoluzione piena in un processo
Curiosità
Diversamente da quanto accade ad altri intellettuali, la militanza dreyfusiana non chiude a Proust le porte dei
nobili del Faubourg, forse perché Marcel è simpatico, timido, misurato. Ad una cena, protesta, educatamente,
con il romanziere Barrès per alcune dichiarazioni che ha fatto contro la poetessa dreyfusiana Anna de Noailles.
Barrès scoppia in una risata ironica: «Be', che significa questa improvvisa esplosione dreyfusiana?». Proust,
scrive il biografo George D. Painter, «ripiega in disordine accanto al caminetto, sotto una fila di preziosissime
statuette di Tanagra... Improvvisamente, ci fu un gran fracasso, Proust aveva sbadatamente fatto cadere la più
bella delle statuette». Per la cronaca, la statuetta verrà esposta nel 1953 alla Bibliothèque Nationale con il
cartellino: «N.94 Statuetta di Tanagra rotta da Marcel Proust»[22].
L'Imperatrice Eugenia (consorte del defunto Napoleone III) era una «dreyfusard»: lo difese dallo storico Gustave
Schlumberger - convinto della colpevolezza di Dreyfus - che usava interrompere chiunque parlasse a favore
dell'ufficiale francese di visione del mondo ebraica, ma ascoltò senza contraddire l'ex Imperatrice nella difesa che
ne fece all'Hotel Continental, a Parigi.
La moglie di Dreyfus, Lucie, muore il 14 dicembre 1945, a Parigi, dopo aver passato a Tolosa sotto falso nome gli
anni dell'occupazione nazista. Tra gli otto nipoti di Dreyfus, Madeleine Lévi, la preferita dell'ex deportato dell'Isola
del Diavolo, combatte nella Resistenza francese durante la seconda guerra mondiale. Arrestata e torturata,
muore nel campo di concentramento di Auschwitz, vittima dello stesso odio che tanti anni prima aveva travolto
suo nonno.
Note
1. ^ George D. Painter, Marcel Proust, Feltrinelli, p. 226.
2. ^ È la prima volta, a conoscenza del destinatario, che il ministero ricorre a «una procedura così burocratica»:
l'ordine di servizio è portato da un sergente di servizio al ministero della Guerra, che si presenta all'abitazione del
capitano al numero 6 di Avenue du Trocadéro. In assenza del capitano, si rifiuta di lasciare il documento alla
giovane moglie, Lucie Hadamard. Il militare ritorna alcune ore dopo. Alfred Dreyfus è in casa e sigla, con una
certa sorpresa, la ricevuta che il sergente intende fargli firmare.
3. ^ Dreyfus, presentatosi in anticipo alle ore 8.50, è sorpreso «dal fatto di non trovare alcun collega, quando in
genere, gli ufficiali stagiaires sono convocati in gruppo per l'ispezione generale». Trova ad attenderlo il maggiore
Picquart, dello Stato Maggiore, che lo fa accomodare nel suo ufficio. Parlano per due minuti di cose banali, poi
Picquart lo scorta nell'ufficio del capo di Stato Maggiore, il generale Charles de Boisdeffre, che però non è
presente. Dreyfus viene ricevuto dal maggiore Armand du Paty de Clam, in uniforme, il quale, parlando con voce
alterata, non si presenta e invita Dreyfus a sedersi accanto a lui, davanti a un tavolino, e a scrivere una lettera.
Du Paty, adirato, detta a Dreyfus: «Parigi, 15 ottobre 1894. Avendo il più pressante interesse, Monsieur, a tornare
momentaneamente in possesso dei documenti che le ho inviato prima della mia partenza per le manovre, La
prego di farmeli recapitare [...] Le ricordo che si tratta: uno, di una nota sul freno idraulico del cannone da 120...».
Di colpo, du Paty si interrompe ed esclama, irritato: «Cos'ha capitano? Lei trema!». «Come? Ma no, ho solo
freddo alle dita..». «Stia attento, è grave!». Dreyfus lo guardò perplesso, volendogli chiedere spiegazioni su
questa strana «ispezione», ma, da buon militare, si limitò a obbedire e, per quanto sorpreso, si impegnò a
«scrivere meglio», come scrisse nelle Memorie. Poi, avendo ripreso a dettare alcune frasi, du Paty si interruppe,
si alzò, gli appoggiò una mano sulla spalla e con voce tonante dichiarò: «In nome della legge, la arresto. Lei è
accusato di alto tradimento».
4. ^ Erano Cochefert, il capo della Sureté di Parigi, il suo segretario e Gribelin, l'archivista dell'Ufficio di Statistica,
ossia il servizio segreto dell'Armée. Dreyfus rimase inebetito. Come disse più tardi: «Un fulmine che fosse caduto
davanti ai miei piedi non avrebbe provocato in me un'emozione più violenta». Spaventato, comincia a profferire
parole senza senso. Infine, indignato, reagì: «Niente nella mia vita può prestare il fianco a una accusa così
mostruosa! Ecco, prendete le chiavi, frugate tutta la mia casa [...] Sono innocente...Mostratemi le prove
dell'infamia che avrei commesso!». Du Paty accusa: «Le prove sono schiaccianti». Sfoglia nervosamente il
Codice Penale e grida: «Articolo 76: chiunque intrattenga rapporti di spionaggio con potenze straniere sarà punito
con la pena di morte!».
5. ^ Con il classico invito al traditore perché si faccia giustizia da solo, Du Paty de Clam esce dalla stanza,
aspettando il colpo di pistola. Niente. Rientra nella stanza scortato dal maggiore Henry, il vice comandante
dell'Ufficio di Statistica, che, nascosto dietro una tenda, ha assistito a tutta la scena. Il maggiore Henry borbottò
un insulto: «Vigliacco!».
6. ^ «No, non mi uccido perché sono innocente. Devo vivere per dimostrarlo! Mi sarà fatta riparazione per questo
affronto!».
7. ^ Nel suo rapporto, poi, dichiarò: «L'accusato finge di non sapere nulla».
8. ^ Gianni Rizzoni, L'Arresto. Capitano, lei trema?, in La Voce, 16 ottobre 1994, p. 22.
9. ^ Robert Stewart, 1894. L'"affaire Dreyfus" spacca in due la Francia, in Cronologia illustrata dei grandi fatti della
Storia, Idealibri, 1993, p. 204.
10. ^ Pierre Gervais et al., Une relecture du «dossier secret»: homosexualité et antisémitisme dans l'Affaire Dreyfus,
Revue d’histoire moderne et contemporaine 2008/1 (n° 55-1).
11. ^ Mario Ajello, Dreyfus, Caso Mostruoso. Cento anni fa cominciava l'"Affaire" che sconvolse la Francia, in La
Voce, 16 ottobre 1994, p. 21.
12. ^ Christophe Charle, Letteratura e Potere, Palermo, Sellerio, 1979.
13. ^ Tuchman, Tramonto di un'epoca, Arnoldo Mondadori Editore.
14. ^ (FR) J.-D. Bredin, Bernard Lazare, le premier des dreyfusards, Paris, Editions de Fallois, 1992, p. 263.
15. ^ Hannah Arendt, L'affare Dreyfus, cap. 4, in Le origini del totalitarismo, Torino, Einaudi.
16. ^ Gianni Rizzoni, La riabilitazione. Fermo come una statua, in La Voce, 16 ottobre 1994, p. 23.
17. ^ Hannah Arendt, L'affare Dreyfus, cap. 4, in Le origini del totalitarismo, Torino, Einaudi, p. 126.
18. ^ «E Proust andò alla ricerca delle firme. L'impegno dello scrittore nella famosa petizione», domenica 16 ottobre
1994, p.22, «La Voce»
19. ^ Charles Péguy, La nostra giovinezza, Roma, Editori Riuniti, 1993, p. 93.
20. ^ Indro Montanelli, Una storia ancora esemplare, in La Voce, 16 ottobre 1994, p. 21.
21. ^ Ulderico Munzi, Dreyfus. Io, innocente all'inferno, in Corriere della Sera, 23 dicembre 1997.
22. ^ «E Proust andò alla ricerca delle firme. L'impegno dello scrittore nella famosa petizione», domenica 16 ottobre
1994, p. 22, «La Voce»
Bibliografia
Amilcare Locatelli, L'Affare Dreyfus (La più grande infamia del secolo scorso), Corbaccio, Milano, I ed. 1930,
pp. 555.
Bruno Revel, L'affare Dreyfus (1894-1906), Collana Drammi e segreti della storia n.33, Milano, Mondadori, 1936,
pp. 376; Collana I Record, Mondadori, Milano, 1967.
Nicholas Halasz, "Io accuso" - L'affare Dreyfus, Baldini & Castoldi, Milano, 1959, pp. 368; col titolo Il capitano
Dreyfus. Una storia d'isterismo di massa, Club degli Editori, 1974, pp. 303.
Hannah Arendt, L'affare Dreyfus, cap. 4, in Le origini del totalitarismo, Torino, Einaudi.
Denis W. Brogan, Storia della Francia moderna. Volume I: Dalla caduta di Napoleone III all'Affare Dreyfus, trad.
Felice Villani, La Nuova Italia, 1965, pp. VIII-508.
Comune di Forlì - Comune di Roma, Dreyfus. L'affaire e la Parigi fin de siècle nelle carte di un diplomatico
italiano, Edizioni Lavoro, Roma, 1994.
Gianni Rizzoni, Il caso Dreyfus, Collana I documenti terribili n. 14, Mondadori, Milano, 1973, pp. 162.
Christophe Charle, Letteratura e potere, trad. Paolo Brogi, introduzione di Vincenzo Consolo, Collana Prisma n.
9, Sellerio Editore, Palermo, 1979, pp. 53.
Bernard-Henri Lévy, Le avventure della libertà. Dall'affare Dreyfus a Louis Althusser: storia degli intellettuali
francesi, Rizzoli, Milano, 1992, ISBN 978-88-17-84176-4, pp. 378.
Mathieu Dreyfus, Dreyfus, mio fratello, Collana Biografie, Editori Riuniti, Roma, 1980, pp. 260.
Norman L. Kleeblatt (a cura di), L'Affare Dreyfus. La storia, l'opinione, l'immagine, trad. Stefano Galli, Collana
Nuova Cultura n. 17, Bollati Boringhieri, Torino, 1990, ISBN 978-88-339-0511-2, pp. XXIX-267.
(EN) Albert S. Lindemann, The Jew Accused. Three Anti-Semitic Affairs: Dreyfus, Beilis, Frank. 1894-1915,
Cambridge University Press, 1993.
Gianni Rizzoni, Dreyfus. Cronaca illustrata del caso che ha sconvolto la Francia. Prefazione di Indro Montanelli,
Editoriale Giorgio Mondadori, Milano, 1994-1999, ISBN 978-88-374-1398-9, pp. 250.
Fausto Coen, Dreyfus, Collezione Le Scie, Mondadori, Milano, 1994-1995, ISBN 978-88-04-38760-2; Collana
Oscar Storia, Mondadori, Milano, 2002, ISBN 978-88-04-51152-6, pp. 294.
Vittorio Orsenigo - Giangilberto Monti, Dreyfus, Collana Cristallo di Rocca n. 10, Greco e Greco, 1999, ISBN 978-
88-7980-213-0.
Bernard Lazare, L'Affaire Dreyfus. Un errore giudiziario. A cura di Paolo Fontana, Collana Lunaria n. 25,
Mobydick, 2001, ISBN 978-88-8178-173-7, pp. 96.
Alfred Dreyfus, Cinque anni all'Isola del Diavolo, trad. Paolo Fontana, Collana Le porpore n. 11, Medusa
Edizioni, Milano, 2005, ISBN 88-7698-096-2, pp. 170.
Alfred Dreyfus, Cinque anni della mia vita, con uno scritto di Pierre Vidal-Naquet e la postfazione di Jean-Louis
Lévy, Collana Lecturae n. 40, Il Melangolo, Genova, 2005.
Agnese Silvestri, Il caso Dreyfus e la nascita dell'intellettuale moderno, Collana Critica letteraria e linguistica,
Franco Angeli, Milano, 2013, ISBN 978-88-204-0595-3, pp. 416.
Rosario Tarantola - Vittorio Pavoncello, Dreyfus, introduzione di Anna Foa, Editore Progetto Cultura, 2013, ISBN
978-88-6092-546-6, pp. 128.
Mathieu Dreyfus, Il caso Dreyfus. Cronaca di un'ingiustizia, trad. A. Iorio, Collana Storie, Castelvecchi, Roma,
2014, ISBN 978-88-6826-211-2, pp. 275.
(EN) Tom Conner, The Dreyfus Affair and the Rise of the French Public Intellectual, McFarland & Co., 2014,
ISBN 978-0-7864-7862-0.
(EN) Ruth Harris, Dreyfus. Politics, Emotion, and the Scandal of the Century, Picador, ISBN 978-0-312-57298-3.
(EN) Piers Paul Reid, The Dreyfus Affair. The Story of the Most Infamous Miscarriage of Justice in French
History, Bloomsbury, ISBN 978-1-4088-3057-4.
(EN) Martin P. Johnson, The Dreyfus Affair, European History in Perspective, Palgrave MacMillan, 1999,
ISBN 978-0-333-68267-8.
(EN) Christopher Edward Forth, The Dreyfus Affair and the Crisis of the French Manhood, Collana Historical and
Political Science, Johns Hopkins University Press, 2004, ISBN 978-0-8018-7433-8.
Remo Danovi, Dreyfus. L'errore giudiziario e il coraggio della verità, Corriere della sera, Milano, 2019.
Collegamenti esterni
Estratto da "https://it.wikipedia.org/w/index.php?title=Affare_Dreyfus&oldid=109303140"
Questa pagina è stata modificata per l'ultima volta il 7 dic 2019 alle 18:27.
Il testo è disponibile secondo la licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo; possono
applicarsi condizioni ulteriori. Vedi le condizioni d'uso per i dettagli.