Niki Giannari, Georges Didi-Huberman - Passare A Ogni Costo-Edizioni Casagrande (2019)

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Passare a ogni costo

Edizioni Casagrande
,,
Le Edizioni Casagrande beneficiano «Paesaggio con esseri d'urne.
di un sostegno strutturale Dialoghi
dell' Ufficio Federale della Cultura
da bocca di fumo a bocca di fumo.
per gli anni 1016-2020
[...] fanne l'immagine
1019 che rilancerà i dadi a casa nostra».
© Edizioni Casagrande s.a.,
Bellinzona «[... ) con la fatalità delle immagini
www.edizionicasagrande.com
e la loro contro-
ISBN 978-88-7713-8,9-3
fatalità (...]
Titolo originale: attende, cristallo di respiro,
Passer, quoi qu'ilett coute la tua incrollabile
.2017 testimonianza [...]
© Les Éditions de Minuit,
verso di noi e lontano da noi e verso di noi».
Paris

Progetto grafico: «Viene un uomo (...)


Studio cc•z "Passate", dici tu,
Impaginazione: "passate",
Edizioni Casagrande
"passate"».
Stampa:
Paul Celan
CPI Books
Svolta del respiro, 1967
l
Niki Giannari
I Degli spettri si aggirano
I
I per l'Europa

(Lettera da Idomeni)

I
'

,
aZorzi Avevi ragione.

La gente dimenticherà quei treni


come questi treni.
Mala cenere
si ricorda.

Qui, nel parco chiuso dell'Occidente,


le cupe nazioni fortificano i loro campi
confondendo il cacciatore e il cacciato.
Ora, ancora una volta,
non puoi posarti da nessuna parte,
non puoi andare né avanti
né indietro.
Ti ritrovi immobilizzato.

I nostri persecutori, si dice,


li abbiamo trovati davanti a noi
nelle città che avevamo lasciato,
nelle città che cercavamo,
e nelle altre, che avevamo sognato.
Alcuni erano dei nostri.
E altri, erano indifferenti
che adocchiavano la guerra, il mare e i morti
davanti alle vetrine.

II
Come parte una persona?
Perché parte? Verso dove? Eppure,
in quei piccoli piedi ricoperti di fango
Con un desiderio carnalmente
che nulla può vincere giace il desiderio che sopravvive
né l'esilio, né la prigione, né la morte. a ogni naufragio
Orfani, sfiniti, - un desiderio che abbiamo perduto, noi, da molto
affamati, assetati, tempo-
disobbedienti e ostinati, il politico.
secolari e sacri
sono arrivati Ho voluto trovare una pietra alla quale appoggiarmi, dice,
disfacendo le nazioni e le burocrazie. e piangere, ma non c'erano pietre.

Si posano qui, Portbou, 26 settembre dell'anno 1940.


aspettano e non chiedono niente Il giorno in cui il confine si chiuse, Walter Benjamin
solo passare. si tolse la vita.
Di tanto in tanto, si voltano verso di noi Se fosse arrivato un giorno prima o un giorno dopo?
con un reclamo incomprensibile, Poiché nessuno arriva al confine
assoluto, ermetico. un giorno prima o un giorno dopo.
Figure insistenti della nostra genealogia dimenticata, Si arriva nell'Ora.
abbandonata nessuno sa dove né quando.
In questo vasto tempo dell'attesa, Che mi portino con loro
sotterriamo i loro morti in fretta e furia, in un pezzo di fango
altri illuminano loro un varco nella notte, loro che sanno ancora essere in movimento.
altri urlano loro di andarsene O, almeno, che io possa cadere, scivolare,
e gli sputano addosso e li prendono a calci allungarmi per terra a filo con le camomille,
altri ancora li vedono e s'affrettano che vengano i bambini
a sbarrare le loro case. a posare i loro teneri piedi, sporcarmi
Ma continuano, loro, attraverso l'asservimento e ridere con tutto il cuore sul mio ventre
nelle strade di questa Europa necrotica finché dura questa guerra civile
che «accumula senza tregua rovine su rovine» finché la terra è straniera.
nel momento stesso in cui le persone osservano
lo spettacolo, Si incide la terra.
dai caffè o dai musei, Trincee profonde di morti proprio accanto alle linee
dalle università o dai parlamenti. di confine.

12 13
Mi vergogno di fronte ai bambini che sono capaci di partire e ritornare
che, cocciuti, si consegnano commossi alla vita. al cuore di questo ospizio inospitale che è diventata
Mi vergogno di fonte a queste donne l'Europa,
mi vergogno di fronte agli uomini che s'affrettano su questo terreno
per diventare come noi, in Germania. inabitato dai popoli.

Ma per quanto possano diventare come noi, Mentre passano le ore


tranquilli, dipendenti e privati a poco a poco dell'anima, in questa via di mezzo piena di fango,
fino a dimenticarsi chi sono in questo terribile filo spinato
e da dove vengono, capisco che sono già passati.
ci sarà sempre questa notte Apolidi, senza casa.
durante la quale hanno cantato attorno al fuoco.
Sono là.
C'è ancora speranza? E ci accolgono
Abbiamo ancora tempo? generosamente
Quando li guardo senza vederli, nel loro sguardo fuggitivo
divento invisibile anch'io a me stessa noi, gli smemorati, gli accecati.
e mi dissolvo senza memoria,
senza storia, Passano e pensano a noi.
senza respiro,
in quegli occhi che rendono oscuro il vento. I morti che abbiamo dimenticato,
gli impegni che abbiamo preso e le promesse,
Chi sono? Cosa vogliono? Dove vanno? le idee che abbiamo abbracciato,
Sembra che siano qui da sempre. le rivoluzioni che abbiamo fatto,
Si nascondono i sacramenti che abbiamo negato,
e, nel momento in cui il pericolo svanisce, tutto questo è tornato con loro.
riappaiono Ovunque tu guardi nelle vie
come l'avverarsi di una profezia o nei corsi dell'Occidente,
quasi dimenticata dallo sguardo. si fanno strada: questa processione sacra
ci guarda e ci attraversa.
Mentre i giorni passano, capisco che non vogliono
arrivare da nessuna parte Ora silenzio.
solo ancora e ancora attraversare la storia, Che tutto si fermi.
come dei contravventori, e indisciplinati,
degli eletti, e così animati Passano.

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Georges Didi-Huberman
Loro che attraversano i muri
Per l'altro

Il testo appena letto è opera di quella che è indubbia-


mente la più clandestina delle scrittrici greche di oggi.
I miei ricordi di lingue morte non mi permettono, pur-
troppo, di leggere senza aiuti esterni i suoi testi nella lin-
gua originale. Quel che so, siccome la conosco da alcuni
anni - e nonostante la frontiera linguistica, che riuscia-
mo felicemente a valicare con frasi smozzicate, remini-
scenze di greco antico e latino, formule eterodosse, pa-
role sulla punta della lingua, espedienti in inglese, gesti
che dicono troppo o troppo poco, sguardi d 'intesa o in-
terrogativi, esclamazioni ritmiche o silenzi rivolti da uno
all'altra - è che va quasi sempre all'essenziale. Infrange
i consensi. Interroga in ciascuno di noi il desiderio e il
non detto, l'emozione del presente come quella di sem-
pre. Schiude, come fiori da offrire, le nostre ferite più
profonde. Anche nel dialogo destabilizza in profondità
la persona alla quale si rivolge. Ma è per ascoltarla me-
glio, toccarla, portarla: e con questo intendo dire fare in
modo che si elevi, si sollevi verso qualcosa di più radicale
e vero, magari a costo, a volte, di una certa effettiva cru-
deltà.
La sua generosità di fondo ha quindi qualcosa
d'inquietante. Si direbbe che non appaia e non proferisca
- spesso come una specie di profetessa pagana - che per
l'altro. Sì, è prima di tutto nell'altro e per l'altro che cerca
di esprimere la verità. Questa passione per l'altro -come

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la frase capace di «rivelare>> l'altro a se stesso o l'altro in Dispensario sociale di Salonicco - lavoravano senza tre-
ciascuno di noi - dovrebbe quasi renderla invisibile, e gua per rendere possibile la vita dentro quella recinzio-
tuttavia com'è presente, potentemente presente! La vedo ne di speranze tradite e filo spinato.
chiudere gli occhi quando si insiste nel parlare di lei o Non si testimonia mai per sé. Si testimonia per gli
si commuove. Al contrario, quando si rivolge agli altri, altri. La testimonianza ha origine da un'esperienza scon-
Io fa a braccia e mani aperte. Accoglie e dà alla luce. La volgente, spesso vissuta come indicibile e di cui il testi-
sua forza è quella, dialettica, maieutica, della parola e del mone, dalla posizione che occupava {posizione di chi
pensiero vivo. Ha qualcosa di socratico, ma al femmini- agisce, subisce o osserva), deve far fede agli occhi altrui,
le. La percepisco dunque nello stesso tempo come una agli occhi del mondo intero. Dà allora forma a ciò che
sage-/emme, una levatrice, e una /emme sage, una donna deve - di un debito etico - come a ciò che vede. Il testi-
saggia. In Andalusia si direbbe che ha del duende, o per- mone fa fede, deve, vede e dà: da un'esperienza vissuta,
fino che è un duende. La vedo vestirsi e camminare come qualunque sia la modalità del coinvolgimento, in tutte
i partigiani della Resistenza greca o della guerra civile. le direzioni dell'altro. Dà la sua voce e il suo sguardo per
Può assomigliare, di volta in volta e nel giro di pochi se- gli altri. L'altro del testimone? È in primo luogo colui che
condi, a una bambina autistica sorpresa o affranta per non ha avuto il tempo o la possibilità di dare un senso al
via di una cosa insignificante, e a una vecchia che ne ha proprio gesto o al proprio dolore: è il rifugiato di Idome-
viste talmente tante da non stupirsi più di nulla. ni quando rimane in silenzio, assorbito dai compiti della
Niki Giannari è nata nel 1968 nel Peloponneso. sussistenza immediata. È, in seguito, colui che non ha il
Ha vissuto nel crogiolo di un villaggio dal quale non ha tempo o il coraggio di ascoltare quell'atto o quella soffe-
smesso di fuggire senza mai lasciarlo. Conosce molti riti renza: è il benestante della grande città quando rimane
e molti canti immemorabili. Ha accompagnato l'afasia di indifferente, assorbito dai compiti della sua vita confor-
una creatura amata senza mai smettere di dare alle pa- tevole. La testimonianza si situa quindi «tra due altri», è
role pronunciate l'importanza delle decisioni più serie. in ogni caso un gesto da messaggero, da contrabbandie-
Ha viaggiato poco fuori dalla Grecia senza smettere di re, un gesto pergli altri affinché qualcosa passi.
varcare tutti i confini del conformismo. Vive a Salonic- A ldomeni, Niki Giannari e Maria Kourkouta
co, dove si è votata agli altri nel contesto del Dispensario hanno deciso di testimoniare: modestamente, senza al-
sociale di solidarietà - di tendenza autonoma radicale cuna strategia «mediatica» (com'era il lavoro dei foto•
- dove viene offerto aiuto ai poveri di tutti i tipi, zingari, reporter, com'è stato il caso dell'artista Ai Weiwei, ad
rifugiati, sans-papiers, senzatetto... Quando Maria Kour- esempio). Ma guardando poeticamente, per quanto at-
kouta, sua amica da una vita, è arrivata a Salonicco nel traverso un punto di vista implacabile e documentario.
marzo 2ox6, Niki Giannari l'ha portata nel campo di Ido- Maria era come Dante, ma con una macchina da pre-
meni, dove circa tredicimila persone in fuga dalle guer- sa (anzi due). Niki era Virgilio. Maria ha composto una
re in Siria, Afghanistan e aluove cercavano di passare il serie di visioni: piani cinematografici. Una prima parte
confine greco-macedone, confine che gli si stava proprio del film - la più lunga, in immagini digitali, sonore, a
chiudendo davanti. I collettivi di solidarietà - tra cui il colori - si compone di piani fissi dove si vedono e si

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sentono le vite e le voci stesse, in tutte le lingue, di quel- «Degli spettri si aggirano per l'Europa»
li che volevano passare il confine di Idomeni e si son
messi ad alzare la voce, a denunciare, a insorgere contro
l'impedimento che stavano subendo. La seconda parte
del film, in 16 millimetri bianco e nero, si compone di
piani brevi, muti, con la camera a spalla.
In questo film vediamo dunque la vita dei rifu-
giati di Idomeni. Non c'è niente di univoco qui: gesti
contro gesti, corpi singolari contro regole generali, pa-
role di speranza o di collera, di angoscia o di tenerez- È possibile intendere il titolo scelto da Niki Giannari
za. Un'intera popolazione che si forma a partire dal suo come la cristallizzazione di una testimonianza visiva
semplice desideriodipassare, ma che scalpicciando il fan- molto precisa e di una posizione riflessiva più genera-
go aspetta, interminabilmente, un bicchiere di tè caldo. le sulla nostra storia contemporanea. Un'immagine e
I piani di Maria Kourkouta descrivono spesso l'anda- un pensiero. Anzi una «immagine di pensiero», come
mento circolare che questa attesa comporta, come nel- avrebbe detto Walter Benjamin, la cui presenza attra-
la Divina Commedia, con gli spettri che girano in tondo versa, davvero, tutta questa poesia. (Ma è una poesia?
nel limbo del Purgatorio. È per dare voce a quei gesti, a La prendo come tale per la sua forza ritmica, ben udi-
quei volti, che Niki Giannari ha composto il testo che bile nella recitazione di Lena Platonos, al di là, dunque,
abbiamo appena letto. Si trattava di esprimere qualco- dell'ovvia scansione grafica sulla pagina bianca. Ma
sa di ciò che era stato osservato, ascoltato, l?rovato nel Niki Giannari, quando le si parla così, chiude gli oc-
campo e poi rivisto nelle immagini filmate. E diventata chi, arrossisce, nega: no, direbbe in un gesto di ritrosia,
la voce stessa - attraverso la poetessa, musicista e can- sono solo frammenti destinati a fissarsi sulle immagini
tante Lena Platonos - del film intitolato, come il testo, del film, nient'altro. Sono solo frasi rivolte, da Idomeni,
Deglispettrisiaggirano per l'Europa. a un amico europeo. E dicendo così, esprime una mode-
stia tenace: segno anche di una smisurata esigenza nei
confronti dei poteri della lingua. Segno che è effettiva-
mente mossa dalla preoccupazione poetica per eccel-
lenza). L'immagine di pensiero è, spesso, qualcosa di
molto semplice o molto «minore», persino minuscolo,
che ci colpisce per la sua intensità concreta, immediata
e insieme sintomatica. A volte capiamo all' improvviso
che è proprio questo il modo in cui il mondo intero
respira, nel luogo preciso di questa piccola singolarità.
Benjamin parlava, con Goethe, di «fenomeno origina-
rio»: un evento sensibile che, a partire dalla sua stessa

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semplicità o povertà, diffonde tutta la legge del mondo qualcosa che, di fatto, è già avvenuto: qualcosa che stia-
così com'è. mo rimuovendo dalla nostra stessa genealogia. Questo
Pioveva a Idomeni quel giorno. Come compito qualcosa è che siamo tutti figli di migranti e che i mi-
supplementare delle organizzazioni di solidarietà, era granti sono i nostri parenti di ritorno, anche se «lontani»
stato necessario trovare delle mantelline impermeabili (come si dice dei cugini). L'autoctonia alla quale mira,
per i rifugiati. Erano come uniformi per fantasmi o per oggi, l'uso paranoico della parola «identità», semplice-
diventare fantasmi: di colore verde scuro, si confonde- mente non esiste, e questo perché ogni nazione, ogni re-
vano con la notte; di colore bianco, si fondevano quasi gione, ogni città e ogni villaggio sono abitati da popoli al
nel grigiore di questa piovosa fine d'inverno. Ad ogni plurale, da popoli che coesistono, che coabitano, e mai
modo, con le teste incappucciate o i corpi dissimulati da «un popolo» autoproclamatosi nella sua fantasia di
sotto ampi teli monocromi, i rifugiati di ldomeni as- «pura ascendenza>>. Nessuno in Europa è «puro» di nul-
somigliavano a degli spettri, quegli esseri d'altrove che la - al contrario di quanto sognavano i nazisti e sogna-
la buona coscienza teme, vuole scongiurare, vorrebbe no i nuovi fascisti oggi -, e se lo fossimo, in seguito al
ignorare o sapere due volte morti piuttosto che una, ma maleficio di una perfetta endogamia attraverso i secoli,
dei quali i nostri occhi non possono fare altro - dai saremmo di certo geneticamente malati, cioè «degene-
confini non così lontani dell'Europa fino agli angoli rati». I rifugiati d'Idomeni sono apparsi a Niki Gianna-
delle nostre strade - che constatare il passaggio perpe• ri come degli spettri perché ha capito che, quando uno
tuo, il ritorno ostinato. spettro ci appare, è la nostra stessa genealogia che viene
Dopo tutto, i rifugiati stanno solo tornando. Non portata alla luce, chiamata in causa e messa in dubbio.
«sbarcano>> dal nulla né da nessun luogo. Quando li con- Uno spettro sarebbe così il nostro «straniero familiare».
sideriamo come folle d'invasori venuti da terre ostili, La sua comparsa è sempre una ricomparsa. È quindi un
quando confondiamo in loro il nemico e lo straniero, si- essere ancestrale: un parente - lontano, certamente - che
gnifica soprattutto che stiamo tentando di scongiurare abbiamo spesso paura di vedere tornare a casa, perché,

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se ritorna, è probabilmente per riaprire in mezzo a noi Arendt in Che cos'è la politica?, quando oppone l'uomo
una ferita segreta e persistente legata alla questione ge- della teologia o dell'ontologia (o anche della filosofia
nealogica. politica) alla pluralità degli uomini che ogni riflessione
Il titolo scelto da Niki Giannari consuona evi- politica in quanto tale esige. Del resto, la forma filmica
dentemente - è anzi una quasi-citazione - con l'incipit scelta in Deglispettri si aggirano per l'Europa contribuisce
del Manifesto del partito comunista: «Uno spettro si aggira fortemente a conservare quest'esigenza: vediamo infat-
per l'Europa>>, che Marx e Engels avevano immediata- ti molta gente, ma non vediamo né «massa» di popola-
mente identificato dichiarando: «È lo spettro del comu- zione, né «classe», né una «entità» unica o generale. La
nismo>>. Nel frattempo, Jacques Derrida ha scritto un pazienza dei piani e l'arte dell'inquadratura - ma an-
libro importante - che Niki Giannari ha letto -, Spettri che l'ascolto delle diverse lingue parlate nel campo - ci
di Marx, a partire, ancora una volta, dalle questioni eti• fanno vedere ciascuno, uno a uno, diverso, singolare,
che e politiche indotte dallo stato di apartheid, come da anche se con un comune destino: con la stessa volontà,
tutti gli scongiuri - fino alle «dichiarazioni di morte» davanti allo stesso confine, di passare.
- lanciati dalla paura degli assediati di fronte allo stra-
niero e dall'ignoranza di ciò che ospitalità significa: cioè ,
il timore che lo «spettro», colui che ritorna da un altro
luogo o da un'altra epoca, diventi nostro concittadino o,
peggio, nostro pari. Ma ecco che Niki Giannari fa subi-
re allo schema comunista di Marx e Engels almeno due
trasformazioni radicali. Per cominciare, ci sono «degli
spettri» e non uno soltanto. Poi, quegli «spettri che si
aggirano per l'Europa» sono esseri concreti, esseri uma-
ni che incarnano le nostre relazioni etiche o politiche
e non hanno, di conseguenza, niente a che vedere con
un'idea generale, per quanto presente (come Io è quella
del comunismo) nella nostra cultura europea.
Questa declinazione al plurale è fondamentale.
Si accorda peraltro col gesto della testimonianza, che ha
portato Niki Giannari a percorrere, per giorni, il campo
d'Idomeni con Maria Kourkouta e i suoi amici del Di-
spensario sociale di Salonicco. Tutto ciò ci parla di dif-
ferenze, molteplicità, singolarità, corpi sensibili, e non
di una qualche nozione utopica - o strategica - scatu-
rita dalla filosofia politica. Niki Gian nari, cioè, si collo-
ca probabilmente nella prospettiva aperta da Hannah

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«Ancora una volta, Courtine-Denamy. Questa espressione, derivata da usi
non puoi posarti da nessuna parte» antichi e popolari - in particolare in Québec e in alcu•
ne parlate regionali del Belgio o dell'Ovest della Fran•
eia - , ha l'effetto di accentuare la comunità formata dal
«nous», «noi», suggerendo un alto grado di contrasto.
«Nous autres», dunque, è la comunità di un noi consi•
derato come altro nel contesto più generale - l'Europa,
ad esempio, o l'Occidente in generale - nel quale appa•
re separata, diversa e discriminata, persino spettrale.
Se accettiamo l'idea che questi «spettri» si aggirano per Hannah Arendt, nel 1933, era sfuggita per poco
tutta l'Europa, vale a dire che ci perseguitano - che at• ai campi di concentramento tedeschi. Successivamen•
traversino o meno il confine, il perseguitare sarà diver• te rifugiata in Cecoslovacchia, poi in Svizzera e a Pa·
so, ma continuerà nondimeno a perseguitare - allora rigi - prima della sua partenza definitiva per gli Stati
dobbiamo capire a quale emozione, a quale impensato Uniti-, non era riuscita a sfuggire, nel maggio 1940, né
della nostra storia ci fanno accedere le loro azioni. Da al Vélodrome d'Hiver né al campo d'internamento di
dove vengono? O meglio, visto che sarebbero «spettri», Gurs. Ma da rifugiata avveduta, era appunto riuscita
da dove ritornano? Da quale memoria? Da quale sto• ad «attraversare i muri.»: a fuggire dal filo spinato del
ricità? Da quale spazio di morte (dal quale, chiedendo campo prima di riuscire ad attraversare il confine. Era
ospitalità, stanno appunto fuggendo) ritornano e con quindi in una buona posizione, sia dal punto di vista
quale spazio d'ingiustizia (dato che si vorrebbe negarla, pratico che storico e filosofico, per fare un po' di luce
questa ospitalità) si scontrano? La risposta s'illumina sull'esperienza del rifugiato. Prima di tutto, c'è questo
sia storicamente che teoricamente se accettiamo di ri• dato di fatto che Niki Giannari ha capito e osservato
leggere Hannah Arendt e, in particolare, la sua raccol- bene, anche se attraverso le semplici parole: «non puoi
ta L'ebreo come paria. Una tradizione nascosta, incentrata posarti da nessuna parte,/ non puoi andare né avanti/
sulla nozione di «paria» come moderno paradigma d i né indietro...». È evidente che i rifugiati di oggi, come
discriminazione e oppressione. quelli di allora, sembrano essere passati da una trappo•
Uno dei testi più memorabili di questa racco!• la (mortale) a un'altra (crudele). Sembrano dare prova
ta, nell'edizione francese, è intitolato proprio Nous di una volontà e persino di un ottimismo sconcertanti
autres re/ugiés, alla lettera «Noialtri rifugiati». Fu scritto - tutto questo annotato da Arendt - per chi come loro
all'inizio del 1943 per «The Menorah Journal» all'epo· è intrappolato al confine, nell'accampamento, dalle mi-
ca l'organo principale della letteratura e del pensiero sure poliziesche o burocratiche.
ebraico in inglese. Il titolo originale è We Refugees. Il Hanno perso tutto, praticamente: la casa, il villag·
lettore osserverà che la resa di «we» imponeva legitti· gio, il paesaggio, il lavoro, i genitori... Perché li vediamo
mamente l'aggiunta di «altri» nell'espressione francese ancora sorridere? Probabilmente perché il peggio è pas•
«nous autres», «noialtri», scelta dalla traduttrice Sylvie sato (la guerra civile, i morti)? Ma la loro vita privata è

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andata in pezzi, il futuro è indecifrabile. Perfino alla loro I rifugiati sono umiliati quando si chiede loro di
lingua devono in gran parte rinunciare, se vogliono es- non pretendere nulla, con il pretesto che sono stati «sal-
sere ascoltati. Eppure, li vediamo, nel film Deglispettri si vati». Eppure, hanno iniziato «salvandosi>> da sé: sono
aggirano per l'Europa, cantare con umorismo le loro can- sfuggiti alJa guerra, lasciandosi tutto alle spalle, come
zoni. Ma si chiede loro di non dire troppo e di non ricor- farebbe chiunque altro di fronte a un pericolo mortale.
darsi troppo ciò per cui chiedono l'asilo. Vengono tratta- Come civili, essi hanno sofferto la tipica disumanizza-
ti come se il loro desiderio di attraversare il confine non zione del «danno collaterale>> o «scudo umano». Sono
avesse né un perché (dal punto di vista della loro storia) né stati ridotti a materiale strategico puro e semplice. Poi
un percosa (dal punto di vista del loro futuro). Queste pa- l'Europa li ha raccolti, ma non li ha accolti. Impone loro
role di Arendt del 1943 potrebbero essere quelle di qual- una reificazione insita nei calcoli economici, nelle quo-
siasi siriano che sia approdato oggi in Europa: «Non so te migratorie e nelle agende demagogiche. Da quando
quali ricordi e quali pensieri dimorino nei nostri sogni esiste il filo spinato - di cui Olivier Razac ha tracciato
notturni. Non oso fare domande perché anch'io sono la storia politica - i campi, come ben sappiamo, si sono
stata piuttosto ottimista. Qualche volta immagino tutta- diffusi in tutto il mondo, a cominciare dai «campi di
via che almeno di notte pensiamo ai nostri morti o ricor- riconcentramento» istituiti dai colonizzatori britanni-
diamo le poesie che un tempo amavamo». ci in Sudafrica durante la seconda guerra boera (1899-
«No - faceva notare Arendt con un umorismo 1902), o dalJ'esercito tedesco del secondo Reich durante
piuttosto disperato - c'è qualcosa che non va nel nostro il genocidio degli Herero in Namibia (1904).
ottimismo. Tra noi ci sono quei bizzarri ottimisti che, Prima che Giorgio Agamben facesse del campo il
dopo aver fatto un mucchio di discorsi ottimistici, vanno «paradigma biopolitico del moderno», Hannah Arendt,
a casa e aprono il gas o si servono di un grattacielo in nel suo testo del 1943, s'indignava di fronte all'invenzio-
modo del tutto imprevisto. Costoro sembrano provare ne di questa nuova «umanità parcheggiata», alla quale
che la nostra decantata alJegria si fonda su una perico- sono ridotti i cosiddetti «sfollati»: «Sembra che nessuno
losa preparazione alJa morte». Come se l'assenza fon- voglia riconoscere che la storia contemporanea ha cre-
damentale di libertà avesse come esito questa «libertà ato un nuovo genere di esseri umani - quelli che sono
negativa» e senza futuro che è il suicidio. Ci sarebbe stati messi nei campi di concentramento dai loro nemi-
quindi in molti rifugiati, secondo Hannah Arendt, un ci e nei campi di internamento dai loro amici». In ogni
«insano ottimismo, prossimo alla disperazione». Tutta- caso, è la comunità «straniera» che si trova relegata a
via, questo disorientamento soggettivo è, in ogni caso, una massa indistinta, privata dei diritti civili, è il volto
solo la conseguenza di una desoggettivazione imposta ai di ciascuno che scompare e, con esso, la sua dignità e
rifugiati dalla polizia responsabile del loro destino al persino la sua esistenza etica in generale. Arendt insi-
confine. Hanno un desiderio molto semplice: vogliono steva infatti che i criteri morali rischiano di collassare
passare. Ma il confine - e il campo circostante - li im- quando non sono effettivi «nel tessuto di una società».
mobilizza in una posizione insostenibile, quasi male- Allora più nessuno è qualcuno: «Non posso dimenticare
detta da un destino «eternamente temporaneo». quel giovane che, nel momento in cui ci si aspettava da

30 31
lui che accettasse un certo tipo di lavoro, disse con un «Non chiedono niente
sospiro: "Lei non sa con chi sta parlando; io ero diretto- solo passare»
re di reparto al Karstadt [un grande emporio di Berli-
no)". Ma c'è anche la profonda disperazione di quell'uo-
mo di mezza età che, dopo aver sopportato innumere-
voli stratagemmi messi in atto da differenti comitati allo
scopo di salvarlo, alla fine ha esclamato: E qui nessuno sa
chisono io!».

Anche se è caritatevole, il campo non riconosce coloro


che raccoglie. I rifugiati, costretti ad aspettare a tempo
indeterminato per sapere cosa sarà di loro, esistono a
malapena come soggetti del diritto - o come «soggetti
a pieno titolo» - perché solo i loro incerti documenti,
i loro «documenti ufficiali», esisteranno e parleranno
per loro. La legge sembra voler prendere una decisione
solo su quei documenti, non su loro stessi. Come se fos-
sero meno robusti di un piccolo pezzo di cartone piega-
to che si perde facilmente, si falsifica, si ruba o prende
il volo, o annega. I rifugiati sono fuggiti da una realtà
in cui la loro incolumità fisica, la loro stessa vita, era in
pericolo. Hanno rischiato la vita per raggiungere uno
spazio nel quale vige il diritto. Oggi, un campo li acco-
glie, dà loro da mangiare, fornisce loro una tenda o una
mantellina impermeabile, ma è uno spazio dove la loro
vita civile è continuamente violata. Sono condannati
all'attesa burocratica di notizie sul loro «statuto». Stan-
no in fila, aspettando di essere umani. Eppure, sono lì,
di fronte a noi, con i loro gesti, i loro volti, le loro parole.
Come scrive Niki Giannari, «si posano qui,/ aspettano
e non chiedono niente/ solo passare».
Passare. Passare a ogni costo. Piuttosto crepare
che non passare. Passare per non morire in questo ter-
ritorio maledetto e nella sua guerra civile. Essere fuggi-
to, aver perduto tutto. Passare per tentare di vivere qui

32 33
dove la guerra è meno crudele. Passare per vivere come Idomeni il diritto d'asilo viene nello stesso tempo eser-
soggetti del diritto, come semplici cittadini. Poco im- citato e violato. Questo è ciò che Niki Giannari ha po-
porta il paese, purché sia uno Stato di diritto. Passare tuto osservare nella durata. La sua poesia si leva come
dunque per cessare di essere fuori dalla legge comune. un lamento, dice la collera di fronte all'inospitalità dei
Passare per sentirsi protetti dalle convenzioni interna- governi, ma esprime anche l'emozione e la gratitudine
zionali, dai diritti umani, da una giustizia di fronte alla di fronte all'ospitalità, nonostante tutto, di una società
quale nessun crimine resterà impunito. E pagare un civile che agisce con coraggio. È forse per questo che
contrabbandiere, un brigante, se è necessario per passa- Lena Platonos legge la poesia - lei che di solito canta
re: diventare un fuorilegge. con innocenza e purezza - con una voce incrinata dalla
Prendere questa decisione, anche se con la pau- tristezza e dalla speranza.
ra nello stomaco, anche se con la paura terribile per Il giurista Gilles Lhuilier ha ripercorso, con altri,
la propria vita, per quella dei bambini. In ogni caso: le tappe che hanno portato, dall'inizio dell'Ottocento
passare per vivere. Ma quando siete fuggiti dalle mura ai giorni nostri, alla creazione dell'istituzione giuridi-
chiuse delle cantine bombardate, avete trovato un con- ca del campo di rifugiati. Mostra chiaramente come la
fine chiuso e un filo spinato nel campo di ldomeni. «politica dell'eccezione» - cioè lo sforzo dei governi
È ancora uno Stato di diritto questo Stato - o di gestire alcune grandi crisi che colpirono le popola-
questo insieme di Stati che procrastinano all'infinito, zioni civili, come nel 1940 o nel 194_:s - si sia trasforma-
l'Europa dei governi, cioè - che viola i diritti che esso ta, cinicamente o meno, in una vera e propria politica
stesso ha emanato, per i quali si è esso stesso impe- dell'eccezione: una «eccezione come politica», una poli-
gnato? Come in molti altri luoghi della terra, anche a tica che istituisce la soluzione delt 'eccezione e non cerca

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di risolverne il problema. Olivier Le Cour Grandmai- de facto li marginalizziamo e li criminalizziamo - per
son, da parte sua, ha mostrato le origini coloniali - e le esempio, guardando queste popolazioni terrorizzate
caratteristiche persistenti - delle misure di detenzione come possibili orde di terroristi - giustificando così il
amministrativa la cui pratica e concettualità giuridica fatto di rinchiuderli all'esterno, secondo la formula uti-
hanno continuato a diffondersi fino a diventare un luo- lizzata da Claire Rodier in uno studio eloquentemente
go comune in tutto il mondo. intitolato Aux marges de l'Europe: la construction de l'i-
Da una parte, quindi, lo «statuto dei rifugiati» si nacceptable. Proprio questo divario - questa palese con-
è istituzionalizzato e mondializzato a partire dalla se- traddizione, questa crudeltà fondamentale - tra la legge
conda guerra mondiale, come ricordato in particolare (de jure) e la realtà (de facto) non era sfuggito, sessanta•
da Alain Rey nel suo libro Parlerdescampsau xx1e siècle. cinque anni prima di ldomeni, allo sguardo critico del-
Una «convenzione relativa allo statuto dei rifugiati e la «filosofa rifugiata» Hannah Arendt. Correva il 1951,
degli apolidi» fu firmata a Ginevra nel 1951, e seguita l'anno stesso, cioè, della molto democratica Convenzio-
nel 1967 da un protocollo, ratificato da centoquaranta- ne di Ginevra. Eppure si trovava proprio nel suo libro
sette Stati, che ne ampliava in modo significativo la de- Le origini del totalitarismo.
finizione. Vi si poteva leggere questa semplice ovvietà Una decina di anni dopo la propria esperienza
(benché sia stata oggetto di accesi dibattiti): «[Il rifu- di apolide dentro il filo spinato del campo di Gurs e la
giato è una] persona che si trova fuori dello Stato di successiva attesa angosciosa - di diversi mesi - per ot-
cui possiede la cittadinanza o che ne costituisce la resi- tenere un passaporto e un biglietto per il transatlantico,
denza abituale poiché teme d'esservi perseguitato», per Hannah Arendt riaffrontava il problema dei rifugiati e
motivi etnici o razziali, religiosi o nazionali, di comu- degli apolidi nel contesto della storia politica contempo-
nità o di opinione. Questa definizione era applicabile ranea. È significativo che il tema appaia, nel suo libro,
a diciannove milioni di persone nel 2014, il numero di in un punto di svolta: nel punto conclusivo dell'imperiali-
rifugiati ufficialmente riconosciuti nel mondo. Ce ne smo (cioè alla conclusione del capitolo dedicato a questo
sono molti di più oggi: almeno cinquanta milioni, molti tema) e, di conseguenza, nel punto iniziale del totalitarismo
di più di quanti ce ne siano mai stati nella storia dell'u- (cioè appena prima che inizi il capitolo dedicato a questo
manità. È, per eccellenza, una delle miserie più spaven- tema). Il punto conclusivo dell'imperialismo - ma questo
tose - o uno dei grandi crimini - del nostro tempo. «punto» è una durata: non continuiamo, forse, a viverlo
Poiché c'è anche l'altro aspetto, il rovescio di oggi? - è per Arendt «il tramonto dello stato nazionale e
questa evidenza giuridica e virtuosa: c'è l'evidenza poli- la fine dei diritti umani». È al centro di questo fenomeno
tica e concreta che, invece, è semplicemente vergognosa storico, giuridico, antropologico e politico, che risorgono
e rivoltante. ldomeni è un esempio tra i tanti del modo con forza le domande legate alle minoranze, ai rifugiati,
in cui l'Unione Europea cerca cinicamente di disporre agli apolidi.
l'esternalizzazione delle procedure d'asilo e d'immigra- Ma perché una tale questione appare nel punto con-
zione: sarete accolti, ma altrove. Vogliate dunque resta- clusivo - o, anche, quale punto conclusivo - dell'impe-
re dietro i nostri confini. Dejure, accogliamo i rifugiati, rialismo occidentale? Perché quest'ultimo, scrive Arendt,

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si è riconfigurato interamente, fino a definire le nuove stranieri in genere erano destinate a peggiorare notevol-
strutture del «potere moderno», a partire dalle divisio- mente». Conseguenza: <<TI primo grave danno derivante
ni territoriali risultanti dal primo conflitto mondiale e alla compagine dello Stato nazionale dall'arrivo di cen-
dai trattati del r9r8; e perché tali divisioni hanno cau- tinaia di migliaia di apolidi fu il venir meno del diritto di
sato i primi grandi movimenti di rifugiati, in Europa asilo, l'unico diritto che avesse sempre campeggiato come
e altrove (gli armeni massacrati, i greci d'Asia minore simbolo dei diritti umani nella sfera delle relazioni inter-
gettati in mare). Arendt, nelle sue pagine, avanza quin- nazionali».
di lucidamente l'ipotesi che questo processo avrebbe Diventa difficilissimo, in queste condizioni, at-
come obiettivo ultimo <<l'introduzione di metodi colo- traversare un confine. E il confine infatti si è chiuso a
niali in Europa» (non è esattamente quanto sta succe- Idomeni, il 1 4 marzo 2016, davanti a coloro che voleva-
dendo oggi con la messa sotto tutela economica della no «solo passare», nient'altro. Arendt, nelle stesse pagi-
Grecia?). In ogni caso, la volontà giuridica di offrire ne del suo libro Le origini del totalitarismo evoca - piena-
uno statuto dignitoso agli apolidi- ciò che Arendt no- mente consapevole dei fatti - la posizione ormai impos-
mina il «rafforzamento temporaneo dei diritti umani» sibile, come un double bind, un doppio vincolo da fare
- sarà scemata come scema un'«illusione» giuridica di impazzire, dei rifugiati di fronte alla legge: dal momento
fronte alla realpolitik degli imperi. che un diritto fondamentale, passare, viene loro negato,
Parlare in questo modo, come fa Arendt, del «tra- dal momento che il diritto d'asilo non viene loro adegua-
monto dello stato nazionale» e della <<fine dei diritti tamente concesso, cosa possono fare ora, se non violare
umani», significa evidentemente denunciare il fallimen- la legge? È come se la legge li obbligasse a diventare fuo-
to dei politici mondiali di fronte a una situazione nella rilegge. «Privato del diritto alla residenza e del diritto al
quale «l 'apolidicità [...) è il fenomeno di massa più mo- lavoro - scrive Arendt - l'apolide era continuamente co-
derno e gli apolidi sono il gruppo umano più caratteristi- stretto a violare la legge. Avrebbe quindi potuto essere
co della storia contemporanea». Come può ciò che Aren- imprigionato senza aver commesso alcun crimine».
dt ha detto negli anni Trenta non risuonare - con una È a questo punto che la filosofa spinge il parados-
risonanza «stranamente familiare» - nella percezione so giuridico - con un tono da humour noir quasi kafkia-
della nostra stessa attualità? «Era quasi patetico vedere no - alle sue conseguenze: se il rifugiato innocente (poi-
- scrive - quanto impotenti fossero i governi europei, ché non è un crimine fuggire dalla guerra), privato dello
malgrado la consapevolezza del pericolo dell'apolidicità statuto giuridico, si trova in balia dell'arbitrio poliziesco,
per le loro istituzioni giuridiche e politiche, e nonostante solo un crimine qualsiasi potrà ricollocarlo nella sfera
i loro sforzi per arginarne il flusso. Non erano più ne- «civilizzata» del diritto ... «Solo come violatore della leg-
cessari avvenimenti esplosivi. Una volta ammesso in un ge può ottenere protezione da essa. Finché durano il pro-
paese normale un certo numero di apolidi, l'apolidicità cesso e la pena, è al sicuro dall'arbitrio poliziesco contro
si diffondeva come una malattia contagiosa. Non solo i il quale non ci sono né avvocati né ricorsi. Lo stesso uomo
cittadini naturalizzati correvano il pericolo di ritornare che ieri era in prigione per il semplice fatto di esistere
allo status di apolidi, ma anche le condizioni di vita degli in questo mondo, che non aveva alcun diritto e viveva

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sotto la minaccia dell'espulsione, o che senza processo «Un giorno prima
è stato confinato in un campo d'internamento perché o un giorno dopo»
aveva cercato di lavorare e di guadagnarsi da vivere,
può diventare quasi un cittadino in piena regola grazie
a un piccolo furto. Anche se non ha un soldo, può ora
disporre di un avvocato, lamentarsi dei suoi carcerie-
ri e venire ascoltato con rispetto. Considerato fino ad
allora come la feccia della terra, è diventato abbastan-
za importante da venir informato di tutti i particolari
della legge secondo la quale sarà giudicato». Sarebbe C'è quindi, nella poesia di Niki Giannari, una forte
meglio, insomma, per il rifugiato, cadere sotto il giogo presenza del passare nella duplice accezione di una ge-
della legge piuttosto che errare al di fuori del diritto. È stualità- passare, oltrepassare un ostacolo, un limite, un
decisamente meglio essere un criminale che un paria, confine chiuso - e di una temporalità: qualcosa che,
in questo mondo. sotto forma di «spettri», ci viene incontro da un cer-
Questa è una situazione letteralmente - etica- to passato. È un paradosso molto bello, poiché il gesto
mente - disumana. A Idomeni, Niki Giannari ha capi- di passare o di oltrepassare indica un movimento ver-
to, come Hannah Arendt aveva fatto altrove in Europa, so l'avvenire, un desiderio di perseverare nel proprio
che era molto facile aggiungere disumanità alla disuma- cammino verso il futuro, mentre la sua natura spettrale
nità. Così, nella sua poesia, si riferisce a coloro che <<ur- tende, ne!!o stesso momento, verso una memoria e verso
lano [ai rifugiati] di andarsene», a coloro che «gli sputa- il passato. Ecco perché non dobbiamo stupirci di ritro-
no addosso», «li vedono» e poi «s'affrettano a sbarrare vare in filigrana, un po' ovunque nel testo, la figura e il
le loro case». Contro questa disumanità diventa ovvio pensiero di Walter Benjamin. È proprio lui, infatti, che
e necessario - anche se non basta, certo - rivolgere un ha reso possibile pensare tale relazione tra il Passato e
primo sguardo, pronunciare una prima parola di benve- il Presente e il Futuro, attraverso il vocabolario quasi
nuto. È quanto evocava forse Paul Celan in una poesia cinematografico - perché vi intuiva un aspetto lumi-
della raccolta Svolta del respiro, dal titolo Give the Word, noso e intermittente, pulsante e passeggero - di ciò che
e dove veniva suggerita la più ovvia delle situazioni: un chiamava una <<immagine dialettica».
uomo viene. Immaginiamo dunque che lo guardi con Quando Niki Giannari ci parla di <<spettri che si
uno sguardo vero, che gli tocchi la mano per accoglier- aggirano per l'Europa», si ha voglia di chiederle: ma da
lo, immaginiamo un gesto etico, il più semplice ricono- dove vengono esattamente ad aggirarsi per l'Europa? E
scimento dell'altro. Anche se solo con una «lacrima ac- soprattutto: da.quando? Una prima risposta è data, fin
canto a te». Immaginiamo che, molto semplicemente, lo dalle prime righe del suo testo, dalla relazione tra «questi
lasci passare. «Viene un uomo [...] / "Passate", dici tu, / treni» - che nel 2016 vide passare ai margini del campo
"passate", / "passate"». di ldomeni, treni merci a destinazione del Nord Euro-
pa - e «quei treni»... Quali «quei treni»? Evidentemente

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che non avrebbe niente a che vedere con il tempo di cui
«quei campi» sono diventati, da allora, l'emblema infer-
nale. Poiché gli «spettri» che oggi «si aggirano per l'Eu-
ropa», a Idomeni e altrove, sono proprio i fantasmi di un
tempo passato: di un tempo che è giunto fino a noi, che ci
passa attraverso, anche se ancora non <<passa» veramen-
te - s'incastra, cioè, come un osso nella gola, funge da
rimosso, da sintomo e, quindi, da ritorno del rimosso -
nelle scelte politiche e nei discorsi dell'Europa contem-
poranea. Ogni storia trasforma ciò che la precede, ma
nessuna storia è «finita» per la semplice ragione che in
ciò che viene dopo continua ad aggirarsi, nel bene e nel
male, la sua stessa memoria.
È così che il passato - anche obsoleto, anche
<<superato» anche «trapassato» - non cessa di passare in
i treni che, partendo da Salonicco verso nord, hanno noi. Sarebbe colpevole dimenticarlo. Dimenticarlo vor-
condotto ai campi di sterminio nazisti, forse proprio rebbe dire non capire ciò che sta avvenendo attraverso
su questa stessa linea ferroviaria, quasi il novantotto le ripetizioni più preoccupanti, di cui l'estrema destra
percento della popolazione ebrea della città, cioè circa europea, in particolare Alba dorata per quanto riguar-
cinquantaquattro mila persone. Tanto che questa stes- da la Grecia, rivendica, «senza tabù» come si osa dire,
sa città - dove Niki Giannari vive e lavora - è stata il primato. Nello stesso momento in cui scrivo queste
chiamata, da uno storico, la «città degli spettri». righe, il primo ministro ungherese Viktor Orban è ri-
Potremmo considerare che l'analogia - se di que- uscito a ottenere dal suo Parlamento, il 7 marzo 2017, la
sto di tratta - sia completamente fuori luogo: non è im- detenzione sistematica di tutti i richiedenti asilo, anche
proprio e persino scioccante confrontare «questi cam- di quelli entrati legalmente. È una consapevole violazio-
pi» (d'accoglienza per i rifugiati) con «quei campi» (di ne del diritto internazionale. I campi di oggi non sono i
messa a morte)? Tanto più che, in questo caso, la Ger- campi di ieri, certo, ma sono pur sempre campi, luoghi
mania è in generale l'obiettivo più desiderato, ambìto cioè dove basta poco perché prenda piede l'ingiustizia:
dalla maggioranza dei <<migranti>>: è la loro ragione prin- la loro stessa struttura è il frutto di una storia già nota.
cipale, la loro speranza di vita - e non la loro sentenza Una storia che, in passato, ebbe inizio, senza che gli Sta-
di morte - per attraversare il confine greco-macedone. ti se ne preoccupassero più di tanto, con delle «sempli-
Non bisogna perciò confondere tutto. Ma avremmo ci» procedure di detenzione.
torto nel praticare ciò che Freud chiamava un «isola- Ma in questa storia, le parole sono bugiarde
mento» psichico affermando semplicemente che «que- quanto il filo spinato stesso (che ti lascia intravedere il
sto campo» è l'espressione di una storia affatto diversa: paesaggio dall'altra parte, come se si potesse passare).

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Parole come «protezione», «accoglienza», «sicurezza» universale di attraversare un confine. Da una parte un'ex-
- ah! quell'utile, furba, strategica parola «sicurezza»! - traterritorialità felice e produttiva (turismo, business,
addirittura «umanitario», non riescono a mascherare professori fuori-sede, senza dimenticare iljet-set), dall'al-
del tutto l'ambivalenza fondamentale dell'istituzione tra un'extraterritorialità disgraziata ed esclusa, percepita
dei campi che, come quella dei ghetti, esclude intere nel suo elemento di pericolo, intrusione, ostilità. Sembra
popolazioni dalla comune cittadinanza col pretesto di profilarsi all'orizzonte uno stato di apartheid generalizza-
raccoglierle in un dispositivo che permette loro di vive- to, come indicato in particolare da Wendy Brown nel suo
re, certo, ma a condizione di controllarle, di sorvegliar- libro Statimurati; sovranità in declino, con il quale propose
le per proteggersene, se non per punirle (punirle di cosa, un'analisi eclatante della «democrazia murata», cioè ta•
poi? di esistere, disgraziate, fuori di casa loro?). Non gliata fuori dalla sua stessa sovranità in conseguenza del
stupisce che dopo l'ospedale e la prigione, Miche! Fou- suo credersi protetta da frontiere sempre più chiuse. li
cault si sia consacrato, verso la fine della sua vita, a una «divenire accampamento>> secondo Miche! Agier sareb-
critica di quei «biopoteri» che dovrebbero «difendere be quindi, in tutte le sue forme possibili - e sono nume-
la società» contro il prossimo o l'altro, l'anomalia o la rose -, il modo inventato dai governi «per tenere a di-
semplice differenza, in breve, contro /,o straniero, qua- stanza ciò che infastidisce, per contenere o respingere ciò
lunque sia la sua estraneità. che, umano, materia organica o rifiuto industriale, è di
Campeggiare all'estero - perché no, sulla bella troppo. Il divenire accampamento del mondo si presenta
isola di Lesbo - è una cosa. Vivere da straniero in un così come uno dei modi di governare il mondo, una ma-
campo è un'altra. Il campeggiatore campeggia, appunto, niera di gestire l'indesiderabile».
dove vuole: s'installa con la più innocente delle attitu- Ecco probabilmente une delle cose che ha parti-
dini territoriali, come se quello fosse lo stadio infantile colarmente sconvolto Niki Gian nari quando esplorava
del colonialismo (di cui un altro stadio si chiama: turi- il campo di Idomeni, e che ha suscitato, mi pare, il tono
smo di massa). Mentre lo straniero si trova in un'insolita generale della sua poesia: i rifugiati le sono apparsi
«area di campeggio», un accampamento che non ha vo- come esseri desideranti - con il loro così forte desiderio
luto, poiché voleva passare. Con i campi, i governi si ador- di passare, loro che erano appena scampati a mille peri-
nano - come ornamenti, ma anche come bastioni - dei coli legati alla guerra e all'attraversamento dei confini
valori giuridici che affermano teoricamente per meglio precedenti - ma trattati, proprio qui dove lei poteva
negarli praticamente, laddove, logicamente o topologi- guardarli e ascoltarli, come degli esseri indesiderabili.
camente, è più facile capovolgere le cose: al confine, al A un certo punto, nel film Degli spettri si aggirano
margine, al limite. p~r l'Europa, si può vedere un'iscrizione che dice: «I con-
Così funziona l'encampementdu monde, il divenire fini uccidono». Come, allora, non pensare al filosofo per
accampamento del mondo, come l'ha chiamato oppor- eccellenza dei passages, a colui che fu l'indesiderato per
tunamente Miche! Agier. Questa operazione è doppia: vi antonomasia e che, desideroso di passare un confine, ne
vediamo incrociarsi o confrontarsi due movimenti sim- fu in qualche modo ucciso, per la sua chiusura vissuta in
metrici, come una lotta di classe inscritta nel desiderio questo caso come una sentenza del destino?

44 45
a
1e e ,. Mq • s • -,
I
fu nuovamente sospeso. Un giorno prima Benjamin
.;
L l sarebbe passato senza difficoltà; un giorno più tardi a
Marsiglia avrebbero saputo che in quel momento non
era possibile passare per la Spagna. Solo quel giorno fu
possibile la catastrofe».
Benjamin stesso, qualche settimana prima di
questo esito segnato dalla mortifera assurdità burocra-
tica, aveva rivolto a Theodor Adorno queste parole di-
sperate: «Ma come lei sa, la mia situazione personale
non è affatto migliore di quella dei miei scritti.[...] L'as-
soluta incertezza su ciò che porterà il prossimo giorno,
la prossima ora, domina da molte settimane la mia esi-
stenza. Sono condannato a leggere ogni giornale (qui
sono ormai ridotti a un solo foglio) come un messag-
gio indirizzato a me e a individuare in ogni emissione
Walter Benjamin, ancora. Da qui il cenno nel radiofonica la voce del messaggero di sventura. Il mio
testo di Niki Giannari a quel «26 settembre del 1940», tentativo di raggiungere Marsiglia per far valere le mie
quando «il confine si chiuse» davanti all'autore de lpas- ragioni al consolato di quella città è stato vano. Da di-
sages di Parigi e dove questi, di conseguenza, «si tolse la verso tempo per lo straniero è diventato impossibile ot-
vita». «Poiché nessuno arriva al confine/ un giorno pri- tenere un'autorizzazione a cambiar luogo. [...] Spero di
ma o un giorno dopo». Un'espressione che viene data averle dato finora l'impressione di mantenere la calma
qui come una nuova quasi-citazione, quella della crona- anche in momenti difficili. Non creda che ciò sia mu-
ca di questo episodio - e della sua conclusione filosofi- tato. Ma non posso nascondermi che la situazione si è
ca molto benjaminiana - da parte di Hannah Arendt fatta pericolosa. Temo che coloro che riusciranno a ca-
nel suo scritto su Walter Benjamin: «Quando il piccolo varsela, saranno ben pochi».
gruppo di profughi a cui Benjamin si era unito raggiun- Il confine di cui parlo potrebbe facilmente evo-
se il posto di frontiera spagnolo, si seppe che proprio care la «porta della legge» immaginata in una celebre
quel giorno la Spagna aveva chiuso il confine e i fun- parabola del Processo di Franz Kafka. Ma se Kafka fa.
zionari di frontiera non accettavano i visti rilasciati a ceva aspettare all'infinito, per poi morirci davanti, un
Marsiglia. Sarebbero dunque dovuti tornare in Francia povero analfabeta - la figura ebraica dellam ha'aretz -,
il giorno successivo, per la medesima strada. Durante il vero confine di Port-Bou non ha risparmiato, nel giro
la notte Benjamin si tolse la vita, e in seguito a questo di poche ore, il più saggio e colto degli uomini. Davanti
i funzionari di frontiera, alquanto colpiti da quel suici- ai confini allegorici, sono generalmente le anime che,
dio, consentirono ai suoi compagni di proseguire verso come nel Giudizio universale, vengono «pesate» o con-
il Portogallo. Alcune settimane dopo il blocco dei visti segnate al loro destino. Davanti ai confini reali, invece,

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contano solo i documenti d'identità, i passaporti, i vi- «Ma la cenere
sti, l'ultimo decreto emanato e la propensione del sol- si ricorda»
dato ad applicarlo con più o meno rigore. In ogni caso,
il confine funziona proprio come una struttura aperta
- che basta bloccare con una linea di filo spinato e far
sorvegliare da alcuni poliziotti - che lascia ancora scor-
gere il luogo desiderato, ma la cui chiusura già avvenuta
è tanto più misteriosa, arbitraria e crudele, quanto non
chiaramente discernibile. Mi è facile immaginare che
nel settembre 1940 Walter Benjamin abbia potuto, dal In contrasto con le immagini a colori d'Idomeni - im-
«sentiero delle creste» di Port-Bou, contemplare quel- magini in cui seguiamo una parte del destino dei rifu-
la Spagna in cui voleva passare: un paesaggio mozzafia- giati, sballottati tra la norma che viene loro imposta e il
to, come più tardi hanno osservato Hannah Arendt o desiderio che li anima, tra l'attesa nelle code per il cibo
Gershom Scholem, venuti alla ricerca di qualche trac- e l'emergere dei gesti di rivolta-, i brevi piani in 16 mil-
cia o testimonianza. Ma il confine si era chiuso davanti limetri bianco e nero, ripresi da Maria Kourkouta nel
a lui, mentre il paesaggio rimaneva sempre lì, davan- film Degli spettri si aggirano per t 'Europa, ci introducono
ti a lui. Rimase quindi davanti al paese salvatore come a un'atmosfera molto particolare. È uno spazio di grigio
Mosè davanti alla terra promessa. Il confine è stupendo e nebbie. Come se, dalle immagini a colori a queste, fos-
quando l'abbiamo appena attraversato. Ma può cam- simo passati da una temporalità a un'altra, o dall'arte
biarti il destino senza che tu sappia esattamente per- pittorica a quella del bassorilievo, ma un bassorilievo
ché, o quando: testa o croce, aperto o chiuso, <<un gior- fatto di fumi, di esalazioni e non di marmo. I piccoli
no prima / o un giorno dopo». bracieri all'aperto diffondono pennacchi di fumo che
si perdono in lontananza nelle nuvole, o nel biancore
opaco del cielo d'inverno. li vapore fuoriesce da un re-
cipiente d'acqua calda nell'aria fresca del mese di mar-
zo. A volte è l'immagine stessa che, nella sua struttura,
nella sua grana, appare polverosa, impalpabile. Ho pen-
sato spontaneamente al testo di Pierre Fédida sul soffio
indistinto dell'immagine, Le sou/fle indistinctde l'image,
· un testo importante sull'«apparire spettrale» delle im-
magini psichiche, non a caso pubblicato nella raccolta
intitolata Le site del 'étranger, «Il luogo dello straniero».
Davanti ai paesaggi desolati del nord della Gre-
cia, paesaggi abitati da «stranieri», da persone che non
sono «al loro posto», mi sono riapparsi, oltre a certi piani

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di Theo Angelopoulos, alcuni ricordi frammentari del-
I delle montagne nelle immagini del film di Maria Kour-
la poesia di Paul Celan Svolta del respiro: «Paesaggio con kuta e Niki Giannari. L'immagine testimonia a distan-
esseri d'urne. /Dialoghi/ da bocca di fumo a bocca di za, e per questo vediamo Idomeni attraverso le imma-
fumo». Ma, tornando alla misteriosa raccolta del poeta, gini-testimoni, grigie e per momenti tremolanti, della
scopro altre fumarole sparse, in cui i motivi congiun- cinepresa 16 millimetri.
ti del respiro e dell'immagine richiamano quelli della I treni merci che passano pesantemente davanti
<<fatalità>> e della «contro-fatalità»: un altro modo, per ai rifugiati immobili, li vediamo oggi soltanto attraver-
Celan, di approfondire - di scavare, come un archeolo- so i piani implacabili di queste immagini documentarie.
go dell'aria e della parola - la questione di cosa signifi- L'emozione davanti ai treni che passano, evocandone al-
chi testimoniare: tri, non la percepiamo che leggendo - o sentendo profe-
rire - il testo di Niki Giannari, quando testimonia, non
«Fanne l'immagine solo di questo caso, ma anche dell'oblio che minaccia
che rilancerà i dadi a casa nostra». ogni testimonianza, compresa quella che sta portando
[...) alla nostra attenzione («la gente dimenticherà quei treni
con la fatalità delle immagini / come questi treni»).
e la loro contro- E tuttavia, aggiunge Niki Giannari: «Ma la cene-
fatalità re/ si ricorda». Fragile memoria, senza dubbio: nulla si
[...) disperde meglio della cenere al vento, non è vero? Ma la
attende, cristallo di respiro, memoria insiste con mille sospiri, mille spettri possibili,
la tua incrollabile dai quali può manifestarsi qualcosa di nuovo. La memo-
testimonianza [...) ria si respira come il silicio nei polmoni del minatore.
verso di noi e lontano da noi e verso di noi>>. È allora, comunque, che dalla testimonianza può sca-
turire un'autentica contro-fatalità: quando, pur restando
Una testimonianza attesta una fatalità accaduta nella lontana da noi, riesce, grazie alla sua stessa persistenza,
storia. Non c'è più modo di disfare ciò che è accaduto. a ritornare da noi, come un fantasma, a perseguitarci,
Bisogna solo ricordare i fatti, le circostanze, le persone, abitarci, farci agire diversamente. <<Verso di noi e lon-
le emozioni. Non perderli del tutto. La testimonianza è tano da noi e verso di noi», come scrive Paul Celan al
questo, prima di tutto. La sua intrinseca fatalità ci dice ritmo incessante di un'onda, un fluido, un respiro o un
che una sciagura è avvenuta. Una sciagura che gli uo- battito del cuore.
mini non hanno potuto o voluto impedire. Accade a Ed è esattamente ciò che un'immagine - imma-
noi, quindi, come se venisse da uno spazio fatale o insa- gine visiva o immagine poetica - è in grado di realiz-
nabile, ed è forse questo che Paul Celan ha voluto dire zare ai nostri occhi, o meglio ai nostri sguardi. L'im-
con l'espressione <<verso di noi e lontano da noi e verso magine viene da lontano a testimoniare: nel senso che
di noi». È così che oggi, l'intimo dolore di ciascuno, torna da noi, si rivolge a noi, ci guarda. L'immagine
a ldomeni, ci sembra tanto lontano quanto l'orizzonte risale il tempo, ci offre cioè anche un'altra possibilità,

50 .51
una biforcazione della storia. Formula una nuova ipo- Ma al tempo stesso le immagini sono contro-fa-
tesi e, grazie alla sua azione immaginifica, reinterpreta tali. Dalla loro grande memoria affiorano desideri del
il destino: «Fanne l'immagine / che rilancerà i dadi a tutto nuovi - i desideri non sono forse sempre «tutti
casa nostra». nuovi», insicuri, insoddisfatti, tesi verso il futuro? -,
Da dove viene questo potere delle immagini? come una vegetazione che cresce anarchicamente sulla
Proprio da lì, forse, dove i «dannati della terra» trag- lava indurita. Da dove proviene, dunque, questo potere
gono il loro: dal loro potere di passare nonostante tutto. Le nuovo, questo potere di novità? Dal fatto che, essendo
immagini sono certamente fatali, nel senso che portano persistenti (e persino: volendo essere persistenti), sono
con sé un ricordo persistente. Trasformano il minimo anche spettrali, quindi mobili, nomadi: persistiamo
respiro in un fossile in movimento. Aby Warburg, come meglio quando sappiamo cambiare posto. Alla soprav-
sappiamo, ha inteso la storia delle immagini come una vivenza delle immagini, che si riferiva alla loro capaci-
<<storia di fantasmi per adulti»: una storia in cui le im- tà di attraversare tempi d iversi, Warburg ha quindi ag-
magini possono «ritornare» da altri tempi del tutto ete- giunto la migrazione, che definiva appunto, secondo lui,
rogenei, attraversare le mura della periodizzazione sto- la loro fondamentale capacità di attraversare spazi di-
rica, librarsi antiche negli spazi stessi della nostra mo- stinti, anche molto distanti tra loro (proprio la capacità
dernità. E questo potere, Warburg aveva deciso di chia- di cui l'atlante d 'immaginiMnemosynevoleva delineare
marlo survivance, «sopravvivenza»: un «aldilà», ossia la le traiettorie in tutto il Mediterraneo, e soprattutto da
capacità, straordinaria se ci pensiamo, di attraversare il Baghdad e dalla Siria al cuore dell'Europa).
tempo, di significare in più tempi eterogenei contempo- Tutti questi movimenti di migrazione hanno
raneamente, di passare neltempo. un nome generico: la cultura. Non la cultura dei «pro-

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grammi culturali» o dei «ministeri della cultura», ma da Freud nell'ultima frase del suo libro sui sogni, nel
la cultura nel senso antropologico del termine, ciò che r900, si completa quindi, nel r929 - ancora vicina l'e-
rende cioè gli umani quegli esseri capaci, non solo di sperienza traumatizzante del primo conflitto mondiale
parlare, lavorare e inventare attrezzi, o magari opere e davvero imminente la presa del potere da parte dei
d'arte, ma anche di vivere in società, parlarsi, inventarsi, nazisti in Germania - , con una riflessione molto pes-
immaginarsi l'un l'altro. Quando una società comincia a simista sulla indistruttibilità della pulsione aggressiva.
confondere il suo vicino con il nemico, o lo straniero Più pessimista ancora si mostrò Walter Benjamin, per
con il pericolo, quando inventa istituzioni per mettere il quale «la barbarie è inscritta nel concetto stesso di
in opera questa confusione paranoica, allora possiamo civiltà».
dire, secondo la logica storica - e non da un semplice Eppure «la cenere/ si ricorda». È un lavoro. È lo
punto di vista etico - che sta perdendo la propria cul- sforzo di ricordare e di perseverare nel far vivere, cioè
tura, la propria capacità di civiltà. Lo stesso anno - 1929 trasformare, questa «cultura» etica, politica, estetica,
- in cui Aby Warburg compose le ultime tavole del suo poetica, che la <<barbarie» riesce troppo spesso a dare
atlante d'immagini, tavole sulle quali incombono le nu- alle fiamme o a ridurre in brandelli. Se vogliamo guar-
vole politiche della teocrazia, del fascismo e dell'anti- dare secondo la storia, possiamo capire, grazie ad Han-
semitismo, Sigmund Freud scrisse Il disagio della civiltà, nah Arendt per esempio - e a un suo testo, inedito, che
libro coraggioso che richiederebbe, oggi, di essere con- non ho ancora evocato: Apatridie, <<Apolidicità», scritto
fermato e addirittura aggravato nella sua diagnosi. nel 1955 -, come la barbarie iscrive la sua legge inesora-
Freud, in particolare, si stupiva che la società oc- bile, la sua fatalità, nel nostro mondo contemporaneo:
cidentale fosse giunta a incontrare così tante difficoltà «Il diritto d'asilo è crollato (...]. I.: intero problema ha co-
nel produrre «opportunità di felicità» e, al contrario, minciato a ruotare intorno alla questione di come ren-
così tante opportunità di <<sperimentare l'infelicità». E dere [il rifugiato) deportabile, come se il fatto di poter
precisava: «La sofferenza ci minaccia da tre parti: dal essere deportati costituisse il diritto principale. [Fran-
nostro corpo che, destinato a deperire e a disfarsi, non ces S.) Childs, ad esempio, che deplora l'assenza del di-
può eludere qui segnali di allarme che sono il dolore e ritto di asilo nella Carta delle Nazioni Unite, trova, per
l'angoscia, dal mondo esterno che contro noi può infie- finire, una sola soluzione: il campo d' internamento, al
rire con strapotenti spietate forze distruttive, e infine quale si può destinare [qualsiasi apolide). I campi di in-
dalle nostre relazioni con altri uomini. La sofferenza ternamento sono (quindi) diventati la regola. (E quan-
che ha origine nell'ultima fonte viene da noi avvertita do] non sono controllati da istituzioni internazionali,
come più dolorosa di ogni altra». Il «disagio della civil- possono diventare campi di concentramento>>.
tà» si caratterizzerebbe quindi, in una delle sue compo- Se tentiamo di guardare secondo l'immagine, pos-
nenti essenziali, come una ostilità verso l'altro che finisce siamo, come suggerisce Paul Celan, agire contempora-
inevitabilmente per confondersi con l'ostilità verso la ci- neamente sui due piani della fatalità e della contro-fa-
viltà stessa, o con ciò che chiamiamo le «umanità». L'in- talità. Possiamo testimoniare della fatalità, ciò che nel
distruttibilità del desiderio, suggerita precedentemente film Degli spettri si aggirano per l'Europa viene affrontato

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dal punto di vista documentaristico e molto preciso, «Orfani, sfiniti,
molto paziente, dei piani. In questi piani, gli spettato- secolari e sacri»
ri del futuro vedranno, con qualche dettaglio, come
i rifugiati sono stati costretti ad aspettare - e quindi
a soffrire - davanti al confine a Idomeni. Di fronte a
questi piani, ricorderemo le analisi di Hannah Arendt
sugli apolidi, che non hanno perso niente della loro ri-
levanza: «Viviamo in un mondo che è stato suddiviso,
dove non ci sono spazi vuoti nel senso di spazi senza
proprietari. Non solo: viviamo in una rete di relazioni Un tale desiderio, scrive Niki Giannari, «nulla lo può
internazionali in cui il nostro statuto giuridico è porta- vincere/ né l'esilio, né la prigione, né la morte». È un
tile (il nostro statuto giuridico ci accompagna ovunque) desiderio indistruttibile. È sovrano contro tutte le so-
e rimaniamo sotto la sua protezione ovunque andiamo. y
vranità. Il confine è qui, ovviamente, chiuso. Ma i ri-
Non appena perdiamo questa protezione, è come se ca- fugiati passano altrove, altrimenti. O passeranno più
dessimo in un abisso». I tardi. Passano comunque. La loro disgrazia li ha resi
Ma qualcos'altro, un altro tempo, altri movi- ostinati, come non capirli? Pe.r finire, questi «spettri
menti psichici e corporei appaiono nelle immagini del che si aggirano per l'Europa» attraverseranno i muri
film Degli spettri si aggirano per l'Europa come nelle frasi come sanno fare tutti i fantasmi che si rispettino. Quin-
di Niki Giannari. Questa è la cosa più importante. Lì ci di eccoli qui «verso di noi e lontano da noi e verso di
sono i germi - come semi lanciati in aria, forse calpe- noi», dopo aver disfatto, come dice Niki Giannari, «le
stati a terra, dimenticati, ma destinati a fiorire - della nazioni e le burocrazie». Sono «orfani, sfiniti,/ affama-
contro-fatalità. La cenere si ricorda del fuoco: ricorderà ti, assetati» - ma passano a ogni costo e passeranno an-
che i nostri sacri principi, i nostri precetti etici, sono cora, «disobbedienti e ostinati,/ secolari e sacri».
stati, ancora una volta, dati alle fiamme. Ma ricorderà «Secolare» traduce qui i1 termine greco bebilos
ancora meglio i gesti che, allora, resistettero a quella (in greco antico si trascriverebbe: bébelos). L'aggettivo
fatalità, per insistere nel desiderio di attraversare il con- è solitamente usato per indicare un luogo dove si può
fine, per superare gli ostacoli frapposti alla libertà più camminare liberamente, un luogo il cui accesso non è
elementare: quella di mettersi in moto per voltare le vietato. Davanti al confine chiuso a ldomeni da decisio-
spalle alla morte. n i governative, questo aggettivo suggerisce quindi un
atto di trasgressione o, più precisamente, di profanazio-
ne: l'atto cioè, come ricordato da Giorgio Agamben, di
«restituire al libero uso degli uomini» ciò che in prece-
denza era stato «consacrato», ovvero escluso dalla sfera
del diritto umano. Nel suo elogio della profanazione,
Agamben concludeva precisando che «strappare ogni

"' 57
I
l
volta ai dispositivi - a ogni dispositivo - la possibilità
d'uso che essi hanno catturato» è un compito propria-
mente politico. Bebitos significa quindi «profano». Ma
l'aggettivo è forse sembrato debole rispetto all'intensità
voluta da Niki Giannari, mentre «profanatore>> avrebbe
esagerato - nel senso della violenza - questa stessa in-
tensità. Inoltre, la poesia sembra qui riferirsi a qualco-
sa di molto antico, iscritto in un tempo di secoli, quindi
«secolare». Bisognava, infine, che l'aggettivo non si op-
ponesse unilateralmente a ieros, che denota invece la for-
za del sacro. I rifugiati d' Idomeni secolarizzano qualcosa
di molto antico che sopravvive in loro? Sono quindi «pro-
fani», perfino profanatori, e «sacri» allo stesso tempo.
Ma di quale «sacralità» ci vuole parlare qui Niki
Gian nari? Ai suoi occhi i rifugiati sembrano - nel loro
stesso modo di apparire - portare con sé un mistero, di attraversa». I «senzatetto» che Niki Giannari ha incon-
cui il mondo contemporaneo sembra non voler vedere trato nel campo di Idomeni erano secolari e sacri per
nulla. Non li vediamo, non sappiamo come vederli, ed qualcosa di molto semplice e insieme di molto profon-
è uno dei motivi che fanno di loro non degli spettri in do. «Loro che sanno ancora essere in movimento», dice
generale, ma proprio i nostri spettri. Appaiono, passano, lei. Ma questo movimento - il semplice desiderio di
scompaiono, «ricompaiono»: e questo accade, dice la voltare le spalle alla morte e alla miseria, di farsi strada
poesia, «come l'avverarsi di una profezia quasi dimenti- verso una vita migliore - coinvolge un intero patrimo-
cata>>. Non ricompaiono per entrare nella storia, ma per nio, un'intera cultura. La semplicità del loro desiderio
«attraversarla». È come se venissero da oltre la nostra racconta così la profondità «secolare e sacra» della loro
storia, fatta solamente di anni o di circostanze. Come se memoria. Una memoria che portano con sé, ma di cui
andassero anche molto lontano, molto più avanti di noi. non sono, ~iù di chiunque altro, i proprietari esclusivi.
Fanno tutto questo «come dei contravventori, e indi- Passando ce la trasmettono, ce la offrono. Ce la resti-
sciplinati,/ degli eletti, e così animati»... Un altro modo tuiscono come se l'avessimo perduta. In questo senso
per dire: secolari (o profani) e sacri (o eletti) allo stesso appaiono, nel loro «reclamo incomprensibile, assoluto,
tempo. È così che, <<al cuore di questo ospizio inospi- ermetico» come le «figure insistenti della nostra genea-
tale che è diventato l'Europa / [...) ovunque tu guardi logia dimenticata».
nelle vie/ o nei corsi dell'Occidente, / si fanno strada>>. È in questo senso, conclude Niki Giannari, che
Eccoli, quindi, che passano, come continuiamo essi «passano e pensano a noi». Che sono «i nostri spet•
a vederli nel film Degli spettri si aggirano per l'Europa: «si tri»: la nostra ossessione e la nostra destinazione. Manca-
fanno strada: questa processione sacra/ ci guarda e ci va quindi forse qualcosa agli spettri di Marx. Quegli

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spettri erano solo secolari, profani, magari profanatori. Benjamin, tutta una «tradizione nascosta» di cui Enzo
Ma per trovare degli spettri nello stesso tempo «secolari Traverso ha recentemente tracciato la genealogia.
e sacri», non bisogna poi cercare tanto lontano dal Mani- Marx e Engels conoscevano sicuramente l'opera
festo del partito comunista: attraversano l'opera del poeta, pubblicata da Heine nel 1834 Sulla storia della religione
di cui Marx e Engels hanno forse, forse anche involonta- e della filosofia in Germania. In questo libro si abbozza
riamente, adattato in modalità comunista la «processione un'antropologia politica della lingua. Una delle tesi più
sacra» e la «genealogia dimenticata» dei paria della storia. note di Heine - tesi che conserva a tutt'oggi la sua per-
Questo poeta è Heinrich Heine. L'ultimo grande scritto- tinenza - è che Martin Lutero «creò la lingua tedesca.
re romantico, secondo alcuni. Colui che, in ogni caso, ha Questo, mediante la sua traduzione della Bibbia». Tra-
saputo elevare la lingua popolare al rango di poesia. Che durre non significa reinventare la lingua nella quale si
le ha conferito una finezza e un'eleganza mai raggiunta, traduce? Ma uno spettro continua, secondo Heine, a
fino ad allora, nella lingua tedesca. Egli appare come il perseguitare questa lingua: è lo spettro del giudaismo
primo poeta ebreo tedesco - e su un altro piano fran- o, piuttosto, dell'ebraico originale, di cui solo gli ebrei
co-tedesco-, al contempo lirico e storicista, melanconico sapevano per tradizione leggere il testo: «È vero che
e satirico, sognatore e polemista. Si contano circa sette- esisteva la Vulgata che si capiva facilmente, e la versio-
mila adattamenti musicali delle sue poesie, in particolare ne dei Settanta che si poteva ormai capire - ma la co-
nell'opera di Liszt, Schumann, Brahms e Schubert. È a noscenza dell'ebraico era del tutto spenta, nel mondo
lui che dobbiamo la formula secondo cui le persone ca- cristiano. Solo i Giudei, nascosti qua e là in un angolo
paci di bruciare libri un giorno finiranno per bruciare es- di questo mondo, conservavano ancora le tradizioni di
seri umani. E i suoi libri, ovviamente, furono tra i primi a tale lingua. Come un fantasma che custodisce un teso-
essere dati alle fiamme dai nazisti nel 1933. ro affidatogli una volta in vita, così questo popolo as-
Heine seguì, tra il 1821 e il 1823, i corsi di filosofia sassinato, questo popolo-fantasma se ne stava nei suoi
di Hegel all'università di Berlino. Vent'anni più tardi, ghetti oscuri custodendovi la Bibbia ebraica; e in que-
nella Parigi degli esiliati della sinistra tedesca, si legherà ste tane malfamate si videro entrare furtivamente i dot•
a Marx e Engels e produrrà alcuni testi per le loro rivi- ti tedeschi per trarne il tesoro».
ste, come «Vorwiirts!» o i «Deutsch-Franzosische Jahr- Ci sono decisamente molti «spettri che si aggira-
biicher». La sua poesia Germania, una fiaba d'inverno, no per l'Europa». Heine ne ha identificati altri ancora
pubblicata nel 1844, contiene tracce esplicite di una vi- nel suo libro La Germania: sono gli «dèi in esilio». Non
cinanza alle idee di Karl Marx. Pubblicherà, lo stesso solo Gerusalemme e la sua Torah, ma anche Atene e la
anno, un altro poema - dedicato alle rivolte operaie in sua Teogonia. L'immagine di Heine è quella di un basso-
Slesia - nella forma di un volantino intitolato Le Chant rilievo en grisaille, come la parete di un antico sarcofago,
des tisserands. Heine farà anche, in Lutèce, la cronaca po- ma costituito di figure evanescenti, vaporose come in
litica e artistica della Francia tra il 1840 e il 1844, prima un film 16 millimetri in bianco e nero: è uno «strano cor-
d'incarnare, in modo più generale, quella «melanco- teo», dice, un «baccanale» pallido. Una «folla di spettri
nia critica» che caratterizzerà, oltre all'opera di Walter in movimento» che attraversano, anche loro, l'Europa

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- cristiana o razionalista - come dei fantasmi erranti
perché «allora dovettero fuggire con ignominia, i pove-
ri dèi, e si nascosero da noi sulla terra sotto ogni specie
di travestimento». È quindi la figura spirituale del paria
che prende forma qui. Sappiamo che il testo di Heine
divenne cruciale per tutta una tradizione futura: abita
le elegie di molti poeti tedeschi, così come la teoria delle
immagini insepolte di Warburg o quella dell'inconscio
di Freud, che fu anche lui un grande lettore di Heine.
La questione non è tanto sapere se gli «spettri
dell'Europa» sono questo o quello - ebrei, pagani, bizan-
tini, comunisti, musulmani, paria, colonizzati o quant'al-
tro ancora. È piuttosto quella di sapere perché l'Europa
produce degli spettri. Perché tenta di dimenticare qual-
cosa che tuttavia le appartiene fondamentalmente - che
la osserva e la concerne, che passa in lei, che l'attraversa vitale; sono «sacri» perché vengono da una profondi-
- come presenza spettrale o ritorno del rimosso. Secondo tà etica e culturale molto grande, in cui le religioni, in
la risposta implicita di Niki Giannari, l'Europa non sa molti casi, svolgono un ruolo fondamentale. I sorrisi, an-
più essere contemporaneamente «secolare e sacra». Non ch'essi, sono «secolari e sacri»: li vediamo via via stanchi
sa più come profanare, allo stesso tempo non sa più dove e fiduciosi, tristi e generosi, teneri e coraggiosi, pudici e
porre il suo sacro. Crede che si debba scegliere una via graziosi, degni e innocenti, conviviali ed ermetici... Illu-
unilaterale. Cade quindi nella trappola dell'identifica- minano quelle immagini dal fondo silenzioso sul quale
zione dell'identità, o, ancora, del commercio di ogni cosa. Lena Platonos salmodia le frasi di Niki Gian nari. Sono
Poiché è chiaro che un essere «secolare e sacro» non può, loro la contro-fatalità stessa che si oppone alla nostra
in nessun modo, essere fissato nei limiti di uno statuto chiusura - alle nostre dimenticanze, ai nostri rimossi,
univoco. Per questo, un tale essere apparirà sotto i tratti alle nostre «difese» psichiche e politiche - con il molto
di un «paria» o di un «ebreo», di un «dio in esilio>> o di un umano e molto legittimo desiderio di passare. Quel <<de-
«comunista», di un «siriano» o di un «afgano»... in ogni siderio che nulla può vincere».
modo di un passante. A suo modo uno spettro.
Nelle immagini en grisaille di Maria Kourkouta
c'è un'incarnazione particolarmente evidente, e com-
movente, di questa condizione: sono i gesti dei rifugiati
e le espressioni dei loro volti.
I gesti sono «secolari» perché sono molto sempli-
ci e antichi, nel loro rispondere a situazioni di urgenza
«Passano e pensano a noi» delle donne «nere», venute dal Medio Oriente, vengono
accolte ad Argo secondo la legge sacra dell'ospitalità, sal-

,
I vo poi generare un conflitto con la legge profana, e dei
' calcoli politici che quell'accoglienza fa nascere in città.
E allora che l'ospitalità diventa a sua volta il
, terreno di scontro e la materia politica - e al contempo
'' etica - degli <<Spettri che si aggirano per l'Europa>>. Nel
suo libro Spettri di Marx, Jacques Derrida aveva posto
correttamente il problema: «Dacché c'è spettro, l'ospi-
Anche i lunghi piani dei passi - quei piedi miserabil- talità e l'esclusione vanno di pari passo. Non si è occu-
mente calzati, quei piedi nel fango che continuano ad pati dai fantasmi che essendo occupati a esorcizzarli, a
avanzare-, nel film Degli spettri si aggirano per l'Europa, metterli alla porta». In breve, gli spettri ci dividono: ci
appaiono come l'indizio evidente di tale desiderio. «In costringono nella posizione contraddittoria di colui che
quei piccoli piedi ricoperti di fango», scrive Niki Gian- deve «accogliere, dicevamo allora, seppur nell'appren-
nari, «carnalmente/ giace il desiderio che sopravvive/ sione, nell'angoscia e nel desiderio di escludere lo stra-
a ogni naufragio»... Un desiderio, scrive, che in Europa niero, di invitarlo senza accettarlo, uno straniero che
«abbiamo perduto da molto tempo» (qui direi piuttosto si trova però già dentro (das Heimliche-Unheimliche),
che non è perduto, no, ma solamente rimosso, il che più intimo a sé di se stesso, prossimità assoluta di uno
può causare danni di altro tipo, più nevrotici, della per- straniero la cui potenza è singolare e anonima (es spukt),
dita o preclusione in senso proprio di quel deside.rio). potenza innominabile e neutra, e cioè indecidibile, né
Ma di quale desiderio si tratta? Desiderio di cosa, per attiva né passiva, an-identità che occupa invisibilmente
cosa, verso cosa? Niki Giannari risponde con luminosa e senza far nulla dei luoghi che alla fine non sono né no-
semplicità, nel punto preciso in cui il «secolare» (o la stri né suoi. [...) E se invece fosse la Cosa stessa, la causa
profanazione) e il «sacro» (o la tradizione) s'incontrano: di ciò che si ricerca e che fa cercare ?».
è, dice, «il politico» in quanto tale. Gli spettri dell'Europa sarebbero quindi gli spet-
Sì, è esattamente lì, nel punto di contatto tra tri, stranamente inquietanti, dell'ospitalità. Inquietanti
«spettri» e filo spinato, nel punto di raccordo tra il de- perché ci sono, appunto, troppo familiari. Non è super-
siderio di passare e la sanzione del confine «Non si pas- fluo ricordare, dal momento che sto parlando qui di un
sa», che si situa, per questa storia, la sostanza stessa del film e di una poesia - una poesia scritta per un film -,
politico. Quella sostanza che agita l'Europa nella sua che il «perturbante» secondo Freud costituiva prima di
più lunga durata e che fu già al centro delle Supplici di tutto, ai suoi occhi, un problema estetico (potrebbe trat-
Eschilo - che una recente traduzione ha voluto ribat- tarsi, a ben vedere, del più cruciale problema estetico in
tezzare Les Exilées, «Le Esiliate», come avrebbe potuto assoluto) legato alla nozione stessa di sopravvivenza: un
dire «Le Rifugiate»-, una tragedia esplicitamente lega- «perturbante» che, quando ci appare, ci sembra tanto
ta al mito fondatore dell'Europa e che racconta di come «straniero>> solo perché tende verso una propria casa del
passato, «ciò che un giorno fu heimisch [patrio], fami- cioè l'anti-legge - o il conflitto delle leggi, che Eschilo e
liare» (das ehemals Heimische, Altvertraute), come scrive Sofocle hanno raccontato in modo così accurato nelle
Freud decidendo di circoscrivere il segno della familia- loro tragedie. «L'antinomia dell'ospitalità - scrive Der-
rità - cioè la parentela, la somiglianza, la prossimità - rida - oppone inconciliabilmente la legge, nella sua
nientemeno che con due segni di distanza temporale. singolarità universale, a una pluralità che non è solo
Gli spettri dell'Europa non sono quindi precisa- una dispersione (le leggi) ma una molteplicità struttura-
mente queste genti «secolari e sacre», vestite di mantelli- ta, determinata da un processo di divisione e differen-
ne di plastica, che tentano di passare un confine a Idome- ziazione: da più leggi che distribuiscono la loro storia
ni: sono i dubbi che investono il nostro presente, i nostri e geografia antropologica in modi diversi. La tragedia,
desideri e, insieme, le nostre memorie politiche. Ci appa- perché è una tragedia del destino, è che i due termini
iono come spettri perché la loro perturbante estraneità antagonisti di questa antinomia non sono simmetrici.
fa salire in noi l'angoscia della propria casa delpassato. Po- C'è una strana gerarchia. La legge è al di sopra delle leg-
tremmo quindi dire che sono dei dubbi che si aggirano per gi. È quindi illegale, trasgressiva, fuorilegge».
l'Europa. Questioni di tempo, quindi questioni di essere È dunque questa l'antinomia. Quella che ha spinto
e di esistenza. Allora, perché stupirsi se i nostri dubbi - i Gérard Bensussan a scrivere un testo il cui titolo, Diffi-
nostri dubbi più profondi, più intimi - ci vengono così cile hospitalité, evoca naturalmente il libro di Emmanuel
spesso dallo straniero? Non è forse sotto forma di Stra- Levinas Difficile libertà. In questo testo egli ricorda le an-
niero che la questione, in Europa, ha cominciato a porsi tinomie, e ciò che chiama il «doppio regime di moralità
nella storia del pensiero filosofico, come si può leggere dell'ospitalità>>. Ricorda che in ebraico il verbo «abito»
nei dialoghi di Platone? Non a caso,Jacques Derrida ha (ani gar) è scritto con la stessa identica grafia di <<sono stra-
consacrato nel gennaio del 1996 una lezione del suo semi- niero» (aniger). Ma l'antinomia è tale che, a Idomeni come
nario Sul! 'ospitalità proprio a questo: «Lo Straniero porta altrove, il confine continua ad aprirsi e chiudersi secondo
e pone il dubbio [...). A volte lo straniero è Socrate stesso, il ritmo infernale generato dal tragico disequilibrio tra
Socrate l'uomo inquietante del dubbio e dell'ironia (cioè «la legge>> (sacra) e <<le leggi» (secolari): «I rischi, le figure e
della questione di cosa anche la parola "ironia» signifi- le incertezze dell'ospitalità sono come i colpi di una porta
chi), l'uomo dell'interrogazione maieutica. Socrate stesso che sbatte senza mai trovare la sua definitiva chiusura o
ha le caratteristiche dello straniero, rappresenta e raffigu- la sua quieta apertura». Un punto di vista etico al quale si
ra lo straniero» - soprattutto quando si confronta, come contrappone, in Benjamin Boudou, un modo d'interro-
cittadino, con le leggi della città. Al punto da accettare la garsi maggiormente giuridico - dobbiamo infatti parlare
morte davanti alle porte chiuse di coloro che rifiutavano di «dovere,> o di «diritto» d'ospitalità? - e in definitiva
i suoi dubbi. maggiormente politico. L'ultimo libro di questo ricerca-
Ogni volta che la questione viene sollevata, è tore, intitolato Politique del 'hospitalité, «Politica dell 'ospi-
questione dello straniero. Ogni volta che è questione talità», mira a redigere una genealogia concettuale, ma
dello straniero, è questione di ospitalità. È allora che, invita anche a militare, nel dibattito contemporaneo, per
come insiste Derrida, sorge l'antinomia - l'anti-nomos, una politica di «democratizzazione dei confini».

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Perché di questo si tratta: cosa fanno le «nostre i sociologi, i semiologi, gli antropologi e alcuni demo-
leggi» dei nostri confini e dei cittadini per i quali at- grafi come Hervé Le Bras.
traversarli è questione di vita o di morte? Non sa cosa Quello che Niki Giannari osserva a Idomeni, sia
dire Niki Giannari, su ciò che le nostre leggi sui confini praticamente che poeticamente, in fin dei conti non è
prevedono - e di ciò che dicono a tale riguardo: «Ho altro che un conflitto sulconfine. Un conflitto «sulla» no-
vergogna». Vergogna della menzogna sulla parola «acco- zione giuridica di confine come «sul» terreno concreto,
glienza» e della violenza che rappresenta, da Idomeni a quotidiano, del confine greco-macedone: da una parte
Calais, «questo ospizio inospitale che è diventata l'Euro- una «politica della recinzione», dall'altra questa «etica
pa>>. Vergogna di fronte a leggi, come quella promulgata del passante» sulla quale si concludono le riflessioni di
in Francia a partire dal 199,, che istituiscono un «reato Achille Mbembe nel suo recente libro Politique de l'ini-
di ospitalità che minaccia d'incarcerare chiunque aiuti mitié, «Politica dell'inimicizia>>. Da una parte il controllo
gli stranieri in situazione irregolare, sia ospitando dei ri- xenofobo istituzionalizzato - e persino cinicamente red-
chiedenti asilo, sia ricaricando i loro telefoni cellulari, sia ditizio, come dimostrato da Claire Rodier - , dall'altra
aiutandoli ad attraversare la frontiera», come ricordano una proliferazione, una moltitudine d 'iniziative, di poli-
Guillaume Le Blanc e Fabienne Brugère sin dall'apertu- tiche cittadine volte ad accogliere e a far passare; a riconqu i•
ra del loro libro La Fin del'hospitalité. La Convenzione di stare per tutti, cioè, quel fondamentale «diritto alla mo-
Ginevra sullo statuto dei rifugiati sarebbe ormai lette- bilità» sollecitato dalla giurista e politologa Catherine
ra morta? Non sappiamo forse che più di quarantamila Wihtol de Wenden nel suo studio sullo stato contempo-
«migranti>> sono morti, dal Duemila a oggi, nel tentativo raneo della questione migratoria.
di attraversare un confine? Il conflitto che si svolge a ldomeni - e che nel
La «crisi dei rifugiati» di cui si parla ogni giorno film Degli spettri si aggirano per l'Europa si ritrova su ogni
potrebbe essere considerata, a maggior ragione, come viso, in ogni sguardo, in ogni gesto - potrebbe senz'al-
una crisi politica delle istituzioni giuridiche dell'ospita- tro essere formulato tornando a un momento filosofico
lità occidentale: «C'è una crisi, in effetti, ma non è una importante per la nostra cara Europa: una tappa costi-
crisi dei rifugiati - affermava recentemente François tutiva, appunto, di una politica illuminista contempora-
Gemenne -, è in primo luogo la crisi dell'Europa». nea alle prime rivoluzioni sociali. È il momento in cui
L'Europa, che Niki Giannari definisce perciò <<necro- lmmanuel Kant affermò, nel 1785, in Fondazione della
tica», ha in effetti sepolto il suo desiderio - che è sem- metafisica dei costumi: che di fronte a ogni «valore relati-
pre il desiderio dell'Altro o il desiderio del desiderio vo» si erge un «valore intrinseco», nel quale si concentra
dell'Altro - sotto un mortifero bazar in cui sono stati la dignità di ogni soggetto umano. Il conflitto si fonda
invertiti, in una modalità tipicamente paranoica, i pro- così sull'antinomia del «valore relativo» (quello delle
cessi di colonizzazione reale con i fantasmi di persecu- leggi di cui parla Derrida) e del «valore intrinseco» (o
zione e con la paura panica di trovarsi colonizzati dagli della legge) - ciò che Kant chiama, con molta accuratez-
stranieri. Tutto ciò fa fiorire quelle innumerevoli «reto- za, l'antinomia del prezzo e della dignità: «Tutto ha un
riche dell'invasione» di cui da lungo tempo si occupano prezzo o una dignità. Ha un prezzo ciò, al cui posto può

68
esser messo anche qualcos'altro, di equivalente; per con- «Che mi por tino con loro
tro, ciò che si innalza al di sopra di ogni prezzo, e perciò loro che sanno ancora essere in movimento»
non comporta equivalenti, ha una dignità».
È come se la Dichiarazione deidiritti dell'uomo e del
cittadino, redatta nel 1789 e posta in apertura della Costi-
tuzione francese nel 1791, trovasse qui il suo preambolo
etico, di cui Kant estese poco dopo la formulazione nel-
la sua Dottnna della virtù del 1797: «D'altra parte l'uomo,
considerato come persona, cioè come soggetto di una ra-
gione morale-pratica, è superiore a ogni prezzo. Infatti, Di fronte a questa antinomia, di fronte alla prevalen-
in quanto tale (homo noumenon) (membro del mondo in- za globale e intollerabile del prezzo sulla dignità, Niki
telligibile] va valutato non soltanto come mezzo per gli Giannari ci parla di una vergogna fondamentale. È la
scopi altrui, oltre che per i propri, ma anche come scopo stessa vergogna di cui Primo Levi disse, nella Tregua
in se stesso. In altri termini, egli possiede una dignzià (un e in seguito nei Sommersi e i salvati; che è «quella che il
valore interiore assoluto), con la quale costringe tutti gli giusto prova davanti alla colpa commessa da altrui, e gli
altri esseri razionali ad aver rispetto per lui, e grazie alla rimorde che esista, che sia stata introdotta irrevocabil-
quale può misurarsi con ognuno di loro e valutarsi su mente nel mondo delle cose che esistono». Tuttavia, la
un piano di parità». scrittrice greca combina quasi subito questo tema della
Sappiamo oggi quanto la tirannia del prezzo mini vergogna con quello della speranza: «C'è ancora speran-
la dignità dei popoli - in particolare in Grecia. Come se za? Abbiamo ancora tempo?» scrive. Si chiede persino
popoli interi dovessero accettare di subire questa condi- - come al fondo di un'inquietudine quasi messianica
zione d'essere, come dice Kant, «semplicemente un mez- della speranza - se la ricomparsa dei «migranti» a Ido-
zo per i fìni altrui» (e come non vedere qui i nuovi volti meni non sia, a ben vedere, «l'avverarsi di una profezia
dell'imperialismo e del colonialismo?). Sappiamo bene quasi dimenticata»... O, più semplicemente, la risposta
che la «questione migratoria» non può essere posta in di una certa «cultura» a una certa «barbarie».
modo superficiale sventolando qualche cifra e stabilendo È una poesia tragica questa di Niki Giannari:
delle quote. Non soltanto muoversi per cercare una con- una poesia in cui si confrontano le leggi e la legge, il «pro-
dizione di vita che gli sia propria rappresenta una dignità fano» e il «sacro», l'intollerabile imposto dai dispositivi
elementare per un soggetto umano, ma la chiusura delle dei governi e la dignità sempre tenace e resistente del
frontiere risponde unicamente, storicamente e politica- desiderio di accogliere e del desiderio di passare a ogni
mente, a una logica mortifera - vedi suicidaria per l'Eu- costo. Di fronte a questa situazione, come sappiamo,
ropa stessa -, così come hanno già dimostrato numerosi hanno testimoniato molti fotografi, video-operatori, ci-
ricercatori in scienze umane, come Claire Rodier o Em- neasti, giornalisti, scrittori, militanti delle associazioni.
manuel Terray in una raccolta sulle realtà e i fantasmi lega- La virtù - o il potere - delle immagini e delle frasi non
ti al fenomeno migratorio. consisterebbe forse, in queste condizioni, nel proporre

71
un altro tipo di azione, un legame dialettico tra la ver- prezzo e della dignità secondo Kant, l'antinomia estetica
gogna e la speranza? Un primo passo, un passaggio? Le della lussuria e della dignità così come la intendeva Pli-
opere di trenta fotografi greci riunite recentemente da nio potrebbe assumere oggi nuovi connotati. Le imma-
Electra Alexandropoulou nella sede ateniese della Fon- gini che si vedono nel film Deglispettri si aggirano per l'Eu-
dazione Rosa Luxemburg, o ancora l'importante docu- ropa, da questo punto di vista - nel modo di inquadrare
mentazione raccolta per l'esposizione parigina Habiter o di montare, di fare durare i piani, di ascoltare o fare
lecampement, «Abitare il campo» - dove si potevano os- poesia - appaiono tutte pervase dal rispetto per coloro
servare tutte le declinazioni del campo, dal Libano al che sono qui solo per passare, il rispetto della loro digni-
Kenya, dalla Turchia all'Indonesia, da Haiti a Lampe- tà fondamentale. Sarà questa, forse, la bellezza essenziale
dusa, dalla Giordania alla Courneuve o dalla Bulgaria a di questo film: immagini che passano, passeggere ma che
Calais - , tutta questa produzione d'immagini, parte del sopravvivono, sul dignitoso desiderio di passare.
circuito della cultura europea, non contribuisce forse a L'ultimo verso della poesia di Niki Giannari ci
innalzare un enorme monumento accusatorio contro i dice semplicemente questo: «Passano». Poco prima,
nostri stessi governi? tuttavia, scriveva: «Capisco che sono già passati». Qua-
All'inizio della nostra storia dell'arte, Plinio il le potere, quale temporalità vengono designati in que-
Vecchio aveva già stabilito una rigorosa distinzione nel sto semplice già? Il film non ci mostra forse i rifugia-
mondo delle immagini: un'antinomia tra «lussuria» (lu- ti, siriani o afgani, bloccati a Idomeni dalla chiusura
xuria) e «dignità» (dignitas). Secondo lui, la lussuria ri- del confine? In che modo quindi sarebbero già passati
guardava un intero settore commerciale dell'arte basato dall'altra parte? La risposta a questa domanda non si
sul «prezzo» e sull'indistinzione degli usi e delle tempo- trova in una congettura sulla suddivisione dello spazio.
ralità: ciò che accadeva, per esempio, quando un patrizio È psichica e fatale. Se diamo un semplice sguardo alla
romano acquistava una statua greca di Apollo, un'ope- situazione, i rifugiati di Idomeni non sono ancorapassa-
ra sottratta cioè al territorio colonizzato, e le faceva ta- ti. Resteranno bloccati ancora per giorni, forse per mesi
gliare la testa per sistemarvi, in modo tanto artificiale o anni, davanti a questo confine chiuso. Ma la riflessio-
quanto pretenzioso, il proprio ritratto... Tutto ciò che ne di Niki Giannari concerne piuttosto un certo stato
potrebbe facilmente evocare un'economia caratteristica del tempo, se così si può dire: da questo punto d i vista,
del nostro attuale regime estetico dell'età postmoderna, infatti; sono già passati. Ritornano, passano e ci sorpas-
anch'esso dominato dal mercato, dal kitsch e dall'arro- sano. In questo senso sono proprio «degli spettri che si
ganza borghese. aggirano per l'Europa».
Era ben diversa, secondo Plinio, !'«immagine» I L'espressione già passati denota, in primo luogo,
(imago) in senso stretto: essa costituiva un operatore di di- I un certo potere - spettrale - della sopravvivenza. È
I
gnità, proprio perché intesa e utilizzata come oggetto di come se dicessimo: è da molto tempo, vedete, che pas-
trasmissione genealogica, cioè di restituzione e di passag- sano e sono già passati. Ripensate, appunto, a Walter
gio. Un oggetto, quindi, non commerciabile: senza prez- Benjamin: ripensate a quel 26 settembre 1940 quando,
zo, perché inestimabile. Parimenti all'antinomia etica del non solo non è passato, ma per di più si è tolto la vita.

72 73
Come sarebbe quindi già passato? Il suo amico Berto!t
Brecht, nel 1941, rispose con una poesia in cui la que-
stione non era la «semplice morte» di Benjamin, ma
la sua dignitosa e «libera morte d'esiliato». Ma ciò che
Brecht dice di una tale morte è proprio che essa soprav-
vive - ci raggiunge nel tempo - al di là di tutti i confini
dello spazio: «Spinto alla fine a un'invalicabile frontie-
ra/ hai valicato, dicono, una frontiera valicabile». Cer-
to, scrive Brecht, la morte ha ancora guadagnato ter-
reno: «Il futuro è nelle tenebre, e le forze del bene /
sono deboli». Ma questa semplice poesia avrà almeno
fatto sopravvivere in Benjamin il suo inestinguibile de-
siderio di passare, incarnando inoltre ciò che l'autore
di Strada a senso unico, con Kafka, aveva detto della spe-
ranza: che non è per noi ma per l'altro.
Ma la sopravvivenza non è solo rivolta al passa- C'è un luogo in cui la sopravvivenza (o il «sacro»
to: trasforma la memoria in una forza del desiderio, e di cui parla Niki Giannari) e il futuro (o !'«avanguar-
quindi d 'avvenire e di novità. È lo stesso motivo con dia» di cui parla Hannah Arendt) s'incontrano. È l'in-
cui H annah Arendt concludeva il suo testo sui rifu- fanzia. Una temporalità iniziale, senza dubbio, ma che
giati del 1943: «I profughi costretti di paese in paese non può essere ridotta né all'«ineffabile» né a quella
rappresentano l'avanguardia dei loro popoli». Questo cosa definitivamente «perduta» di cui Giorgio Agam-
potrebbe significare che essi rappresentano - anche ben ha parlato, come in una diagnosi del nostro tempo,
se «fuorilegge», come Arendt insiste nel dire - l'avan- in Infanzia e storia. L'infanzia attualizza la sopravviven-
guardia dei popoli che li accolgono. Degli spettri si ag- za e l'eredità del genere umano; ma potenzia anche -
girano per l'Europa? Sissignore, ed è quanto di meglio dà potenza a - il suo stesso futuro. È soprattutto questo
potesse accadere all'Europa. Ricordatevi ciò che Der- che vedo, per finire, nel film Degli spettri si aggirano per
rida scriveva in Spettri di Marx a proposito di questo l'Europa: vedo bambini ovunque. Li vedo, molto picco-
paradosso della sopravvivenza: «Essendo un revenant li, mentre fanno la fila nel fango, vestiti con quelle man-
sempre chiamato a venire e a rivenire, il pensiero dello telline bianche troppo grandi che conferiscono loro,
spettro, contrariamente a quanto crede il buon senso, più che agli adulti, un'aria spettrale e tuttavia così vi-
fa segno dell'avvenire. È un pensiero del passato, vace. So che sono tra i più colpiti, i più vulnerabili, i più
un'eredità che non può che venire da ciò che non è sopravvissuti tra i tanti altri bambini che sono morti in
ancora arrivato - dall'arrivante». Ricordatevi cos'era mare o in guerra. Ma li vedo sorridere, cantare, giocare
per Pasolini la «forza del passato»: una cosa «più mo- con niente, inventori di un futuro emerso dalla più gran-
derna dei moderni». de povertà.

74 75
Dei bambini, scrive Niki Giannari, «che, cocciu- DNA di queste due specie si trovano nel genoma umano.
ti, si consegnano commossi alla vita». Sono soprattutto Questi apporti genetici hanno probabilmente permes-
loro che «riappaiono/ come l'avverarsi di una profezia/ so all'Homo sapiens di sviluppare una resistenza alle
quasi dimenticata». Sono quindi loro i «contravventori», malattie mortali incontrate durante la sua evoluzione e
gli «indisciplinati» per eccellenza, che sanno attraversare a particolari condizioni ambientali come l'alta quota. I
la storia. Si direbbe che più sono piccoli, più sono tenaci. Neanderthal e i denisoviani più sedentari potrebbero
Sanno, spesso meglio dei loro genitori, come sgattaiolare non essere stati in grado di far fronte ai cambiamenti
fuori, passare cioè oltre i muri che si oppongono al loro climatici e alle epidemie. Costretti in aree sempre più
desiderio di avanzare nella vita. Sono quindi dei bambini ristrette (la Spagna meridionale per i Neanderthal, l'Al-
che si aggirano per l'Europa, e non dei semplici fantasmi tai per i denisoviani), si sono estinti. Delle 18., specie
d'altrove o di un altro tempo. La storia particolare e tra- di primati rimaste, solo l'uomo ha un comportamento
gica che si è svolta a Idomeni nella primavera del 2016 migratorio». L'Homo sapiens non è altro, in conclusione,
sembra quindi essere il sintomo di un' Europa malata che un notevole Homo migrans. Volerlo dimenticare -
della propria genealogia. Dal momento che questa storia reprimerlo, odiarlo - è semplicemente rinchiudersi nei
costituisce inoltre un fenomeno di portata mondiale, si bastioni della cretinizzazione. Converrà piuttosto stare
potrebbe allargare la prospettiva dicendo che è l'uma- a sentire la lezione di «coloro che sanno ancora essere
nità intera che si trova perseguitata, interrogata nel suo in movimento».
stesso rapporto con l'inaudita violenza generata dall'u-
niversale «lotta dei posti».
È allora che dovremmo ricordarci un po' meglio
da dove veniamo tutti. Ci siamo autobattezzati Homo
sapiens: ma bisognerebbe riflettere sull'origine di que-
sta evoluzione decisiva che ha fatto di noi degli animali
«saggi» e <<intelligenti» (i due sensi sono riuniti nello
stesso aggettivo sapiens). Come ha ricordato Hervé Le
Bras nella sua opera L'Àgedesmigrations, «L'età delle mi-
grazioni», «i paleontologi ritengono che l'Homo sapiens
debba la sua sopravvivenza e il suo successo alla sua
capacità di migrare, che gli ha permesso di rispondere
alle glaciazioni e alle ondate di calore degli ultimi cen-
tomila anni. È partito probabilmente dalla culla africa-
na e si è diffuso gradualmente in tutto il mondo. Lun-
go il percorso, ha incontrato altri ominidi, compresi gli
uomini di Neanderthal e di Denisova. Ora sappiamo
che hanno avuto contatti, dal momento che tracce del

77
N ota al testo

Il testo di Niki Giannari costituisce il commento o/f-


letto dalla musicista, poetessa e cantante Lena Platonos
- del film realizzato insieme a Maria Kourkouta Des
spectres hantent l'Europel.SJ9 minuti, Francia/Grecia, 2016).
Tutte le immagini sono tratte dal filll), per gentile con-
cessione delle autrici.
La traduzione italiana della poesia di Niki Gian-
nari Degli spettri siaggirano per l'Europa {Lettera da Idome-
ni) si basa sulla versione francese di Maria Kourkouta,
riletta da Georges Didi-Huberman. È infatti a partire
dal testo francese della poesia che nascono le riflessioni
dell'autore contenute in Passare a ogni costo. Se in alcuni
punti ci siamo tuttavia scostati dal testo francese, è sta-
to per maggiore fedeltà all'originale greco. Per esempio,
«Les hommes vont oublier ces trains-ci, / comme ces
trains-là» della prima strofa avrebbe dovuto avere come
esito italiano «Gli uomini dimenticheranno questi treni
/ come quei treni>>, ma «Oi anthropoi» utilizzato nell 'o-
riginale sta per <<la gente», più che per «Les hommes»,
«Gli uomini». Inoltre, nell'originale la sequenza è «quei
treni... questi treni», non il contrario. Grazie a Ani Pe-
trossian e Federico Spinetti per l'attenta rilettura della
traduzione italiana della poesia di Niki Giannari con il
testo originale greco a fronte.
Il saggio di Georges Did i-Huberman è denso di
riferimenti ad altre opere, per le quali ci siamo serviti

79
·,
delle edizioni italiane disponibili; negli altri casi, ab- :' Note e spunti bibliografici
biamo tradotto le citazioni dal francese, riproponendo
invariate le indicazioni bibliografiche corrispondenti.
Sempre per una piena aderenza ai pensieri sviluppati
da Didi-Huberman, la poesia di Paul Celan riportata
in esergo e ripresa nel testo ricalca la versione francese,
che in alcuni punti decisivi differisce da quella italiana
di riferimento, dovuta a Giuseppe Bevilacqua e pub-
blicata in Paul Celan, Poesie, a cura di G. Bevilacqua,
Mondadori, Milano, 1998. «Degli spettri si aggirano per l'Europa»

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86
Indice

)
9 Degli spettri si aggirano per l'Europa
(Lettera da Idomeni)
di Niki Giannari

Loro che attraversano i muri


di Georges Didi-Huberman

19 Per l'altro
23 <<Degli spettri si aggirano per l'Europa»
28 «Ancora una volta,/ non puoi posarti
da nessuna parte»
33 «Non chiedono niente/ solo passare>>
4r «Un giorno prima/ o un giorno dopo»
49 «Ma la cenere/si ricorda»
57 «Orfani, sfiniti,/secolari e sacri»
64 «Passano e pensano a noi»
71 <<Che mi portino con loro /loro che sanno
ancora essere in movimento»

79 Nota al testo
•• 81 Note e spunti bibliografici

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