di Federico Cella

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team-bergamoSono i classici amici del calcetto. “Ma noi giochiamo a 7, è diverso, attenzione eh?!”. Meno classico, decisamente, è quello che è nato nelle chiacchiere tra spogliatoio e bar. Siamo nella Bergamasca più pura, Viadanica per la precisione, con contaminazioni da Cariolo. E il progetto dei quattro amici, che a vederli assieme (nella foto sopra) non potrebbero essere più diversi tra loro, è un’app che permette di conservare sul proprio telefono i documenti. Tutti i documenti, con valore ufficiale. La carta d’identità, la patente e man mano tutto quell’universo di certificati che regolano il brevettorapporto fra noi e le istituzioni. E quindi oltre i confini, con il passaporto. Ebbene, quella che vedete a fianco è l’attestato del ministero dello Sviluppo Economico del brevetto nazionale (per invenzione industriale) dell’idea. Era il 16 maggio del 2016 quando è partita la domanda di brevetto per Fod – Fast Official Documents, questo il nome dell’app -, poi a fine 2018 è arrivata l’accettazione ufficiale. In Italia sono loro i depositari dell’idea. Ora l’attesa è per vedere confermata la proprietà intellettuale anche a livello internazionale: come da prassi, si è dovuto aspettare i 12 mesi dalla domanda a livello nazionale, quindi l’11 maggio del 2017 è arrivata quella internazionale, con riferimento ai territori di Europa, Stati Uniti e Cina (vedi sotto a destra).

L’attesa qui si fa snervante, per l’accettazione. Ma una certezza è inscalfibile: quando hanno fatto domanda di brevettare l’idea dell’app con a bordo i documenti ufficiali, sono stati i primi a livello mondiale. “Abbiamo fatto le ricerche di rito, con lo studio che ci ha aiutato a fare le due domande di brevetto”. L’avvocato Luca Vegini non ha dubbi: “Chiunque voglia fare questa innovazione, dovrà passare da noi”. Il riferimento è a Google, già indiziato un anno fa di brevetto-intquesta caratteristica sugli Android, uscito definitivamente allo scoperto lo scorso dicembre durante la conferenza annuale di Qualcomm.

È stato proprio il nostro articolo di dicembre a spingere i quattro a contattarci, dopo l’unica cronaca sulla loro idea che precorreva i tempi uscita sull’Eco di Bergamo quasi tre anni fa. Ora l’obiettivo è di ottenere dal ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione il via libera per la sperimentazione, all’inizio sul territorio di nascita del team, del nuovo modello di rapporto tra cittadino e istituzioni. In tal senso si sono già mossi gli onorevoli Daniele Belotti (Lega) e Dario Violi (M5s). “Sai, più se ne parla e più facilmente si riesce ad accelerare sulla nostra richiesta, l’importante è partire, poi vedrai che capiranno la portata della nostra idea”. Chi parla è Achille Pievani, 40 anni, quello che l’idea l’ha avuta. Allora faceva il fornaio (ora si occupa di guarnizioni) e girava sempre con il furgoncino: “Tra uno spostamento e l’altro, il portafoglio con la patente lo dimenticavo spesso a casa, il telefono mai. E accade ormai a tutti: ecco perché i documenti dovrebbero stare lì”.

Achille è quindi passato da Lorenzo Muratori, 37 anni, compaesano e appunto compagno di partite. Lorenzo è l’informatico del gruppo, gestisce un laboratorio di riparazioni di telefoni e computer. E ha dato il sigillo sulla fattibilità del software: “La nostra app genera un codice di riferimento unico, crittografato, che unisce in sé diversi dati, dal codice fiscale al pin del telefono passando per la sim e il codice Imei dello smartphone. Che diventa quindi il depositario unico dei documenti, senza rischi di perdita dei dati e di utilizzo da parte di terzi”. Se si cambia il telefono, tutta la documentazione perde validità. Ma il procedimento per chiedere i fod-schermatanuovi documenti è facile e veloce. L’abbiamo provato, con la carta d’identità: in meno di 5 minuti si invia la richiesta al Comune, corredata anche da un selfie scattato dentro l’app che testimonia la nostra identità tramite riconoscimento facciale, quindi la richiesta passa agli uffici preposti. Qui un software mette insieme i dati, ne verifica la validità e con un semplice passaggio ci rimanda il documento dentro l’app.

La palla, è proprio il caso di dirlo, a questo punto è passata all’avvocato, Vegini, 37 anni, che si è messo a studiare per la domanda di brevetto. Con il sostegno di uno studio milanese specializzato sul tema, i tre amici hanno quindi proceduto, come detto prima con la domanda a livello nazionale, quindi con quella internazionale. Entra quindi in gioco il quarto elemento, l’imprenditore – o meglio: “lo sponsor”, come lo chiamano loro -, si tratta di Gabriele Lavelli, 48 anni, titolare di una ditta di guarnizioni. Con l’appalto a una softwarehouse di Torre Boldone, è quindi partita la realizzazione dell’app vera e propria. E l’idea del modello di business: “Avere una pensata così per le mani”, conferma Lavelli, “e non organizzarsi per metterla a terra sarebbe stato un vero peccato”. La conclusione è in coro: “Non è che vogliamo competere con Google, ci mancherebbe: abbiamo idea delle diverse forze in campo, non siamo degli scappati di casa. Ma non vogliamo fare passi indietro, l’idea deve essere riconosciuta come nostra. Chiunque dovesse arrivare a realizzarla, sappia che deve passare da noi”.

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Apple_App_Store_10th_anniversary_07102018_bigAll’inizio Steve Jobs non ne era convinto: il suo iPhone doveva rimanere pulito. “Non voleva che qualcuno da fuori creasse applicazioni per il suo telefono”, scriveva Walter Isaacson, nella biografia ufficiale del 2011. “Aveva paura facessero casino, lo infettassero con virus o comunque inquinassero la sua integrità”. L’integrità del guru di Cupertino venne invece sgretolata da diversi membri del managment di Apple, tra cui quel Phil Schiller ora a capo del marketing della Mela, e così il 10 luglio del 2008 nacque l’App Store, il primo negozio dei beni immateriali chiamati app. Fu una rivoluzione, al pari e forse più dell’iPhone stesso (e c’era chi dopo poche settimane d’uso definiva le app nuove droghe tecnologiche).

apple-app-store-1-billionFino ad allora solo poche e grandi softwarehouse erano in grado di affrontare la filiera del mercato del software. Con l’App Store la distanza tra gli sviluppatori e i potenziali clienti divenne pari a (quasi) zero. Il quasi era legato al filtro creato da Apple, che a differenza di Google (il negozio di app per Android, ora Google Play, ha esordito il 22 ottobre dello stesso anno) voleva tenere il controllo su cosa poteva o meno essere installato prima su iPhone e poi su iPad. Il costo era un po’ di tempo per l’accettazione, se l’app rispettava i requisiti, e quel 30% dei guadagnati che è diventato un modello di business poi adottato da tutti. Era nata la distribuzione digitale e quella app-economy che, spesso data sull’orlo di esplodere, ha creato migliaia di posti di lavoro e miliardi di dollari di guadagno per gli sviluppatori. Grandi o piccoli che fossero. Quella che contava era l’idea.

phonesaberNel corso di dieci anni, sull’App Store di Apple sono transitate 4,5 miliardi di app (di cui il 77% sono state videopgiochi), con 2 quelle che sono attualmente disponibili. Dalle prime 500, tra cui eBay o la nerdissima PhoneSaber, a oggi ne sono state scaricate 170 miliardi, per un totale – tra costi del software e acquisti in-app – di 130 miliardi di dollari spesi da parte degli utenti. Dopo un inizio più “artigianale”, il mercato delle app è stato subito colto dai big. Così nella classifica delle 10 app più scaricate di sempre se ne trovano 4 di proprietà di Facebook (l’ammiraglia, la più scaricata, quindi Messenger 2°, Instagram 4° e WhatsApp 5°), 2 di Google (Youtube 3°, Maps 6°), 2 di Tencent (WeChat 9° e la cinesissima QQ 10°), 1 di SnapChat (l’omonima, 7°) e 1 di Microsoft (Skype, 8°). L’Italia grande appassionata di smartphone si piazza decima nella classifica dei Paesi con più download: 2,9 miliardi da luglio 2010 al dicembre scorso. Un totale di circa 50 app scaricate per ogni cittadino del nostro Paese.

SMR_imge01_1_iPad_topIl regno dei Toad è stato distrutto dal malvagio Bowser: chi dobbiamo chiamare? L’idraulico. Che specialmente se si chiama Mario in questi casi è più efficace di qualunque Ghostbuster. Inizia così una trasferta epocale, quella del personaggio per definizione di Nintendo, di più, del personaggio iconico del mondo dei videogiochi, al di fuori della sua casa madre. Dopo 35 anni di carriera sviluppata senza distrazioni sulle console giapponesi, Super Mario esordisce il 15 dicembre nell’app Run che in un primo momento (il periodo è ancora da definire) sarà disponibile solo su iOS, ossia su iPhone e iPad. Una grande rivoluzione nel mondo dei videogiochi all’interno di una piccola rivoluzione anche nel campo dei produttori di smartphone: a settembre Apple aveva fatto girare la sua presentazione del nuovo 7 tutta intorno a Shigeru Miyamoto e al suo personaggio più illustre, sancendo di fatto l’importanza del contenuto di fronte a quello delle (poche) novità del mezzo. La conferenza era stata infatti definita da alcuni, con un’azzeccata ironia doppia, “la migliore di Nintendo da diversi anni”.

SMDP_ZAR_imge14_3_R_adOtto mesi dopo Miitomo e dopo il boom di mercato e costume di Pokemon Go, Nintendo porta su dispositivi mobili il proprio cavallo di battaglia, l’idraulico con i baffi che non teme rivali nei 40 anni di vita dei videogame. Da giovedì prossimo i server della Mela saranno intasati per scaricare, gratuitamente, Super Mario Run. Il gioco, che abbiamo provato in anteprima, si sviluppa su tre modalità, tutte con un assaggio disponibile nella modalità free. Poi si tratta di spendere per il gioco completo, ma di farlo una tantum: 9,99 euro per sbloccare tutto. Ossia i diversi mondi da affrontare nei panni di Mario, con la modalità classica del platform 2D con l’idraulico che corre da solo ma che dipenderà dal nostro dito – il gioco è gestibile con una sola mano – per i salti, che sono dei più diversi, con combo e in base alla pressione. C’è poi la modalità di gioco legata al Regno da ricostruire tramite l’acquisto – con monete interne al gioco – di nuovi edifici (alcuni dei quali daranno vita a mini-giochi) e quindi quella delle sfide, asincrone, con gli altri giocatori. Si tratterà di completare i vari livelli dei mondi in un tempo minore, e in modo più spettacolare, rispetto agli altri (anche i nostri amici). Questo porterà il popolo di Toad, in diversi colori, a unirsi a noi e ad andare a ripopolare il Regno. L’applicazione può essere collegata al sistema MyNintendo per ottenere punti che forniscono contenuti aggiuntivi in altri giochi o sullo stesso Run. Sono infine sei i personaggi che saranno giocabili nell’app ma al momento possiamo comunicare i soli Luigi e Yoshi.

SMDP_ZAR_imge11_3_R_adIl gioco è un vero Mario, fatto e finito, adattato alla grande al nuovo mezzo. Considerando che nelle intenzioni di Nintendo i giochi su dispositivi mobili dovrebbero essere un antipasto per invogliare a buttarsi sui piatti forti sulle loro console –per Pokemon avrebbe funzionato così, con Sole e Luna che ha segnato il lancio migliore di un gioco di mostrini di sempre -, il vero difetto di Run lo si potrebbe trovare nell’essere troppo buono. Cioè l’utenza volatile dei giochi in mobilità difficilmente sentirà l’esigenza di andare oltre un gioco che è già piuttosto completo. Il passo potrebbe essere di quelli da cui – per il troppo successo – non si torna più indietro. Ma la strategia disegnata dal compianto Iwata, in attesa dell’arrivo di Switch, aggiunge un altro tassello.SMDP_ZAR_imge13_3_R_ad

In Giappone Miitomo ha totalizzato un milione di download nei primi tre giorni (è stato lanciato il 17 scorso) che sono valsi anche un +8% al titolo della Grande N in borsa. Eppure quando l’azienda di Kyoto aveva annunciato la partnership con lo sviluppatore DeNA non solo ci si aspettava – a buon titolo, parlando di Nintendo – di un gioco. Ma anche a seguito di quanto per esempio ci raccontava Shigeru Miyamoto allo scorso E3, era lecito attendere che l’esordio dell’azienda su hardware non suo fosse con il proprio cavallo di razza. L’idraulico Mario, e chi altri? E invece con oggi arriva un’app che gira tuta intorno ai Mii, con un solo mini-gioco disponibile. Non poco, però…

È vero che già due pezzi da 90 come Donkey Kong e Bowser avevano messo il naso fuori dalla porta di casa con gli Skylanders, ma su smartphone era atteso Mario. E invece Nintendo, come scrive molto bene Lorenzo Fantoni nella nostra review di Miitomo, è abituata ad andare per la propria strada. L’azienda lo fa da ormai 127 anni (qui la nostra gallery sui 125), con momenti alti e flop clamorosi. L’ha fatto alla grande con Wii sotto la gestione del compianto Satoru Iwata, e l’ha fatto anche con scelte meno vincenti. E dunque prosegue ora, nella faticosa strada che porta la Grande N in un mercato dei videogiochi che è molto diverso da quello che ha governato per diversi anni. Se la direzione è giusta o sbagliata lo si potrà capire solo più avanti, quando la strategia sarà più chiara. Per il momento quello che ci arriva in mano, su iOS e Android, è un social network dal gusto che più giapponese non si può. E dunque il successo ottenuto in patria non può essere un cosiddetto benchmark sul risultato che otterrà nel resto del mondo. Che si aspettava qualcosa di più.

Da punti di aggregazione di intere comunità a non-luoghi dimenticati e spesso abbandonati. Le sale cinematografiche sotto i colpi dei multiplex e dell’intrattenimento su schermi personali hanno perso negli anni il proprio ruolo. E sono diventate rapidamente qualcos’altro, negozi o parcheggi, quando invece non hanno fatto che cadere su se stesse, diventando monumenti di una cultura condivisa che ora non c’è più. O almeno, che ha cambiato residenza: da quella fisica si è trasferita in quella digitale dei social network. Dal grande schermo circondato da velluto si è trasferita in quelli piccoli degli smartphone. Old Cinema è il nome di un progetto che vuole ritrovare la memoria di questi luoghi, sia a livello fisico con un lavoro di fotografia, classificazione e riqualificazione, sia a livello sociale. Sfruttando quel digitale che da nemico diventa alleato.


Il progetto nasce in modo informale nel 2008 su iniziativa della fotoreporter Ambra Craighero
che con i suoi scatti ha iniziato a immortalare le “sale perdute” in giro per il mondo. L’ufficialità è quindi del 2012, in Trentino, con un padrino d’eccezione, Giuseppe Tornatore, non a caso regista di Nuovo Cinema Paradiso. Dopo diversi eventi negli anni, tra cui a ottobre a Casa Corriere nella cornice di Expo Milano, il nuovo appuntamento è per oggi a Brescia dove tra proiezioni (anche su edifici) e incontri alla ricerca del genius loci dei cinema, partirà l’iniziativa collettiva di conservazione della memoria #SvuotaleSoffitte per raccogliere informazioni e materiali sul cinema vissuto in prima persona e conservato tra i ricordi più cari. La scelta del luogo è dovuto al fatto che la città lombarda viene definita la più cinematografica d’Italia, con 16 schermi chiusi nel perimetro del centro storico.


In occasione di Old Cinema Brescia 2016 si parlerà anche del lato digitale del progetto
. Che partirà con una rivisitazione autorale del concetto di flash mob chiamata #OperaCollettiva, ossia un’esperienza di realtà aumentata che integra l’esperienza dello spettacolo dal vivo. Il pubblico condivide lo spettacolo cinematografico (uno degli eventi della rassegna) sia realmente, in un luogo fisico, sia virtualmente. In spazi digitali online a cui accedere attraverso stampe d’autore – che verranno distribuite tra i passanti – da far “leggere” ai propri smartphone. Un esperimento per attualizzare il rituale collettivo del film nelle vecchie sale.


Il secondo progetto si sviluppa attraverso l’app Old Cinema, in arrivo su iOS e Android in primavera
, un software di fotoritocco che invita a raccontare il proprio mondo come se fosse un film, trasformando i propri scatti fotografici nello stile di fotogrammi di pellicole cult. L’interfaccia dell’applicazione propone un sistema di 10 filtri cinema old style, in bianco e nero, ciascuno tarato sulle cromie esatte e gli stili che hanno fatto la storia del cinema e della fotografia, dai fratelli Lumière al Neorealismo. Un’altra serie di filtri “pop”, a colori, rimandano invece alle pellicole e ai riferimenti cromatici del cinema dagli anni Cinquanta a oggi. I due sistemi di filtri si applicano sia per foto, sia naturalmente per realizzare video.

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Sono aperte fino al 21 aprile le iscrizioni per la seconda edizione di App Academy, il progetto di formazione gratuito firmato da Samsung in collaborazione con il Mip, la «business school» del Politecnico di Milano. L’idea è di fornire ai 30 partecipanti selezionati le competenze necessarie per imparare a sviluppare applicazioni Android, insomma avere gli strumenti per entrare in uno dei mercati in maggiore espansione anche nel nostro Paese.

Il corso è il primo del suo genere in Italia e dopo l’esordio lo scorso anno, nell’edizione 2015 si focalizza sullo sviluppo di app destinate alla Internet delle cose e alla tecnologia indossabile, i cosiddetti wearable. Si parte quindi il 4 maggio con un corso articolato su 20 giornate distribuite su due mesi per un totale di 160 ore di formazione.

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I contatori di quanti giorni ci restano ancora da vivere non sono una novità: più o meno tarati su variabili realistiche che siano, sono uno dei “giochini” di Internet da una quindicina d’anni (eccone uno particolarmente ben fatto). Tutto cambia quando il software in questione arriva su un orologio, cioè ci ricorda quando dobbiamo morire secondo dopo secondo dal nostro polso, e soprattutto che l’aspettativa di vita varia in base ai nostri comportamenti giornalieri. Fedelmente registrati da uno smartwatch. Poche ore di sonno (5)? Ecco, sono 26 minuti di vita in meno. Completata la dose di esercizi fisici giornalieri? Ben 36 minuti in più. Di Life Clock stanno parlando tutti, perché alla ricetta appena narrata si aggiunge l’ingrediente di essere un’app sviluppata (da Rehabstudio) per Apple Watch. Ossia il gadget di cui stiamo parlando dallo scorso settembre e del quale parleremo nei prossimi mesi. Perché è Apple, e dunque se ne parla. Perché arriverà sul mercato il 24 aprile. E poi ancora quando arriverà in Italia, esclusa dai 9 Paesi del primo lancio.

Il conto alla rovescia è a dir poco inquietante, ma complici le funzioni social, capire chi muore prima diventerà un gioco con gli amici. Un’attività becera che potrebbe però diventare virtuosa, così come ci promettono i wearable da quando sono nati: sapere in tempo reale cosa ci fa bene e cosa male dovrebbe portarci a sviluppare comportamenti più salutari. E così cercare di scalare la classifica digitale dei morituri potrebbe di fatto portare a un miglioramento della nostra vita nella realtà. Questo è il claim usato da Tim Cook quando raccontava che ormai sta sempre in piedi perché l’orologio gli ricorda di farlo, e sempre questo è il filo da cui parte il lancio dell app. Che sfrutta i dati raccolti da HealthKit per diventare motivazionale: «Vogliamo incoraggiare le persone a fare delle scelte giuste, dando una dimostrazione tangibile di come le azioni di oggi hanno un impatto sul futuro», spiega Tom Le Bree di Rehabstudio a Mashable. Che inizia e chiude l’articolo con il confronto tra il countdown di Life Clock e la frivolezza di Topolino che segna il tempo battendo il piede. Come direbbe Catalano, vivere di più è meglio che vivere di meno, ma siamo sicuri che agganciarci al polso l’ansia (una nuova) da vita sana sia una buona idea?

Sono aumentati i prezzi delle applicazioni nell’App Store di Apple. L’annuncio era rimbalzato sui siti americani nei giorni scorsi a seguito della pubblicazione della lettera inviata da Cupertino agli sviluppatori (ne vedete una sotto). E come spiega un portavoce Apple, “i prezzi sono cambiati a seguito delle modifiche dell’Iva e per i tassi di cambio”. Dunque l’aumento europeo della tassazione (dal 15% del Lussemburgo al, per esempio, 22% italiano) e l’euro debole sono i responsabili del secondo cambiamento di prezzi dal 2008 a oggi, cambiamento che interessa solo l’Europa e il Canada. Il nuovo prezzo minimo per le app è dunque di 99 centesimi, e così di conseguenza le altre fasce. Una sorta di cambio 1:1 con il dollaro anche per il software.


Gli aumenti fanno seguito all’annuncio da parte di Apple dei nuovi record raggiunti dal negozio di software: nella prima settimana di gennaio i clienti di tutto il mondo hanno speso circa mezzo miliardo di dollari in app (e in-app purchase, le vere miniere d’oro) e il primo giorno del 2015 è stato quello di maggiore attività di sempre nella storia dello Store. Il 2014 si era chiuso con 10 miliardi di giro d’affari per gli sviluppatori (su un totale di 25), un aumento del 50% derivante dalla cifra incredibile di 1,4 miliardi di app disponibili.

 


L’8% delle app per iOs e Android è sempre `energivora´
, mentre un altro 5% lo è in situazioni particolari. Lo affermano i primi dati di un progetto congiunto delle università di Helsinki e Berkeley basati sulla loro app Carat, in grado di fare una diagnosi del dispositivo, che ha trovato consumi sempre alti nel 2% delle app per Apple e nel 12% di quelle per Android, mentre la percentuale di quelle `anomale a tratti´ è del 5% in entrambi i casi. Il 48% dei dispositivi, affermano i dati, ha almeno una di queste applicazioni.

«Le app più energivore tipicamente sono le web radio, quelle per la visione di film, quelle per le chiamate in video e i giochi 3D – scrivono gli autori dello studio -. Quelle che invece danno una `anomalia energetica´ di solito hanno un consumo normale per la maggior parte degli utilizzatori, mentre in alcune condizioni di configurazione usano più energia della media, anche a causa di errori di programmazione».

L’analisi dei dati di oltre 750mila utilizzatori di Carat ha permesso di censire quasi 330mila app per i due sistemi operativi, e anche di stilare una prima classifica di quelle `energivore´. Per quanto riguarda Android la più usata è `Superuser´, che serve ad accedere a funzionalità avanzate in alcune app, il cui spegnimento fa guadagnare 203 minuti di vita della batteria, mentre tra le energivore si segnala il gioco `Man in Black 3´, che invece ne fa guadagnare 319. Più contenuti i guadagni per i dispositivi Apple. La app che consuma di più è il navigatore Waze, il cui utilizzo accorcia il tempo di utilizzo del telefono di 68 minuti, mentre la app energivora più utilizzata è il riproduttore interno di musica, e non utilizzandolo la vita della batteria aumenta di 21 minuti.

(Ansa)

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“Nutrire il pianeta, energia per la vita”. Ieri in un certo modo c’è stato il via ufficiale all’Expo 2015 di Milano: quando compare qualcosa di così concreto come i biglietti d’ingresso (da 10 a 39 euro l’uno), la sensazione è che l’evento milanese sia davvero pronto a partire. Anche se in realtà al primo maggio 2015 mancano ancora 227 giorni, come recita con precisione l’app ufficiale che è stata rilasciata ieri in concomitanza proprio con l’apertura della vendita dei biglietti.


Sviluppata da Accenture per Android e iOS
, l’app ha un aspetto grafico molto curato ed è già ricca di informazioni sia sulla “roadmap” che ci porterà ai 6 mesi dell’esposizione milanese – con la segnalazione degli eventi cittadini come “Il tempo delle donne” oppure il percorso dell’Expoexpress che sta girando l’Italia per portare i temi e i protagonisti di Expo – sia su come sarà strutturata la fiera.

Nella sezione “Mappa” è infatti già possibile navigare il milione di metri quadrati dell’area espositiva, dalle aree tematiche ai vari “cluster” che comporranno gli spazi che si sviluppano lungo il Cardo e il Decumano, gli assi nord-sud ed est-ovest di urbanistica romana che formano le due vie principali che si incrociano in Piazza Italia, “il luogo in cui simbolicamente l’Italia incontra il mondo”.

Nella sezione “Biglietti” è possibile già acquistare online gli ingressi a Expo 2015, motivo per il quale l’applicazione è stata fatta esordire proprio con l’apertura della “biglietteria”. Comprando i biglietti in anticipo, anche tramite l’app, è possibile avere sconti del 20%. E iniziare così a costruire il proprio viaggio all’interno dell’esposizione.

La sezione MyExpo sarà infatti quella di maggiore interesse dell’intera applicazione, una volta che saremo più vicini al calcio d’inizio. Con i successivi aggiornamenti del software, sarà infatti possibile programmare la propria partecipazione a Expo, costruendo un’agenda personalizzata degli eventi da seguire. Un cosiddetto “digital assistant” che a bordo dello smartphone ci seguirà all’interno della “smart city” dell’Expo milanese.

 

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