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La nascita dei Fasci di combattimento

23 marzo 1919, Piazza San Sepolcro, Milano. Nel salone del circolo dell'Alleanza Industriale e
Commerciale, Benito Mussolini, direttore del giornale "Il Popolo d'Italia", riunisce i suoi seguaci.
Mussoliniani, futuristi, sindacalisti rivoluzionari, arditi - cento o duecento persone al massimo - si ritrovano
insieme, dando vita ai Fasci Italiani di combattimento, un movimento ambiguo, per metà rivoluzionario e
per metà reazionario. Subito dopo il 15 aprile, quando incendiarono l’Avanti!, il giornale del Partito
Socialista, è chiaro che era un movimento contro la sinistra, ma alle elezioni di novembre dello stesso anno
non ottenne neanche un deputato. Parlando della nascita dei Fasci di combattimento, possiamo capire che
il termine "fasci" derivava dai Fasci Siciliani di sinistra libertaria del 1891-1894. I Fasci di combattimento
prendono questo nome proprio per richiamarsi alla tradizione libertaria della sinistra, nonostante non siano
l'origine del futuro Partito Nazionale Fascista. Sono invece un'estensione dei fasci di azione rivoluzionaria
interventista, ispirati alla tradizione della sinistra popolare durante il Risorgimento e il primo Novecento. Il
termine "fascismo" è stato inizialmente associato ai Fasci Siciliani e successivamente riadottato da
Mussolini nel 1915 per il suo movimento. l termine "fascismo" appare soltanto dopo il 1919, poiché "fasce"
indicava comunemente un'organizzazione temporanea, senza l'intenzione di diventare un partito. I Fasci di
combattimento nascono come un movimento anti-partito, ma non rappresentano l'idea futura del regime
totalitario fascista. Infatti i Fasci di combattimento nascono come antipartito, il rifiuto di tutta quella politica
parlamentare di quella palude Parlamentare che aveva decretato la decadenza dell'Italia.

Nel periodo del primo dopoguerra, l'Italia si trovava in una situazione difficile dopo la fine della Prima
Guerra Mondiale. La Germania aveva firmato l'armistizio (11 novembre 1918) e l'Europa contava dieci
milioni di caduti, mentre l'Italia aveva 650.000 vittime e oltre un milione di feriti. Il governo doveva affrontare
la ricostruzione e i problemi economici, stampando cartamoneta, alimentando la spirale inflazionistica e
gestendo i soldati e i prigionieri tornati dai campi di prigionia. Non fu facile soddisfare le attese di un
mutamento radicale e di un nuovo ordine capace di liberare i ceti rurali dalle tradizionali condizioni di
emarginazione e di miseria. Non furono solo i braccianti, eccitati dallo slogan terra ai contadini, a
pretendere un futuro migliore; gli operai reclamano maggior potere in fabbrica e in molti sognano la
rivoluzione mentre i ceti medi fortemente coinvolti nell'esperienza bellica tendevano a organizzarsi e a
mobilitarsi per difendere i loro interessi e i loro ideali patriottici. L'idea di una ricompensa per il sacrificio
della Vittoria apparteneva a tutti i combattenti senza distinzione di classe. Il tema della mancata
ricompensa diventava centrale per comprendere le difficoltà di reinserimento e di reintegrazione dei reduci.

La classe dirigente mostrava di non riuscire a gestire le tensioni sociali e la mobilitazione di massa
che la guerra aveva generato, portando alla crisi dello Stato liberale. La rapida successione di governi
deboli (1919-22) diffuse la sfiducia verso lo Stato liberale anche fra i ceti borghesi che fino ad allora lo
avevano sostenuto, rendendoli disponibili a soluzioni autoritarie. Contro lo Stato liberale scesero in campo
anche nuovi movimenti politici che si richiamavano all’interventismo e al mito dell’esperienza di guerra. La
Prima Guerra Mondiale ha prodotto una mobilitazione di massa senza precedenti, coinvolgendo sia
l'industria bellica che la popolazione civile. Questo cambiamento ha influenzato la politica italiana, portando
alla formazione di partiti di massa come il Partito Socialista e la Confederazione Generale del Lavoro.

Milano, Piazza San Sepolcro, 23 marzo 1919. Nel salone del circolo dell'Alleanza Industriale e
Commerciale, Benito Mussolini riunisce i suoi seguaci, tra cui futuristi, sindacalisti e rivoluzionari, per
fondare i Fasci Italiani di Combattimento. Mussolini dichiara l'impegno del movimento contro l'imperialismo
straniero e interno, e si schiera contro tutte le forme di dittatura. Nonostante i toni trionfalistici, il movimento
raccolse poche adesioni e provocò tensioni sociali, culminando negli scontri del 15 aprile 1919. In questo
periodo, Mussolini tenta varie strade per rivendicare l'interventismo e contrastare il Partito Socialista, ma le
sue iniziative falliscono. Solo dopo il 1920, con l'emergere dello squadrismo, Mussolini riesce a consolidare
il movimento fascista di massa, che successivamente trasformerà l'Italia in un regime totalitario.

Il movimento dei Fasci di combattimento e il Partito Nazionale Fascista (PNF) sono due entità diverse nel
contesto storico del Fascismo italiano. I Fasci di combattimento si presentarono come un movimento di
massa, seppur limitato a poche adesioni all'inizio. Il movimento si proclamava pragmatico e antidogmatico,
anticlericale e repubblicano; proponeva riforme istituzionali, economiche e sociali molto radicali;
disprezzavano il Parlamento, esaltavano l’attivismo delle minoranze, suffragio universale esteso anche alle
donne, sindacalismo nazionale, praticavano la violenza e la ‘politica della piazza’ per sostenere le
rivendicazioni territoriali dell’Italia e combattere il bolscevismo. Mussolini tentò di rivendicare l'interventismo
e la lotta contro i socialisti, ma fallì nelle elezioni del 1919. Con la fondazione dei Fasci di combattimento,
Mussolini cercava di mobilitare le masse intorno a un programma radical-democratico, ma
successivamente si schierò contro i socialisti, influenzati da questo mito folle della rivoluzione bolscevica.
Dopo la sconfitta elettorale del 1919 il f. iniziò un cambiamento di rotta per riproporsi, con una conversione
a destra, come organizzazione politica della ‘borghesia produttiva’ e dei ceti medi che non si riconoscevano
nei partiti tradizionali e nello Stato liberale, e come baluardo contro il ‘pericolo bolscevico’, riunendo attorno
a sé il partito futurista, l’arditismo, il fiumanesimo.

Il PNF rappresenta invece un fascismo degli squadristi che nasce indipendentemente dalla volontà e
dall'iniziativa di Mussolini anche se assume la denominazione movimento fascista perché si richiama
comunque ai Fasci di combattimento. Dallo squadrismo derivò l’organizzazione e l’ideologia. La cultura
politica degli squadristi rifiutava il razionalismo e assumeva, come forma superiore di coscienza politica, la
fede nei miti di una religione laica fondata sul culto integralista della patria, sull’etica del combattimento e
sul principio della gerarchia. Il f. rivendicava una diversità privilegiata dagli altri partiti, ponendosi al di sopra
delle leggi in nome della pretesa superiorità della sua etica politica: chi si opponeva al f. era considerato un
‘nemico della nazione’, contro il quale era lecita qualsiasi forma di violenza.

Il movimento dei Fasci di combattimento, nonostante la sua campagna antisocialista e il suo acceso
nazionalismo, si schiera inizialmente a sinistra chiedendo audaci riforme sociali. Mentre per il problema
finanziario i Fasci di combattimento propongono l’espropriazione parziale di tutte le ricchezze attraverso
una forte Imposta straordinaria sul capitale a carattere progressivo, il sequestro di tutti i beni delle
congregazioni religiose, la revisione dei contratti di forniture belliche e il sequestro dell'85% dei profitti di
guerra. Dopo la sonora sconfitta del novembre 1919 abbandonano l'originario programma Radical
Democratico puntando tutto sulla lotta contro i socialisti e in particolare contro le organizzazioni contadine.
Il movimento inizia a dotarsi di strutture paramilitari, le famose squadre d'azione diventando nell'arco di un
anno il braccio armato dei proprietari terrieri. Nasce il fascismo agrario. Non si può semplificare lo
squadrismo come semplice strumento di violenza politica, ma è piuttosto il nucleo fondante del fascismo,
arricchito di simboli e rituali come le parate e i miti dei Caduti. Questa fase rappresenta due facce della
stessa realtà: da un lato, una reazione dei nuovi proprietari agricoli contro le leghe socialiste, dall'altro,
l'aspirazione dei reduci di guerra a una nuova classe dirigente, insoddisfatti dei vecchi politici.

L'esperienza di Fiume, guidata da D'Annunzio nel 1919-1920, e il fallimento di questa iniziativa


contribuiscono alla crescita politica di Mussolini. Il leader fascista, inizialmente incline a una strategia più
parlamentare, si trova costretto dagli squadristi a trasformare il movimento in un partito armato, portandolo
gradualmente verso posizioni più radicali.
Nonostante Mussolini appoggi D'Annunzio a Fiume, rifiuta di essere spinto verso azioni rivoluzionarie. La
soluzione diplomatica della questione fiumana con il Trattato di Rapallo, proposta da Giolitti, viene
accettata da Mussolini, sebbene alcuni lo accusino di tradimento. Tuttavia, in questo periodo, Mussolini è
più un tempista che un rivoluzionario, preferendo aggirare gli ostacoli piuttosto che affrontarli direttamente.
Dopo la marcia su Roma nel 1922, Mussolini rimane incerto e ambiguo sulla direzione politica da prendere,
cercando un equilibrio tra normalizzazione e rivoluzione. Il potere assoluto del fascismo è consolidato solo
quando Mussolini decide di abbracciare la via autoritaria nel 1925, sotto la pressione della milizia
squadrista, ponendo fine al sistema parlamentare e concentrando il potere nelle mani dei fascisti.

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