È (di nuovo) nicchia mania: tutto il fascino dei conversation pit

Elemento iconico degli Anni 60 e 70, creava spazi accoglienti e informali. Oggi sta tornando in auge per la sua capacità di favorire la convivialità

di Veronica Lempi

Numerosi indizi, digitali e fisici, rivelano come le conversazioni e i momenti di socializzazione in real life siano tornate al centro dei nostri interessi. Cene senza smartphone, retreat di detox dalla tecnologia e progetti di interior design che non contemplano la presenza di mezzi mediatici sono solo alcuni esempi. Tra i segnali di questo cambio di rotta, spicca il ritorno di un elemento di design molto amato negli Anni 60 e 70, che ha già conquistato la carta stampata e la televisione e che oggi sta facendo breccia anche sui social media: il conversation pit.

Sono porzioni di soggiorno ribassate, organizzate su un livello inferiore rispetto a quello del più classico pavimento domestico: stanze nelle stanze che, con il loro ‘effetto nicchia’, si prestano alla perfezione a momenti casalinghi all’insegna della convivialità.

David Shelley’s Home, Nottinghamshire, 1970

Il ritorno dei conversation pit in epoca odierna è strettamente legato alla crescente nostalgia per il passato che ha caratterizzato il periodo post-pandemia. Un filone che incoraggia a determinare il bello attingendo dal passato. Questo trend riflette soprattutto il desiderio sempre più diffuso di riscoprire e valorizzare ciò che ha avuto successo decenni fa e che sembrava dimenticato all’inizio degli anni 2000. A tornare sotto i riflettori, sono specialmente elementi che combinano una forte componente estetica con un appeal visivamente accattivante.

A prevalere, sono gli Anni 60, 70 e 80, che emergono come periodi di riferimento, caratterizzati da tinte vivaci o pastello, forme morbide e pezzi dal design pop. Questi stili si intrecciano con l’iconico Mid-Century Modern, creando un filo conduttore che attraversa ispirazioni e riproduzioni contemporanee.

Un esempio in stile brutalista. Foto via Instagram / @conversation_pits

Oltre all’estetica, la dimensione rinfrancante del conversation pit

Già considerato un cult, il conversation pit era apprezzato non solo per la sua inclinazione alla socialità, ma anche per la sua praticità. Originariamente associato a un contesto elitario, si è sin da subito distinto per la capacità di arredare una stanza con pochi ma significativi elementi, creando un’atmosfera accogliente e trasformando anche gli spazi più piccoli in ambienti che sembravano più ampi.

Oggi, quella che letteralmente corrisponde alla ‘conca da conversazione’, oltre a prestarsi come ideale porzione di casa in cui accogliere amici e parenti per godersi un momento di ritrovata convivialità, affascina perché funge da nido: offre infatti uno spazio intimo dove, oltre a vivere i momenti più interessanti di scambio e confronto con gli altri, si può godere di una piacevole evasione dal quotidiano, creando un angolo di relax e ristoro.

Un po’ come l’effetto tenda improvvisata sotto ai tavoli di quando eravamo piccoli: oasi private di relax domestico che danno sensazione di protezione e serenità, piccoli luoghi in cui sentirsi in pace con il mondo e ritemprarsi.

Il primissimo conversation pit, seguito da innumerevoli altri

La storia di questa nicchia da terra affonda le sue radici in tempi ben più lontani del ventennio 1950-1970: è del 1927 il primo esempio di conversation pit, progettato dall’architetto Bruce Goff come parte di un più ampio disegno realizzato per l’abitazione a Tulsa (Oklahoma) dell’artista Adah Robinson. A portarlo in auge, aprendo le porte a quella che diventò, poi, una vera e proprio tendenza, fu un altro esemplare progetto, quello realizzato dal duo creativo formato dall’architetto finlandese Eero Saarinen insieme al designer Alexander Giraud per la residenza privata del magnate Miller a Columbus, in Indiana. Così, questo sistema d’arredo divenne popolare fra i più e da inconsueto elemento distintivo si tramutò in un design comune a molti spazi domestici dell’epoca, a tal punto da divenire identificativo delle aree periferiche americane rinate nel Dopoguerra.

Come nei film

Proprio per questo suo essere intrinsecamente legato alla cultura americana, è un elemento che ricorre anche sul grande schermo, in particolare quando si tratta di ambientazioni Mid-Century. Un esempio significativo? Il soggiorno dell’abitazione di Jack (Harry Styles) e Alice (Florence Pugh) nel film Don’t Worry Darling, diretto da Olivia Wilde e uscito nel 2022. Oltre alla celebre Casa Kauffman di Palm Springs, visibile nella scena iniziale e chiara dichiarazione dello stile del film, il soggiorno presenta una versione contemporanea e modulare del conversation pit, pur mantenendo un’armonia con la sua interpretazione più classica.

Don’t Worry Darling, 2022
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