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Riassunto e appunti di "Partire

Leggeri. Il Metodo Lean Start Up"


Marketing
Università degli Studi di Napoli Federico II (UNINA)
10 pag.

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The Lean Startup è il libro del 2011 di Eric Ries nel quale viene introdotto un nuovo e moderno approccio
imprenditoriale, definito dallo stesso Ries negli anni precedenti e divenuto molto in voga soprattutto tra le Startup della
Silicon Valley. All’interno di questa opera Eric Ries introduce una nuova dimensione nello strutturare l’impresa,
rendendola più agile e soprattutto rendendo i progressi più facilmente verificabili: vengono introdotti nuovi concetti,
nuove metriche per valutare l’andamento dell’azienda ed una nuova metodologia (ciclica) di produzione. Eric Ries dice
di diffidare, per valutare l’andamento della nostra azienda, di tutte quelle metriche che non godono di tre caratteristiche
fondamentali, metriche che lui battezza vanity metrics:
• deve essere possibile stabilire un rapporto di causa-effetto, in modo che sia possibile comprendere quando e
quanto le mie azioni (causa) modifichino il valore della metrica (effetto)
• accessibilità : tutte le figure chiave coinvolte nello sviluppo del business devono essere in grado di accedere e
soprattutto comprendere tale metrica, non deve essere troppo tecnica o confusa
• credibilità: una metrica di cui posso affermare senza dubbio la correttezza dei dati
Non è assolutamente vero che le metriche debbano essere le stesse per ogni azienda (i classici margini operativi, reddito
netto, eccetera). Le metriche devono essere quanto possibile puntuali e ricamate ad hoc sulle nostre esigenze o in
generale su quelle del nostro settore operativo.
Ad esempio per un’azienda manufatturiera la metrica tasso di crescita è legata a tre fattori.
• costo di acquisizione di 1 nuovo cliente
• tasso di ritorno dei clienti
• profittabilità di 1 cliente
La produzione all’interno di un’azienda che adotta la metodologia Lean, prevede delle fasi successive, che vanno quasi
a costituire un ciclo in quanto è possibile (ma non è detto) che alla fine del ciclo si ricominci da capo. Le fasi in
particolare sono
1. Creazione MVP
2. Misurazione ed analisi dei primi dati
3. Misurazione successiva
4. Valutazione del trend, mi avvicino al trend ideale che voglio?
5. Se la domanda al passo precedente ha avuto una risposta negativa, potrebbe essere necessario un Pivot
MVP sta per Minimum Viable Product, cioè il minimo prodotto attuabile: è necessario realizzare un prodotto che
abbia tutte e sole le caratteristiche minime indispensabili all’inizio, in modo da andare sul mercato il prima possibile ed
iniziare da subito a misurare. Ci sarà tempo in seguito per perfezionare il prodotto, ma la cosa più importante è andare
sul mercato ed iniziare a misurare in modo da capire se il business model della startup possa funzionare o meno Il pivot
è un momento chiave all’interno del ciclo di vita di una Lean Startup: le cose non stanno andando come sperato,
bisogna fare qualcosa o dovremo chiudere baracca. E’ il momento di fare pivot. Ma cosa si intende per fare
pivot? Fare pivot è eseguire una correzione strutturata della strategia, fondamentalmente consiste nel testare una nuova
ipotesi fondamentale sul prodotto, strategia o engine di crescita. Esistono diversi tipi di pivot:
• Zoom In: una feature diventa l’intero prodotto
• Zoom Out: un prodotto diventa una feature di un nuovo prodotto più grande
• Customer Segment: il prodotto funziona, per un segmento diverso da quello a cui lo avevo destinato nei miei
piani, faccio diventare questo segmento inaspettato il mio target principale
• Customer Need Pivot: il prodotto va bene in parte, l’ipotesi era parzialmente vera, l’utente stesso mi dice che
vuole una cosa leggermente diversa
• Platform Pivot: trasformo il prodotto da un applicazione a una piattaforma o viceversa
• Business Architecture Pivot: passo da una struttura ad alto margine e basso volume (B2C) ad una a basso
margine ed alto volume (B2B), o viceversa
• Value Capture Pivot: cambio il revenue model
• Engine of growth pivot: cambio l’engine della crescita, che di solito può essere viral, sticky o paid growth
• Channel pivot: cambio il canale di vendita
• Technology Pivot: cambio la tecnologia adottata, ma non il business
Il batch consiste nel numero di pezzi che coinvolge una singola lavorazione. La Lean Startup dovrebbe lavorare con
batch di dimensioni ridotte. Certo con Batch di grandi dimensioni si può applicare l’effetto “Catena di Montaggio”
introdotto da Ford e quindi si pensa di avere una maggior produttività, ma bisogna considerare anche un’altra
evenienza, che nel caso moderno di mercati dinamici e startup ha una preponderanza sulla mera produttività. Per capire
il perchè, l’autore del libro ricorre ad un esempio: ipotizza di avere 100 buste da imbustare e francobollare:
imbustandole tutte e 100 prima, e successivamente francobollandole 100, ha un batch di dimensione 100. Se invece ne
prende una alla volta, la imbusta e la francobollo e passa solo dopo alla successiva, ha un batch size di 1. Un batch size

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di 1 (SINGLE-PIECE FLOW) ha il vantaggio enorme di identificare eventuali problemi del francobollo prima di aver
imbustato 100 buste in modo errato.

Analisi di coorte o analisi osservazionale: E’ un tipo di analisi nella quale vengono


separate le percentuali di utenti all’interno della popolazione totale che compiono le azioni desiderate, ad esempio:
• il 50% degli utenti si è registrato
• il 30% è tornato
• il 5% ha comprato qualcosa
Stilando l’andamento temporale delle varie percentuali ad intervalli di tempo differenti, e soprattutto prima e dopo un
pivot, è possibile determinare quantitativamente l’effetto del nostro pivot sugli utenti (ad esempio, dopo il Pivot il la
percentuale dei clienti che compra qualcosa è raddoppiata).

Engine della crescita: E’ un termine già introdotto in precedenza, senza spiegare in cosa consistesse.
In pratica si tratta del modo nel quale la nostra azienda ha intenzione di crescere nel tempo, esistono vari modelli.
Innanzitutto è possibile distinguere i modelli in:
• Engine jump-start, legati ad azioni una tantum, ad esempio pubblicità di 1 volta in tv e poi basta
• Engine sostenibili, cioè mantenibili, che agiscono in maniera continuativa, arrivano sempre nuovi utenti a
causa delle mie azioni eseguite in passato e magari a causa delle azioni dei vecchi utenti.
E’ possibile distinguere tre categorie di engine sostenibili:
• Sticky: i clienti che passano al prodotto poi ci rimangono (es. acquisti ripetuti o abbonamenti)
• Viral: basato sul passaparola: l’utente evangelizza su un certo prodotto, anche se il viral ancora più
efficace è quello dove l’utente non deve dire nulla, il prodotto contagia solo per il fatto che l’utente lo
usa e gli altri lo vedono (cossidetto side effect dell’utilizzo, come furono le cuffie bianche dell’ipod in
metropolitana, oppure il link in basso “Iscriviti ad Hotmail” nelle mail di hotmail). Matematicamente
è possibile definire un viral coefficient, numero dei nuovi utenti dovuti ad un vecchio iscritto. Se è
0.1 non si andrà lontano: 100 utenti ne portano 10, quei 10 un altro e poi l’effetto virale è
praticamente finito. se invece è vicino a 1 dura molto di più, se è addirittura sopra 1 ho una crescita
esponenziale.
• Paid growth: acquisto clienti pagandoli, ovviamente è sostenibile se il costo di acquisizione di un
cliente (costo marginale) è minore dellifetime customer value (non il prezzo dell’acquisto iniziale,
ma tutto quello che il cliente comprerà nella sua storia con il mio sito). Questa differenza (profitto
marginale) posso reinvestirla in pubblicità andando a creare un circolo virtuoso. Questo tipo di engine
è adatto a quei prodotti non intrinsecamente virali. Oltre alla pubblicità posso inserire dentro questa
categoria tutte quelle pratiche per le quali posso stabilire un costo/cliente-acquisito (es. vendite in
outsorcing).
Gli engine growth possono essere usati assieme, ma di solito conviene concentrarsi su uno solo, e soprattutto tenere in
mente che un engine growth finisce la “benzina” dopo un certo periodo variabile, a quel punto sarà necessario un
rinnovamento di strategia o addirittura un pivot.

Problem Solving nella Lean Startup: Per ogni problema, sia di marketing che di
sviluppo del prodotto, viene suggerito di chiedersi sempre cinque volte “perchè”, a cascata, come fanno i bambini,
andando a trovare cause sempre più a monte.
Per ogni livello di “Perchè?” individuare una soluzione al problema corrispondente a quel livello: di solito più il
“perchè” è generale (cioè muovendosi verso l’ultimo dei cinque) più la soluzione per risolverlo è costosa. Viene
evidenziata l’importanza, all’interno di questo procedimento, di non dare le colpe a nessuno, e se qualcuno ha sbagliato
cambiare il processo produttivo in modo che non sia piu possibile ripetere quel tipo di errore in futuro (la soluzione
all’ultimo dei perchè deve essere incentrato su questo).
Se l’azienda va bene e cresce, nuove problematiche si affacceranno all’orizzonte, in particolare sarà necessario
bilanciare:
• il soddisfacimento delle esigenze dei clienti attuali
• la ricerca nuovi clienti
• la gestione ed eventuali aggiustamenti al modello di business attuale
• l’esplorazione di nuovi business models
Gli ingredienti chiave nel trovare il giusto bilanciamento tra queste attività in competizione tra loro è:

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• assegnare risorse scarse ma sicure (troppo budget può fuorviare l’innovazione, ma è importante che il budget
non venga tagliato se è fissato scarso in partenza, o potrebbe minare gli equilibri)
• concedere autonomia nello sviluppo per i vari team che sperimentano
• fornire degli interessi personali per i dipendenti, tipo stock options, o bonus, per spronarli ulteriormente
Per finire, se l’azienda è cresciuta non sarà più possibile effettuare esperimenti sul nostro sito principale, in quanto
potrebbero esserci ripercussioni molto gravi sul business. In questi casi Eric Ries consiglia di consigliare una
piattaforma a parte nel quale eseguire le attività di sperimentazione.
Il Minimum Viable Product (Minimo prodotto fattibile – MPF) è uno dei concetti introdotti dall’approccio “The Lean
Startup” proposta nel 2008 da Eric Reis, imprenditore della Silicon Valley. Tale approccio ha come obbiettivo la
progettazione, realizzazione e il lancio di prodotti, basato su sperimentazione scientifica. Il MPF si basa, sulla fusione
di due diversi approcci che un azienda può adottare nella costruzione di un nuovo prodotto:

– Il primo approccio riguarda la massimizzazione delle possibilità di successo. Creare un prodotto con tante
caratteristiche da condurre il cliente all’acquisto. In tal caso, non si avranno feedback fino alla chiusura del ciclo di
produzione, quando ormai non è più possibile apportare modifiche.

– Il secondo approccio è quello del “Release early, Release often“. Ripetuti lanci sul mercato del prodotto di volta in
volta, riveduto e modificato in base ai feedback ricevuti. Tale approccio può dar vita a un ciclo infinito, in cui l’azienda
insegue incessantemente ciò che vogliono i clienti. Ciò comporta spese maggiori e (almeno nel breve periodo) minor
profitti. La “Produzione Snella” e il MPF, fondono questi due approcci, al fine di massimizzare il profitto, e ridurre lo
“spreco” al minimo. Viene lanciato un prodotto con abbastanza caratteristiche da capire cosa il cliente desidera. Quindi
non più una serie di lanci sul mercato inutili e senza fine, ma iterazioni e piccoli passi avanti. La filosofia della Lean
Startup si ispira a quella sviluppata negli anni ’80, dall’impresa automobilistica Giapponese Toyota. Lo stesso E.Reis,
chiarisce che il termine “minimo”, non sta ad indicare un prodotto minimale. Anzi, tale approccio comporta uno sforzo
maggiore iniziale, se si vuole che tale sistema porti dei risultati positivi. Ovvero progettare la costruzione in modo tale
da “Imparare” (validated learning) dai feedback ricevuti. Ovviamente tale processo, pur comportando sforzo iniziale
maggiore, garantisce una riduzione successiva di spreco in termini di tempo e capitale. Questa nuova filosofia ha
completamente rivoluzionato il modo di produrre. Ormai il Taylor – Fordismo è un lontano ricordo. L’idea di Lavoro
fondato su leggi e tempi calcolabili, di lavoro fisso e lineare, lascia il passo ad un uovo tipo di lavoro, altamente
flessibile, e orientato al mercato. Tale approccio ha surclassato gli altri, in quanto si adatta alla domanda, rispondendo
con un’ adeguata offerta. . La Lean Startup si assicura che il processo sia altamente flessibile, e che si evitino sprechi
inutili. Il miglioramento che ne consegue ha un grande impatto anche in termini economici. In conclusione bisogna
ricordare, come il sistema tecnico renda possibile il contatto diretto col mondo della clientela. Proprio grazie alle nuove
tecnologie (ICT), un impresa nascente, può studiare al meglio i bisogni della domanda. Il cliente arriva direttamente
all’azienda: Sta solo all’azienda, rispondere adeguatamente. Grazie alle ICT, e all’avvento del web 2.0 (social, wiki,
forum, blog), le aziende hanno accesso ad una quantità impressionante di feedback, opinioni e informazioni sul target
di mercato, mettendo a disposizione degli utenti, piattaforme in cui poter esprimere i propri bisogni, le aspettative
verso i prodotti, i disagi, e la possibilità di comunicare con gli altri clienti/utenti. Questo cambiamento di portata
rivoluzionaria, ha effettivamente dato la possibilità al cliente di esprimersi (democraticamente), o ci ritroviamo sempre
più vicini a una condizione simile a quella illustrata da George Orwell, nel suo 1984? Il tema di internet come
“democrazia” o “anarchia”, e lo scontro tra la scuola degli Apocalittici e gli integrati è ormai conosciuto. Tratterò
questo tema in uno dei prossimi articoli.

Definizione di organizzazione: entità collettiva dotata di formalizzazioni allo scopo di raggiungere dei fini. Si distingue
dagli altri sistemi sociali proprio perché possiede le variabili dei fini e del livello e del livello di formalizzazione.

Il termine viene utilizzato in diverse accezioni a seconda che si parli di un soggetto, un’ attività o organizzazione.

Organizzazione come soggetto: ci sono soggetti legalmente riconosciuti come imprese, amministrazioni pubbliche,
scuole. Altri sono legittimi ma non legalmente costituiti, come gruppi culturali o religiosi. Taluni invece sono
organizzati e potenti ma illegali come le mafie

Organizzazione come attività: atti compiuti da soggetti volti a passare da uno stato di disordine ad uno di ordine.
Attività diretta a conseguire uno scopo, le tre diverse attività sono la gestione, lo sviluppo e la progettazione.

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Organizzazione come struttura: Insieme di processi, ruoli, compiti, cultura che formano un artefatto sociale
progettato gestito e vissuto. Esse cambiano a seconda dei fini delle tecnologie e delle persone che vi operano. Le
strutture possono essere formali o latenti. Le prime hanno per oggetto le norme che aiutano all’analisi giuridica,
economica ed ingegneristica. Le strutture latenti hanno per oggetto comunità di lavoro, relazioni, cooperazione,
comunicazione e conoscenza.

Le organizzazioni possono essere di varie tipologie distinte in base a dimensione, proprietà, collocazione geografica,
complessità, settore.

• Max Weber fa una distinzione a seconda del tipo di autorità: autorità tradizionale, carismatica o razionale.

• Gouldner propone la distinzione in base al potere: impositivo, rappresentativo o apparente.

• Parsons distingue per funzioni: raggiungimento di scopi, regolazione o integrazione.

• Blau distingue per beneficiari: a fine di lucro o pubbliche.

• Etzioni correla due variabili, il potere alla partecipazione nell’organizzazione: al potere coercitivo corrisponde
una partecipazione coatta; al potere remunerativo una part. utilitaristica; al potere legittimato una part. etica.

• Hining, Pugh e Hickson forniscono fattori per distinguere fra loro le organizzazioni: divisione del lavoro e
coordinamento e controllo.

Per descrivere l’attività organizzatrice è fondamentale individuare il contesto formato dalle cosiddette 3T: tempo,
territorio e tecnologia. (Lo sviluppo delle ICT hanno permesso di superare i vincoli spaziali e temporali). In seguito è
importante individuare la dimensione (modello 4 C): Cooperazione (lavorare insieme per raggiungere un risultato).
Comunicazione: (trasmissione di informazioni). Conoscenza (insieme di procedure, tecniche brevetti ed elementi
d’esperienza che si collegano alle conoscenze personali). Comunità (elemento di congiunzione fra interessi obiettivi
valori e sentimenti di partecipazione).

Descriviamo un’organizzazione anche per criteri di prestazione: 1) efficacia ed efficienza.

• L’efficacia riguarda il raggiungimento di un obiettivo

• l’efficienza il rapporto fra risultati ottenuti e costi sostenuti.

Non sempre l’eccesso di efficienza produce un’eccellenza nell’efficacia. Il segreto è fare meglio e di più con meno
risorse possibili.

Un’organizzazione si distingue anche per le tipologie di obiettivi e degli universi che queste attività contemplano:
fisico, operativo, procedurale, degli impegni e decisionale. L’attore organizzativo è sempre implicato in più universi che
cambiano a seconda del ruolo dell’attore. Un sistema organizzativo è un’unità definita da obiettivi, risorse e
configurazioni che consentono di sviluppare il controllo di attività e processi specifici sottratti ad altri. Essa è in
rapporto col mondo esterno.

I componenti di un sistema organizzativo possono essere racchiusi nel “cubo organizzativo”. Sulla prima faccia A
sono presenti gli obiettivi e le prestazioni che possono essere tecnici, economici e sociali; le prestazioni cambiano a
seconda della natura del servizio esaminando budget, missione, strategie, bilanci e standard di prodotto. Nella faccia B
ci sono le risorse interne finanziarie, fisiche ed umane (persone, tecnologie, spazi, materiali, ICT). In questo quadro si
studiano i rapporti sociali tenendo conto delle risorse tecnologiche e dei processi produttivi in relazione alle persone.
Nella faccia C è presente la configurazione organizzativa cioè l’insieme degli elementi stabili e delle regole con cui
l’organizzazione opera. Fanno parte di questo quadro:

1) processi (insieme di trasformazioni dell’oggetto dell’attività funzionale che conduce al raggiungimento dello scopo
e al soddisfacimento dei bisogni dell’utente finale),

2) le attività lavorative (configurazione per lo svolgimento di un processo),

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3) coordinamento e controllo (pianificazione e sincronizzazione delle attività lavorative e i modi in cui avvengono i
processi process engineers),

4) le microstrutture (reparti, uffici, team che realizzano i processi),

5) il sistema di ruoli e professioni (allocazione del lavoro alle persone, individualizzazione),

6) i sistemi di gestione delle persone,

7) macrostrutture (fissano i confini delle risorse, dell’allocazione del potere e delle autorità. In altre parole la gerarchia),

8) sistemi di regolazione e strutture latenti (cultura organizzativa, interazione col sistema sociale e comunità di pratica
e professionali).

Un’organizzazione per essere riconosciuta e avere uno status giuridico deve iscriversi ad un Tribunale e al Registro
delle imprese della Camera di Commercio. I motivi della nascita di un’org. sono svolgere un’attività in modo efficiente,
persistere nel tempo e giustificare un investimento, ottenere benefici e capacità di distinguersi dagli altri. La vita di
un’organizzazione è un continuo di apprendimento dagli errori e mutamenti. Essa può collassare se c’è il rifiuto al
cambiamento, all’apprendimento e la mancanza di sacrificio per quanto riguarda alcuni interessi ed eredità
organizzative. L’organizzazione muore se c’è un’alterazione dell’identità (cambia ragione sociale, fusioni...) o per
fallimento.

Per la teoria classica l’organizzazione si basava sulla determinazione di confini ed autorità e sulla formalizzazione del
lavoro. L’idea di fondo era che per governare bene i processi formalizzabili e non, dovessero essere affidati a gerarchie
di gestione. La seconda idea era la divisione del lavoro di Taylor (organizzazione scientifica) che sosteneva la
parcellizzazione del lavoro per la velocizzazione dei processi. I principi del Taylorismo e dell’organizzazione scientifica
erano 4: trovare il modo più efficace per fare un lavoro (one best way), mettere le persone giuste al posto giusto,
controllare premiare punire ,impiegare staff per controllare e pianificare. Molto spazio era lasciato alla tecnologia e
poco al contributo del lavoro non specializzato. Secondo Davis l’uomo era considerato in base al compito assegnatogli,
era estensione della macchina. Gli uomini erano supervisionati, le priorità venivano assegnate alle esigenze della
tecnologia e non agli individui, il frazionamento dei compiti era un modo per abbassare i costi. L’Industrial engineering
è stato lo studio per definire meglio la one best way. L’impiego di personale a bassa qualificazione sarebbe stato un
vantaggio sia per i bassi costi che per la docilità degli operai. L’organizzazione scientifica si esplicitò con la catena di
montaggio di Ford. Gli impatti di questo modello sull’individuo sono stati l’alienazione dal lavoro, mancanza di
motivazione problemi del conflitto sociale. I limiti erano la rigidità del sistema produttivo e la lentezza
decisionale,elevati costi di attraversamento e coordinamento dei processi, scarsa capacità di far fronte a
eccezioni ,scarsa comunicazione e qualità e produttività. Negli anni ‘70 questo modello cambia e comincia a emergere
la lean production (produzione snella) caratterizzata dalla terziarizzazione delle attività non strategiche, riduzione di
gerarchia, introduzione di nuove metodologie di gestione (logistica, qualità dei processi, magazzino) e miglioramento
delle prestazioni. Si sono sviluppate unità centrate sui processi come group technology e isole di produzione, con team
sempre più efficienti e qualitativamente migliori. L’organizzazione è più semplice e volta a ridurre la verticalizzazione;
le tecnologie di informazione e comunicazione hanno permesso ciò. Questo fenomeno si chiama impresa rete in cui i
processi di cooperazione sono autoregolati ma condivisi dal management, c’è un largo uso delle conoscenze del
personale a tutti i livelli, capacità di comunicazione migliore all’interno e all’esterno e sviluppo di comunità umane.
Vedi modello 4C.

LA CONFIGURAZIONE ORGANIZZATIVA: APPROFONDIMENTI La prima componente della configurazione


organizzativa è il processo (sequenza di eventi che convertono input in output e conducono al raggiungimento di uno
scopo). Tipologie di processi:

• Primari: volti al raggiungimento di fini primari e alla soddisfazioni dei bisogni finali (progettazione,
produzione e distribuzione).

• Di supporto: predispongono servizi funzionali alla realizzazione dei processi primari.

• Di coordinamento, controllo e integrazione: processi di supervisione che individuano i fini, strategie e


controllano le attività.

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I processi si distinguono anche per tipo di attività (attività di trasformazione, coordinamento e controllo e
mantenimento e innovazione) e di livello di formalizzazione (esistono processi +/formalizzabili). La seconda
componente della configurazione organizzativa sono le attività (flussi, interazioni e compiti). La struttura delle attività
si riferisce alla qualità, quantità e distribuzione delle diverse tipologie di compiti presenti in un processo. Secondo la
qualità possono essere di trasformazione, manifatturiere, di servizio, di elaborazione personale, coordinamento e
controllo mantenimento e innovazione. Secondo la quantità l’attività è caratterizzata da tempi e carichi di lavoro e
frequenza. Secondo la distribuzione l’allocazione delle attività è fatta nel tempo, nelle sedi diverse, nelle diverse fasi
del processo e in rapporto a tecnologie disponibili. La natura di un processo influisce su relazioni operative, sulla
struttura di dipendenza delle attività, degli obiettivi dei compiti, sulle relazioni comunicative e sul flusso di lavoro. Le
attività possono essere variabili a seconda delle eccezioni che si riscontrano al loro interno. Abbiamo attività definite
con poche variabili (procedure fisse, catena di montaggio), attività definite con molte eccezioni, attività non definite
con molte eccezioni (processo di ricerca). La terza componente della configurazione organizzativa è il sistema di
coordinamento e controllo, cioè la sincronizzazione degli impegni e delle azioni in modo che la realizzazione
complessiva corrisponda alle attese. Ci sono 3 forme principali di attese: per supervisione diretta, per
standardizzazione, per adattamento reciproco (fondato sulla collaborazione; la collaborazione può essere operativa,
informativa o creativa). Gli aspetti principali del coordinamento e controllo sono la distinzione tra l’autorità e la
responsabilità, la natura delle procedure e la fonte del controllo. L’autorità indica il legittimato a prendere una
decisione, la responsabilità si riferisce a colui che risponde di un’azione. Vi è una procedura tutte le volte che un evento
è rappresentabile in sequenza. Vi sono procedure rigide (manuale) spesso incomprensibili ma molto dettagliate. Tanto
più è pericoloso e complesso ciò che deve essere fatto tanto più il processo è descritto in termine di procedura. Vi sono
poi procedure indicative che rappresentano solo a grandi linee le fasi di un lavoro (insegnamento). Proceduralizzare
molto non vuol dire organizzare meglio, dipende dalla natura del lavoro da svolgere. La fonte del controllo infine può
essere di persona su persona, amministrativo-procedurale o tecnologico. La quarta componente della configurazione
organizzativa sono le microstrutture ossia organizzazioni operative di base che realizzano insiemi di compiti eterogenei
(reparti uffici, squadre gruppi di lavoro...). Le attività di trasformazione sono di norma assegnate a unità con personale
meno qualificato. Le attività di mantenimento e innovazione vengono assegnate a staff specializzati e qualificati. Le
attività di coordinamento e controllo sono svolte dai vertici gerarchici. C’è una netta divisione tra line e staff (lavoro
esecutivo e intellettuale) che ancora oggi segna la divisione sociale, la differenziazione dei compensi e del rango. Dopo
anni ‘50 con Taylor e Ford si svilupparono degli studi socio-tecnici che proponevano nuove forme di work team (unità
di lavoro autoregolate basate su sistemi di coordinamento e cooperazione). Essi misero in evidenza le relazioni umane
per migliorare la performance dei lavoratori e introdussero la cultura degli joint optimization (premi). Secondo Trust il
nuovo paradigma del lavoro si basava sulla considerazioni di unità operative, autoregolazione interna al gruppo, la
specializzazione dell’intero gruppo e non del singolo, la discrezionalità diventa più importante della subordinazione,
l’individuo controlla i processi e la tecnologia entro i suoi limiti e la varietà del lavoro. Il sistema sociale diventa
dunque una componente essenziale dell’organizzazione. Un’isola di produzione è l’esempio più esplicito di
microstruttura basata su un gruppo di lavoro che controlla direttamente la responsabilità del proprio lavoro e riduce
l’effetto delle varianze. Conseguenza di questo paradigma è la lean production sviluppata in Giappone dalla Toyota, che
prima ha avuto esperienze di transplant (installazione di società in altri paesi del mondo) e poi di riorganizzazione della
produzione. Persone e gruppi vengono responsabilizzati e si riduce la funzione di controllo. Le singole attività non
cambiano, anzi vengono ulteriormente frammentate ma cambiano i ruoli, il sistema di cooperazione e la struttura delle
unità. Controllo, manutenzione e innovazione smettono di essere funzioni a parte e si integrano in ogni gruppo di
lavoro. La lean production differisce però anche dalla stessa cultura sociotecnica poiché è focalizzata sull’interno più
che all’esterno: è il mercato che tira la produzione anziché la produzione a spingere il mercato. Il just in time è
l’incarnazione di questa proposizione poiché consiste nell’abolizione delle scorte di magazzino, sulla riduzione dei
tempi di attraversamento del processo e sulla flessibilizzazione del processo stesso (si produce solo su richiesta). La
formalizzazione dei processi è alta, tutto si basa sul miglioramento. Nascono nuovi ruoli per potenziare la capacità d
integrazione dell’organizzazione. Nasce un nuovo fenomeno, learning organization un’impresa che basa il suo sistema
sull’informazione e sull’apprendimento. Isole, process team, case team, gruppi autonomi di lavoro sono unità che hanno
delle particolari caratteristiche: sono direttamente responsabili dei propri processi, controllano l’input e prevedono
eccezioni, le persone al loro interno sono intercambiabili, autosufficienti a livello di risorse, cooperano, sono altamente
flessibili, dispongono di leadership multiple. Il team differisce dall’unità di lavoro poiché è centrato su un processo o
programma e ha carattere temporaneo e variabile. Il miglioramento è il fulcro. I team appartengono a una comunità
professionale o di pratica (persone che collaborano utilizzando tecnologie a supporto del lavoro cooperativo). Questo
modello fa sì che professionisti ed esperti collaborino a diversi livelli e dislocazioni valorizzando il bacino in cui nuovi
talenti possono affluire da tutto il mondo. C’è poi il caso degli uffici moderni che non sono più caratterizzati da un

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luogo specifico che contemplava una specifica attività. Andranno quindi a scomparire gli uffici fissi e per singole
attività e nasceranno nuovi uffici supportati da reti virtuali in cui è possibile svolgere più operazioni in contemporanea.
La persona controllerà i processi e non sarà controllata dai processi stessi e autoregolerà, senza doversi spostare dal
proprio PC, il proprio lavoro e altre attività di comunicazione studio gioco ecc... Efficacia, efficienza e qualità del
servizio aumenteranno e la progettazione diventerà congiunta. Il Knowledge management è l’identificazione, gestione
e valorizzazione delle conoscenze di un’organizzazione (presenti o future). Esso favorisce la creazione,
memorizzazione e circolazione della conoscenza all’interno dell’organizzazione. La comunicazione e la partecipazione
sono fondamentali. La KM combina tecnologia, organizzazione e persone e un sistema sociotecnico. Il Costumer
relation management è un altro esempio di microstruttura che combina tecnologia e organizzazione delle persone. Si
tratta dell’utilizzo di un sistema di front office in cui c’è contatto diretta fra erogatore del servizio e utente finale. Il
servizio diventa oggetto della comunicazione stessa; Habermas dice che il servizio è sia transazione economica che di
senso. Il front office aumenta la performance e il valore dell’organizzazione attraverso una relazione duratura col
cliente. La quinta componente della configurazione organizzativa è il ruolo: ciò che ciascuno fa in vista di un risultato
funzionale all’interno di un determinato contesto tecnico-organizzativo. E’ un insieme di compiti e di responsabilità di
risultati con relazioni con il contesto organizzativo. Un ruolo assegnato fa scaturire delle aspettative e di norme che
vengono esercitate su di esso. Il ruolo è l’elemento di giunzione tra sistema organizzativo e persone. Lo sviluppo dei
ruoli comprende: un mix di attività operative, un set di obiettivi e responsabilità chiave, un sistema di relazioni. Sono
nati sistemi di classificazione basati su centinaia di mansioni e qualifiche interne. Ad oggi la job evaluation è il metodo
per la determinazione del valore del lavoro all’interno di un’organizzazione, a cui si legano l’ammontare delle
retribuzioni, i riconoscimenti e le qualifiche. In passato invece si cercava di differenziare e incasellare il lavoro
piuttosto che di promuoverne lo sviluppo. Lo sviluppo professionale era associato a costi più elevati. Ad oggi lo
sviluppo professionale sostiene la crescita. Sono nati nuovi lavoratori della conoscenza in cui la conoscenza stessa è il
principale input e output di processi di lavoro che impegnano diversi tipi di conoscenza in cui è accresciuto il valore
d’uso ed economico. C’è un impiego massiccio della conoscenza in tutti i sistemi produttivi (più lavoratori qualificati e
meno lavoratori a bassa qualificazione). Le occupazioni industriali declinano al fronte di questi nuovi lavoratori che
svolgono professioni liberali (la professione è la modalità responsabile e socialmente riconosciuta con cui una persona
esercita un ruolo di servizio e richiede abilità e competenze specifiche certificate). Queste professioni sono
contraddistinte da responsabilità verso terzi, autonomia di giudizio, formazione certificata, sviluppo di sistemi e valori
comportamentali. L’impresa è solo una delle istituzioni che concorrono allo sviluppo delle conoscenze delle persone
che svolgono la propria attività in essa. Si vengono a creare possibilità di carriere aperte, valori, sistemi di valutazione
e confronto con il sistema manageriale di riferimento e sistemi retributivi corrispondenti alle aspettative. La
progettazione dei nuovi sistemi di professione è sia un sistema di gestione delle risorse umane che di produzione di
servizi. La nascita di nuovi professioni crea problemi anche su di un contesto che si deve rendere capace di sviluppare
valori e orientamenti appropriati (contesto tecnologico adatto, ICT, un contesto culturale che genera una visione
comune della missione, un contesto di servizio in cui i processi sono visti come catene tra cliente e fornitore). La sesta
componente della struttura organizzativa è la macrostruttura, strutture organizzativa che alloca il potere e l’autorità in
un’organizzazione attraverso ordini, disposizioni e assetti organizzativi. Ci sono 3 tipi di strutture organizzative: la
struttura gerarchico-funzionale, c’è distinzione tra line e staff (line lavoro per aree funzionali) (staff funzioni di
governo). I vantaggi sono specializzazione per funzioni e contenimento dei costi; gli svantaggi efficienza solo in
condizioni di stabilità. La struttura divisionale per prodotto, processo e aree geografiche consente di attribuire autorità
e responsabilità ad aree chiave. I vantaggi sono miglior controllo, divisione tra settore strategico e operativo; gli
svantaggi sono la duplicazione delle strutture e conflitto tra le divisioni. C’è una struttura matrice in cui il
coordinamento viene spinto verso il basso e ogni unità organizzativa riporta più linee di responsabilità. I vantaggi sono
la specializzazione funzionale, il miglior utilizzo delle risorse; gli svantaggi sono alto grado di conflitto, lentezza delle
decisioni e double boss. La settima componente della struttura organizzativa sono i sistemi di gestione delle persone.
Mentre prima l’idea di base era mettere l’uomo giusto al posto giusto, addestrarlo, remunerarlo, premiarlo o punirlo,
oggi il lavoratore tende a lavorare in luoghi diversi dai classici e più vicini alla domesticità attraverso le reti telematiche
e le ICT; essi lavorano sull’informazione, la producono e la restituiscono alla comunità sociale. La qualità del lavoro
favorisce così integrità fisica, cognitiva, emotiva, professionale, sociale e del sé. Il concetto di persona è legata all’idea
dell’empowerment, processo in cui un individuo migliora la propria abilità e abilitazione ad agire individualmente ed in
cooperazione, per controllare i processi lavorativi, influenzare le strutture positivamente e migliorare la performance
del sistema sociotecnico. L’ottava componente della struttura organizzativa è la comunità di lavoro e le strutture di
regolazione sociale. All’inizio della rivoluzione industriale l’organizzazione razionale aveva fatto diventare la società
un fattore residuale. Con la crisi del taylorismo questa situazione si è ribaltata. La società è entrata nell’organizzazione
attraverso nuovi strumenti: in primis sistemi di regolazione e pianificazione sociale e poi con l’avvento dei social

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networking e del web 2.0 che connettono la comunità ad ogni dimensione. Nell’organizzazione burocratica ci si
aspettava che il comportamento delle persone fosse la conseguenza di norme e strutture autoritarie. Si ricorreva anche a
meccanismi attivatori di motivazioni quali compensi e punizioni. Invece elementi costitutivi di una comunità di lavoro
sono strutture sociali forti che si stabiliscono nel tempo, ad esempio il senso di appartenenza. Le comunità di lavoro non
sono il contrario dell’organizzazione gerarchica bensì ne sono uno strato regolato naturalmente. Una comunità è
dunque una struttura sociale che implica un comune sentimento di partecipazione, interessi e obiettivi condivisi, lealtà
multiple. Le strutture sociali latenti, naturali e robuste che reggono le comunità di lavoro sono i modelli di
cooperazione, istituzioni, sistemi socio-tecnici, cultura organizzativa, tecnologie della cooperazione, interfacce uomo-
macchina, sistemi di senso, comunità di pratica e rapporti con i clienti. Gouldner individuò nei processi sociali una leva
assai più forte dell’apparato burocratico nel far rispettare gli ordini. Bernard scoprì che il sistema di cooperazione è una
struttura forte per rinsaldare una comunità di lavoro. Parsons sosteneva che le organizzazioni fossero innanzitutto
sistemi sociali costituiti da ruoli e conseguenti aspettative che non potevano essere disattese. I sistemi socio-tecnici
definivano l’organizzazione una collaborazione consapevole tra uomini e tecnologie orientata ad un risultato Selznick
asseriva che l’accostamento di una grande organizzazione ad una nazione (es. grande corporation associata agli USA)
costringe l’osservatore a percepire il sistema istituzionale in modo massiccio. Powell riprende il concetto di istituzione
come fonte normativa e di come organizzazione, istituzione e cultura si influenzino reciprocamente e influenzano la
condotta degli individui. La cultura è uno dei sistemi + importanti di regolazione. Schein dice che la cultura
organizzativa è l’insieme degli assunti fondamentali che un gruppo ha sviluppato con successo per affrontare i
problemi. Le tecnologie informatiche volte alla cooperazione hanno sviluppato anch’esse strutture latenti: il computer
supported cooperative work non solo era strumento di miglioria nella comunicazione ma anche di approfondimento di
processi di cooperazione. Piattaforme latenti sono anche interfacce uomo-computer e design. Altra struttura latente sono
le comunità di pratica, gruppi lavorativi caratterizzati da aggregazioni informali intorno ad obiettivi comuni con
condivisione delle conoscenze. Sono estremamente auto organizzate e hanno le stesse forma mentis. Gli strati
organizzativi nascono da un’ amalgama di diversi strati di un’organizzazione per assicurare risultati produttivi.
Ciascuno strato rappresenta una diversa fonte normativa e regolatoria. Essi sono strutture formali (legali, aziendali o
tecniche) o strutture di regolazione sociale (strutture latenti) ossia comunità professionali, di pratica, social network
istituzioni, KM, cultura tecnologie di cooperazione e sistemi di senso. 6. L’EMERGERE DELLE ORGANIZZAZIONI
A RETE Di impresa a rete si comincia a parlare dopo gli anni ‘80 con il fenomeno del decentramento di un’attività
dall’impresa centrale verso imprese subfornitrici. [Outsourcing e terziarizzazione]. L’espatrio delle attività inoltre è
chiamato offshoring. Il processo imprenditoriale una volta unitario, viene smembrato in unità diverse. Si creano così da
una parte imprese di regia industriale e dall’altra imprese subfornitrici che producono parti o prodotti finiti. Un caso
particolare è quello delle aziende no manufacturing che hanno un rapporto fra personale globale occupato e personale
dedicato alla produzione inferiore all’1%. (Fabbriche che fanno regia industriale in un paese in cui non posseggono
fabbriche). Nascono le filiere, ossia sistemi di imprese che si dividono il lavoro necessario per realizzare un intero ciclo
produttivo. Sono sotto controllo di un’impresa e regista e quasi sempre non hanno rapporti fra loro. Nascono anche i
sistemi di imprese su base territoriale o distretti industriali insediate regionalmente in quanto ci sono zone caratterizzate
da una favorevole atmosfera imprenditoriale. Esse fanno uso anche di risorse comuni. In una classe diversa vanno
collocate aree con alto livello di innovazione come ad esempio la Silicon Valley. Poi ci sono imprese giuridicamente
autonome ma legate fra loro da vincoli associativi e da strutture consortili; esse controllano in modo consortile alcune
fasi della catena del valore (marchio, magazzini). Caso a parte sono gli accordi in cui si sviluppano legami strutturali
ma non proprietari o gerarchici. Il punto chiave è che l’azione imprenditoriale si estende su confini sempre più ampi e
labili mentre i processi produttivi e comunicativi sono sempre più definiti. A queste imprese sono stati dati più nomi:
transnazionale, quasi - impresa, network organization, impresa rete. Queste tipologie sono ibride e il regolatore dei
processi economici sono l’insieme dei rapporti fra le imprese. L’ambiente esterno viene internalizzato, crollano le
cosiddette mura del castello a favore delle reti. La rete è un sistema di relazione fra attori che convergono a realizzare
un medesimo processo di produzione, di servizio e di business. Le relazioni non hanno confine il network è il modello
di comunicazione che trasmigra sulla virtualità e sul web. Tre punti cardini: conoscenze ottenute da tutto il mondo
virtualmente, relazione anche virtuale con i clienti (e-commerce) e ricorso a risorse esterne. Anche gli scambi
economici avvengono virtualmente nella rete. Le ICT dunque divengono sempre meno virtuali e più strutturali
Un’organizzazione-rete è un modello di transazioni cooperative tra attori che insieme costituiscono un nuovo attore.
Esiste l’organizzazione a rete naturale e a rete governata. La prima è un insieme di nodi (imprese e amministrazioni) ad
alto livello di autoregolazione che cooperano fra loro in vista di scopi comuni. E’ basata su valorizzazione sociale ed
economica, processi che appartengono a più imprese e unità organizzative, nodi vitali che possono sopravvivere
autonomamente, legami che connettono i nodi, strutture multiple e proprietà operative che caratterizzano
un’appartenenza. Sono necessarie due condizioni: tutte le imprese nodi devono rispettare standard di efficacia ed

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efficienza e ci sia una forma di controllo che assicuri unità di procedure, identità e risorse comuni. Esempio di org a
rete naturale è la SILICON VALLEY. La seconda è caratterizzata da soggetti individuali o collettivi, privati o pubblici,
che oltre ad agire come una rete naturale provvedono anche a progettare, gestire e mantenere tale sistema. Esempi di
organizzazione a rete governata sono le grandi e medie imprese che attivano processi di esternalizzazione,
decentramento, terziarizzazione. Il processo decisionale indifferentemente è monocratico o collettivo.

L’IMPRESA RETE Le tipologie di imprese basate sull’asse centralizzazione/decentramento:

• Impresa verticalizzate: includono da monte a valle la maggior parte delle operazioni core. Make not buy,
tendono a fare più che comprare

• L’impresa divisionale: simile alla verticalizzata, i prodotti e i mercati sono stati segmentati. Le unità che la
compongono sono quasi aziende e sono focalizzate sugli obiettivi.

• L’impresa transnazionale: ricorre ad aziende subfornitrici che sono dei nodi connessi attraverso relazioni
gerarchiche. La divisione del lavoro è fra chi fa make e che fa buy.

• L’impresa rete: va oltre la transnazionale, poiché le connessioni fra i nodi non seguono una linea gerarchica.
Questo tipo di impresa è contemporaneamente un mercato, una rete informativa, un sistema sociale e una
struttura politica. Gli scopi e i vantaggi sono realizzare valore, esternalizzare i costi e non il valore, organizzare
internamente ed esternamente, rafforzare il rapporto con la società.

I sistemi di controllo possono essere a base gerarchica (in cui è dominante un impresa centrale e forti relazioni di
influenza), a centro di gravità concentrato (un’agenzia strategica leggera con relazioni di influenza), con centri di
gravità multipli (diverse agenzie strategiche che si succedono), senza centro (sono i sistemi a base territoriale). I nodi
connessi all’impresa rete sono autonomi e possono avere diverso potere. Ci sono diverse connessioni, burocratiche,
transazioni economiche, informazioni formalizzate e le ICT. Connessioni sono anche le regole di cooperazione, i canali
di comunicazione e lo scambio della conoscenza. La configurazione dei nodi dà vita a strutture diverse Le reti non
legano solo con altre imprese ma anche con microstrutture, ruoli, persone che si organizzano in comunità di lavoro.
Nuovi attori trovano nelle ICT strumenti per rafforzare i loro rapporti con l’impresa (stakeholders e shareholders).
Nascono anche organizzazioni di secondo ordine che influenzano le organizzazioni esistenti nelle decisioni e negli
obiettivi. In definitiva le organizzazioni a rete sono strutture organizzative in cui processi formalizzati e non
attraversano i confini di una singola organizzazione in virtù dell’azione di più attori dando temporaneamente vita ad un
attore collettivo nuovo che opera su strutture regolative latenti.

LE RETI DI IMPRESE I distretti, le filiere sono imprese autonome che producono prodotti e servizi simili o parte dello
stesso prodotto-servizio in un area stabilita. che favorisce un buon clima imprenditoriale. Le imprese però hanno
sempre un confine di governance. Il distretto industriale è un’entità socio-territoriale caratterizzata dalla compresenza,
in un’area circoscritta, di una comunità di persone e di imprese industriali. Il fenomeno si sviluppa in Italia sulla base
della scuola della specializzazione flessibile. Queste imprese godono di un personale più qualificato che opera in
piccole unità, la cooperazione nella stessa area riduce i costi di transazione. La scuola della inefficacia organizzativa
critica il fenomeno delle reti di imprese perché riscontra mancanza di capacità di assunzione del rischio, difficoltà di
recluta del personale migliore e alta burocrazia. Perrow offre una nuova visione strutturalista delle reti con le Small
Firms Networks piccole aziende culturalmente specifiche che si possono sviluppare solo in alcuni settori e prevedono
che il cliente finale si possa rivolgere a una molteplici aziende. Ad oggi le aziende devono imparare a supportare le
transazioni, le informazioni e le comunicazioni via web e devono imparare a costruire il concetto di fiducia. Le SNF
riescono a costruire meglio questo concetto e a distribuire meglio il potere, entrare in contatto con le istituzioni e a
distribuire equamente la ricchezza. Il cluster, a differenza del distretto, ha un nucleo territorialmente localizzato e
risorse e servizio che si estendono oltre questo territorio. Un sistema con una rete più lunga consente di operare con
interventi sinergici in un vasto territorio aumentando la ricchezza geografica. In molti casi medie imprese eccellenti
solgono un ruolo di regia su delle reti internazionali (caso Brembo e Luxottica). Queste aziende si basano
territorialmente in posti che favoriscono lo sviluppo tecnologico, poi attivano meccanismi come outsourcing e
offshoring e si orientano alla ricchezza strategica. Una media impresa in sé contiene dai 100 ai 500 addetti. Le medie
imprese che hanno avuto questo tipo di successo sono state costruite con lo scopo di durare e di essere le migliori nel
proprio settore, cercando fattori interne appropriati alle strategie, avere una forte organizzazione professionale e avere
una relazione positiva fra attori e sistema. Ci sono alcuni caratteri comuni alle diverse forme di reti di impresa: le

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imprese PMI (piccole e medie imprese) rispondono a competitività strutturale, integrazione dei processi, sviluppo delle
reti di persone e miglioramento della qualità della vita. Si sono sviluppate in ambienti favorevoli con condivisioni di
interessi, hanno una forte relazione reciproca fra reti di impresa e comunità sociale a differenza delle dell’impresa a rete
che controlla il capitale sociale ma richiede una divisione fra impresa e società. Le reti di impresa sono un sistema
complesso composto da realtà di regolazione disomogenee composte da elementi analizzabili, diagnosticabili,
progettabili ed elementi naturali. I confini sono più ampi di quelli di una singola impresa anche se sono definiti.
Vengono generati e agiti nuovi principi e regole propositive. Non vi è un unico sistema di governance ma una base di
collaborazione. Non vi è un unico luogo dove le strategie sono esercitate ma ai soggetti imprenditoriali è richiesta la
capacità di mantenere vitali tutti i nodi. I lavoratori della rete sono i lavoratori della conoscenza. Le agenzie strategiche
hanno il compito di avviare progetti di cambiamento del sistema produttivo e sociale sul territorio e di aiutare le
imprese a espandere il loro dominio a livello globale. La rete deve essere in grado di controllare i processi, generare
unità organizzative interne che operano come quasi imprese (nodi vitali), tenere attive connessioni multiple, sviluppare
strutture adatte e coesistenti e sviluppare un sistema di governo

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