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BOLOGNESI - LORENZINI

PEDAGOGIA INTERCULTURALE - PREGIUDIZI, RAZZISMI, IMPEGNO EDUCATIVO

Prefazione:

Processi migratori: dal 2010 l'Italia assieme ad altri Paesi del sud Europa ha chilometri di coste e
quindi di territori difficilmente controllabile rispetto i flussi migratori. Dal 2015 ad oggi diversi
eventi drammatici hanno fatto emergere la fragilità dei rapporti internazionali, le difficoltà e la
durezza del vivere in contesti deprivati di diritti, di beni materiali e la brutalità di violenze e guerre.
Di conseguenza il migrare di migliaia di persone per trovare una sistemazione in Europa, lontano da
guerra e paura, si è scontrato con il blocco attuato dai paesi dell'Est, i quali hanno innalzato muri e
filo spinato per non doversi far carico di queste persone, non lasciandole nemmeno transitare nei
loro paesi. Anche altri Paesi di tradizione più democratica (Francia, Austria e GB) hanno preso
varie iniziative pur di contrastare l'arrivo dei migranti, costringendoli a creare dei veri campi –
bidonville in attesa di poter passare, con condizioni di vita a dir poco miserevoli.

Fino al 2010 in Italia vi era stato un progressivo controllo dei flussi migratori, grazie alla possibilità
dei ricongiungimenti familiari, superando gradualmente una fase emergenziale-umanitaria data
dall'arrivo di profughi dall'Albania (1991), e arrivando ad una buona capacità di stabilizzare o
assorbire l'arrivo di " migranti economici". L'immigrazione, comunque, non ha mai arrestato la sua
crescita. E nonostante la precarietà determinata dalle regole sui permessi di soggiorno: si è regolari
se si ha il permesso di soggiorno che si può ottenere con un contratto di lavoro e una residenza, se si
perde una di queste condizioni, e non si recupera entro sei mesi, si diventa irregolari e poi, se si
resta nel paese, clandestini. Nonostante questa fluidità nella vita degli immigrati, l'immigrazione di
quegli anni presenta caratteristiche che permettono una stabilizzazione nella nuova realtà. Se si
analizzano i dati relativi alle "seconde generazioni" appare chiaro come siano in atto ver e propri
processi d'integrazione.

I dati del biennio 2009/2010 dimostrano la trasformazione della qualità dei flussi migratori arrivati
in Italia, si è passati da "migrazioni da lavoro" (giovani adulti maschi) a "migrazione di
popolazione" con intere famiglie che tendono a stabilizzarsi nel paese di arrivo. I progetti migratori
si sono trasformati e stabilizzati: chi costruisce la propria famiglia in Italia tende a creare anche il
proprio progetto di vita futura in questo paese e il rapporto con la realtà autoctona diventa più
impegnativo verso una maggior integrazione.

Primavera araba: viene così definito l'avvio, in diversi paesi arabi (Tunisia, Egitto, Libia) di una
serie di motti, ribellioni, guidate da giovani scolarizzati e disoccupati, contro i regimi autoritari ed
economici di quei paesi che non danno alcuna prospettiva di futuro ai giovani. Iniziano nel
dicembre 2010 in Tunisia a seguito del gesto di un giovane venditore ambulante (a cui era stata
sequestrata la merce dalla polizia) che per protestare contro l'impossibilità di sopravvivere senza
lavoro si dà fuoco davanti al palazzo del governatore e muore qualche giorno dopo.

Dal 2011 l'immigrazione da " economica" diventa " di guerra e/o conflitti violenti", chi arriva è un
rifugiato richiedente asilo, scappa da paesi in guerra. Questi migranti e quelli che invece scappano
dalla miseria e dalla fame (quasi un miliardo di persone vive sotto i livelli di sussistenza) fanno si
che l'immigrazione, verso le società ritenute più ricche, sia diventata oggi un fenomeno strutturale
legato ai processi di globalizzazione dei mercati. Si dirigono in Europa e Italia provenienti da
Afghanistan, Pakistan, Iraq, Bangladesh, Somalia, Eritrea, Sudan, Nigeria, Siria.

Conflitti religiosi che generano violenza: il mondo islamico si è frantumato in tante " osservanze
religiose" le cui radicalizzazione fa nascere centinai di conflitti: sunniti contro sciiti, sunniti salafiti
che tentano d'imporre le rigide regole religiose a tutti i sunniti e cristiani costretti a fuggire da
territori dove convivevano pacificamente. Fondamentalisti musulmani dell'ISIS che attaccano e
distruggono intere comunità religiose come ad esempio la minoranza yazida, oppure eseguono
attentati in varie nazioni europee e non solo (es: in Francia nel 2015 . la redazione del giornale
satirico Charlie Hebdo, e il concerto al Bataclan).

La violenza genera violenza e questi attentati sono aumentati al crescere di bombardamenti nelle
situazioni di guerra che hanno provocato molte vittime fra i civili. Guerre, conflitti violenti, flussi
migratori sono il volto disumano della globalizzazione che porta con sé cambiamenti radicali
profondi, estesi in diverse parti del mondo e che si svolgono in un lasso di tempo molto rapido.

Il processo di globalizzazione delle migrazioni è, quindi, strettamente connesso con guerre, conflitti
e disastri ambientali, pertanto i processi migratori investono vari piani del sapere, della coscienza
individuale e collettiva, della convivenza civile e della politica. Per controllare e contenere gli
effetti bisognerebbe agire sia sulla riduzione/ eliminazione dei conflitti, sia contrastando quel
pensiero politico che procede per semplificazioni e slogan, che fa leva sulla paura che assale i
soggetti autoctoni che sono più in difficoltà e che vivono l'arrivo degli immigrati come portatori di
altre difficoltà sociali e comportamenti " incivili". Un pensiero che tenta di colpevolizzare che porta
l'attenzione sulle cause strutturali che investono queste trasformazioni; che tenta di racchiudere
l'orizzonte sociale all'interno delle proprie piccole comunità considerando solo i propri problemi,
incapace di cogliere la dimensione collettiva che mostra difficoltà ma propone anche nuove
opportunità. Alcune voci critiche hanno iniziato a segnalare la necessità di cambiare il senso di
marcia abbandonando percorsi violenti e di contrapposizione e costruendo un nuovo pensiero e una
cultura capace di scoprire il senso del bene comune e della fratellanza . Es: Papa Francesco che con
la sua prima "esortazione apostolica" indirizzata ai religiosi e ai fedeli laici riflette sui meccanismi
socio-economici innescati dalla globalizzazione dei mercati hanno aumentato il livello di
sfruttamento del lavoro ( lavoratori sottopagati in India e Bangladesh che lavorano per ditte
europee) e introduce il concetto di " cultura dello scarto" cioè la creazione fasce di " scarti" , di
persone che non hanno nessun ruolo sociale e vivono in povertà assoluta a causa della
globalizzazione.

La crescente ed estesa difficoltà sociale, le profonde trasformazioni che creano situazioni di allarme
sociale, la riduzione del lavoro data dalla crescente automazione e informatizzazione dei processi
produttivi, la dimensione planetaria dei problemi a cui è difficile dare soluzioni rapide ed efficaci,
hanno portato ad un crescente individualismo sociale, alimentato dal pensiero politico populista, di
poter trovare la soluzione nell'isolamento e nel protezionismo. Questa attuale interpretazione della
realtà spinge all'indifferenza verso le sorti dell'altro, alimenta la volontà di allontanarlo, l'altereità è
vissuta come portatrice di malattie, sporcizia, illegalità, criminalità, violenza. La paura delle
differenze genera settarismo sociale, chiusure culturali e umane, emergono sempre più
comportamenti discriminanti, escludenti e, alle volte, profondamente razzisti. Dietro questi
comportamenti si possono riconoscere stereotipi e pregiudizi che si estendono a tutti quei soggetti
che fanno parte di una determinata categoria (es: le persone di colore) indipendentemente dalla loro
storia, identità o cultura.

In questo contesto di crisi sociale hanno un ruolo fondamentale anche, nell'alimentare il formarsi di
comportamento violenti e xenofobi, la stampa, le istituzioni e la politica. La disumanizzazione
dell'altro fa si che si crei un cortocircuito del pensiero e dello sguardo sociale che spinge ad aver
paura dell'altro e quindi razzismo e pregiudizio trovano terreno in cui radicarsi e allargarsi.

Il linguaggio diventa lo strumento principale della disumanizzazione dell'altro: il nazismo utilizzò,


in particolare nei confronti degli ebrei, una terminologia che ne distruggeva l'umanità connotandoli
come animali (cimici, pulci, ratti, bestie ecc.) sradicata dai volti ogni traccia di umanità si può
passare, con il consenso di molti, alla loro persecuzione e alla loro distruzione.

Il filosofo Bauman definisce "liquida" la società moderna perchè le istituzioni sociali (famiglia,
lavoro, politica, sanità, scuola ecc.), spesso, sono in liquefazione nel senso che non sono più i grado
di mantenere a lungo la stessa forma, la stessa organizzazione e capacità di aiuto e sostegno e gli
stessi legami. Questo porta ad una difficoltà soggettiva e collettiva a comprendere nuove realtà, a
riconoscersi nei nuovi processi, a vivere mantenendo un orizzonte aperto al futuro. I cambiamenti
richiedono di ridefinire idee, valori, parametri e strumenti che sono stati utilizzati fin qui e di
trovare pratiche sociali più adeguate ad affrontare le nuove realtà economiche, politiche, relazionali
e sociali: molto spesso le risposte che vengono attuate nascono dalla ricerca della soluzione
immediate e semplice.

Emblematico è l'esempio della città di Mostar (Boznia Ervegovina) divisa in due da un fiume con
un antico ponte che collegava le due rive e che, prima della guerra fra croati e bosniaci che ha
devastato quel paese, era un esempio di città che si era organizzata sulla base di rapporti
interculturali e di pacifica convivenza fra questi due etnie . Durante gli scontri degli anni Novanta, il
ponte che collegava le due sponde fu distrutto perchè rappresentava il simbolo di una città che per
secoli era riuscita a vivere pacificamente nonostante le differenze fra croati e bosniaci. Tutto ciò era
inaccettabile per chi alimentava la separazione e l'odio reciproco fondato su una presunta purezza
culturale e religiosa del proprio gruppo. La distruzione del ponte significava colpire a morte la
cultura dell'integrazione e dei rapporti pacifici. A fine conflitto gli aiuti internazionali hanno
puntato a ricostruire, subito quel ponte che oggi ha rimesso in comunicazione simbolica, e non solo,
le due sponde del fiume, dove ora da un lato ci sono i croati-cristiani e dall'altra i bosniaci-
musulmani, e si sta cercando di ricostruire relazioni quotidiane pacifiche nell'ottica della
riconciliazione.

Vari esempi ci hanno però dimostrato che il cambiamento può partire anche da piccole scelte
personali fatte da gente comune, è possibile reagire all'indifferenza, alla paura al pensiero e alle
azioni discriminanti e vessatorie:

- "Costruire e ricostruire ponti", cioè mettere in relazione le diverse esperienze e bisogni, far
dialogare culture e soggetti, aiutare a cogliere la bellezza insita nelle varie culture, che è intrinseca
alle differenze culturali è il compito che oggi spetta alla Pedagogia interculturale, alle discipline
umanistiche e ai cittadini responsabili. Uguali e diversi: la diversità umana e sociale deve essere
vista come fattore positivo, che aiuta lo sviluppo.

- " Standing Together. # Against Hate" – " Stare insieme per non odiare" è lo slogan di
Amnesty international, fondamentale perchè mette in evidenza le due polarità che interagiscono
nelle situazioni conflittuali. Tutti dobbiamo contribuire a far crescere una cultura in grado di gestire
i conflitti e di sviluppare un'ecologia della pace, della non violenza e della solidarietà. Come
afferma Bauman, i movimenti dal basso, orientati a costruire legami, ma anche i singoli soggetti
capaci di dare segnali positivi di pensiero e azione, possono dare avvio a cambiamenti significativi
della realtà.

CAPITOLO 1 – MULTICULTURALITA': L'ETEROGENEITA' CULTURALE NEI CONTESTI


DI VITA SOCIALE. FATTORI CHE LA PRODUCONO E LA INCREMENTANO

1.1 La presenza di persone di origine straniera immigrate in Italia: un elemento di multiculturalità.

Comprendere un paradigma pedagogico interculturale inizia dall'individuare nella pluralità e


eterogeneità culturale (multiculturalità) uno dei principali elementi che caratterizzano buona parte
degli attuali contesti di vita sociale, complessi, multietnici e multiculturali. Occorre, inoltre,
assumere una concezione di " cultura" e delle "culture" come entità vive, incessantemente prodotte,
influenzate, contaminate e rielaborate in una dimensione interattiva che rende impossibile una netta
separazione le une dalle altre. Non si negano le specificità che ogni cultura porta in sé e nemmeno
una certa dose di impermeabilità e irriducibilità necessarie alla sua sopravvivenza, ma si vuole
intenderle come singolari modi di interpretare elementi della realtà, di autodefinirsi e rappresentarsi
non del tutto indipendenti, ne radicalmente disgiunti gli uni dagli altri. Le culture esistono nel loro
essere incarnate e continuamente rielaborate dalle persone reali che di esse sono ritenute parte, che
da esse sono influenzate e che in esse riconoscono le proprie appartenenze.

Cercare di classificare le singole culture definendone nettamente caratteristiche e confini incentiva


il rischio di interpretare le culture stesse in modo statico, attraverso stereotipi folcloristici che hanno
l'effetto di produrre descrizioni standardizzate delle presunte connotazioni culturali assegnate a
paesi diversi e che esistono solo nell'immaginario iconografico dei paesi che formulano tale
giudizio.

Cambiamenti in senso multiculturale sono avvenuti in quasi tutte le società post- industriali e
costituiscono una realtà decennale (anche in Italia) riconosciuta da studiosi, politici, operatori
sociali e culturali, insegnanti, educatori e dai cittadini che vi si trovano immersi, quale sia la loro
opinione rispetto a queste trasformazioni. Questa eterogeneità attiene alla composizione e alle
caratteristiche dei gruppi umani e riguarda significativamente i singoli individui le cui identità e
percorsi di vita si evolvono dinamicamente e in relazione a una sempre maggior varietà di
riferimenti e appartenenze possibili.

Le trasformazioni multiculturali sono spesso ricondotte ai fenomeni migratori, quali processi che
portano alla temporanea o stabile presenza di stranieri entro il territorio nazionale. Tali processi
sono iniziati prima nei paesi del Nord Europa (D, F, GB- Danimarca, Olanda) anche con forti
traumi di tipo politico, morale e culturale con manifestazioni più o meno esplicite di tipo razzista. I
cambiamenti si sono poi concretizzati anche nei paesi del Sud Europa (Italia, Spagna, Grecia) e
negli ultimi decenni questi fenomeni hanno assunto un carattere sempre più globale e di lungo
termine.

Elemento evidente di questa "metamorfosi " multiculturale è la presenza di immigrati da tutti i paesi
del mondo e in questa realtà alcuni aspetti risultano più visibili di altri:

• l'inserimento di lavoratori stranieri in diversi ambiti dell'economia. • L'afflusso di immigrati


irregolari e il loro essere ai margini della vita sociale. • Le difficoltà d'inserimento nella vita sociale
italiana, la fatica a reperire alloggi adeguati e

decorosi o utilizzare i servizi sociali ecc. • I contrasti con la popolazione autoctona, specie per le
forme di microcriminalità che

coinvolgono stranieri.

La figura del "profugo" ha assunto una notorietà crescente ma resta ancora scarsa la conoscenza di
questa realtà nei suoi numerosi e controversi aspetti; pur essendo nota la sua dimensione tragica, il
dolore umano di chi fugge da guerre distruttive, si moltiplicano i muri e le barriere di filo spinato
che impediscono il passaggio e cancellano il diritto alla ricerca di salvezza. Pur non generalizzando,
tutti gli episodi di terrorismo di origine islamica avvenuti in Europa negli ultimi anni hanno
chiamato in causa la responsabilità delle migrazioni internazionali, specie dalle aree arabe
musulmane ne determinare le minacce più gravi che affliggono l'Occidente. C'è quindi la
responsabilità di capire, conoscere il cambiamento e come affrontare le paure che determina (quella
del terrorismo) e come evitare la trappola del pregiudizio che tende a ritenere responsabili tutti gli
appartenenti alla cultura e religione degli attentatori. Si ha responsabilità di chiedersi come la
riflessione pedagogica e le prassi educative possano contribuire, nei contesti educativi particolari e
concreti, ad affrontare queste tematiche che pur essendo planetarie riguardano ognuno di noi.
L'incremento nel numero di bambini e studenti provenienti da altri paesi nei servizi educativi e nelle
scuole, le difficoltà e le nuove esigenze e gli stimoli al cambiamento che ha prodotto, ha posto le
premesse perchè in Italia, a partire dagli anni ottanta del novecento, si sviluppassero interesse e
attenzione nei confronti degli studi sulla prospettiva pedagogica interculturale e alle conseguenti
prassi educative-didattiche. Lo sviluppo della multiculturalità non deriva solo i processi migratori
ma emerge anche da altri fattori che hanno modificato le relazioni fra le diverse etnie, nazionalità,
fra Stati e singoli individui. Ci si deve riferire a un insieme di processi di natura globale, complessi
e articolati che si sviluppano dentro la società. vediamo quali sono questi processi-fenomeni.

1.2 La globalizzazione

Internazionalizzazione dei mercati e dei rapporti economici, sociali e culturali, spostamento di


enormi quantità di merci, mezzi di produzione, capitali e persone da un paese e/o continente
all'altro. Fenomeno dalle diversificate conseguenze di ordine economico, sociale, politico, culturale,
che ha ricadute sulle relazioni fra comunità e individui e influenza la vita di miliardi di persone.
Evoca crescenti interconnessioni e interdipendenze tra i popoli fondate su disequilibri e disparità a
livello locale e mondiale. Il sociologo francese Morin agli inizi degli anni '90 analizza le
trasformazioni e le connessioni globali affermando che " il mondo diviene sempre un tutto"; i
processi economici influenzano in maniera consistente la quotidianità occidentale, mostra gli
innumerevoli intrecci commerciali e culturali che si sviluppano, spesso in assenza di
consapevolezza individuale e collettiva, nella vita di ogni giorno (es: ci si sveglia con la radio
giapponese, si beve tè indiano o cinese, caffè dall'America latina, ecc). La globalizzazione ha
portato un'enorme estensione dei commerci su scala mondiale, ma non va trascurata l'influenza nel
campo sociale e politico e Bauman ha analizzato proprio questo campo. Le migrazioni costituiscono
uno degli aspetti della globalizzazione, la quale richiede intensi spostamenti reali o virtuali; un suo
indicatore è il rapido aumento dei flussi transfrontalieri di ogni tipo: la finanza, il commercio, la
democrazia, i prodotti culturali e mediatici, l'inquinamento ambientale (Castles- Miller). Non tutti
gli individui sono egualmente coinvolti in questi processi e chi ne è coinvolto lo è in modi diversi
ad esempio le nuove possibilità di movimento per alcuni costituiscono:

• Libertà aggiuntive, opportunità ricce e inedite: viaggi per turismo, occasioni lavorative, scambi
relazionali, opportunità di guadagno.

• Necessità di tipo economico – migranti economici

• Sopravvivenza e tutela dei diritti fondamentali negati nel luogo di provenienza – richiedenti asilo

• Per altri le condizioni di partenza, che impediscono l'accesso agli spostamenti, costringono
all'immobilità e all'esclusione in un mondo quasi condannato al movimento così come sintetizza
Bauman " In movimento siamo un po' tutti... anche se fisicamente siamo fermi; l'immobilità non è
un opzione realistica in un mondo in perpetuo movimento".

In forme legali o illegali la mobilità del lavoro è un fenomeno globale che riguarda sia chi cerca
migliori condizioni di vita, a volte in clandestinità e a rischio della propria incolumità, chi si sposta
fra vari paesi per seguire le proprie attività economiche e legami familiari. Per il lavoratore si
creano nuove opportunità e vincoli, mentre per chi dispone del capitale, la mobilità delle proprie
risorse può facilmente sottrarsi a impegni e vincoli. Se pensatori come Bauman evidenziano che " la
cultura della post modernità sembra promuovere un uomo sempre più ripiegato su sè stesso, con
atteggiamenti individualistici e narcisisti, orientato verso i beni materiali, alla quantità a scapito
della qualità..." altri mettono invece a fuoco come "la globalizzazione promuove e moltiplica
contatti, letture, incontri e conduce a un'apertura di identità. Ogni individuo, anche il più casalingo,
attraverso le letture, la televisione, internet... ha contatti con il mondo intero". Trai primi e principali
detrattori della globalizzazione sono gli appartenenti ai movimenti no-global: insieme di persone,
gruppi, associazioni, eterogenei dal punto d vista politico ma accumunati dalla critica al sistema
economico neo-liberista (1999). Questi movimenti credono in una economia più giusta, più equa.
Una globalizzazione più giusta, non imposta dall'alto, dalle logiche delle industrie multinazionali o
dei governi degli stati più ricchi. Una globalizzazione che parta dal basso, dalle piccole realtà locali
dei lavoratori del sud del mondo affinché anche loro possano sopravvivere (da no- global a new -
global). Rifkin (economista USA) parla di una nuova " civiltà dell'empatia" basata sulla
possibilità/necessità di ripensare la natura umana, e il senso del percorso della vita umana, per
favorire l'emergere di una qualità che egli considera capace di salvare la nostra specie e il pianeta se
sostenuta e diffusa a livello globale: " la socievolezza empatica". Egli mette a fuoco le scoperte
degli ultimi decenni nell'ambito delle neuroscienze, della biologia e della psicologia dello sviluppo
che hanno dimostrato come gli individui, sin dall'età più precoce, esprimano la capacità di
relazionarsi con gli altri in modo empatico, sentendone le sofferenze, immedesimandosi nei
sentimenti, negli stati d'animo, nella situazione di altri da sé. Grazie ai neuroni specchio, che si
attivano di fronte alle emozioni altrui, siamo programmati alla socievolezza e per sentire i disagi
altrui come se fossero nostri. Rifkin evidenzia però anche le contraddizioni: mentre questa capacità
si accresce, allargandosi a dimensioni trans continentali, spingendosi non solo verso gli umani ma
anche verso gli animali, si assiste, al tempo stesso, a nuove forme di moderna schiavitù, di
sfruttamento dell'uomo sull'uomo, su donne e bambini, alla reiterata spoliazione delle risorse
naturali del pianeta, in modo selvaggio, irrazionale, che mette a rischio la stessa sopravvivenza.
Nonostante uno scenario in cui la vita sulla terra è sacrificata al profitto, all'odio, alle guerre, per
Rifkin non tutto è perduto, grazie alla capacità insita nelle persone di contenere egoismo e
individualismo, è possibile che la socialità empatica si estenda all'intero genere umano. E' anche
possibile pensare che le potenzialità insite nelle nuove tecnologie offrano strumenti per espandere le
nostre doti di Homo Hempaticus all'intero genere umano, (ne è un esempio la solidarietà anche in
termini economici per aiutare gli Haitiani colpiti dal terremoto, raccolta in poche ore tramite
twitter). Se la disposizione empatica è così radicata nella biologia umana, non si può prescindere da
un intento educativo consapevole, mirato e diffuso in tale direzione.

1.3 Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione Legame fra globalizzazione e progresso


tecnologico. Nel mondo economico gli strumenti virtuali rendono possibile, a chi detiene capitale,
fare investimenti on line in modo rapido e agevole; la velocità di internazionalizzazione di un
prodotto nel mercato è garantito dalla pubblicità on line; l'acquisto di beni on line consente di
comprare merci senza spostarsi da casa. Lo sviluppo e l'estensione della comunicazione di massa,
l'uso dei media, consente a molte persone di diventare osservatori e spettatori di eventi che si
svolgono in diverse parti del globo, anche in tempo reale. Internet consente la diffusione di notizie,
informazioni in pochi minuti in tuto il pianeta e spesso sostituisce, per economicità e facilità d'uso ,
i mezzi di comunicazione tradizionali. La rapidità e la pervasività dei progressi nella tecnologia
telematica e multimediale ha aumentato la possibilità e la velocità di partecipazione ai processo
culturali, trasformandoci in " protagonisti" di continui e diversi rapporti internazionali, seppur
virtuali. Internet rende possibile la costituzione di comunità transnazionali a diversi livelli: politico,
professionale, scientifico... e produce effetti di omologazione, come l'uso dell'inglese come lingua a
cui tutti devono riferirsi. Permette di stabilire inediti contatti sociali, amicizie, amori, relazioni
professionali che superano la dimensione locale per divenire planetaria. Con questi mezzi le
distanze spazio- temporali non sono più una barriera e i tempi di comunicazione si sono ridotti alla
quasi simultaneità. Nelle relazioni affettive-familiari la gratuità e la facilità d'uso facilitano la
connessione di individui con i loro cari in qualsiasi luogo o momento. Queste trasformazioni pur
diffondendosi a livello globale non sono a portata di tutti. La non conoscenza del mondo digitale
crea discriminazione sociale e diseguaglianza. Coloro che non sono nati nell'era digitale o non ne
sono formati a livello professionale possono incontrare difficoltà nel mondo del lavoro o disagio. La
robotizzazione e la digitalizzazione del lavoro hanno causato disoccupazione, ma hanno anche
offerto vantaggi nel lavorare on line, senza spostarsi da casa o mentre ci si trova in un luogo
qualsiasi. Le potenzialità della rete ma anche alcuni suoi aspetti controversi li sottolinea anche lo
psichiatra Andreolli, il quale ritiene che se la scuola non può ignorare Internet come strumento di
conoscenza e apprendimento, Internet non può, però educare all'affettività e alle relazioni, anzi a
volte induce a una loro pericolosa, effimera, superficialità. D'altro canto i social network
permettono di conoscere a fondo una persona anche senza averla mai vista., una sorta di familiarità
pregressa che può facilitare la relazione si le due persone si incontrassero. Internet permette, a chi
possiede gli strumenti e le competenze richieste dal mezzo, un accesso diretto alle fonti, alla cultura
formalizzata; consente la costruzione personale ma anche la formulazione di conoscenze e la loro
offerta a molti fruitori possibili. Wikipedia: enciclopedia on line, nata nel gennaio 2001, supportata
dalla Wikimedia Foundation, organizzazione USA senza scopo di lucro; significa "cultura veloce" è
tra i dieci web più visitati al mondo ed è la maggiore e più consultata opera di riferimento
generalista di Internet, è una enciclopedia libera, gratuita e ricca d'informazioni, chiunque può
collaboravi attraverso un sistema di modifica e pubblicazione aperto. Aggiornata in tempo reale e
facilità d'accesso:

- Facebook: servizio di rete sociale del 2004, basato su una piattaforma software scritta in vari
linguaggi di programmazione, è il secondo sito più visitato al mondo. Ha cambiato profondamente
molti aspetti della socializzazione e interazione tra individui. Gli utenti accedono registrandosi
gratuitamente, possono creare un profilo personale, includere altri utenti nella propria rete sociale,
scambiarsi messaggi. Il sito chiede l'inserimento della data di nascita a fini di maggior autenticità e
per l'accesso ai contenuti anche in base all'età.

- Youtube: dal 2005 vi si possono trovare video di tutti i generi ed è il riferimento assoluto di video
musicali, è il terzo sito web più visitato. Nel 2010 ha firmato un contratto con la SIAE per la tutela
dei diritti di autore.

Il mondo virtuale modifica il nostro tempo- spazio facendosi uscire dai confini geografici e
culturali, collegandoci con soggetti che abitano in qualsiasi parte del mondo. Tuttavia rimangono
insoluti alcuni problemi educativi come la qualità della relazione con l'altro e la "verità" delle
informazioni che si acquisiscono in internet. 1.4 L'evoluzione dei trasporti e del turismo di massa.
L'evoluzione delle vie di comunicazione e dei trasporti, negli ultimi decenni, ha reso più semplice e
accessibile a molte più persone gli spostamenti: crescente diffusione dei voli low cost,
proliferazione dei siti gratuiti per comparare i prezzi dei trasporti e scegliere le migliori offerte,
nonché la possibilità di compiere tutte le operazioni: prenotazione, pagamento e stampa del biglietto
dal PC di casa o in qualsiasi altro luogo. Tutto questo si collega alla crescita del turismo di massa, la
cultura di massa e l'impatto dei media hanno rilevanza nell'orientare l'interesse dei viaggiatori e i
flussi turistici e l'interesse riguarda anche luoghi che sono stati oggetto di un evento criminale,
luttuoso o "scabroso" purché abbia avuto una vasta risonanza massmediatica, è il cosiddetto "
turismo dell'orrore". Al contrario questi eventi possono anche scoraggiare il turismo a causa
dell'effetto negativo di filmati e documenti in rete. Il turismo costituisce uno dei fattori economici
più rilevanti della società consumistica e rappresenta un notevole business, dalla dimensione
globale, basato sulla circolazione delle informazioni. L'esperienza turistica, inoltre, permette al
viaggiatore di uscire dalla propria sfera familiare e sperimentare nuovi paesaggi, non solo
geografici, ma soprattutto emozionali, culturali, relazionali. Essere lontani da ciò che si conosce
comporta una rivisitazione dei propri punti di riferimento, delle proprie certezze, rendendoci
temporaneamente stranieri, diversi rispetto a coloro che sono in patria, cittadini competenti in un
certo luogo, ove ci si trova ad essere "l'Altro". La scoperta del non noto implica crescita dal
momento che stimola ad abbandonare zone sicure e rischiare. L'educazione stessa contiene molti
degli aspetti del viaggio: il continuo ridefinirsi, negoziare significati, l'essere un'identità plurale,
eterogenea, non frammentaria. La definizione di Turismo sostenibile o responsabile è applicabile a
qualsiasi forma di turismo che segua il principio generale definito dall'Organizzazione Mondiale del
Turismo: " Le attività turistiche sono sostenibili quando si sviluppano in modo tale da mantenersi
vitali in un'area turistica per un tempo illimitato, non alterano l'ambiente e non ostacolano lo
sviluppo di altre attività sociali ed economiche." Lo sviluppo sostenibile deve quindi soddisfare le
necessità del presente senza compromettere le capacità delle future generazioni di soddisfare le
proprie. Questo implica la consapevolezza che vanno rispettati i criteri di giustizia sociale ed
economica, per utilizzare, mantenere e tramandare le risorse disponibili alle future generazioni,
riducendo i deficit ambientali che potrebbero rappresentare una grave minaccia. Un viaggiare etico
presuppone la scelta di non avvallare distruzione e sfruttamento, ma la difesa di principi universali:
equità, sostenibilità e tolleranza, sino al coinvolgimento in progetti di sviluppo locale. Nell'era della
globalizzazione i fenomeni sono poliedrici e complessi, come ad esempio quello che Scarpati
definisce: "Turismo insostenibile: lo sfruttamento sessuale dei minori": viaggi dai Paesi "ricchi" ai
Paesi in via di sviluppo, volti ad ottenere prestazioni sessuali spesso da minorenni e/o da donne,
favoriti proprio dalla crescente velocità nei trasporti, dai costi dei voli e da internet.

In questo tipo di turismo ma anche in esperienze di sex worker occasionali, nel corso di un viaggio
professionale o di una vacanza, nei rapporti che si creano è implicito lo sfruttamento delle
diseguaglianze di sesso, età, etnia condizione sociale ed economica delle popolazioni locali. Il
turista è portatore di ricchezza materiale, simbolo di un Occidente spesso mitizzato nei paesi del
Sud del mondo. Anche quando i contatti sessuali danno luogo a rapporti continuativi per cui lo
stesso viaggiatore torna più volte dalla stessa donna sostenendola economicamente, il rapporto
cliente-sostituta si trasfuma in rapporto uomo benefattore- donna bisognosa e indifesa, che diversi
autori considerano come un perdurare approccio colonialista in cui le donne costituiscono l'ultima
risorsa non ancora sfruttata. 1.5 I processi di integrazione economica e politica fra stati: l'Unione
Europea Unione di 28 paesi Europei. La sua costruzione ha aperto le frontiere alla circolazione
libera dei cittadini al proprio interno, ha avuto l'obiettivo di creare un mercato unico della forza
lavoro e di accrescere la mobilità fra i diversi paesi di lavoratori e delle loro famiglie. Si sono
armonizzati i sistemi scolastici attraverso un confronto su diversi piani tra differenze culturali
interne al contesto europeo inducendo a riflettere sui contenuti e sul significato della nuova
cittadinanza europea. Nel 1957 la Comunità economica Europea (CEE) istituì la figura giuridica del
lavoratore comunitario o " straniero privilegiato", nel 1993 con il trattato di Maastricht, istitutivo
dell'Unione Europea, nasce la cittadinanza europea. Il trattato di Schengen (1985) sancisce, invece,
la libera circolazione dei cittadini comunitari entro i confini interni dell'Unione. Per quanto invece
riguarda l'immigrazione non comunitaria ogni Stato membro, nel rispetto dei diritti fondamentali
della persona, applica normative nazionali in materia di cittadini stranieri non comunitari. Il
progetto Erasmus (1987): possibilità per gli studenti universitari di studiare in un ateneo in un
diverso paese dell'Unione, o di un paese associato all'Unione, per un periodo che va dai 3 ai 12
mesi; oltre all'obiettivo di conoscere culture diverse mira anche a favorire l'evolversi di un "senso di
comunità". Oltre ad essere un momento formativo in una dimensione internazionale, questa
esperienza permette anche di sperimentare una nuova autonomia e responsabilità e la convivenza
con persone di origini culturali diverse. I problemi economici, le opinioni sulla moneta unica, i
numerosi attentati che ci sono stati, i flussi migratori avvenuti in questi ultimi anni, hanno portato
diversi Stati a reintrodurre i controlli alle frontiere impedendo così la libera circolazione. Le
divisioni dell'Europa Unita aumentano , ad esempio nel 2016 i britannici hanno scelto di uscire
dall'Unione, le questioni che riguardano i migranti e i rifugiati costituiscono vettori di profonde
spaccature; nel 2015 i paesi dell'Est rifiutano la spartizione dei profughi secondo quote predefinite,
e si assiste alla nascita del campo profughi Idomeni (Grecia) ai confini con la Macedonia, che ha
chiuso le proprie frontiere, e il quale rappresenta uno dei maggiori epicentri della crisi dei migranti
che ha colpito l'Europa, nel 2016 il campo è stato evacuato. Diversi analisti hanno rilevato che gli
attentati terroristici compiuti in Occidente dall'11 settembre 2001 in poi non hanno costituito solo
attacchi al modello democratico della vita sociale e dei suoi principi costitutivi, ma hanno anche
prodotto risposte di tipo antidemocratico proprio da parte delle istituzioni democratiche, attraverso
limitazioni imposte alla libertà degli individui. Da diversi studi è emerso che i fatti di terrorismo
generano chiusura cognitiva e chiusura sociale, incrementano la tendenza a chiudere i confini con il
dichiarato intento di salvaguardare dalla minaccia distruttiva i valori, gli stili di vita, i sistemi di
credenze in ambito politico, religioso, etico.
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Bauman evidenzia come i muri contro i migranti rappresentino una vittoria del terrorismo: " Per
vincere, i terroristi fondamentalisti possono tranquillamente contare sulla miope collaborazione dei
loro nemici", una collaborazione che si concretizza proprio nella sospensione delle regole di base
della democrazia, nell'inasprirsi del risentimento verso gli stranieri, nel circolo vizioso tra
propaganda politica e xenofobia, nell'incapacità degli stati –nazione di affrontare un fenomeno
epocale e globale come le grandi migrazioni. Le questioni legate alle migrazioni sono cruciali per
comprendere il destino del processo d'integrazione e funzionamento dell'Unione dato che il sistema
di Schengen è stato messo in discussione proprio dalla volontà dei migranti che non hanno fermato
il loro movimento verso i paesi europei nonostante i "muri". 1.6 Disequilibri di carattere planetario:
la distribuzione della ricchezza nel mondo e lo sviluppo demografico. I disequilibri e le
diseguaglianze fra paesi ricchi e paesi poveri anche in campo demografico incidono pesantemente
sugli spostamenti di essere umani da un luogo all'altro. Anche la distribuzione della ricchezza nel
mondo presenta rilevanti disparità dato che i Paesi a sviluppo Avanzato, con una minima parte della
popolazione mondiale, detiene e consuma la gran parte delle ricchezze prodotte, mentre ai Paesi in
via di Sviluppo, dove si trova la maggioranza della popolazione platanaria, rimane una esigua
percentuale di questa ricchezza. Grande ingiustizia, anche se nei decenni 1990- 2012 diversi di
questi Paesi hanno avuto dei miglioramenti nelle dimensioni relative a istruzione, salute e reddito e i
progressi più rapidi si sono avuti nei paesi a più basso Indice di sviluppo umano (Isu). Globalmente,
negli ultimi due decenni, sono diminuite molto di più le diseguaglianze di salute e istruzione
rispetto a quelle di reddito, le quali invece risultano elevate. Il " Rapporto sullo sviluppo umano" e
in particolare " Il lavoro al servizio dello sviluppo umano" del 2015 indicano che lo sviluppo va
considerato nei termini di un allargamento delle possibilità di scelta offerto a tutti e ciascuno,
ponendo una necessaria attenzione alla ricchezza di vita individuale e non solo a quella del Paese
(Isu). Elemento fondamentale di questo processo è il lavoro, non quello forzato o lo sfruttamento,
quello che offre la possibilità di massimizzare la gamma delle scelte aperte agli individui,
accrescendo le loro entrate, rafforzando i loro diritti, libertà, capacità e opportunità disponibili,
permettendo di vivere una vita creativa, lunga e sana. E se questo riguarda in egual misura uomini e
donne, ma purtroppo siamo ancora distanti da una reale parità di diritti. Nonostante gli studi e i
rapporti abbiano attestato una tendenza positiva al miglioramento delle condizioni di vita,
permangono ancora divari enormi a livello mondiale. Il progresso umano non è né omogeneo né
regolare tra regioni e Paesi. Alti livelli di privazione rimangono ampiamente diffusi, come ad
esempio sul piano lavorativo il mancato impiego, l'uso improprio o il sottoutilizzo di un gran
numero d'individui; i redditi da lavoro sempre più in diminuzione; il mancato impiego delle donne
perchè occupate nella cura della famiglia e dei figli e la povertà che grava su di loro si ripercuote
sul futuro dei singoli individui in crescita, su intere generazioni, sulle risorse di un popolo e di un
Paese. L'andamento demografico presenta forti differenze fra Paesi e Continenti. Un calo continuo
nei paesi ricchi e un forte aumento in quelli poveri che provoca una forte concentrazione della
popolazione in alcune zone del mondo. Nonostante le differenze la popolazione mondiale continua
a crescere (7.3 miliardi nel 2014). L'Italia da anni è interessata dalla decrescita demografica, al calo
della popolazione italiana hanno contribuito anche i centomila cittadini che si sono cancellati
dall'anagrafe per trasferirsi all'estero.

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Non si arresta il processo di invecchiamento, assoluto e relativo, l'età media è aumentata (44.6
anni), risultano in diminuzione sia la popolazione dai 15 ai 65 anni, sia quella fino ai 14 anni (dati
del 2015). Questo forte disequilibrio che vede la polarizzazione dello sviluppo economico nei paesi
del nord del mondo e la concentrazione dello sviluppo demografico nei paesi del sud del mondo,
produce interdipendenza fra i popoli e fori spinte al perpetrarsi dei flussi migratori a carattere
internazionale. 1.7 Interconnessioni planetarie L'accrescersi delle possibilità di spostamento,
scambio, interazione, portano all'implicito prevalere del modello di vita più forte su quelli
minoritari; vengono imitati gli stili di vita e di consumo, ad esempio, Giddens evidenzia, riguardo
alla famiglia, " Ci sono pochi paesi al mondo dove non si svolga un intenso dibattito sulla parità
sessuale, sulla regolamentazione della sessualità, sul futuro della famiglia, dove questo non si
verifica è soprattutto per l'azione repressiva di governi autoritari o gruppi fondamentalisti". Anche i
rischi di contagio delle malattie si sono globalizzati (aids, ebola…) I modelli di consumo e gli stili
di vita dei paesi ricchi hanno prodotto cambiamenti sul piano ecologico: desertificazione di vaste
aree geografiche di paesi poveri, inquinamento atmosferico, eccesso di consumo di energia.
Certamente la presenza di persone immigrate comporta dei mutamenti della vita quotidiana di molti
cittadini sia nel bene: ad esempio, i lavoratori/lavoratrici stranieri che si occupano degli anziani, con
umanità, grazie anche alla loro diversa concezione del ruolo dell'anziano nella famiglia; sia nel
male: ad esempio, i cambiamenti delle abitudini relative alla custodia delle case o dei negozi,
situazioni che spesso hanno prodotto casi di vigilanza armata svolta direttamente dai cittadini.
L'aspetto più rilevante è il cambiamento di orizzonte determinato dai fattori analizzati in rapporto
allo sviluppo della multiculturalità; i mezzi di comunicazione di massa fanno si che i giovani
acquisiscano gusti e comportamenti molto simili: l'ascolto di musiche provenienti da tutto il mondo,
anche etniche, i modi di vestire che diventano sempre più trasversali ai gruppi sociali ed etnici, così
come la produzione cinematografica, multimediale e artistica. In questo contesto stanno mutando i
significati di molte categorie o di " contenitori sociali", può variare perfino l'idea di nazione: il
politologo M. Martiniello sostiene " Il concetto classico di Stato – nazione, che associa ad ogni stato
un gruppo nazionale o etnico, non riesce più a dar conto delle evoluzioni sociali e politiche del
nostro tempo". Gli Stati dell'Unione Europea sono insiemi multiculturali e multietnici, nei quali
coesistono individui e gruppi portatori d'identità etniche e culturali talvolta diversissime. I tratti
tipici della "italianità" si sono modificati e/o mescolati nella compresenza di persone dalle
caratteristiche somatiche riconducibili a origini diverse. Le migrazioni hanno prodotto modifiche
all'interno del tessuto sociale di gran parte dei paesi, nonostante le politiche nazionaliste, le idee
sulla radicale separazione tra i popoli, sino alle derive delle pulizie etniche e dei genocidi. Inoltre il
governo di uno Stato-nazione non costituisce più l'autorità unica e ultima della società in cui si
esercita, ma deve riferirsi e sottostare a poteri di carattere sovranazionale (UE, ONU, WTO
(organizzazione mondiale del commercio) o FMI – Fondo Monetario Internazionale). La
regolamentazione i fenomeni che influenzano la vita locale di uno

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Stato ma che hanno carattere internazionale non può più essere di sola responsabilità di un governo
nazionale ma necessariamente richiede un impegno di collaborazione fra Stati. Secondo Castle e
Miller un' importante sfida allo Stato nazionale "è rappresentata dal " transnazionalismo", mano a
mano che migrare diventa più semplice e le persone raggiungono un livello più alto di mobilità,
vengono ad instaurarsi importanti e duraturi rapporti di tipo politico, economico, sociale, culturale
in due o più società contemporaneamente... le nuove forme di interdipendenza, le società
transnazionali e le cooperazioni bilaterali e regionali stanno rapidamente mutando le vite a milioni
di persone, intrecciando il destino di paesi e società in maniera inestricabile." 1.8 In conclusione:
dalla multiculturalità passi verso la interculturalità La complessità del mondo rende necessario
ampliare lo sguardo rispetto ai ristretti confini del proprio territorio nazionale o della propria
cultura; rende opportuno parlare di mobilità umana, quale linea evolutiva dell'umanità stessa. La
pedagogia interculturale deve analizzare i fenomeni connessi ai moderni e planetari incontri/scontri
fra le persone e popoli e i riferimenti culturali in cui si riconoscono. Prestare attenzione ai fattori
che sviluppano i processi multiculturali ampia la prospettiva e moltiplica le possibilità educative,
ma nello stesso tempo amplifica i rischi che si corrono sul piano educativo. Sono necessarie analisi
pedagogiche complessive, capaci di confrontarsi con nuovi problemi e nuove risorse sul piano
economico, sociale, etico, politico e relazionale. La migrazione può attivare l'ambito problematico
connesso a stereotipi e pregiudizi e alle loro implicazioni come l'etnocentrismo e il razzismo.
Occorre riferirsi a una teoria critica e metodologie aperte al pluralismo tale da permettere
l'identificazione delle distanze che determinano le separazioni, da cui può prendere avvio un
processo di riconoscimento e di legittimazione del nuovo che si produce nel confronto e nello
scambio. Il fatto che ci arrivino solo gli aspetti più negativi e drammatici delle migrazioni (folle
accalcate davanti al filo spinato, "barconi della speranza"…) genera implicazioni gravi e pericolose,
poiché è su di essi che si costruisce la rappresentazione che della realtà migratoria si sviluppa nei
nostri pensieri. Invece, la realtà data dalla presenza di stranieri nei nostri contesti ha molti più volti
e molti più risvolti, non solo tragici o problematici. Una rappresentazione corretta e realistica dei
processi migratori è data da informazioni che provengono da fonti diversificate e studi ampi e
interdisciplinari i quali forniscono dati che però non arrivano all'opinione pubblica. I dossier
pubblicati negli ultimi anni hanno messo in luce il crescente peso nel mercato del lavoro, il
crescente radicamento, le nuove nascite, l'incremento delle seconde generazioni, la diffusa presenza
nella vita sociale. Questi dati vanno modulati in relazione sia alle problematiche dell'integrazione
che stenta a svilupparsi se non in forme di assimilazione e di compresenze prive di scambi e
interazioni, sia in relazione alle congiunture economiche di grande criticità in corso in Italia che
hanno determinato difficoltà notevoli anche agli immigrati rispetto alla perdita di lavoro. Apporto
della riflessione e ricerca nell'ambito della pedagogia interculturale: ripensamento critico e aperto
sui temi chiave dell'educazione, dell'istruzione e della riflessione pedagogica nel suo insieme sulla
complessità del mondo contemporaneo, ispirandosi a un 'ottica progressista e laica ma capace di
dialogare con valori religiosi diversi, fondandosi su un modello democratico, inclusivo e
partecipativo, emancipativo dell'educazione e della pedagogia. Dalla multiculturalità è necessario
arrivare all' interculturalità e al dialogo tra le culture e tra tutte le differenze di genere. L'Intercultura
è un discorso sull'altro, sul " diverso", sulla differenza e sui contrasti che possono scaturire
dall'incontro tra differenze, sulle similitudini e sulla convivialità.

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La pedagogia interculturale può fornire strumenti per agire su diversi piani, occorre educarsi ad
accogliere che arriva ma, soprattutto, a gestire l'incontro con le differenze in senso più ampio.
L'incontro con l'immigrato può diventare un'occasione pe imparare a vivere, specie le generazioni
più giovani, in contesti allargati dove il confronto con altri riferimenti culturali, stili di vita,
linguaggi e valori sono eventi quotidiani. La compresenza in uno stesso spazio sociale di " culture"
diverse non crea automaticamente relazioni, né positive, né in senso interculturale. L'interculturalità
non si sviluppa spontaneamente ma deve essere insegnata e appresa, in base ad opzioni e
orientamenti pedagogici – educatici consapevoli. Passi in questa direzione consistono
nell'attenzione per l'altro, nella scoperta di ciò che differenzia e di ciò che accomuna culture e
persone diverse, nella ricerca di zone possibili di comunicazione e reciproca comprensione. Educare
all'interculturalità significa educare a vivere in contesti sempre più multiculturali , a valorizzare
nell'incontro con l'altro le differenze e i punti in comune capire che questo non riguarda solo lo
straniero, o i rapporti tra autoctoni e stranieri, ma tutti e ciascuno.

CAPITOLO 2 - STEREOTIPI E PREGIUDIZI 2.1 Definizione di stereotipo Il termine deriva dal


greco "stereos" (duro-solido) e "typos" (immagine, impronta) ed è stato mutuato dalla pratica
tipografica in cui significa: stampo in lega che permette la riproduzione di più stampe di una
immagine che vi è impressa (matrice). Lippmann (giornalista politico) usa questo termine per
identificare lo stereotipo sociale e descrivere in modo semplificato ciò che è percepito nella realtà
sociale: dal significato iniziale si è giunti a definire gli aspetti psicologici degli stereotipi,
caratterizzati da fissità, rigidità, scarsa adattabilità al cambiamento. Può essere quindi rappresentato
come un'immagine mentale rigida e grossolana utilizzata per rendere comprensibile la complessità
della realtà. In psicologia esistono diverse definizioni fra cui: " generalizzazione fatta su un numero
di persone, in cui caratteristiche identiche vengono attribuite a tutti i membri del gruppo: es aspetti
della personalità che caratterizzano uomini e donne- i primi forti, sicure di sè... le seconde, materne,
disponibili, aperte al dialogo... " esistono per gruppi etnici, anziani, omosessuali, disabili,
minoranze ecc. Taguieff (filosofo e politologo): " idea fissa e standardizzata associata a una
categoria, categorizzazione rigida e persistente, categorizzazione che implica un'accentuazione delle
differenze tra il gruppo di appartenenza e gli altri gruppi (effetto di contrasto). Oppure
accentuazione delle somiglianze sia all'interno del gruppo di appartenenza che all'interno degli altri
(effetto di assimilazione)." Da punto di vista educativo gli stereotipi possono far sorgere conflitti e
serie difficoltà comunicative tra gli individui proprio per gli aspetti di rigidità e invariabilità. Viene
utilizzato per escludere chi viene percepito come diverso dal proprio gruppo di appartenenza,
mentre rafforza l'inclusione di chi si sente simile e che condivide le stesse idee stereotipate verso gli
altri.

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2.2 Definizione di pregiudizio. I primi studi su questo argomento sono filosofici e diversi filosofi
hanno indicato il pregiudizio come un errore di giudizio e/o un'inferenza logica errata che può
essere dedotta anche dall'osservazione della stessa realtà. Allport dal punto di vista delle scienze
sociali definisce il pregiudizio come:" un atteggiamento di rifiuto o di ostilità verso una persona
appartenente a un gruppo, semplicemente perchè appartenente a quel gruppo, e che pertanto si
presume in possesso di qualità biasimevoli generalmente attribuite al gruppo medesimo". Anche in
questo caso viene usato come semplificazione delle realtà. Allport ritiene che la differenza fra
pregiudizio e pensiero errato consiste nel fatto che il pensiero lascia aperta una possibilità di
discussione senza resistenze di tipo emotivo, il pregiudizio, invece, rimane immutabile anche di
fronte a informazioni che lo problematizzano. Quindi il pregiudizio viene formulato sulla base di
valutazioni che sono fondamentalmente di natura emotiva, non sempre fondate su dati obiettivi e
nemmeno sull'esperienza diretta. In genere si ritiene che i pregiudizi siano negativi, ma ve ne sono
anche di positivi che rappresentano una modalità di organizzazione del nostro pensiero e aiutano a
sistematizzare fatti ed esperienze della realtà (ad es: se mi piace un paese seleziono, raccolgo e
organizzo più facilmente le informazioni che mi servono a scapito di altri paesi che potrebbero
essere altrettanto interessanti). I pregiudizi negativi possono creare tensioni sociali, violenze e
scontri, e quindi necessitano di analisi attente e puntuali di quali siano i meccanismi che sottostanno
alla loro formazione e attivazione, non solo per i riflessi in ambito educativo ma anche per capire
quale sia il nostro rapporto con la realtà sociale, le nostre relazioni con gli altri e le reazioni che
generiamo nei loro confronti. Taguieff definisce il pregiudizio come " opinione preconcetta,
socialmente appresa, condivisa dai membri di un gruppo, Attitudine negativa, sfavorevole, ostile,
credenza rigida che si fonda su una impropria generalizzazione e su un errore di giudizio che
consiste nell'attribuire tratti stereotipati a diversi gruppi umani." Mazzara (psicologo sociale)
utilizza due livelli di lettura: un livello di massima generalità per cui il pregiudizio è un giudizio
precedente all'esperienza o in assenza di dati empirici e quindi spesso sbagliato. Un livello di
massima specificità in cui è invece inteso come tendenza a considerare in modo ingiustificatamente
sfavorevole le persone di un determinato gruppo sociale. 2.3 La formazione degli stereotipi e dei
pregiudizi Esistono diverse interpretazioni teoriche, Mazzara, individua due criteri che permettono
di distinguere fra le teorie più diffuse:

1. primo criterio  ordinarietà e eccezionalità della formazione di stereotipi e pregiudizi – si


generano sulla base di processi "normali" propri della natura umana, ma anche a partire da
fenomeni anormali derivanti da condizioni di malattia individuale o sociale.

2. Il secondo criterio  tipologia di interpretazione riferita al singolo soggetto o gruppo sociale.

Nei processi caratterizzati dall'eccezionalità: in ambito psicanalitico ci si riferisce alla presenza di


dinamiche patologiche inconsce presenti nell'individuo che direziona la propria aggressività-
frustrazione verso le minoranze, dislocazione dell'aggressività verso i soggetti sociali più deboli.
Processo psicologico della proiezione: l'individuo attribuisce ad altri proprie pulsioni e peculiarità
che però non possono essere accettate come proprie.

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Altre interpretazioni sono riferibili a condizioni collegate alla situazione sociale che in particolare
condizioni, può incidere su una maggior diffusione di stereotipi e pregiudizi poiché le persone e i
gruppi sono in forte competizione fra loro, ad esempio per l'acquisizione di risorse limitate che non
bastano per tutti. Gli studi che spiegano l'ordinarietà, vedono stereotipi e pregiudizi come la
manifestazione di una generica ostilità verso gli stranieri o le persone diverse dal proprio gruppo di
appartenenza, è ritenuto un comportamento istintuale che non può essere eliminato. Le
interpretazioni dal punto di vista educativo vedono pregiudizio e stereotipi come prodotti della
mente umana. Tajfel definisce lo stereotipo un prodotto dei processi cognitivi normali comuni a
tutti gli individui, non sono un giudizio avventato e irrazionale, ma si originano dai processi normali
del pensiero umano quali la categorizzazione sociale, la differenziazione o le diverse prese di
posizione. Processo di categorizzazione sociale (organizzazione delle persone in categorie):
semplifica e organizza la massa di informazioni che provengono dal mondo esterno, le quali sono
raggruppate secondo criteri precisi all'interno di insiemi omogenei. Attraverso l'utilizzo di categorie
sociali l'individuo è capace d discriminare i membri di un gruppo da coloro che non ne fanno parte.
Nella prospettiva del processo intergruppi la categorizzazione è un sistema di orientamento per
definire il posto specifico dell'individuo nella società. Quando incontriamo un individuo il processo
di categorizzazione ci permette di collocarlo in una categoria (donne, straniero, disabile ecc.) e
attivare comportamenti e atteggiamenti riferiti a quella categoria ed è questa possibilità che
rappresenta l'economia di questo processo, altrimenti dovremmo ogni volta apprendere cosa fare o
non fare quando incontriamo una persona. Le categorie hanno un margine di flessibilità e
revocabilità dato che la nostra esperienza percettiva è culturalmente informata, la socializzazione
addestra i membri di una cultura a " vedere" il mondo suddiviso in categorie che la cultura ha
elaborato per interpretarlo, ordinarlo e semplificarlo. Il processo d'inferenza (trarre delle
conclusioni) viene attivato quando possiamo supporre delle analogie fra caratteristiche
immediatamente osservabili con altre caratteristiche più soggettive e attitudini comportamentali; è
un processo efficace per le scelte e le relazioni, decidiamo di interagire con coloro che il nostro
sistema di inferenza ci fa percepire come più vicine a ciò che ci interessa. Secondo Tajifel nei
processi di categorizzazione sociale si utilizzano gli stessi dispositivi e funzioni attivati per la
categorizzazione non sociale (le mele, le sedie ecc.); quindi le informazioni dall'ambiente sono
raggruppate in classi distinte costituite in base a scopi, bisogni e valori degli individui.
Differenziazione categoriale: rende utili ed economica la categorizzazione, è quel processo che
massimizza le somiglianze e minimizza le differenze tra gli individui che appartengono allo stesso
gruppo. Affinché una persona possa entrare in una categoria saranno sovrastimate quelle
caratteristiche che permettono di assimilarla a quella categoria e sottostimate quelle che rendono
difficile una sua inclusione. Secondo Tajifel la categorizzazione sociale diventa stereotipo quando
la categoria è associata a un sistema di valori per cui tende all'autoconservazione ed ha, quindi,
meno margini di flessibilità e provvisorietà rispetto all'inclusione di una persona in una categoria
diventa più difficile. Ne deriva che lo stereotipo è presente quando la categoria è fortemente
specificata con l'attribuzione di tratti e caratteristiche differenziali considerate emblematiche e
stabilmente costitutive della categoria stessa. Questi stereotipi diventano sociali quando sono
comuni a grandi masse di persone all'interno di gruppi e/o istituzioni.

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La psicologia sociale distingue la formazione degli stereotipi da quella dei pregiudizi; lo stereotipo
costituirebbe la componente cognitiva del pregiudizio e, di conseguenza, il pregiudizio implica lo
stereotipo, cioè la costruzione di una categoria sociale in qualche modo oggettiva e con
caratteristiche proprie, non neutrale perchè vincolata a precisi valori e processi storici che ne
condizionano contenuto e senso. Gli stereotipi e le categorie sociali che ci semplificano la vita
quotidiana, non nascono in un vuoto culturale, ma sono intrisi di valore fin dalla loro formazione.
Ciò significa che lo stereotipo non sempre è collegato ad un pregiudizio, ma si forma in un mondo
pieno di pregiudizi. Favoritismo di gruppo: secondo alcuni studi l'individuo tende ad applicare
anche ai gruppi di cui fa parte le tecniche di miglioramento dell'autostima che abitualmente usa per
sè stesso; considera sistematicamente in modo positivo tutto ciò che riguarda il proprio gruppo e in
modo sfavorevole ciò che riguarda altri gruppi. Identificandosi con un gruppo la persona ne assume
stereotipi e pregiudizi, pertanto vede in modo stereotipato i membri dell'outgroup. In questo modo
nelle relazioni ingroup (gruppo d'appartenenza) si sviluppano forte coesione, emozioni positive e
cameratismo, mentre le relazioni con l'outgroup possono diventare ostili, distruttive etnocentriche e
portare al conflitto. In sintesi pregiudizi e stereotipi traggono forza dall'azione congiunte di almeno
tre fattori:

1. Dimensione cognitiva: semplificare la realtà attraverso categorizzazione, inferenza e


generalizzazione. Dal punto di vista pedagogico è il livello soggettivo, la costruzione del proprio sé
nella sua dimensione autoriflessiva e autocostruttiva.

2. Fattore psicosociale: bisogno di appartenenza, riconoscersi come simili ai membri del proprio
gruppo e differenti dagli altri gruppi. Pedagogicamente è il livello intersoggettivo in cui si
costruiscono saperi e conoscenze che ci permettono la relazione con gli altri e definiscono ciò che è
diverso.

3. Aspetti storico-sociali: definiscono posizione e funzione di ogni gruppo e i rapporti fra questi in
una certa società. Dal punto di vista pedagogico siamo nella dimensione istituzionale e politica,
ruolo delle istituzioni sociali ne definire il senso comune e il contenuto anche emotivo degli
atteggiamenti maggioritari.

Questi tre ambiti indicano tre importanti settori d'intervento educativo: il sé, l'ambiente sociale
(famiglia, scuola...), società e strumenti di organizzazione civile (mass media, religione, cultura…).
2.3.1 La costruzione dei pregiudizi attraverso partiche discorsive Vari ambiti disciplinari si sono
interessati all'analisi del discorso per comprendere come stereotipi e pregiudizi siano trasmessi. Il
discorso è inteso come luogo di costruzione sociale che produce rappresentazioni cognitive
appartenenti ai gruppi che le costruiscono (costruzionismo sociale). Il discorso rappresenta e
costruisce la realtà: un fatto è tale non per le sue caratteristiche intrinseche, ma perchè qualcuno per
scopi ben precisi e con il consenso di altri lo ha definito in quel modo. In questa prospettiva le
categorie sociali e gli stereotipi sono strutture cognitive già presenti nelle menti degli individui, ma
sono anche pratiche discorsive variabili a seconda dei contesti in cui i discorsi sono prodotti: ad
esempio nel discorso comune l'immigrato viene costruito come "uno che non lavora" non tanto
perchè è un'immagine già presente nella mente di chi parla, ma perchè è percepito come tale in
precisi contesti e discorsi e può cambiare in altri ( ci porta via il lavoro) perchè funzionale ad altri
scopi della conversazione.

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La categorizzazione sociale si produce all'interno di un discorso e di un contesto per cui tale


categoria è sempre significativa ed è un modo per interpretare la realtà, non è neutrale ma esprime
un processo cognitivo culturalmente informato, ad esempio categorie su base razziale, etnica o
nazionale. I processi di comprensione della realtà sociale sono complessi e variabili e influenzano il
modo in cui noi definiamo lo spazio d'incontro con l'alterità e la diversità. 2.3.2 Come nascono i
pregiudizi nei bambini. I bambini fin da piccolissimi costruiscono stereotipi e pregiudizi all'interno
dei loro processi cognitivi e nei contesti di socializzazione in cui crescono e assumono un ruolo
attivo nella loro costruzione influenzati da processi cognitivi e dinamiche affettive e sociali.
Modello trifasico: formulato dalla psicologa Aboud, la quale sostiene che i bambini imparano a
classificare la realtà e sé stessi in categorie molto generali associate ad emozioni legate alle
esperienze personali, ma nell'elaborazione di tali informazioni i bambini compiono degli errori dato
che non possiedono ancora delle buone abilità cognitive nel distinguere le persone:

- Nella prima fase da 1 a 5 anni, il pensiero del bambino è egocentrico e caratterizzato dalla
percezione di come la realtà appare e per cui egli si avvale di dati visivi attraverso i quali costruisce
le categorie. In questa fase la preferenza è per il proprio gruppo etnico.

- Dai 5 ai 7 anni, il bambino acquisisce il principio di conservazione e il pensiero di reversibilità,


capisce le caratteristiche non solo fisiche ma anche morali del proprio gruppo. Si forma un alto
grado di etnocentrismo, preferenza per il proprio gruppo di cui accentua gli aspetti di somiglianza.
- Dai 7 ai 10 anni, pensiero operatorio, gli stereotipi diventano più flessibili e aperti, il bambino
coglie le differenze all'interno di uno stesso gruppo, è più sensibile alle norme sociali e più
consapevole della negatività dei pregiudizi, si riducono le forme di discriminazione verso persone
appartenenti a gruppi minoritari.

In ambito educativo significa che questo modello indica che interventi ragionati e puntuali costruiti
con una logica pedagogica orientata all'inclusività e alla interculturalità, svolti in particolari
momenti dello sviluppo cognitivo dei bambini, possono contrastare la formazione di stereotipi e
pregiudizi, fino far scomparire atteggiamenti discriminatori verso persone di gruppi diversi dal
proprio. Diversi studi sostengono che, fin dalle prime fasi della socializzazione i bambini
apprendono modi di pensare, conoscenze, e ideologie attraverso il linguaggio utilizzato, libri, mass
media; gli stessi gesti quotidiani sarebbero all'origine della formazione di molti pregiudizi e azioni
discriminatorie definibili come "razzismo quotidiano". Si sottolinea soprattutto l'influenza dei mass
media nel determinare pensieri e atteggiamenti dei bambini. Molte ricerche che hanno indagato se
l'appartenenza etnica è un tratto saliente nell'organizzazione delle categorie hanno constatato che i
bambini di 2-3 anni sono in grado di classificare se stessi per appartenenza di genere, mentre la
salienza della categoria etnica sembra non avere una risposta univoca. In sintesi si può affermare
che i bambini manifestano un atteggiamento positivo verso l'ingroup e negativo verso l'outgroup,
tale atteggiamento viene superato con l'età quando l'outgroup è sessuale, non avviene allo stesso
modo se l'outgroup è etnico. Gli studi hanno evidenziato il ruolo negativo dei pregiudizi e della
discriminazione sulla salute mentale e sulla capacità di adattamento delle persone, specie nel
periodo dell'adolescenza esposto a elevati livelli di razzismo e sessismo.

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2.4 Controllare, ridurre e decostruire pregiudizi e stereotipi Il problema dell'utilizzo dello stereotipo
e del pregiudizio sorge quando si fanno inferenze inopportune e che vengono generalizzate. Ad
esempio: gli italiani sono mafiosi (stereotipo) – se io sono italiano sono mafioso (inferenza) perchè
tutti gli italiani sono mafiosi (generalizzazione e costruzione dello stereotipo). E' necessario
costruire riflessioni pedagogiche efficaci per contrastare i processi di categorizzazione che non
devono essere accettati in modo acritico. Alcuni nell'ambito della psicologia sociale hanno definito
tre modelli attraverso i quali lo stereotipo potrebbe variare:

• Modello di tipo contabile  accumulo graduale di informazioni che contraddicono lo stereotipo


stesso.

• Modello di conversione  informazioni molto evidenti e indiscutibili che contraddicono


palesemente lo stereotipo.

• Modello della sottotipizzazione  creazione di un sottotipo dello stereotipo generale che si crea
quando si incontrano membri di un gruppo che contraddicono lo stereotipo generale di quel gruppo.

• Modello di decategorizzazione  decostruisce gli stereotipi fornendo più significati, più punti di
vista, utilizzando la conoscenza interpersonale che avviene nel contatto tra persone appartenenti a
gruppi sociali diversi e che possono portare ad attivare processi di differenziazione e
personalizzazione.

• Ipotesi del contatto  si ritiene che la semplice interazione tra individui di gruppi diversi possa
ridurre il pregiudizio etnico. Il solo contatto non è però sufficiente poiché se avviene tra persone di
status sociali differenti può invece rafforzare i pregiudizi reciproci. Il contatto può avere esiti
positivi se ha le seguenti caratteristiche: è continuativo, si hanno obiettivi comuni, status sociali
simili, i partecipanti aderiscono al progetto comune sostenuto da istituzioni affinché gli interventi
non siano occasionali e circoscritti a un solo contesto. Secondo Mazzara sono necessarie anche altre
condizioni come:
o possedere, prima che avvenga il contatto, gli strumenti interpretativi necessari per poter leggere e
comprendere le differenze dell'altro;

o la relazione interpersonale dovrebbe essere approfondita e per il tempo necessario; o deve essere
ritenuta soddisfacente, che produca informazioni positive, o sia di tipo cooperativo in modo da
conoscere le reciproche qualità e competenze.

Dal punto di vista pedagogico bisogna ricordare che l'individuo ha bisogno di riconoscersi in un
gruppo per lui significativo, quindi, devono essere progettati degli interventi a partire dalla
valorizzazione positiva delle radici e della cultura delle persone coinvolte, si deve lavorare sulla
pluralità delle appartenenze che costituiscono le identità di ognuno. Nell'agire educativo non è
possibile neutralizzare del tutto gli aspetti valutativi e affettivi del pregiudizio ed è quindi
necessario considerare alcuni passaggi:

• la competenza dell'educatore deve riguardare la conoscenza del processo di formazione degli


stereotipi e pregiudizi, la consapevolezza di quali sono rispetto a persone e gruppi sociali,
l'osservazione dei propri pensieri, emozioni e comportamenti in relazione ad essi in modo da
riuscire a modificarli e /o controllarli nella relazione con l'altro.

• Assumere consapevolezza di come educatori/insegnati siano sempre parte attiva nella costruzione
delle rappresentazioni stereotipate dell'altro.

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Acquisire tale consapevolezza ha due conseguenze: o sapere che l'immagine che ho dell'altro non è
oggettiva ma è una mia costruzione

soggettiva ed è quindi variabile e temporanea. o Sapere di poter costruire immagini diverse


dell'altro in funzione del contesto e di

poter conoscere quali siano le ricadute educative di tali immagini nella relazione educativa.

Ad esempio: sono un educatore che deve accogliere un bambino e la sua famiglia di origine rom o
di altra nazionalità verso la quale nutro pregiudizi e stereotipi consolidati, probabilmente li attiverò
e li utilizzarò nell'interpretazione dei comportamenti e degli atteggiamenti di questa famiglia e per
un processo di differenziazione categoriale sceglierò solo quelli che confermeranno i miei stereotipi
e pregiudizi. Avere consapevolezza di questo meccanismo mi permetterà di "liberare" quel bambino
e quella famiglia dallo stereotipo e riuscire a vederli per i loro bisogni socio-educativi.

2.5 Rom, Sinti: bersaglio privilegiato dei pregiudizi Il pregiudizio nei loro confronti, definiti anche
in modo dispregiativo come zingari, si manifesta in molte forme, vengono considerati asociali,
sporchi, bugiardi, incapaci di provvedere alla cura e all'educazione dei propri figli... questi
pregiudizi e stereotipi hanno portato a tragiche conseguenze come ad esempio le "sommosse"
(pogrom) contro di loro nel corso della storia o alla sterminazione durante il periodo nazista. E' un
popolo costituito da tante comunità che hanno fra loro profonde diversità nel modo di vivere ,
lavorare, interpretare il mondo, mantengono usi e tradizioni diversi, spesso simili a quelle dei popoli
con cui hanno vissuto. Questa flessibilità e capacità di far proprie tradizioni di altri per trasformarle
a proprio uso, è un tratto culturale di grande interesse. Quindi questi gruppi non hanno
caratteristiche uniformi e unitarie collegate ad un preciso territorio, anche se il nomadismo, non più
attuale, ha rappresentato una caratteristica culturale che li ha accumunati. Anche linguisticamente,
pur avendo una loro lingua (il romanès poco utilizzato) vi sono molte diversificazioni date le
influenze derivate dalla mescolanza con le popolazioni incontrate nelle loro migrazioni.
Attualmente molti Rom e Sinti lavorano, ma la loro presenza è scarsamente conosciuta perchè per
non subire discriminazioni e rifiuti spesso non dichiarano la loro appartenenza a questi gruppi.
Inoltre i mass media generalizzano talmente tanto eventi/reati che riguardano queste persone che
viene coinvolta l'intera comunità e non solo il singolo individuo che ha commesso il fatto. Oppure
attribuiscono le responsabilità ai Rom per poi essere smentiti dagli accertamenti su quei fatti. Questi
comportamenti dei mass media alimentano pregiudizi, paure, intolleranza e conflitto. 2.5.1 I Rom
tra passato e presente: origine storiche e condizioni di vita odierna Le contrastanti versioni
sull'origine del popolo Rom, dovute alla mancanza di fonti scritte, furono superate nel Settecento
quando l'origine della loro lingua fu indicata, per le indiscutibili somigliane, con l'indiano antico e
con le lingue neoindiane, e quindi si ritiene provengano dall'India. Queste popolazioni arrivarono in
Europa tra il 1300-1400, e la loro presenza è stata caratterizzata da molte persecuzioni,
discriminazioni ed espulsioni specie nel Settecento, con la nascita degli Stati nazione. Bandi di
espulsione cacciavano i Rom dai territori degli Stati, costringendoli a spostarsi frequentemente, da
qui la caratteristica del nomadismo.

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Nell'Ottocento, secondo l'antropologia positivista gli zingari erano considerati come razza che
possedeva nel proprio codice genetico "Il gene del nomadismo" e il "gene dell'asocialità" per questo
era considerata inferiore e pericolosa e per tali motivi furono perseguitati dal nazismo e dal
fascismo. Attualmente le comunità rom e sinti sono variamente distribuite sul territorio italiano e
molti sono per la maggior parte italiani. Le condizioni abitative variano a seconda dei gruppi e delle
decisioni prese dalle istituzioni locali, al Sud e specialmente in Abruzzo sono sedentari e abitano in
casa, mentre al Nord sono più diversificati. Itineranti e si spostano con carovane, abitano in case o
in spazi definiti "campi nomadi", i quali assomigliano più a ghetti permanenti dove le persone
vivono in condizioni di disagio e grave marginalità sociale (non esistono in altri paesi europei).
Laddove i campi hanno queste caratteristiche questo aumenta la possibilità che cresca l'illegalità e si
sviluppino forme di sfruttamento, sopraffazione e violenza, portata anche da italiani non rom. La
maggior parte della politica locale e nazionale italiana, orientata ancora alla creazione di campi
sosta, continua a produrre segregazione e deprivazione sociale e culturale, nonché aggravare i
problemi di sicurezza dato che non offre l'opportunità a queste persone di fare scelte di libertà nella
consapevolezza di essere soggetti di diritti. In questi ultimi anni è stato proprio il dibattito politico
ad alimentare allarme sociale, insicurezze e paure nel gruppo maggioritario nei confronti di queste
minoranze che però non vengono riconosciute come tali e quindi non sono tutelate dalla legge 482
del 1999. Il tema del riconoscimento e della valorizzazione di lingua e cultura di questo gruppo è un
passo indispensabile per l'attuazione di processi di inclusione sociale, formazione e valorizzazione
che gli stessi gruppi rom e sinti chiedono da tempo. Per attuare questo riconoscimento è necessario
che questi gruppi rivendichino i loro diritti e diventino interlocutori significativi nel dialogo con le
istituzioni e con gli altri gruppi culturali. Per questi passaggi è indispensabile dedicare tempo alla
costruzione di relazioni che educhino le persone, rom e non rom, a dialogare, riconoscersi e
rispettarsi reciprocamente. Rispetto a questo la scuola è un luogo privilegiato per sostenere la
conoscenza dei diritti di tutti e della responsabilità civile di ognuno.

2.5.2 I Rom e la scuola

La vita di molti alunni rom e sinti è divisa tra luoghi distinti che spesso si escludono e si
svalorizzano a vicenda: la scuola e il campo, la cultura scolastica formalizzata e la cultura familiare.
Per comprendere le difficoltà attuali di questi alunni a scuola è necessario ripercorre un po' di storia.
I primi tentativi di scolarizzazione durante il fascismo con l'obiettivo di ri-educare alla socialità,
dato che i rom portavo il gene dell'antisocialità. Dopo il fascismo classi speciali per assimilarli alla
cultura maggioritaria. La convenzione del 1982 abolì le classi speciali e inseriva i bambini nelle
classi comuni con la protesta dei genitori degli altri bambini. Questo inserimento non fu tuttavia
accompagnato da una reale integrazione, con formazione dl personale e revisione del curricolo e
modelli organizzativi, e spesso questi minori sono stati considerati come soggetti a diverse forme di
handicap definite poi svantaggio sociale e associati ad un insegnante di sostegno che lavorava con
loro al di fuori della classe. Tuttora la presenza di questi alunni nella scuola italiana risulta
problematica e complessa, e la maggioranza è presente nella scuola primaria a conferma che le
famiglie indentificano in questo grado l'obbligo scolastico, ne consegue una forte dispersione nei
gradi successivi. Anche rispetto alla dispersione scolastica il dossier del ministero dell'istruzione del
2007 da una interpretazione densa di stereotipi e perchè generalizza a tutte le famiglie rom un
comportamento che, invece, è solo di alcune, e non prende in esame altre cause come le condizioni
abitative che hanno una forte influenza sulla frequenza scolastica.

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Inoltre non problematizza il ruolo dell'istituzione scolastica, la sua responsabilità, la scarsa


riflessione pedagogica e didattica su questi temi. L'unica responsabilità ricade sulle famiglie
offrendo spiegazioni di tipo culturale ma che invece dipendono anche da questioni di marginalità
sociale, povertà, politiche discriminanti, a volte razziste e xenefobe. La scuola riproduce al suo
interno una selezione e discrimina chi non conosce/riconosce la sua cultura, le sue regole, i suoi
linguaggi, i comportamenti richiesti. Anche Rom e Sinti comunque per le discriminazioni subite
non hanno fiducia nell'istituzione scolastica. Le famiglie non sinti, peraltro, non considerano la
partecipazione a scuola dei figli di questi gruppi come una opportunità di emancipazione e di
conoscenza reciproca.

2.5.3 Il successo scolastico e professionale di tre donne Rom

Indagine sulla presenza di figure significative, nel percorso scolastico di queste tre donne, che
hanno reso positiva e comprensibile la cultura della scuola con i suoi saperi, le sue regole implicite
ed esplicite, e le hanno sostenute nell'apprendimento di contenuti e linguaggi disciplinari. Alcuni
studi evidenziano che il rapporto dei bambini/ adolescenti rom con persone significative, quale
possono essere gli insegnanti, è determinante per la riuscita scolastica e per la creazione di alcune
condizioni favorevoli per sostenere la motivazione, la fatica e la frustrazione presenti nel percorso
di studi. L'interiorizzazione di relazioni significative, basate su fiducia e rispetto reciproco, aiuta il
bambino ad integrare le conoscenze assimilate nell'ambito familiare con quelle apprese in contesti
diversi. Dalle biografie di queste tre ragazze emerge che alcuni insegnanti hanno adottato forme di
aiuto reciproco e di lavoro di gruppo tra alunni per potenziare lo studio e la composizione dei
concetti, alimentando anche la relazione fra compagni. Tutte hanno confermato la positività
dell'esperienza scolastica e come lo studio le abbia aiutate nella professione. l'incontro con adulti
significativi ha loro permesso di comprendere il sistema educativo ma anche di accrescere la loro
autostima, anche attraverso la valorizzazione della loro appartenenza culturale. Tutto ciò conferma
l'importanza e la necessità di una presenza costante di adulti che coltivano una relazione di fiducia
con soggetti in formazione. La pedagogia interculturale dovrebbe quindi occuparsi con maggior
sistematicità a rendere consapevoli insegnati ed educatori rispetto al loro ruolo determinante nella
formazione di bambini e adolescenti, non solo nella relazione ma anche nella scelta di prassi e
metodologie che permettano ai singoli di diventare soggetti attivi della proprio apprendimento e
della propria formazione: confronto fra coetanei, raggiungere un obiettivo comune in lavori di
gruppo che possono realizzare importanti finalità interculturali come la capacità di cogliere
divergenze e connessioni, riconoscere e rispettare l'altro e dominare il conflitto cognitivo in
relazione a ciò che è sconosciuto e inusuale. Tutto questo dimostra che, dal punto di vista
pedagogico, l'analisi di stereotipi e pregiudizi ha bisogno di una visione multidisciplinare ed
ecologica in grado di esaminare la situazione da una pluralità di piani di riferimento.

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CAPITOLO 3 - IL RAZZISMO 3.1 Perchè parlare di razzismo La pedagogia è una scienza


autonoma ma è correlata a diverse discipline da cui coglie dati/informazioni da elaborare in forma
coerente in base alle proprie finalità. La Pedagogia interculturale accoglie il "pluralismo dei saperi"
riorganizzandolo e orientandolo in senso formativo/ educativo, attraverso un'intenzionalità specifica
che ricollochi tali saperi in percorsi formativi generali e particolari. Riflettere sul razzismo richiede
la conoscenza e la comprensione dei fenomeni che hanno determinato eventi terribili nella storia,
che continuano a generare odi e conflitti, creando disagi e dolorose conseguenze tanto più gravi se
colpiscono in età evolutiva e in contesti educativi concreti. Anche se il termine racisme risale solo
agli anni venti del novecento, l'emergere di idee, rappresentazioni, credenze e manifestazioni
razziste è molto più antico. Secondo lo studioso Wieviorka: in occidente il razzismo ha trovato
terreno fertile nelle scienze sociali, le quali hanno concesso uno spazio non trascurabile alla nozione
di razza, facendone spesso una categorie in grado di spiegare la struttura della società e i relativi
cambiamenti sociali, aprendo così la strada al razzismo degli ideologi. L'idea dell'esistenza di razze
superiori e inferiori e differenze intese in senso gerarchico esisteva anche nell'antichità. Studiare il
razzismo consente di mettere a fuoco e comprendere i fenomeni razzisti della contemporaneità e
fondare azioni di contrasto efficaci attraverso anche la riflessione pedagogica e l'intervento
educativo.

3.2 Le origini del razzismo P.A. Taguieff analizza due teorie, in antitesi fra loro, sulle origini del
razzismo:

• La teoria antropologica o continuista: intende il razzismo come fenomeno universale, inerente la


natura umana.

• La teoria modernista lo considera un fenomeno che nasce dalla modernità capitalista e


individualista.

Secondo la teoria antropologica il razzismo non può essere distinto dall'etnocentrismo in quanto il
razzismo riattiverebbe gli istinti primordiali di autoconservazione e autodifesa di gruppo e
caratteristiche come l'autopreferenza, l'ostilità verso altri gruppi e la tendenza a svalutare le loro
culture. Etnocentrismo e razzismo sono in continuità, il primo è fonte primigenia del secondo e
pertanto il razzismo sarebbe sempre esistito. L'etnocentrismo si accompagna spesso a fenomeni di
xenofobia che è una diffusa e violenta ostilità nei confronti di tutto ciò che si ritiene straniero. Nella
modernità la disumanizzazione dell'altro si compie attraverso la creazione in ambito politico e
scientifico di categorie di sottouomini, lo straniero è sempre pericoloso e allo stesso tempo è un
essere inferiore. Tuttavia l'etnocentrismo adempie anche a funzioni sociali positive perchè favorisce
comportamenti altruistici all'interno del gruppo di appartenenza, secondo alcuni sociobiologi i
legami di gruppo costituiscono l'estensione dei legami di famiglia e l'etnicità è l'estensione dei
legami di parentela, sostengono inoltre che i pregiudizi di gruppo e la xenofobia possono essere
geneticamente determinati (aggressività verso altri gruppi per motivi di conservazione del proprio
gruppo).

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Taguieff evidenzia i pericoli insiti in questo approccio che riducendo i comportamenti sociali e
politici a fattori geneticamente determinati li destoricizza, sottraendoli al principio di responsabilità
e comunque non riesce a spiegare le specificità delle diverse mobilitazioni xenofobe e razziste
avvenute nella storia, né l'accentuazione dei movimenti nazionalisti su base etnico-culturale nel
nostro tempo. La visione modernista si contrappone a quella antropologica, considerando il
razzismo un fenomeno ideologico e sociopolitico complesso, e Taguieff ne individua tre varianti:
ristretta, ultraristretta, ampia

1. Teoria modernista ristretta  il razzismo nasce dalle attività di classificazione delle "razze
umane" avvenuta nel 1700 adopera dei naturalisti antropologici europei. Le differenze fra civiltà e
culture sono differenze naturali all'interno di classificazioni che identificano gli esseri in base al
genere, specie e varietà (equivalente alla razza). Nel suo trattato Linnè (1735) descrive le razze
mescolando tratti fisici, mentali, sociali e culturali ed offre un significativo esempio della nascita
del pregiudizio razziale inteso come verità scientifica. Dopo di lui altri formularono classificazioni
per cui i neri erano posti fuori dalla storia del progresso umano e della civiltà, anello intermedio fra
le grandi scimmie e la razza bianca, per la loro inferiorità ereditaria non potevano essere liberati ne
emanciparsi dalla loro natura subumana. Camper inventò il cosiddetto " angolo facciale" che
classificava le razze in base a misure anatomiche e cercò di dimostrare che gli europei bianchi erano
superiori anche perchè più belli.

2. Teoria modernista ultrastretta  autori come Banton e Levi-Strauss (1900) ritengono che si
può parlare di razzismo solo quando vi sia l'affermazione di un rapporto causale tra la razza e: la
cultura, la civiltà e l'intelligenza. Si rifà alla teoria del determinismo biologico di attitudini,
atteggiamenti, disposizioni acquisite per via ereditaria dagli appartenenti ad una certa razza;
presunto fondamento scientifico della "diseguaglianza delle razze umane". Questo principio sarà
empiricamente smentito dal fatto che sono molte di più le culture umane delle razze umane e quindi
in una stessa razza possono esservi più culture che differiscono in ugual misura o in misura
maggiore di due culture proprie di due gruppi razzialmente distanti.

3. Teoria modernista ampia  alcune forme di razzismo sono apparse prima delle classificazioni
naturaliste, considera i modi di esclusione basti sul sangue o sul colore della pelle manifestati già da
metà del 1400 fino al 1700. Queste manifestazioni di "protorazzismo" moderno evidenziano le
relazioni tra le pratiche di esclusione (segregazione, discriminazione), o di dominio (colonialismo e
schiavismo) e le configurazioni ideologiche su cui si fondano e legittimano. Si distinguono tre tipi
di protorazzismo:

a. Il mito del "sangue puro" e l'ossessione per la "impurezza del sangue" (Spagna 1400- 1500),
ideologia al servizio degli interessi della casta dirigente con la finalità di tutelare i privilegi di una
società cattolico-monarchica. Ad esempio: visione ripulsiva degli ebrei con l'attribuzione di difetti
come propri della loro stessa natura (sangue impuro) trasmessi ereditariamente, permanenti e
invariabili.

b. Legittimazione dello schiavismo e dello sfruttamento coloniale dei popoli di pelle scura fondato
sulle relazioni tra dominanti e dominati e sul criterio della purezza del sangue. Superiorità razziale
dei conquistatori, europei, per legittimare discriminazione e sfruttamento. L'immaginario razzista è
imperniato sull'attribuzione di una macchia ereditaria di impurezza.

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c. Dottrina delle "due razze" (dottrina aristocratica francese), contrapposizione tra nobili e plebei,
due razze ritenute fondanti della popolazione francese: i Franchi, discendenti dei vincitori e
rappresentati dai nobili e i Gallo-Romani, discendenti dei vinti, incarnati dai plebei.

Tutti tre i modelli sono accumunati dal mito della "purezza del sangue" e dall'ossessione per la sua
perdita (matrimoni misti) e quindi la fobia per l'incrocio fra razze, stirpi o "ceppi" (mixofobia) ha
dato vita al razzismo ben prima delle classificazioni raziali del 1700. Secondo Taguieff, la teoria
modernista ampia sembra essere la più fedele alla realtà storica.

3.3 Diverse interpretazioni del razzismo: Todorov (filosofo, saggista bulgaro): distingue tra
razzismo in senso stretto, cioè comportamenti razzisti, e "razzialismo", cioè atteggiamenti e idee. I
principi del razzialismo sono riassumibili in cinque punti:

1. L'ammissione dell'esistenza delle razze: la distanza fra due razze non impedisce il contatto e la
fecondazione ma è tale da stabilire una demarcazione evidenziata dai risultati nefasti di un
eventuale incrocio.

2. La continuità fra fisico e morale: relazione causale per cui le caratteristiche fisiche fissano le
differenze culturali; trasmissione ereditaria dei presupposti culturali, sminuito l'intervento
educativo, le differenze morali immodificabili come quelle fisiche.
3. L'azione del gruppo sull'individuo: il comportamento discente dall'appartenenza ad un dato
gruppo razziale o etnico.

4. Una gerarchia unica di valori: permette di sostenere che alcune razze sono superiori ad altre.

5. Una politica fondata sul sapere: la dimostrazione "scientifica" della superiorità di alcune razze
rispetto ad altre, giustifica una politica volta all'assoggettamento di razze inferiori che può spingersi
fin alla loro eliminazione.

Anna Arendt: (filosofa, scrittrice, tedesca naturalizzata Usa, d’origine ebrea ha vissuto la
discriminazione nella Germania nazista prima di emigrare in Usa). Il razzismo nella sua forma di
ideologia assume caratteristiche totalizzanti, è un fenomeno moderno e occidentale e va di pari
passo con la nascita di quelle ideologie che sono state (e sono) vere "armi politiche" per il dominio.
Wieviorka: quattro livelli di razzismo:

1. Infrarazzismo  spazi e situazioni in cui pregiudizi e opinioni sono più xenofobe che razziste:
violenza diffusa o localizzata, discriminazione non coordinata e non contrastata, attività ideologica
marginale.

2. Razzismo frammentato  pensiero che si mostra apertamente (es sondaggi d'opinione), teoria
più diffusa, violenza più frequente, segregazione /discriminazione più marcate.

3. Razzismo politico  sviluppo di dibattiti e iniziative, raccolta i consensi e mobilitazioni dalla


popolazione.

4. Razzismo di stato  politiche di esclusione idiscriminazione di massa esercitata direttamente


dallo stato.

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Incrociati a questi livelli vi sono diversi ambiti di discriminazione che rappresentano i diversi gradi
di pregiudizio razziale. Scala degli atteggiamenti e comportamenti discriminatori:

• Pregiudizio pensato o espresso solo verbalmente: barzellette, frasi particolari, tratti sempre
negativi

• Allontanamento: si evitano contatti diretti, certi negozi, gesti d'insofferenza, disapprovazione,


disgusto.

• Discriminazione • Violenza fisica: individuale o di gruppi per impedire l'esercizio di diritti. • Lo


sterminio, l'olocausto: negazione dell'umanità dell'altro.

Taguieff: il razzismo si conosce e comprende attraverso la distinzione fra forme diverse di razzismo
e l'individuazione di loro punti in comune. Le distinzioni:

1. Il razzismo presenta almeno tre livelli di espressione che possono essere compresenti ma anche
indipendenti uno dall'altro:

a. Le attitudini = pregiudizi, stereotipi, opinioni, credenze (razzismo-pregiudizio). b. I


comportamenti = atteggiamenti, pratiche, atti (razzismo-comportamento) c. Costruzioni
ideologiche = teorie, dottrine (razzismo-ideologia)
2. Distinzione fra: - Razzismo biologico (detto anche classico o scientifico)  dai tratti somatici
elabora

categorie umane considerate ineguali. Necessità di dimostrare la superiorità della "razza bianca"
sulle altre. La mescolanza delle razze porta alla decadenza della razza superiore.

- Razzismo culturale (detto anche neorazzismo o pseudorazzismo)  fonda le sue spiegazioni del
corso della storia o del funzionamento delle diverse società su categorizzazioni elaborate a partire
dai tratti culturali. Fa leva sul pericolo che la differenza culturale di altri gruppi comporterebbe per
l'identità del gruppo dominante. Si crede possibile dedurre pensieri attitudini e comportamenti di un
individuo in base al fatto che lo si ritenga appartenere a una razza, una cultura, una etnia, a una
nazione.

1. Distinzione fra: - Razzismo dello sfruttamento: dominazione attraverso lo sfruttamento


economico

(colonialismo), afferma l'ineguaglianza fra razze superiori e inferiori, legittima il profitto tratto
dallo sfruttamento delle razze inferiorizzate.

- Razzismo dello sterminio: fobico rigetto dell'altro che si realizza nell'espulsione e nello
sterminio, lo straniero è il male assoluto, minaccia suprema della distruzione della propria identità.

- Razzismo concorrenziale: interessi contrastanti. - Razzismo del contatto: fobia del contatto,
l'altro è visto come impuro e contaminante.

2. Distinzione fra due forme di razzismo ideologico.

- Razzismo universalista: nega delle identità, attenua o rifiuta la differenza. - Razzismo


differenzialista: assolutizza identità e differenze di gruppo.

3. Infine si distingue tra pensiero razzista ordinario e razzismo dottrinale elaborato.

- Ordinario: è vago, diffuso, corrisponde ad un insieme di rappresentazioni non elaborate in


dottrine.

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