Asaṅga

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Asaṅga nella iconografia tibetana. In questo dipinto Asaṅga viene rappresentato come ācārya (insegnante, erudito). La mano destra è nel "gesto di rinuncia" (śramaṇamudrā), la mano allontanata dal corpo e posta verso il basso indica l'abbandono dei piaceri mondani. La mano sinistra è invece posta nel "gesto del rilassamento" (avakāśamudrā) e regge un libro (pustaka). Da notare il berretto a punta tipico degli eruditi indiani (paṇḍita) e la cinghia di meditazione (yogapaṭṭa) posta intorno ai fianchi per non cadere nel sonno durante le meditazioni. Sul lato destro della figura vi è il recipiente d'acqua che lo indica ancora una volta come "indiano", ovvero vivente in un clima caldo e che necessita di dissetarsi con acqua fresca, a differenza dei paṇḍita tibetani che vivendo in un clima freddo si dissetavano col . Sul lato sinistro della figura di Asaṅga si nota un'altra figura sospesa nell'aria, si tratta del bodhisattva Maitreya che, secondo la tradizione, avrebbe insegnato la dottrina mahāyāna al monaco ed erudito indiano.

Asaṅga (tibetano: ཐོགས་མེད། Wylie: Thogs med, cinese: 無著 pinyin: Wúzhaó, giapponese: Mujaku; Puruṣapura, 300 circa – 370 circa) è stato un monaco buddhista indiano, filosofo e fondatore della scuola Mahāyāna Cittamātra (detta anche Yogācāra).

Asaṅga fu un importante monaco buddista mahāyāna, vissuto nel IV secolo d.C., fondatore dell'importante scuola Cittamātra.

Fratello maggiore di Vasubandhu e di Viriñcivatsa, Asaṅga visse in una famiglia kṣatriya da parte del padre, il cui nome era Kuaśika, e brāhmaṇa da parte della madre.

Venne ordinato monaco buddista secondo il vinaya Sarvāstivāda ma aderì alle dottrine proprie dei Mahīśāsaka, studiandone per alcuni anni il Tripiṭaka.

Si avvicinò quindi al Buddismo Mahāyāna studiandone i Prajñāpāramitā sūtra senza tuttavia comprenderne il significato. Si recò dall'arhat Piṇḍola che gli spiego la dottrina dello śūnyatā secondo le scuole del Buddismo dei Nikāya, ma Asaṅga ne rimase insoddisfatto.

Si ritirò quindi sulle montagne Kukkūṭapāda (nei pressi di Rājagṛha) dedicandosi alla meditazione. Ma dopo dodici anni di pratica meditativa infruttuosa decise di abbandonare anche quel luogo.

Le agiografie narrano che durante l'itineriario di discesa dalle montagne Asaṅga incontro una cagna morente e in parte già divorata dai vermi, si fermò a soccorrerla ma questa scomparve lasciando il posto al bodhisattva Maitreya che lo condusse nel suo paradiso Tuṣita dove gli insegnò finalmente il Mahāyāna.

Ritornato sulla Terra, Asaṅga compose dei trattari in cui riportava gli insegnamenti di Maitreya.

È opinione degli studiosi[1] che esistendo dei trattati Cittamātra a firma di Maitreyanātha, un esegeta buddista indiano effettivamente esistito, il leggendario Maiterya in realtà si riferisca ad una personalità storica e non leggendaria, maestro di Asaṅga.

Philippe Cornu[2], tuttavia ricorda anche l'opinione di Sthiramati secondo la quale il Maitreya citato nelle biografie di Asaṅga fosse una figura della meditazione dalla quale lo stesso ricevette gli insegnamenti. Allo stesso modo Louis de La Vallée-Poussin[3] ritiene che il nome Maitreyanātha non indichi un personaggio storico quanto il nome di un buddha, bhagavat ovvero nātha protettore di Asaṅga

Dopo la sua conversione al Buddismo Mahāyāna Asaṅga convertì alle stesse dottrine il fratello Vasubandhu fino a quel momento monaco ed esegeta delle scuole Hīnayāna.

  1. ^ Cfr. ad esempio Hattori Masaaki. Enciclopedia delle Religioni. Vol.10 Milano, Jaca Book, 2005, pp. 20-21.
  2. ^ Dizionario di Buddismo. Milano, Bruno Mondadori, 2003, pag. 32-2
  3. ^ Louis de La Vallée Poussin. Abhidharmakosabhasyam, Vol.1. Berkeley, Asian Humanities Press, 1991, p. 15.

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