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Diritto Pubblico Rinaldi Seconda Parte
Diritto Pubblico Rinaldi Seconda Parte
DIRITTO PUBBLICO
MODULO 2
LA COSTITUZIONE ECONOMICA
Si intendono diverse cose. Un primo significato è: “formula di sintesi delle disposizioni
costituzionali che riguardano i rapporti economici”, art. da 41 a 47. Seconda
accezione: “insieme di istituti, opinioni e interpretazioni che segnano il mutare
dell’opinione pubblica sulle questioni economiche e sociali”. Questi mutamenti fanno
parte della costituzione economica perché permettono di interpretare il fenomeno
economico e giuridico. Terza accezione: “applicazione di prassi e di regole
giurisprudenziali interne ed europee venendosi così a creare il diritto vivente”.
Quindi la costituzione economica è una formula riassuntiva di questi tre significati.
A questa nozione corrispondono diversi metodi di studio: degli atti amministrativi e
legislativi; delle politiche di settore; del governo dell’economia.
Evoluzione dei rapporti tra Stato e economia
6 macro-periodizzazioni dall’unità d’Italia ad oggi (bisogna precisare che quando si
parla di questi rapporti si fa riferimento a un intervento adottato dallo Stato nei
rapporti economici che crea un confine mai fisso, in relazione al quale cambiamento
gli Stati adottano diverse politiche economiche che possono essere espansive o
restrittive. In base a ciò si differenziano i 6 macro-periodi. Inoltre, a partire dagli anni
’80, con l’espansione dell’UE si parla di intervento pubblico nell’economia non solo
statale ma anche comunitario):
1. Stato liberista (1861-fine 1800): dato di partenza unità d’Italia. Contesto
economico di un Paese arretrato, soprattutto a livello culturale (poca
alfabetizzazione). Classe dominante borghesia, che non si è ancora affermata a
livello economico, struttura economica prevalentemente basata sull’agricoltura
e in particolare sul latifondismo, soprattutto al sud. Dal punto di vista politico
governa la destra storica, che punta a una politica economica liberista e lo fa
attraverso una struttura giuridica unitaria attraverso l’unificazione legislativa
(adozione del Codice civile e del codice del commercio) + estensione della
legislazione piemontese per unificare; dal punto di vista economico si introduce
un protezionismo doganale in funzione protezionistica, l’effetto fu di creazione
di alcuni paradossi: da una parte avevano sbaragliato la concorrenza estera, ma
si crea concorrenza tra le imprese dello Stato stesso, tipo tra quelle del sud e
del nord; privatizzazioni: si voleva consentire ai piccoli proprietari di ricevere in
rendita dei terreni da coltivare: si crea anche qui un effetto paradossale perché
non tutti furono in grado di gestirli e quindi quelli che avevano maggiori risorse
comprano anche gli altri e si crea il latifondo. Pochi ministeri e con poche
competenze.
In sintesi, lo Stato in questo momento non controlla l’economia. Unica
eccezione: nascita della cassa depositi e prestiti che raccoglieva il risparmio.
2. Prima industrializzazione (1900-1920): cambiamento sociale ancor prima che
economico: inclusione delle classi subalterne (classi più sfavorite) nei circuiti
politici e intervento dello Stato nell’economia. Si cerca di risolvere il problema
dell’analfabetismo; a livello economico prima forma di industrializzazione che
avviene attraverso vari strumenti: si rompe il monopolio di uniformità e si crea
una differenziazione legislativa con leggi ad hoc per vari territori; si avvia una
politica generale di lavori pubblici che comporta un’iniezione di liquidità
importante (es.: ferrovie dello Stato); nascono le prime imprese pubbliche
(ferrovie dello Stato) come per esempio l’INA con cui si attribuisce il monopolio
delle assicurazioni sulla vita ad un’impresa pubblica; nascita della previdenza
sociale: iscrizione obbligatoria con contributi obbligatori e si crea un rapporto
tripolare perché non è solo più tra Stato e lavoratori, ma tra Stato, istituti di
previdenza e cittadini lavoratori.
La cosa che non dobbiamo tralasciare è che nel modello di economia mista sono
presenti 2 visioni concorrenti: una che è più favorevole alla tutela dell’iniziativa
economica privata, e l’altra più favorevole ad assicurare l’intervento pubblico in
funzione sociale limitando quindi l’iniziativa economica. Queste due diverse visioni
sono presenti negli articoli che andremo ad analizzare, 41, 42 e 43, e potremmo dire
che contrassegnano la scrittura delle previsioni costituzionali. Dalla scrittura di queste
ultime possiamo però trarre delle indicazioni di fondo:
- L’intervento pubblico non può mai svuotare il contenuto essenziale dei diritti
costituzionali e questo lo vedremo sia nell’art.41, che nell’art. 42.
- La costituzione non contiene solo la tutela di diritti e libertà economiche, ma
anche alcune regole procedurali (es.: principio di bilancio senza eccessivi
disavanzi o il principio antinflazionistico).
- Indicazione di tipo metodologico: le disposizioni sulla Costituzione economica
vanno lette alla luce una dell’altra, ma soprattutto alla luce dell’impianto
complessivo della Costituzione e dei principi dei trattati UE e del diritto europeo.
svolta anche in modo non professionale con esclusione solo del lavoro
subordinato. Quindi possiamo dire che l’art. non tutela solo l’attività d’impresa
in forma tipica.
Tutela solo l’iniziativa economica privata o interamente l’attività economica
privata? Possiamo vedere che i commi 1 e 2 fanno riferimento specificatemene
all’iniziativa, mentre il comma 3 fa riferimento solo all’attività economica.
L’interpretazione che si è data in questo caso è che l’art. si riferisca a tutta
l’attività economica privata nella sua interezza.
L’unico limite che può essere imposto riguarda i modi e le forme.
2. Come possono essere imposti i limiti? Ci sono 2 diversi limiti che l’art. incontra:
limiti interni e limiti esterni (come abbiamo visto prima). Sul comma 2 il
legislatore fa riferimento a delle clausole generali che devono essere riempite di
contenuti. Questi limiti sono posti in un’ottica di bilanciamento tra lo
svolgimento dell’attività e una serie di limiti di diversa natura volti a
proteggere l’utilità sociale e il benessere collettivo. L’opinione prevalente
prevede che l’art. ponga una riserva di legge implicita e quindi l’utilità
sociale e gli altri limiti devono essere previsti da parte del legislatore e
quindi la pubblica amministrazione non può definire direttamente cosa si
intenda per utilità sociale. Questa tesi è stata fatta propria dalla Corte
costituzionale: i limiti devono essere espressi dal legislatore. Inoltre, la Corte ha
previsto che le disposizioni del legislatore siano sindacabili sono nel caso di
irragionevolezza dei fini perseguiti da parte del legislatore. I limiti
possono essere imposti direttamente dalla pubblica amministrazione oppure è
necessario l’intervento del legislatore? L’utilità sociale può essere definita sia
dal legislatore, che dalla Costituzione che impone una diretta protezione (es.:
gioco d’azzardo). In tutte queste circostanze il legislatore può intervenire
indicando una serie di beni che ritiene meritevoli di tutela, indicando i fini
perseguiti e i mezzi e questa disciplina integra l’utilità sociale e costituisce un
limite all’attività economica privata.
Caso limite: caso Alitalia del 2010. L’azienda era in cattive acque e il
legislatore fece una legge speciale dove permise, per salvare l’azienda, la
possibilità che ci potesse essere una funzione di concentrazione da parte di più
imprese (cordata). Questo fu fatto, intervennero varie imprese, Alitalia venne
chiamata Cai e le venne assegnata in via esclusiva la tratta Milano-Roma. Una
società concorrente, Eurofly, impugnò il provvedimento ritenendo l’operazione
di concentrazione illegittima, contraria alla concorrenza e quindi lesiva sia della
concorrenza che dell’art. 41. Il tar Lazio (tribunale amministrativo regionale del
Lazio) solleva questione di legittimità costituzionale della legge che permetteva
l’operazione di concentrazione davanti alla Corte costituzionale, che deve
rispondere alla domanda “l’operazione di concentrazione che è stata autorizzata
è lesiva dell’art. 41 o è ascrivibile all’utilità scoiale? La Corte fa una premessa: il
parametro dell’utilità sociale consente anche la tutela di interessi diversi
rispetto a quelli economici e da questo punto di vista il legislatore può, nei limiti
della ragionevolezza, quelli che sono questi interessi e i conseguenti limiti. La
conclusione che ne trae la Corte è che il legislatore ordinario nel momento in cui
ha dovuto porre rimedio ad una situazione di grave crisi di un’impresa
essenziale per lo Stato, ha fatto una scelta e ha realizzato un intervento volto a
garantire il salvataggio dell’azienda e a scongiurare una crisi occupazionale.
Sulla base di questo assunto, la Corte trae la conclusione che questi interessi,
sebbene attengano alla sfera economica, sono riconducibili alle ragioni di utilità
sociale e giustificano quindi l’intervento (sentenza n. 270 del 2010). La cosa
interessante è che per la prima volta il salvataggio avviene ascrivendo
l’intervento del legislatore all’utilità sociale.
4) Nel 1992 si introduce un nuovo criterio con la legge 359 che prevede che
l'indennizzo debba corrispondere alla media del valore venale del bene
e del reddito dominicale meno il 40% per le aree edificabili. Questo
stesso criterio viene a essere travasato e recepito nel Testo unico di
espropriazione che è il testo unico 327 del 2001.
Dal momento che l'applicazione pratica da parte delle pubbliche
amministrazioni continuava a essere quella di corrispondere un indennizzo che
nella maggior parte, nel migliore dei casi, corrispondeva più o meno al 50% del
valore venale del bene, allora fu in diverse occasioni presentato ricorso presso
la Cedu:
-C’è un primo intervento nel 2006 nel caso Scordino Italia, con cui la Cedu definisce
l’indennità italiana inadeguata rispetto al fine che deve perseguire la determinazione
dell’indennizzo.
Tuttavia, la Cedu è rispettosa dell’ordinamento interno e quindi lascia comunque la
competenza al legislatore statale di definire la quantità dell’indennizzo. Con due
sentenze gemelle, la Corte costituzionale, con la sentenza 348 e 349, ritiene
l’indennizzo così come definito irragionevole e il criterio definito dalla legge 359
del ’92, che abbiamo ora visto, incostituzionale perché violativo del contenuto del
diritto di proprietà riconosciuto dalla convenzione europea del diritto dell’uomo.
Qui la cosa interessante è che la Corte costituzionale ritiene illegittimo
costituzionalmente l’indennizzo, utilizzando come parametro direttamente la
Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Come lo fa? Lo fa tramite l'articolo 117, comma uno, della Costituzione, che riconosce
quindi valore interno anche alla convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Queste due sentenze sono importanti perché costituiscono una svolta per la prima
volta del modo in cui deve essere parametrato l’indennizzo.
A seguito di queste sentenze, la legge finanziaria del 2008 interviene sul Testo
unico di espropriazione e prevede come principio che l'indennità per le aree
edificabili debba essere uguale al valore venale del bene. Tuttavia, introduce
un’eccezione cui spesso ricorre la pubblica amministrazione in base alla quale questa
indennità così determinata può ricevere una riduzione del 25% allorquando si
tratti di porre in essere interventi di riforma economico e sociale.
Dunque, in conclusione possiamo dire che oggi può ricevere e riceve probabilmente,
dopo le sentenze gemelle della Corte costituzionale del 2007, una prima attuazione la
previsione costituzionale del 42 comma tre che prevede un indennizzo che la corte
definisce giusto e cioè non meramente simbolico e corrispondente al reale valore del
bene (ciò avviene solo dopop l’intervento della Corte Costituzionale del 2007).
Ciò comporta che i mercati degli Stati membri per il formarsi del mercato interno
perdono le loro identità nazionali e contestualmente comporta che il singolo
Stato, anche nella regolamentazione non è più solo, ma è affiancato dall’Unione
Europea nella regolazione e nell’applicazione delle regole e delle libertà di
circolazione.
Vediamo ora i casi specifici:
-La circolazione delle merci: è disciplinata dall’art 28 sino all’art 37 del trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea. È sicuramente delle quattro libertà la più
importante perché potremmo dire che le altre tre sono in un certo qual modo
funzionali a questa libertà.
Ci sono diverse modalità e diversi strumenti con i quali il trattato prevede che possa
essere realizzata e possa trovare concreta effettività questa libera circolazione delle
merci.
La prima modalità è sicuramente rappresentata dall’unione doganale che
comporta un divieto di imporre dazi sia all’importazione che all'esportazione
e un divieto di imporre qualsiasi tassa sia all’importazione che all’esportazione con
effetto equivalente. Quindi diciamo che questa libertà è funzionale a una barriera
doganale unica per l'intero spazio giuridico europeo.
Il secondo strumento è dato dal divieto di disposizioni fiscali discriminatorie;
quindi, il singolo paese membro non può applicare ai prodotti di altri Stati delle
imposizioni interne che siano superiori rispetto a quelle che sono applicate nell’ambito
del proprio diritto nazionale e rispetto a quelle applicate ai prodotti nazionali.
Un terzo elemento riguarda l’abolizione delle restrizioni quantitative
all'importazione e all'esportazione e delle misure con effetto equivalente.
Qui si pone una regola da parte del trattato che è quella per cui non vi possono essere
restrizioni di tipo quantitativo e questa regola vale non solo per i prodotti, ma vale
anche per le misure con effetto equivalente. Però come tutte le regole nel trattato,
anche questa riceve un’eccezione all’articolo 36 che contempla dei possibili divieti o
delle possibili restrizioni. Possibili divieti e possibili restrizioni si possono avere per
motivi che sono diversi e cioè per motivi di moralità pubblica, per motivi di
ordine pubblico, per motivi di sicurezza pubblica o di tutela della salute, della
vita delle persone o degli animali o di preservazione dei vegetali o di protezione del
patrimonio artistico, storico, archeologico o nazionale o per la tutela di proprietà
industriale e commerciale. In tutti questi casi è possibile introdurre dei divieti o meglio
delle restrizioni, laddove ricorrano motivi che sono ascrivibili a esigenze che potremmo
definire in via sintetica di ordine imperativo. La giurisprudenza definisce queste
esigenze di ordine imperativo, perché sono esigenze che rispondono non a bisogni di
ordine economico, ma sono esigenze di ordine imperativo in quanto cercano di
soddisfare altri tipi di bisogni. È questo il motivo per il quale abbiamo avuto un
allentamento, anche nell'ambito del diritto europeo e delle regole di concorrenza in
presenza dell’epidemia Covid e della diffusione dell’epidemia Covid: si è venuto a
determinare per effetto di motivi di sicurezza sanitaria e soprattutto di tutela della
salute, della vita e delle persone, una serie di restrizioni alle regole di concorrenza.
Gli altri due strumenti sono poi il riordinamento dei monopoli nazionali, che viene
a essere assegnato ai singoli stati membri, e quello del ravvicinamento delle
legislazioni nazionali (attraverso l'adozione di direttive e regolamenti UE e misure
amministrative, quindi operato direttamente dall’Unione Europea). Qui diciamo che il
ruolo principale viene svolto dall’Unione Europea che cerca un po’ di fare da
collante, unificando gli elementi essenziali delle principali legislazioni.
La libera circolazione delle merci è fondamentale a creare uno spazio giuridico
europeo nel quale non esistano dazi doganali, ma esiste un’unione doganale unica
e quindi a creare una libera circolazione all’interno dello spazio territoriale e
giuridico europeo.
L’interrogativo rilevante a questo punto è quello di capire quando gli stati possono
applicare i divieti alla libera circolazione delle merci. Abbiamo visto che c’è una
regola che impone il divieto di restrizioni sia con riguardo alle misure quantitative e ai
prodotti e alle quantità di prodotti, sia con riguardo alle misure con effetto equivalenti,
e poi abbiamo un’eccezione posta dall’articolo 36 che riguarda tutte le ipotesi in cui
ricorrono delle esigenze imperative. Dobbiamo quindi capire in quali casi questa
eccezione può essere messa in pratica e dobbiamo tenere presente che ci sono due
diversi approcci che si sono verificati nell’ambito dell’Unione Europea: da una
parte un primo approccio è quello che introduce la nozione di restrizione ad effetto
equivalente secondo la logica dell’ostacolo ed è quindi un approccio che considera
qualsiasi misura nazionale che ostacoli la circolazione o il commercio come restrizione.
Secondo questa logica, che è la logica dell’ostacolo, qualsiasi tipo di restrizione è
di fatto vietata e la ratio è quella di garantire una massima deregulation e
una massima liberalizzazione del mercato e di far sì che il mercato che viene a
formare all'interno dell'Unione Europea sia massimamente liberalizzato. Per converso
però questa logica comporta in realtà poca possibilità per gli Stati di poter
intervenire a regolamentare le diverse situazioni.
Dall’altra parte invece c’è un secondo approccio di diverso tipo: logica della
discriminazione, per cui non tutte le misure imposte dagli Stati sono di per sé
vietate, ma lo sono soltanto quelle che lo Stato adotta in forma
discriminatoria tra il prodotto importato e il prodotto nazionale. Dunque, non
basta che ci sia una restrizione, ma occorre che quella restrizione, secondo questa
logica, produca una discriminazione e produca una discriminazione nei confronti del
prodotto importato. La ratio di questa logica è quella di introdurre una regolazione che
sia più restrittiva.
Mentre la prima logica è molto più volta ad assicurare una deregulation quasi senza
limiti, nella seconda abbiamo una logica che risponde all’esigenza di far sì che ogni
stato membro possa anche adottare una regolazione per meglio applicare la libera
circolazione delle merci e soltanto laddove questa regolazione si traduca in una forma
di discriminazione dei prodotti all’importazione, possa essere sanzionata.
Per quanto riguarda il percorso storico che ci ha portati ad avere questo tipo di
regolamentazione, possiamo dire che la giurisprudenza della Corte di giustizia ha
interpretato in due diversi momenti questi due approcci interpretativi e queste due
diverse istanze.
Inizialmente l’interpretazione era basata principalmente sulla logica dell’ostacolo,
veniva quindi data un’interpretazione molto ampia delle disposizioni che vietano le
restrizioni. Come abbiamo detto, l’unica eccezione secondo questa prima
applicazione si verifica nel caso in cui vi siano delle esigenze imperative.
Soltanto in un secondo momento, a partire dai primi anni 90, c'è stato un
mutamento di approccio della giurisprudenza da parte della Corte di giustizia.
L’orientamento della corte di giustizia che si viene a formare è più elaborato, non fa
un’applicazione del primo o del secondo approccio interpretativo così come li abbiamo
visti adesso, perché la corte di giustizia e la giurisprudenza comunitaria distinguono
due ipotesi: un conto è quando siamo di fronte a restrizioni di carattere
pecuniario o restrizioni che riguardano le caratteristiche fisiche delle merci: in
questo caso si applica sempre la logica dell’ostacolo (si applica il primo approccio,
salve eccezioni di esigenze imperative); un altro discorso, invece, va fatto quando si è
in presenza o di misure regolatorie o di misure che attengono al sistema
tributario, che prevedono un diverso trattamento per i prodotti interni rispetto ai
prodotti da importare. In questo caso, queste misure regolatorie e queste misure del
sistema tributario non sono vietate di per sé, ma sono vietate solo nella misura
in cui si traducano in discriminatorie nei confronti dei prodotti
all’importazione.
Questa distinzione adottata dalla giurisprudenza è importante perché consente agli
stati membri di recuperare uno spazio soprattutto sulle misure regolatorie e sulle
Tutte le previsioni appena viste si applicano a tutti i Paesi dell’UE. L’unica eccezione
c’è stata nel ’92, quando il Regno Unito, che si era rifiutato di accettare la clausola di
Maastricht che in un certo qual modo era stata inserita nel ’97 sull’Europa sociale,
aveva chiesto il riconoscimento di una esenzione.
Diciamo quindi che da questo punto di vista accanto all’ambito di applicazione
generale che riguarda principalmente il diritto al lavoro nell'ambito dei paesi
dell’Unione Europea, c’è anche un’equiparazione dal punto di vista della protezione
sociale e della formazione professionale a tutto tondo.
-Il diritto di stabilimento e circolazione dei servizi: è la terza libertà. Nel diritto di
stabilimento è vietata qualsiasi restrizione a questa libertà e quindi viene a essere
garantito l’accesso alle attività autonome e al loro esercizio, viene a essere sempre
garantita la costituzione e la gestione di imprese e società in qualsiasi paese
dell’Unione Europea e c’è anche un riconoscimento reciproco dei diplomi.
Sostanzialmente si fa riferimento alla libera prestazione dei servizi e quindi sono
vietate le restrizioni alla libera prestazione dei servizi.
Che cosa si intende per servizi? È una nozione di carattere residuale perché di fatto
per servizi si intendono chiaramente tutte quelle prestazioni che ricadono
nell'ambito di applicazione di questa libertà e che non ricadono nell'ambito di
applicazione delle altre libertà. In concreto si tratta di tutte le prestazioni che sono
fornite dietro retribuzione e che non sono regolate dalla circolazione delle
merci, non sono regolate dalla circolazione dei capitali, né dalla circolazione
delle persone. Ecco perché si tratta di una nozione residuale, riguarda in sostanza
attività di carattere commerciale e artigianale, più tutte le libere professioni.
Quali sono in realtà gli strumenti con i quali viene a essere garantito il diritto di
stabilimento e di libera circolazione dei servizi? Abbiamo intanto uno strumento di tipo
generale che è dato dalla direttiva Bolkestein 123 del 2006 che si applica a
qualunque servizio che venga reso dietro un corrispettivo economico. Quindi gli unici
servizi sui quali non trova applicazione la Bolkestein sostanzialmente sono i servizi non
economici di interesse generale, i servizi finanziari e quelle attività che abbiamo visto
essere connesse all’esercizio dei pubblici poteri e all’esercizio dei poteri di sovranità.
La Bolkestein pone alcune regole: possono essere ammessi dei regimi di
autorizzazione nazionali purché i requisiti nazionali non siano discriminatori
e siano sempre proporzionali. Anche con riguardo ai destinatari dei servizi non
possono essere mai imposti dei requisiti che abbiano carattere discriminatorio.
L’altro strumento, oltre alla Bolkestein, sono le normative speciali, che si applicano
sia in materia societaria per quanto riguarda gli obblighi societari, la struttura del
capitale e le operazioni straordinarie, ma anche e soprattutto abbiamo delle normative
speciali in materia di contratti pubblici, che danno applicazione al diritto di
stabilimento e alla circolazione dei servizi. In particolare, ci sono due direttive, la 23 e
la 24 del 2014 e il codice dei contratti pubblici.
Però il principio di fondo in questa normativa, qual è? Si realizza per le procedure di
gara che sono indette dalle pubbliche amministrazioni a cui possono
partecipare anche le imprese estere per effetto del diritto di stabilimento e della
circolazione dei servizi.
I contratti pubblici dal punto di vista finanziario occupano sempre una quota rilevante
del PIL di ciascuno degli stati membri. È uno strumento che dal punto di vista
quantitativo è importante per garantire la libera circolazione dei servizi e dell’attività
di impresa.
Accanto all’avanzamento nei riguardi delle esigenze della concorrenza c’è stato anche
un avanzamento per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile: obiettivo di
sviluppare un’economia sociale di mercato attenta anche a valori esterni quelli del
mercato (sviluppo sostenibile della produzione).
Accanto a ciò, un ruolo importante nell’unificazione (per quanto riguarda la ricaduta
pratica) l’ha avuto la giurisprudenza europea che svolge appunto un ruolo unificante
del diritto europeo, lo vediamo in particolare nelle regole della concorrenza.
Al nostro interno negli ultimi anni, anche grazie all’intervento della Corte
costituzionale, abbiamo visto un’armonizzazione del diritto europeo nel nostro
ordinamento.
Il diritto comunitario trova applicazione in tutti gli Stati membri, ma anche le varie
costituzioni devono tutelare i propri valori nel momento in cui il diritto europeo vada in
contrasto ad essi.
non siano sufficienti intervengono i via suppletiva come per esempio nel caso di
fallimento del mercato; oppure intervento in senso pro-concorrenziale uno degli
indirizzi impresso dal diritto europeo, la legislazione non si limita a prendere atto delle
regole del mercato ma interviene a determinarle meglio per evitare che ci siano
situazioni di abuso o condotta illecita anche per permettere un maggior benessere al
consumatore finale.
Le regole di concorrenza in ambito europeo sono funzionali alla formazione del
mercato unico, ma successivamente a questo primo periodo in cui si affermato il
dogma della concorrenza, in un secondo periodo si è puntato allo sviluppo sostenibile
dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata… (art. 3).
Queste finalità oggi sono parte integrante del diritto dell’unione europea e si
accostano al diritto del mercato e della concorrenza.
La legislazione antitrust nasce nel diciannovesimo secolo negli USA per evitare che
una posizione di monopolio del mercato portasse ad una chiusura del
mercato. In una prima fase la visione del diritto antitrust può essere considerata
statica perché volta a delimitare delle posizioni importanti sul mercato di alcuni
operatori. Successivamente si è capito che ciò che danneggia la concorrenza, non è la
posizione dell’operatore economico ma la sua condotta e quindi si è cercato di
disciplinare il diritto antitrust introducendo dei limiti e delle restrizioni ai
soggetti che abusano della propria posizione. Si è passati quindi ad una concezione
dinamica.
Quindi la concorrenza è uno strumento che i pubblici poteri impiegano per garantire il
corretto funzionamento del mercato contro l’uso del’ “potere di mercato” (abuso) da
parte dei privati.
L’intervento dei pubblici poteri è sempre un intervento di regolazione, che mira a
conformare il mercato in una determinata maniera e quindi l’attività è volta a
imprimere una certa regolazione delle diverse situazioni economiche: attività
conformativa (strumenti spiegati più giù).
Aspetti rilevanti della concorrenza di tipo generale:
1) Rapporto tra la disciplina dell’UE e disciplina nazionale: da una parte
abbiamo tutte le disposizioni del trattato sul funzionamento dell’UE
(art.101 e 102, poi integrati da regolamenti 1 e 139), dall’altra a livello di
diritto italiano abbiamo la legge sulla concorrenza (legge 287). Sappiamo
che il diritto europeo opera con carattere di prevalenza rispetto al diritto
nazionale e quindi le norme italiane si applicano per completamento, in
quanto residuali e in quanto compatibili rispetto al diritto europeo in conformità
al principio di decentramento e di sussidiarietà. Se dovessimo pensare
all’evoluzione di questo rapporto potremmo prendere il 2003 come anno di
spartiacque. Però bisogna dire che già prima del 2003 nel caso consorzio
industrie fiammiferi, fu affermato il principio dell’effetto diretto delle norme del
trattato sulla concorrenza nel rapporto tra i singoli all’interno di ogni Stato
membro. La legislazione interna consentiva ad alcune imprese di avere
comportamenti confliggenti rispetto alle regole di concorrenza europea. La corte
di giustizia affermò però che l’applicazione diretta del diritto UE può avvenire
sia da parte delle autorità nazionali (autorità garante della concorrenza e del
mercato), ma anche nel corso dei processi da parte dei giudici nazionali. Ciò che
rileva quindi è che il diritto europeo ha effetto diretto negli stati
membri, nel senso che si applica ai diversi operatori economici direttamente
dalle autorità degli stati membri. Abbiamo detto che il 2003 è come uno
spartiacque perché prima di esso il sistema della concorrenza era
centralizzato in capo alla Commissione perché ciò rispondeva all’esigenza
che il diritto della concorrenza si formasse sulla base di canoni interpretativi
unitari e questi erano assicurati meglio da un unico organo, quale appunto la
Commissione. Dal 2003 si è passati ad un sistema decentrato perché i
Strumenti previsti dal trattato che vengono utilizzati per supportare l’attività
conformativa:
1. (DOMANDA PRIMO APPELLO) divieto di intese restrittive della concorrenza:
art. 101 ci dice che sono vietate le intese tra imprese che possano pregiudicare
il commercio tra gli stati membri o che abbiano per oggetto o per effetto di
impedire il gioco della concorrenza e individua 5 ipotesi che possono
determinare la violazione delle regole di concorrenza: 1) fissazione dei prezzi 2)
limitazione o controllo della produzione, degli sbocchi, dello sviluppo tecnico,
degli investimenti 3)ripartizione dei mercati 4) applicazione di condizioni
Controllo
La commissione resta l’autorità di controllo nei casi che abbiamo esaminato e ha la
competenza di vigilare che le regole vengano rispettate.
L’attività della Commissione può essere schematizzata in 3 step, quali:
-attività di monitoraggio: attività informale, non procedimentalizzata. In questa
attività la Commissione raccoglie atti e informazioni. Dopodiché può fare una
valutazione e
-procedimento istruttorio, con cui apre un procedimento amministrativo
all’esito del quale compie delle valutazioni e
-decisione: nel momento in cui ritiene che sussistano gli estremi di un’intesa
restrittiva o di un abuso di posizione dominante, pone un termine all’impresa
entro cui porre fine all’infrazione e attende che l’impresa si adegui. A quel punto,
se l’impresa non si adegua, la Commissione, tramite una nuova istruttoria, può
adottare una decisione motivata che conferma nella generalità dei casi l’infrazione.
Poiché la decisione è lesiva nei confronti dell’impresa, è impugnabile dinanzi alla
Corte di giustizia.
Quindi questo procedimento è amministrativo, nella seconda e terza fase para
giurisdizionale, ma non giurisdizionale.
I SERVIZI PUBBLICI
Evoluzione storica:
più fasi:
1: prima fase (fine ‘800 – si consolida ne primo trentennio del ‘900): lo Stato
quando svolge servizi pubblici lo fa in base ad una riserva originaria e quindi
assume su di sé il compito di svolgere e gestire una serie di servizi pubblici a
tutti gli effetti.
Le ragioni alla base di questo approccio erano due: far sì che molti servizi potessero
essere erogati nei confronti della collettività e di evitare che si potesse
determinare un monopolio privato di un’impresa che poteva produrre effetti
dannosi nei confronti degli utenti. La gestione dei servizi pubblici avviene in questa
prima fase con riserva originaria e con esclusione degli imprenditori privati.
Questo avviene con una gestione diretta da parte dello Stato o da parte delle aziende
speciali in ambito regionale. Rimaneva residuale la gestione indiretta che avveniva
o attraverso enti pubblici economici, oppure tramite privati attraverso
concessione.
3) contratto di utenza: altro strumento contrattuale che viene stipulato tra il gestore
e l’utenza (soggetto terzo) e vengono stipulati su base privatistica; le tariffe applicate
sono definite a monte nei contratti dei servizi e individuati dalle autorità di
regolazione.
Principali novità introdotte dal decreto legislativo: oggetto della disciplina della
riforma sono i SIEG prestati a livello locale. La disciplina costituisce normativa
generale, che ha carattere di prevalenza su tutte le normative di settore
(uniche eccezioni: energia, gas naturali e trasporto a fune).
Ci sono diverse novità, le più importanti sono:
- Distinzione tra le funzioni di regolazione e gestione dei servizi pubblici
locali a rete: si prevede che per tutti i servizi pubblici locali aventi rilevanza
economica che vengono gestiti a rete occorre separare nettamente le
funzioni di regolazione e quelle di gestione. Le funzioni di regolazione devono
essere esercitate dalle autorità di regolazione che possono esercitarle
attraverso l’indicazione di standard o all’interno degli schemi di contratto
all’interno dei piani economico-finanziari. Le attività di regolazione
svolgono anche funzioni di indirizzo e controllo.
Le funzioni di gestione, al contrario, vengono svolte da soggetti incaricati
tramite una delle modalità spiegate sotto.
Intanto bisogna dire che da questa disposizione derivano 2 corollari: 1) le
autorità di regolazione non possono svolgere autorità di gestione o di
amministrazione attiva: divieto di commistione delle due funzioni. 2) gli
organi di indirizzo politico, i dirigenti e i responsabili degli uffici non
LE PRIVATIZZAZIONI
Privatizzazione = sostituzione del regime di diritto pubblico con un regime di
diritto privato. Può riguardare soggetti, attività o beni.
Noi tratteremo soprattutto i soggetti. Quando si parla di privatizzazioni di soggetti
bisogna distinguere in:
- Privatizzazione formale: quando un ente pubblico dotato di personalità
giuridica di diritto pubblico, viene trasformato in una persona giuridica di diritto
privato sottoposta al controllo pubblico. Si ha con il passaggio da ente
pubblico, a società per azioni. In questa privatizzazione formale, il capitale
sociale rimane però nelle mani dei pubblici poteri.
- Questa privatizzazione formale precede sempre la privatizzazione
sostanziale, con cui il controllo della Spa passa a soggetti privati
attraverso la cessione delle azioni.
Torniamo adesso ad analizzare più nello specifico quello che si intende con
privatizzazione formale e privatizzazione sostanziale per quanto riguarda quindi i
soggetti.
Privatizzazione formale (finalità, cosa avevamo prima, legge 386 ’91 -con
problemi- e 333 del ’92 -risolve i problemi- + legge Bassanini 1 del ’97 e
legge 448 del 2001):
Si hanno quando un ente pubblico o un ente pubblico economico viene
trasformato in Spa. Le privatizzazioni nascono intorno ai primi anni ’90, quando
si afferma un nuovo indirizzo amministrativo che ha una duplice finalità:
riduzione dell’indebitamento pubblico e il fatto di rendere le imprese
pubbliche più efficienti. L’operazione che si avvia è un’operazione di
smantellamento del sistema delle partecipazioni statali che viene ad essere
ritenuto non più compatibile con la normativa comunitaria e in particolare con
la disciplina europea degli aiuti di stato.
PRIMA: Nel sistema delle partecipazioni avevamo alla base un ministero di
partecipazioni statali e poi un comitato per la partecipazione economica dava
gli indirizzi per intervenire sul piano economico generale e poi c’erano le
grandi holding, come l’IRI, che svolgevano da sistema di collegamento tra
sistema statale e società incaricate di svolgere i servizi. Questo sistema viene
eroso con il progressivo affermarsi del diritto europeo.
Nel ’91 e nel ’92 vengono adottate due normative con le quali si perviene alla
privatizzazione formale, quindi al primo passaggio nel processo di
privatizzazioni: la prima normativa 386 del ’91 era un po’ più “blanda”, mentre la
seconda, d. legislativo 333, è stata più incisiva.
Quando si provvede al passaggio dalla forma di ente pubblico alla forma di Spa, si
erano verificati alcuni problemi, principalmente 2 (con la normativa 386):
- Individuazione del capitale e degli azionisti
- Una volta trasformati gli enti in Spa, come assicurare le condizioni di
svolgimento del servizio tramite concessioni
In seguito, il d. legislativo 333 ha previsto:
- La trasformazione in Spa di una serie di enti pubblici economici: IRI, ENI,
INA, ENEL
- Il primo problema viene risolto affidando al ministero del tesoro (oggi
ministero dell’economia e delle finanze -MEF-) il compito di individuare le
azioni per poi emetterle e attribuirle sia al MEF, che al MISE (ministero
economia e finanze e ministero sviluppo economico) che esercitano quindi i
diritti di azionista
- Risoluzione secondo problema: per permettere l’operatività e lo
svolgimento dell’attività di queste Spa, si è previsto che queste potessero
svolgere il servizio attraverso apposita concessione assegnata ex lege
per la durata di 20 anni (ovviamente in concomitanza si ha la cessione
della riserva originaria).
Per altri enti invece (come ferrovie dello Stato) si è disposto che la trasformazione
in Spa non avvenisse con previsioni della normativa diretta, ma con delibera del
CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo
sostenibile) e questa delibera si prevedeva che avesse i medesimi effetti di legge.
Per dare attuazione all’indirizzo della normativa, si era previsto un
complessivo programma di riordino delle partecipazioni statali da parte del
ministero del tesoro, in ragione del fatto che queste partecipazioni statali venivano
considerate superate da parte del diritto europeo.
E quindi ci sono stati altri 2 step per il completamento delle privatizzazioni formali:
un primo step si è avuto nel ’97 con la legge delega Bassanini 1 che delega il
governo a trasformare in associazioni o in persone giuridiche di diritto privato
(in Spa) enti pubblici che non svolgono funzioni di rilevante interesse
pubblico o enti per i quali non è necessaria la personalità giuridica di diritto
pubblico.
Un ultimo step riguarda altre disposizioni che sono state adottate dalla legge 448
del 2001 e poi dalla modifica 296 del 2006: anche in questo caso si è previsto che
Privatizzazione sostanziale:
avviata la privatizzazione formale a questo punto si doveva procedere attuando una
disciplina per la privatizzazione di tipo sostanziale con la vendita delle
partecipazioni delle Spa ai soggetti privati. Interviene quindi la normativa
generale 332 del 1994 (prima decreto-legge e poi legge), che disciplina
complessivamente questo passaggio e quindi la vendita delle partecipazioni ai
privati.
La disciplina però in questo caso non è unica: si prevede una prima disciplina
applicabile in via generale per le privatizzazioni sostanziali di enti pubblici
che svolgono funzioni di interesse economico all’interno del sistema, e una
seconda disciplina speciale che è dedicata al settore dei servizi pubblici.
Disciplina generale: disciplina prevista dal decreto-legge 332 del ’94 che prevede 3
punti centrali, quali:
1) le norme sulla contabilità dello Stato non si applicano alle alienazioni e
dismissioni delle partecipazioni dello Stato e di enti pubblici.
2) le modalità di alienazione vengono predeterminate da parte della legge: si
prevede che le modalità di alienazione siano definite tramite DPCM in seguito a
proposta del ministero dell’economia e delle finanze insieme al MISE (ministero dello
sviluppo economico). Le modalità di alienazione erano principalmente 3: offerta
pubblica di vendita con asta pubblica; cessione delle quote mediante trattativa
privata; procedere in maniera “mista” da una parte tramite asta pubblica e
dall’altra tramite trattativa privata. Una volta che venivano espletate queste
procedure, venivano poi individuati gi azionisti di riferimento.
3) Il governo doveva costituire un nucleo stabile di azionisti, e infatti la
finalità in questo caso era quella di richiedere un impegno giuridicamente
vincolante degli acquirenti. Viene fatto tramite step: definire con un accordo le
condizioni finanziarie e prevedere il divieto di cessione delle partecipazioni
per un determinato periodo e a prevedere delle sanzioni in caso di violazione di
questo divieto.
Queste norme sono del ’94 e vanno coordinate con la normativa vigente e in
particolare con il decreto legislativo 175 del 2006 del TUSP (testo unico sulle società
pubbliche), che ha adeguato la normativa ai principi di riferimento stabiliti
dalla normativa europea, per esempio oggi la scelta dei soci privati e l’alienazione
delle partecipazioni devono avvenire nel rispetto di pubblicità e trasparenza e nel
rispetto dei principi di concorrenza e quindi sempre nel rispetto dei principi di
evidenza pubblica. Analogamente si prevedono degli obblighi di revisione
periodica delle partecipazioni societarie.
Disciplina speciale dedicata al settore dei servizi pubblici: sono state introdotte
delle regole aggiuntive rispetto alla normativa generale. In particolare, si sono
previste 2 macro-regole:
1. Costituzione di organismi indipendenti laddove vi fossero autorità
amministrative indipendenti per regolare le tariffe e controllare la qualità
delle prestazioni
2. Introdurre dei limiti all’autonomia privata. In questo secondo caso, questo
è avvenuto attraverso l’assegnazione di poteri speciali assegnati in favore
ei pubblici poteri (MEF); volti ad assicurare il controllo della società, pur non
essendo il soggetto pubblico socio di maggioranza della società. Attraverso
delle clausole speciali che possono essere inserite negli statuti si sono quindi
assegnati una serie di poteri speciali in favore del MEF.
Qui abbiamo due diversi strumenti che sono stati introdotti:
-la golden share: quota minoritaria in ragione della quale il MEF poteva
esercitare una serie di poteri speciali che non gli sarebbero derivati dalla
sua posizione effettiva all’interno della società. Questi poteri gli venivano
attribuiti attraverso clausole, che vengono poi recepite negli statuti e che
riguardano principalmente quattro fattispecie: si prevede la possibilità
di opposizione all’assunzione di partecipazioni superiori alla ventesima
parte del capitale sociale; potere di veto in senso lato su tutte le
operazioni straordinarie (fusione, scissione…); opposizione a patti o
accordi di tipo parasociale che possano coinvolgere almeno la
ventesima parte del capitale sociale; nomina di un amministratore
senza diritto di voto. La ratio di questa golden share è quella di garantire che
il MEF possa esercitare ancora un controllo sulle società senza averne la
proprietà.
-la poison pill: dà la possibilità di inserire nello statuto della società delle
azioni che attribuiscono il potere di deliberare aumenti di capitale
riservati, che accrescono la posizione di maggioranza dello Stato. È
una forma che consente al soggetto pubblico di recuperare terreno in tutti i casi
in cui il controllo pubblico stesse venendo meno.
Nel 1999 la legge 488 circoscrive questi 2 strumenti (golden share e poison pill)
e dice che possono essere esercitati solo nei casi in cui sussistano rilevanti
motivi di interesse generale: nel caso di ordine pubblico, interesse pubblico, di
difesa…, quindi quando esiste un motivo di interesse generale che prescinde da
interessi economici e che è volto a tutelare la sovranità dello Stato membro.
In sede europea ci si è però posti un interrogativo: i poteri di golden share e di poison
pill, sono conformi al diritto europeo? Nel 2000 la Commissione avvia una
procedura di infrazione nei confronti dell’Italia che viene accusata di limitare la
libera circolazione dei servizi, il diritto di stabilimento e la libera circolazione
dei capitali e dei pagamenti. Per porre rimedio a questa procedura di infrazione,
l’Italia ha adottato tramite DPCM dei correttivi per circoscrivere questi strumenti
ai motivi di interesse generale e per far sì che questi poteri fossero esercitati
solo per un periodo temporale determinato. Nonostante ciò, la corte di giustizia
interviene nuovamente nel 2009 dichiarando incompatibili i criteri fissati
dall’Italia perché contrastanti sempre con ciò che abbiamo detto prima,
perché riconoscono allo Stato un potere troppo ampio. In seguito alla sentenza del
2009, con un DPCM del 2010 sono stati abrogati i DPCM del 2000 e del 2004.
La disciplina sulla Golden Power (per operazioni che incidono sugli assetti
societari)
Dal 2019, questa disciplina è stata ampliata tramite interventi normativi, che sono
avvenuti sia da parte del regolamento comunitario e poi anche in ambito
nazionale.
La disciplina nel 2019 è stata estesa alle reti di comunicazione elettronica a
banda larga (5g) e sul piano europeo una tappa importante è rappresentata dal
regolamento 452 che ha disciplinato il controllo sugli IED: investimenti esteri
diretti in UE da parte operatori economici extra UE.
Dopo è stata emanata anche una direttiva per regolare come debba essere applicato il
regolamento negli stati membri.
Pandemia, con cui è stata rafforzata ulteriormente la disciplina del Golden
power soprattutto per arginare gli effetti negativi della pandemia.
Guerra in ucraina che porta crisi di materie prime e energetica e viene quindi
emanato un decreto che poi viene convertito in legge che amplia l’ambito di
applicazione della disciplina sostanziale e ha portato una serie di innovazioni sul
piano procedimentale.
Alla fine della crisi energetica c’è stato poi un ultimo provvedimento che ha
introdotto delle misure urgenti nei settori strategici nazionali e ha inserito
delle regole per garantire continuità nella produzione dell’energia all’interno
di questo settore.
Ambito europeo:
svolta nel 2019 con modifica del quadro di riferimento europeo relativamente
alla golden power. Regolamento UE applicabile dal 2019 che introduce una
disciplina unitaria per il controllo degli IED. La ratio è duplice: si vuole far sì che
gli investimenti esteri diretti non siano preclusi agli Stati membri e si vuole
operare un controllo perché investimenti esteri diretti possono rappresentare
una minaccia per gli interessi strategici dei singoli stati membri.
Il regolamento fornisce un quadro comune di poteri di controllo e obbliga tutti gli
stati membri a dotarsi di meccanismi di controllo e quindi le autorità nazionali sono
deputate a compiere i controlli in sede decentrata all’interno di ciascun stato
membro. In questo quadro si prevede che le autorità nazionali debbano sempre
raccordarsi con gli altri stati e soprattutto tenere sempre conto dei pareri delle
autorità europee.
I principali contenuti del regolamento sono:
- Detta un quadro giuridico comune europeo per il controllo e lo estende
ai settori delle infrastrutture critiche, ambito di energia, salute,
comunicazioni e tecnologie critiche.
Con lo scoppio della pandemia, vengono consegnati agli stati una serie di
orientamenti di controllo sugli IED che hanno la finalità di vigilare e assicurare gli
interessi degli Stati membri e dell’UE.
Le principali linee attuative della direttiva esprimono un invito formale a tutti gli stati
membri di dotarsi di meccanismi di controllo.
La novità principale sta nell’estensione del golden power, a seguito della
pandemia, all’ambito della sanità pubblica che include la salvaguardia
dell’equilibrio finanziario del sistema di sicurezza sociale e il conseguimento di
obiettivi di politica sociale. Queste misure sono applicabili in conformità al principio
di proporzionalità.
In Italia il rafforzamento di queste misure si ha con il decreto-legge 23 proprio
per contrastare gli effetti negativi del covid. Principali novità:
- Estensione dei settori sottoposti al controllo e alla verifica da parte
dello stato perché vengono inclusi il settore creditizio, assicurativo e
bancario, le tecnologie critiche e dual use e la sicurezza
nell’approvvigionamento dei fattori produttivi critici. Viene inserita nella
disciplina sia la disciplina dell’energia, sia la questione relativa alla fornitura
delle materie prime e dei beni primari e tutto ciò che riguarda la sicurezza
alimentare. La ratio di questa estensione è il voler salvaguardare non solo gli
asset strategici dell’economia nazionale, ma anche la fornitura dei beni
essenziali nella vita dei cittadini.
- Rafforzamento e ampliamento dei controlli prevedendo un aumento dei
poteri e delle sanzioni nel caso di violazione degli obblighi di notifica.
Ampliamento dei poteri ispettivi laddove si operasse un controllo sulle
operazioni di azionariato diffuso.
Ultimo provvedimento votato è il decreto-legge 187 del 2022 convertito in legge nel
2023: introduce delle misure urgenti e introduce anche delle misure di sostegno
per le imprese che operano soprattutto nel settore dell’energia. La finalità è
quella di contenere gli impatti della crisi energetica. Questo provvedimento
persegue un’altra finalità rispetto alla disciplina vista fino a questo momento perché
la ratio è quella di sostenere le imprese che operano nel settore energetico e che con
la crisi potrebbero interrompere la continuità nella produzione determinando dei rischi
per la società. Si vuole quindi introdurre una fattispecie secondo la quale le imprese
che operano in questi ambiti debbano comunicare al Consiglio dei ministri i
potenziali rischi e si applichino nell’assicurare la continuità di produzione. In
secondo luogo, nel caso in cui ci sia un rischio che possa minare l’attività
produttiva e non consenta alle imprese di proseguire, viene prevista
l’applicazione di una procedura di amministrazione temporanea che può essere
applicata sotto richiesta dell’impresa, dura 12 mesi e può essere prorogata
una sola volta. Si prevede che sia nominato un commissario straordinario che
provvede alla gestione in sicurezza attuando tutti gli atti di ordinaria
amministrazione volti alla continuità produttiva. In questo periodo non può
esserci ripartizione degli utili e questa procedura consente di assicurare per un
determinato periodo la continuità produttiva nei settori di energia e idrocarburi.
Il procedimento può essere attuato anche d’ufficio da parte del ministero delle
imprese, nel caso di grave pericolo di interruzione dell’attività produttiva.
Per tirare le fila possiamo dire che a livello europeo a seguito della pandemia,
ciò che registriamo è un cambio di approccio che è volto a favorire il controllo sugli
IED per assicurare la vigilanza sugli interessi dell’UE e degli stati membri.
Questo è stato fatto prestando attenzione agli interessi pubblici di carattere
essenziale. Quello che fa la differenza è aver inserito l’ambito della sanità nella
disciplina della golden power e questo fa presumere che la commissione avrà un
atteggiamento di maggiore tolleranza nell’interpretare le normative nazionali che
introdurranno un controllo nell’ambito della sanità.
Sul piano nazionale, la legislazione italiana ha avuto un’evoluzione volta ad
estendere l’ambito della disciplina e ha esteso anche una serie poteri e ha
ampliato i procedimenti. Spesso però questa estensione non è fatta in maniera
precisa ed è chiaro dall’esito dei procedimenti. La normativa sotto questo profilo
potrebbe imporre una serie di notifiche per essere più precisa nell’individuazione
dei settori.
I possibili scenari che si possono verificare sono 2: da una parte potrebbe esserci la
creazione di nuove regolamentazioni con la creazione di un neo-
protezionismo a livello europeo e la difesa di alcuni settori sensibili
essenziali dell’UE e degli stati membri, dall’altra potrebbe proseguire una crisi a
livello europeo e mondiale e questo potrebbe suggerire il mantenimento di un
ambito più aperto nella disciplina del golden power.
LA POLITICA MONETARIA
Vediamo in primo luogo la politica monetaria a livello europeo (a chi è affidata
oggi, strumenti, com’era in passato e evoluzione, motivi dell’evoluzione,
comitato Delors):
La politica monetaria è affidata all’eurosistema composto da BCE e banche
nazionali dell’area euro. C’è poi il SEBC: sistema europeo delle banche centrali,
composto dall’eurosistema e dalle banche nazionali che non hanno adottato
l’euro.
Gli strumenti con cui si agisce in politica monetaria sono: la determinazione dei
tassi d’interesse a breve termine e la regolazione della base monetaria che è
quel complesso di attività liquide emesse dall’autorità monetaria attraverso operazioni
di compravendita dei titoli delle autorità monetarie.
Oggi la politica monetaria è pensata staccata rispetto alla finanza pubblica, ma
per lungo tempo sono state governate insieme provocando bassa indipendenza
delle due politiche.
C’è quindi stato un procedimento di separazione che ha visto la separazione di
banca Italia rispetto alla politica monetaria attraverso 3 tappe:
1. Nel 1981 lettera del ministro del tesoro a Ciampi direttore di banca
Italia, in cui ci si lamentava della scarsa autonomia di Banca Italia. A
questa lettera Ciampi rispose dicendosi concorde nello staccare la politica
monetaria dal controllo governativo e porla sotto controllo bancario.
Ciò provocò una crisi politica
2. Nel 1992 sono stati attribuiti poteri importanti a banca d’Italia, quali il
controllo degli strumenti di politica monetaria
3. Dal 1999 le funzioni di governo della moneta sono state trasferite a
livello sovranazionale
L’esigenza era quella di creare un’area valutaria comune tra Paesi in vista
della creazione di un mercato comune a livello europeo.
Comitato Delors: opera fino al 1989 quando redige il suo rapporto finale che
contiene i tratti essenziali dell’unione economica e monetaria che viene ritenuta
fondata principalmente sulla stabilità monetaria (obiettivo principale) e sul
coordinamento delle politiche nazionali.
nasce nel 1893 come società di diritto speciale, nel periodo fascista viene
trasformata in istituto di diritto pubblico con proprio statuto, nel 2005 viene
qualificata come parte integrante del SEBC e prevede che agisca secondo gli
indirizzi della BCE.
Struttura interna:
- Governatore: nominato con DPR su proposta del presidente del
consiglio. Carica di 6 anni, può essere rinnovato ma solo una volta. Può
essere revocato in particolari condizioni
- Direttorio: composto da 5 membri (Governatore, direttore generale e 3
vicedirettori generali), dura 6 anni e adotta decisioni a maggioranza, in
modo collegiale e hanno sempre rilevanza esterna.
Le funzioni svolte da Banca Italia sono analoghe a tutte le funzioni svolte
dalle banche centrali degli altri stati membri:
1. Contribuisce tramite il Governatore a determinare indirizzi e scelte di
politica monetaria e del cambio per l’intera area euro
2. Partecipa alle decisioni della BCE sull’emissione di banconote ed emette
banconote in euro
3. Gestisce le riserve ufficiali del Paese in valuta e una quota delle riserve
della BCE e le investe secondo le direttive della BCE
4. Gestisce con la BCE il sistema dei pagamenti e svolge la relativa
sorveglianza
Altre funzioni solo di banca Italia conferitele da leggi nazionali:
- Vigilanza sugli istituti di credito e su altri intermediari finanziari in
funzione di sana e prudente gestione dei soggetti vigilati
- Funzioni di tesoreria dello Stato eseguendo operazioni disposte dal
Tesoro
- Funzioni di consulenza in materia di debito pubblico per l’emissione dei
titoli di Stato (cura le operazioni di collocamento e riacquisto dei titoli).
Anche per il sistema monetario, il percorso dell’UE è stato graduale, varie tappe:
- Dal ‘79 al ‘92 il sistema monetario europeo era fondato sull’euroscudo.
In seguito, manovre speculative mandano in crisi il sistema precedente e
- Dal ’92: si assegna l’obiettivo di ottenere un’unione economica
monetaria fondata sulla parità dei prezzi con l’obiettivo finale di creare una
moneta unica. Anche questa fase ha visto diversi step:
- tra il ’90 e il ’93 completamento del mercato unico;
-tra il ’94 e il ’98 preparazione delle condizioni di convergenza
macroeconomica e istituzionale attraverso l’istituto monetario europeo;
-tra il ’99 e il 2001 inizia a operare la BCE e diviene operativo il SEBC: in
questa fase vengono quindi fissati irrevocabilmente i rapporti di
conversione delle monete dei paesi aderenti, si trova un accordo di
scambio con i Paesi rimasti fuori, si prevede come moneta scritturale
l’euro e si prevede un periodo di transizioni prima dell’entrata in
circolazione della moneta
- Misura del 2009 adottata attraverso il Security Market Program -SMP- poi
lanciato nel maggio 2010: si tratta di un programma di acquisto dei titoli di
Stato dei Paesi in difficoltà
- Misura che ha avuto grande rilevanza dal punto di vista economico: Fondo
europeo di stabilità (EFSM- European Financial Stability Mechanism)
(fondo salva Stati): nasce nel 2010, introdotto dal regolamento 107. Dal
punto di vista giuridico il fondo è una società di diritto privato, è una società
veicolo (SPV) che è interamente nelle mani degli Stati europei. Gli Stati
partecipano a questa società nella stessa proporzione in cui partecipano
le banche degli Stati membri alla BCE (che avviene in base ai criteri della
popolazione e del peso economico di ciascuno Stato). Viene finanziato
tramite garanzie. La ratio del fondo è quella di assicurare un intervento
allo Stato che si trova in difficoltà. L’intervento non avviene d’ufficio, ma
è giuridicamente subordinato alla richiesta che deve fare lo Stato in difficoltà
per ottenerlo. L’intervento è inoltre subordinato all’approvazione di uno
specifico piano, che viene concordato con la BCE e con il fondo
monetario internazionale e ha per oggetto il ripristino della capacità dello
Stato assistito: il fine è quello che lo Stato in questione dopo l’intervento possa
vedere ripristinata la propria capacità di stare sul mercato
autonomamente.
La caratteristica del fondo europeo di stabilità sta nella sua temporaneità:
l’aiuto allo Stato è temporaneo e le passività sono garantite da parte degli
Stati azionisti (per questo motivo è necessaria l’approvazione dei ministri
delle finanze che compongono l’EFSM).
Da un punto di vista giuridico l’EFSM trova fondamento nell’art. 122 del
TFUE, che consente una possibile assistenza finanziaria nei confronti
dello Stato in difficoltà laddove ricorrano difficoltà causate da calamità
naturali oppure laddove ricorrano circostanze eccezionali che sfuggono al
controllo del singolo Stato (anche quelle che riguardano un ciclo economico
imprevedibile). In questi casi il Consiglio dei ministri, su proposta della
Commissione può concedere a determinate condizioni un’assistenza
finanziaria dell’UE allo Stato membro interessato. Viene poi informato il
Parlamento europeo.
Questa è la prima misura importante adottata.
- L’EFSM è poi stato superato dal Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Il
MES è un soggetto diverso rispetto all’EFSM. Il MES, a differenza dell’EFSM, è
una istituzione finanziaria internazionale avente natura pubblicistica i
cui soci sono gli Stati membri e che è stata creata con apposito trattato.
Il MES ha un capitale sottoscritto di 740 miliardi di euro da parte di tutti gli
Stati che ne fanno parte, di versati fino a questo momento sono stati 80,5
miliardi e gli Stati concorrono in percentuali diverse. La finalità principale
del MES è quella di fornire sostegno finanziario agli stati che versano in
gravi situazioni finanziarie, ma anche quella di garantire la stabilità dei
Paesi nella zona Euro, perché si parte dal presupposto che dove ci siano gravi
problemi finanziari per uno Stato membro, visto che anche gli altri Stati hanno
investito nello Stato membro, questi problemi possano ripercuotersi sugli
altri Stati membri e sull’intera stabilità della zona euro. A differenza del
fondo salva stati lo strumento non ha carattere temporaneo, ma
permanente ed è finanziato direttamente da parte degli Stati e non
tramite garanzie (come succedeva prima). Per questo motivo è stata
necessaria una modifica dell’art. 136 del TUF: questo prevede la
possibilità di istituire un meccanismo di stabilità da attivare per la
stabilità della zona euro nel suo insieme e prevede che la concessione di
qualsiasi assistenza finanziaria nei confronti di uno Stato in difficoltà sia
soggetta a una rigorosa condizionalità (vedi sotto).
patrimonio e la contabilità dello Stato; leggi di contabilità e finanza pubblica del 2009
e del 2011; le leggi che danno attuazione all’art. 81 della Costituzione: legge 243 del
2012 e la legge 163 del 2016).
I principali problemi della spesa pubblica e gli strumenti che possono
contenerla sono:
1. A causa del problema della spesa sommersa si prevedeva con legge
l’istituzione di qualcosa, per esempio, di un ufficio ma poi non si consideravano
le risorse economiche necessarie per lo svolgimento dell’attività dello stesso. Si
è cercato di risolvere il problema prevedendo che qualunque disegno di
legge governativo comportante nuovi o maggiori oneri dovesse essere
accompagnato da una relazione tecnica sulla quantificazione degli
oneri. Questo obbligo era insoddisfacente in ragione de fatto che era
previsto solo per l’esercizio in corso; quindi, venivano considerati solo gli
oneri dell’esercizio senza considerare quelli futuri. Il problema è stato
affrontato sia dalla giurisprudenza pubblica, che dalla Corte
costituzionale.
I paletti fissati, quindi, nel tempo dalla giurisprudenza Costituzionale
sono: l’obbligo di copertura va rispettato con puntualità nell’ambito
dell’esercizio che è in corso di svolgimento e la copertura deve
riguardare non solo l’esercizio in corso ma complessivamente l’intera
durata dell’intervento; gli obblighi di copertura appena descritti sono stati
poi estesi anche alle leggi regionali.
Inoltre, in sede legislativa sono stati fatti 2 interventi:1) introduzione del
DEF (documento di economia e finanza) con cui il legislatore ha previsto
che si dovesse avere una previsione dei flussi di entrata, si dovesse
fare riferimento agli obiettivi che il sistema statale e le pubbliche
amministrazioni volevano conseguire e si dovesse tener conto della
situazione dei redditi e dell’occupazione (strumento di programmazione
dei flussi di entrata); 2) introduzione di uno strumento di emergenza e
cioè la clausola di salvaguardia, che trova applicazione in tutte le ipotesi
di previsione di spesa insufficiente e opera quindi in maniera
automatica ed effettiva. La clausola deve già indicare a monte le misure
di riduzione della spesa oppure le misure che consentono di aumentare
le entrate senza però ricorrere ai fondi di riserva. Questi strumenti non
sono però sufficienti a contenere i disavanzi pubblici.
2. (DOMANDA PRIMO APPELLO) Per questo motivo è stata dettata una disciplina
europea per il controllo dei disavanzi eccessivi: facciamo riferimento ai
contenuti del patto di stabilità e di crescita, che trovano la loro prima
affermazione nel trattato di Maastricht, perché in esso si pone come condizione
necessaria per poter avere il passaggio alla monta pubblica, la sostenibilità
della situazione finanziaria di ciascuno Stato membro. Si pone quindi un obbligo
di risultato. Questa regola risulta oggi essere recepita dall’art. 126 del TFUE
dicendo “gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi”. I due
criteri fissati da Maastricht sono quello sul rapporto tra disavanzo pubblico,
previsto o effettivo, e il PIL (non superiore al 3%) e quello sul rapporto tra debito
pubblico e PIL (non superiore al 60%). Nel caso di superamento di questi
parametri, sono previsti dei controlli da parte della Commissione e poi delle
sanzioni da parte del Consiglio. Sistema di multi-vigilanza con braccio
preventivo e braccio correttivo. Il controllo sul rispetto di questi parametri e le
eventuali sanzioni all’inizio degli anni ’90 risulta molto complicato perché incide
una componente politica (la Germania ha superato i limiti ma non è stata
sanzionata). Si è quindi posta la necessità di fissare regole più stringenti, e
quindi a partire dal ’97 e poi nel 2005 e nel 2011 si sono introdotte le “regole
del patto di stabilità e di crescita” che è stato introdotto da 2 regolamenti
CE (1466 e 1467) poi modificati. Il patto di stabilità e crescita ha un carattere
preventivo e dissuasivo perché introduce una serie di misure correttive che gli
Stati devono cercare di ottemperare perché altrimenti scatta una procedura per
disavanzi eccessivi.
Il PSC introduce una serie di obblighi quali: gli Stati sono tenuti a rispettare
l’obiettivo, indicato nei loro patti stabilità o convergenza, di ottenere un saldo di
bilancio a medio termine prossimo al pareggio o positivo; gli Stati devono
adottare le misure correttive del bilancio laddove questo sia necessario per
conseguire gli obiettivi dei programmi di stabilità.
Rispetto a questi si prevede un meccanismo di vigilanza multilaterale delle
posizioni di bilancio degli Stati membri che si compone di un braccio preventivo
(art. 121 TFUE) e di un braccio correttivo (art. 126 TFUE).
Questi obblighi generali hanno avuto una diversa interpretazione nel corso degli
anni.
In particolare, nel 2005 c’è stata l’introduzione dell’OMT e del concetto di saldo
strutturale. Infatti, nei primi anni 2000 l’applicazione dei principi del PSC è stata
problematica. Per questo motivo nel 2005 si è sentita la necessità di riformare il
PSC attraverso l’introduzione del saldo strutturale: era necessario delimitare la
discrezionalità nella definizione dei parametri, ma anche evitare dei formalismi
legati al rispetto del saldo nominale. Si introduce quindi il concetto di saldo
strutturale con cui si tiene conto dell’indebitamento netto corretto per il ciclo
economico (saldo nominale -correzione) al netto di una serie di misure una
tantum. Possiamo quindi dire che il saldo strutturale corrisponde al saldo
nominale corretto per il ciclo economico al netto delle misure temporanee.
Quindi l’attenzione viene spostata sul miglioramento delle finanze pubbliche in
termini strutturali dato che il saldo nominale non permetteva di cogliere la
realtà nella sua concretezza e di poter svolgere una valutazione adeguata.
Si comincia quindi a utilizzare l’OMT = obiettivo di medio termine. Si tratta di un
valore prestabilito del saldo di bilancio strutturale che ciascuno stato membro
deve adottare per rispettare i parametri di Maastricht del 3% e del 60%. L’OMT
non viene individuato solo in base al livello del rapporto debito/PIL, ma anche in
base ad altre condizioni: condizioni cicliche normali di un sistema economico;
fattori esterni quali spesa per le pensioni, per la sanità… Gli Stati membri sono
quindi di fatto chiamato a conseguire un saldo di bilancio strutturale pari
all’OMT nazionale.
Tra il 2010 e il 2013, si sono avuti poi dei nuovi provvedimenti che tendono a
rafforzare il controllo sulla finanza pubblica dal punto di vista procedimentale:
costituzione del “semestre europeo” per il coordinamento delle politiche
economiche; costituzione del Six pack e del Two pack che sono misure di
accelerazione delle procedure di disavanzo; introduzione di indicatori di rischio
cui si può fare riferimento.
Il secondo step determinante nell’ambito della disciplina del PSC è
l’introduzione del Fiscal compact (trattato di stabilità: TSCG). Questo impone il
pareggio di bilancio e consente deficit solo temporanei se il ciclo economico è
negativo o per periodi di gravi crisi.
Dal punto di vista giuridico, ci sono alcuni contenuti importanti: obbligo
generale riguardante il fatto che tutti gli Stati membri debbano dare attuazioni e
recepire le disposizioni all’interno delle proprie costituzioni entro 1 anno; il fiscal
compact è come un patto di bilancio con il quale gli Stati si impegnano a
mantenere in pareggio o in avanzo la posizione delle proprie pubbliche
amministrazioni = la regola risulta rispettata se il saldo strutturale anno delle
pubbliche amministrazioni è pari all’OMT dichiarato da ciascun Paese nel PSC.
Sono consentiti dei deficit ma solo a condizione che il ciclo economico sia
negativo, per periodi di grave crisi e in via temporanea.
Più nello specifico la regola fissata dal Fiscal compact (che è nella pratica un
patto di stabilità) prevede che in ogni Paese il saldo strutturale annuo delle
pubbliche amministrazioni = OMT, che è specifico per ciascun Paese.
Inoltre, quando il rapporto debito/PIL dello Stato superi il valore del 60%, lo
Stato dovrà applicare un percorso di rientro basato sulla riduzione annua di 1/20
all’anno. Nel caso in cui uno Stato non rispettasse questo parametro, si passerà
poi alle procedure di riduzione dei disavanzi eccessivi (braccio preventivo
e correttivo).
Le procedure per la riduzione dei disavanzi eccessivi sono sostanzialmente 2 e
sono state introdotte con due diverse finalità:
- Braccio preventivo (art.121 TFUE…): operazione che si svolge ex-ante, la
funzione principale riguarda il controllo sui parametri del patto di stabilità
(rapporto deficit/PIL e debito/PIL), quindi funzione di sorveglianza preventiva.
Ogni Stato ogni anno deve consegnare un proprio programma di stabilità sia al
Consiglio che alla Commissione e poi una volta presentato scatta un
meccanismo di sorveglianza multilaterale perché ad essere coinvolti sono il
Consiglio e la Commissione che svolgono diverse attività.
Il programma di stabilità consegnato dagli Stati deve indicare l’OMT, che deve
tener conto di ipotesi di andamento dell’economia che possono essere costanti
o divergenti rispetto alla situazione attuale e quindi occorre considerare
eventuali deviazioni e le ragioni per cui potrebbero verificarsi. Il criterio
principale utilizzato dagli Stati deve essere quello di considerare lo scenario
macro-finanziario e macroeconomico più plausibile, utilizzando sempre il criterio
di prudenza al fine di garantire la sana gestione.
Come abbiamo detto poi la sorveglianza viene svolta in maniera multilaterale:
nel corso del semestre europeo il Consiglio elabora gli indirizzi di massima per le
politiche economiche dello Stato e dell’Ustionane che definisce in formali
raccomandazioni che spesso possono contenere misure specifiche nei confronti
dei singoli Stati membri. Su queste misure viene ad essere attuata un’azione di
monitoraggio rafforzata perché in prima battuta è la commissione che svolge
un’istruttoria raccogliendo tutti i dati e le misure di rilievo che sono state
adottate dagli Stati per seguire le indicazioni dell’UE: nel caso in cui la
Commissione dovesse rilevare dati che portano a una divergenza rispetto ai
parametri indicati e quindi nel caso non ci sia solo una divergenza, ma proprio
una deviazione significativa, allora la Commissione può porre in essere un
avvertimento nei confronti dello Stato membro che se non agisce, il Consiglio
può intervenire con una formale raccomandazione in cui viene fissato un
termine entro il quale lo Stato deve attuare una serie di misure. Può darsi che lo
Stato membro non tenga conto neanche di questa raccomandazione e scade il
termine: in caso di inosservanza, quindi, viene adottata da parte del consiglio
una decisione con la quale il consiglio constata l’assenza di attuazione di misure
efficaci da parte dello stato e può chiedere allo Stato di tenere determinati
comportamenti e può soprattutto richiedere allo Stato un deposito fruttifero pari
allo 0,2 del PIL annuo che verrà depositato alla Commissione.
- Braccio correttivo (art. 126 TFUE e regolamento 1467): interviene in 2 ipotesi: o
quando il disavanzo si è verificato (ex-post) o quando il disavanzo sta per
verificarsi (ex-ante). In entrambi i casi, la procedura prevede 2 fasi: una prima
fase riservata di interlocuzione preliminare con ogni singolo Stato membro e
una seconda fase pubblica nella quale si richiedono degli impegni più seri e si
può arrivare all’applicazione di sanzioni e eventuali ammende.
Nella fase riservata anche in questo caso abbiamo vigilanza multilaterale da
parte di Consiglio e Commissione. La Commissione in prima battuta sorveglia
l’evoluzione della situazione del bilancio del singolo stato e se sono superati i
parametri prepara una relazione informando lo Stato membro e il Consiglio. Nel
caso in cui lo Stato non adotti alcun tipo di misura, il Consiglio adotta una
Altri principi che hanno rilevanza nel nostro ordinamento come principi generali
sono quelli relativi al quarto gruppo (4), che riguardano la tutela del privato
nei confronti della pubblica amministrazione. Possiamo distinguere diverse
tipologie all’interno di questa quarta categoria:
-pubblicità e trasparenza, che ha due macroaree di applicazione. È riconosciuto
dall’art 15 del TFUE,
che richiede che gli organi europei operino in modo trasparente nei confronti
del cittadino e dei
destinatari. Si pone un principio di open governance, le autorità devono essere
accessibili da
chiunque abbia un interesse. Art 41 della carta dei diritti fondamentali in cui si
riconosce il diritto di
accedere al fascicolo per ogni cittadino che ha interesse ad accedere al fascicolo.
La prima area è la totale accessibilità delle informazioni. Il decreto legislativo ha
imposto che una serie di
informazioni sull’attività delle pa siano sempre accessibili.
La seconda area riguarda il diritto di accesso ai documenti amministrativi che
può essere esercitato dal singolo cittadino o accesso civico. In tanti casi
abbiamo l’accesso agli atti amministrativi. La giurisprudenza riconosce che il diritto di
accesso deve
essere contemperato con altri diritti come la privacy ecc. Non è un diritto
soggettivo l’accesso ma
un interesse legittimo in quanto può essere limitato e escluso in presenza di
altri interessi
antagonisti e prevalenti sul piano costituzionale. La pa ha l’obbligo di
pubblicare
una serie di dati che riguardano l’organizzazione dell’amministrazione; la
legittimazione di accesso
civico è estesa a chiunque abbia un interesse. Questo principio c’è anche nel
diritto europeo.
-proporzionalità, è un principio riconosciuto dalla giurisprudenza della corte
di giustizia; quindi, ha pieno
ingresso nel nostro ordinamento come principio direttamente applicabile. Si applica
ogni volta che
la pa esercita un potere discrezionale.
È articolato in tre passaggi: idoneità dello scopo, non eccessiva onerosità del
mezzo
utilizzato, necessarietà dell’azione. L’amministrazione deve usare il mezzo meno
oneroso e
impattante per il privato.
-ragionevolezza, le scelte non possono essere irrazionali o violative.
-legittimo affidamento, che non consente al decreto-legge che perde effetto
di travolgere le
situazioni antecedenti in via retroattiva (alla base c’è il principio di certezza del
diritto).
-precauzione, si tratta del principio che si applica in modo immediato per la tutela
della salute o
Enti pubblici non economici – nascono per seguire determinati fini in maniera
più autonoma rispetto alle
amministrazioni dello stato. Sono dotati di personalità giuridica di diritto
pubblico e hanno una propria
organizzazione e alcune caratteristiche.
-hanno uno scopo specifico. Non hanno dei fini generali come hanno ad es comuni
province e
regioni.
-sono sottoposti alla vigilanza dello stato
-atipicità degli enti pubblici, cioè che non corrispondono a un modello tipico unico
ma possono
essere diversamente strutturati. Possono essere organizzati come istituzioni
o come enti pubblici
associativi. Oppure si possono distinguere per le attività che possono essere
sicurezza, benessere,
istruzione ecc.
-regola – legge n 70 prevede che nessun ente può essere istituito o
riconosciuto se non per legge.
Quindi ogni ente pubblico doveva essere creato o istituito per legge. Questo ha
posto un problema
perché occorreva capire in assenza di una norma di legge che creasse un
ente pubblico quando si
fosse in presenza di un ente pubblico o di uno privato.
La giurisprudenza ha individuato la teoria degli indici sintomatici, quando ci sono
questi indici cumulativamente si è in corrispondenza di un ente pubblico. Questi
indici sono principalmente: attività, rapporto di servizio con la pa,
sottoposizione al controllo pubblico, finanziamento, poteri ... Gli enti pubblici a
volte sono stati riconosciuti con atto amministrativo e ciò ha reso
difficile riconoscere se si era in presenza di enti pubblici e privati, ecco perché indici.
rimangono fuori dalla trattazione collettiva. Sono gli avvocati dello stato, il
personale militare, i prefetti, la polizia, magistrali ecc.
I contratti collettivi sono stipulati previo parere del settore interessato e
controllo della Corte dei conti tra
ARAN (agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche
amministrazioni) e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative.
In caso di controversie sono decise dal
giudice del lavoro. L’implicazione sul piano generale è la separazione tra
direzione
politica e direzione amministrativa. Si crea una scissione tra indirizzo politico e la
sfera politica e la gestione
amministrativa. Tutti i compiti che riguardano la sfera amministrativa sono di
competenza dei dirigenti.
Inizialmente la distinzione è stata blanda tra indirizzo politico e amministrativa. Nel
2009 si è voluta
assicurare l’autonomia prevedendo che i dirigenti sono revocabili solo per
motivi di responsabilità e solo a seguito di un procedimento puntuale e
motivato dal dirigente. Quindi si è avuta una seconda fase in cui si è avuta una
distinzione marcata.
ATTIVITA’ AMMINISTRATIVA
Tutta l’attività amministrativa deve essere informata in base al principio di legalità:
principio che trova la sua affermazione innanzitutto in ambito europeo perché lo
stesso trattato dell’UE ci dice che l’unione europea è una comunità di diritto
fondata sullo Stato di diritto. Lo stato di diritto informa quindi tutto l’ordinamento
europeo.
Con lo stato di diritto (caratterizzato dal principio di legalità) si afferma come
prioritario il principio del governo della legge su tutti gli altri soggetti che
fanno parte dell’ordinamento e quindi anche la pubblica amministrazione deve
rispettare il principio di legalità nell’esercizio della sua attività.
Il principio di legalità ha una duplice funzione: 1) funzione di legalità garanzia:
tutte le posizioni giuridiche soggettive dei cittadini trovano fondamento nella
legge, che quindi costituisce il fondamento di queste posizioni giuridiche e le tutela.
Ciò comporta che gli atti amministrativi non possano incidere in senso
contrario alle disposizioni di legge. 2) legalità indirizzo: l’azione
amministrativa è ancorata alla legalità perché la legge è espressione della
sovranità popolare e della rappresentanza politica.
Il principio ha anche 2 significati giuridici: 1) principio di preferenza della legge
rispetto agli atti del governo (e ad altri atti pubblici). Questo principio è ben
espresso nella legge 2248 del 1865 (LAC), che ci dice che i regolamenti del governo
non possono contenere norme contrarie alle disposizioni di legge; quindi, nessun atto
può contrastare con la legge. L’origine storica del principio nasce dall’ambito
dello Statuto albertino (e di tutte le costituzioni ottocentesche), in cui il potere che
spettava al re di adottare regolamenti, era un potere antagonista rispetto a quello del
Parlamento e quindi il re poteva adottare regolamenti senza la preventiva
autorizzazione da parte del parlamento e quindi in tutti questi ordinamenti liberali si è
voluto porre il principio di preferenza della legge, con cui si è voluto segnare un
confine oltre il quale i regolamenti non avrebbero potuto andare: questi atti
non possono incidere sulle previsioni di legge o derogare alle stesse. Le posizioni di
legge sono le posizioni giuridiche dei cittadini e la legge è stata stabilita dal
Parlamento. Quando il giudice ordinario si trova a dover decidere su una
questione in cui vengono coinvolti atti amministrativi contrari alla legge, lo
strumento che ha il giudie è quello di disapplicare gli atti amministrativi
illegittimi. 2) il principio di legalità costituisce il fondamento del potere
amministrativo che viene esercitato; quindi, nessun atto amministrativo può
essere adottato laddove non abbia un fondamento nella legge. Il principio di
legalità in questo senso può avere due accezioni: principio di legalità in senso
formale o in senso sostanziale. In entrambi i casi la legge costituisce il fondamento
del potere amministrativo, ma il rapporto tra potere amministrativo e legge è
diverso nei due casi. Senso formale = la PA agisce ma nei limiti della legge e
quindi il potere amministrativo può essere applicato con il limite esterno della
legge. Senso sostanziale = la PA non deve limitarsi ad agire non in contrasto
rispetto alla legge, ma deve agire conformemente alla legge e soprattutto sulla
base di una norma attributiva del potere specifica.
Il principio di legalità in quanto tale non è espressamente
costituzionalizzato; tuttavia, abbiamo studiato come il potere regolamentare e
amministrativo del governo riceva una limitazione attraverso gli istituti della riserva di
legge che abbiamo detto può essere assoluta (il legislatore disciplina interamente la
materia) o relativa (il legislatore definisce solo le linee guida della materia e ammette
l’intervento dei regolamenti del governo a completare la disciplina della materia).
Se sovrapponiamo la struttura della riserva di legge relativa con il principio
di legalità sostanziale, ci accorgiamo che la struttura è molto simile: perché il
potere regolamentare e amministrativo possa essere esercitato occorra che ci sia una
previsione di legge specifica alla base. Possiamo quindi dire che il principio di
legalità sostanziale risulta applicabile in tutti i casi e laddove la costituzione
preveda una riserva di legge relativa (art. 43-42-52…).
In definitiva:
- quando il principio di legalità ricade negli stessi ambiti delle riserve di
legge relative, allora vige il principio di legalità sostanziale
- in tutti gli altri casi vige il principio di legalità formale
La discrezionalità amministrativa
Intanto bisogna dire che è diversa rispetto all’autonomia dei privati e rispetto
alla discrezionalità dei giudici. Infatti, l’autonomia dei privati, nell’ambito del
Codice civile è assunta come regola e sappiamo infatti che i privati possono
utilizzare tutte le forme tipiche e atipiche, anche contrattualmente, per realizzare quei
tipi contrattuali meritevoli di tutela e che possono garantire meglio la forma giuridica
dei loro interessi. L’autonomia dei privati, quindi, è la regola e il rispetto di norme
inderogabili (norme di ordine pubblico…) è l’eccezione.
Diversamente avviene per la discrezionalità dei giudici e per la discrezionalità
amministrativa. Per quanto riguarda la discrezionalità del giudice, quando il giudice
esercita la propria attività, esercita un’attività giurisdizionale e ha il compito di
applicare la legge nel caso concreto risolvendo quindi le varie controversie che
avvengono di volta in volta. Il giudice ha sempre come parametro i criteri definiti
nella legge: non possiamo quindi parlare di una discrezionalità in senso proprio del
Merito amministrativo
Riguarda l’opportunità o il contenuto della scelta compiuta da parte della PA:
esempio, scelta di merito di collocare un impianto rifiuti nella periferia est o ovest di
una città.
In tutti i casi in cui abbiamo ipotesi in cui la scelta della PA riguarda valutazioni
che attengono il contenuto e l’opportunità di adottare o meno un atto, siamo
in presenza di una scelta di merito. È importante distinguere discrezionalità e
merito perché il giudice non può sindacare una scelta di merito: applicazione
del principio di separazione dei poteri.
Discrezionalità tecnica
Non è un termine corretto, ma è stato lungamente usato in dottrina per
individuare un’area in cui le autorità amministrative devono adottare alcuni
atti sulla base di concetti giuridici indeterminati che rinviano ad alcune
valutazioni tecniche che in sede applicativa presentano margini di opinabilità.
Quindi quando vengono in rilievo valutazioni tecniche che possono essere opinabili
sulla base di regole scientifiche. Sono diverse dalla discrezionalità
amministrativa, perché quest’ultima richiede una ponderazione degli
interessi, mentre la discrezionalità tecnica no, richiede una valutazione e un
esercizio del potere sulla base di regole scientifiche che presentano margini
di opinabilità. Le valutazioni tecniche sono diverse anche rispetto agli
accertamenti tecnici: in questi casi l’esito è certo e predeterminato dalle
regole scientifiche che stanno alla base.
Il problema della discrezionalità tecnica è capire quanto possa essere
sindacata da parte del giudice: in un primo momento la giurisprudenza
pensava che non fosse possibile sindacare le valutazioni tecniche se non nei
limiti della manifesta irragionevolezza, nel 1999 c’è stata un’apertura della
giurisprudenza amministrativa che ha ritenuto che il controllo del giudice
amministrativo sulle valutazioni tecniche è accettabile, ma è un controllo che
non può riguardare il merito della decisione, ma solo il procedimento e
l’attendibilità e correttezza del criterio utilizzato (attraverso consulenze
tecniche d’ufficio).
Il procedimento amministrativo
Disciplina generale 241 del ’90 che ha introdotto la legge sul procedimento
amministrativo.
A partire dagli anni ’90 il diritto amministrativo è stato completamente
trasformato perché entra in vigore proprio la legge 241. Le finalità generali di
questa legge sono:
1. democraticizzare il rapporto tra amministrazione pubblica e cittadino:
assicurare una partecipazione democratica dei cittadini al farsi del
potere.
2. combattere la lentezza dell’esercizio del potere: far sì che l’esercizio del
potere potesse essere cronologicamente limitato. Il provvedimento finale
va adottato entro 30 giorni dall’inizio del provvedimento
amministrativo.
Quando si parla dell’attività amministrativa si parla sempre di procedimento
amministrativo e di atto amministrativo. Quest’ultimo è la risultante finale
dell’intero procedimento amministrativo e tendenzialmente si è sempre data
più importanza all’atto piuttosto che al procedimento per una ragione di tipo
pratico perché l’atto è quello che comporta effetti giuridici per il destinatario ed
è quello impugnabile da parte del cittadino per ricevere tutela. Da quando è
stata adottato la legge sul procedimento amministrativo, però, le cose sono
cambiate perché tutto il procedimento amministrativo ha acquisito rilevanza
giuridica perché ha consentito al cittadino singolo di partecipare al procedimento,
esprimere il suo punto di vista e l’amministrazione ha l’obbligo di prenderlo
in considerazione-.
Dal punto di vista giuridico quando parliamo di procedimento amministrativo
facciamo riferimento a 3 principali concezioni:
- Concezione formale del procedimento amministrativo: concatenazione di
atti giuridici precedenti e successivi che sono coordinati tra loro in una
serie preordinata e sono finalizzati all’emanazione di un effetto giuridico
finale che viene conseguito mediante un atto espresso finale. Nella
concezione formale si sottolinea che l’unico atto produttivo di effetti
giuridici è l’atto terminale del procedimento, e tutti gli atti precedenti