Cronaca dell'Akasha
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Nel pensiero teosofico, ogni essere ha la capacità di vibrare, questa vibrazione può essere ricevuta e registrata nella cronaca dell'Akasha. Annie Besant, nel 1907, fa un parallelo con la telegrafia senza fili, quando oggi preferiremmo fare il confronto con le registrazioni su un disco rigido del computer. Si potrebbe avere accesso a questi archivi in trance o sotto ipnosi.
Rudolf Steiner continua la sua ricerca in questa cronaca spirituale per rinnovare la comprensione dell'azione di Cristo nell'evoluzione umana. Da questa ricerca scaturiranno molti cicli di lezioni, specialmente su un quinto Vangelo, perché la cronaca contiene la versione originale dei testi sacri e anche i loro diversi livelli di lettura.
La cronaca dell'Akasha presenta analogie con l'inconscio collettivo proposto da Jung e così riassunto da Gerhard Adler: "L'inconscio collettivo è il deposito costituito da tutta l'esperienza ancestrale per milioni di anni, l'eco degli eventi della preistoria, e ogni secolo aggiunge una quantità infinitesima di variazione e differenziazione».
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Cronaca dell'Akasha - Rudolph Steiner
Table of Contents
(Senza titolo)
(Senza titolo)
INTRODUZIONE
(Senza titolo)
NOTA ALL'INTRODUZIONE
(Senza titolo)
(Senza titolo)
PARTE PRIMA
I nostri progenitori dell'Atlantide
Passaggio dalla quarta alla quinta razza radicale
I Lemuri
La separazione dei sessi
Gli ultimi tempiprima della divisione dei sessi
L'epoca polare e l'epoca iperborea
La scissione dal Sole
La scissione dalla Luna
Parentesi necessaria
PARTE SECONDA
L'origine della Terra
La Terra e il suo avvenire
La vita di Saturno
La vita del Sole
La vita della Luna
La vita della Terra
L'uomo terrestre
RUDOLF STEINER
CRONACA DELL’AKASHA
BIBLIOTECA ESOTERICA 1
https://n6-img-fp.akamaized.net/free-icon/copyright_318-119237.jpg?size=338&ext=jpg 2019 Latorre Editore Italy
www.latorre-editore.it
CRONACA DELL'AKASHA
Traduzione di
Lina Schwarz
INTRODUZIONE
L'uomo apprende dalla storia comune solo una piccola parte degli avvenimenti vissuti dall'umanità in epoche primordiali, e i documenti storici gettano luce su alcuni millenni soltanto. Anche ciò che c'insegnano l'archeologia, la paleontologia e la geologia, ha limiti assai ristretti; e a questa insufficienza si aggiunge l'incertezza di tutto ciò che è basato su testimonianze esteriori.
Osserviamo infatti come l'insieme di un avvenimento o la fisionomia di un popolo, anche non molto lontano da noi, restino alterati quando vengano ad illuminarli nuovi documenti storici. Confrontiamo la descrizione che diversi storici ci danno del medesimo fatto e, ci accorgeremo di trovarci su un terreno assai malsicuro.
Tutto ciò che appartiene al mondo sensibile esteriore è sottoposto all'azione del tempo, e il tempo a sua volta distrugge ciò che nel tempo ha origine. Ora, la storia esteriore non può che fondarsi appunto su quello che il tempo ha conservato; e chi, fermandosi ai documenti esteriori può affermare che in essi sia conservato appunto l'essenziale?
Tutto ciò che esiste nel tempo ha la sua origine nell'eterno. L'eterno non è accessibile alla percezione dei sensi; pure davanti all'uomo si apre la via per arrivare a percepirlo. L'uomo può sviluppare le forze latenti in lui in modo da poter riconoscere l'eterno.
Il libro L'Iniziazione mostra appunto in che modo ciò si possa conseguire, e anche qui dimostreremo come l'uomo, giunto a un grado di conoscenza relativamente alto, possa conoscere le origini eterne delle cose periture. (Il lettore abbia pazienza; le cose possono venire esposte solo a poco per volta).
Quando l'uomo ha allargato in tal modo la sua facoltà di conoscenza, non ha più bisogno di documenti esteriori per studiare il passato; allora può, per mezzo di una vista interiore, scorgere negli avvenimenti ciò che non è percepibile ai sensi, ciò che in essi vi è d'imperituro. Dalla storia transitoria passa a quella eterna. Certo, quest'ultima è scritta con lettere diverse dalle consuete. La gnosi e la teosofia la chiamano cronaca dell'Akasha. Il nostro linguaggio, fatto per denominare le cose del mondo sensibile, può darne solo una debolissima idea, poiché il nostro linguaggio è adeguato al mondo sensibile, e ogni cosa da esso designata acquista subito il carattere del mondo sensibile. Quindi il non iniziato che, per mancanza di esperienza propria, è ancora inconscio della realtà di un mondo spirituale, riceve facilmente l'impressione che si tratti di fantasticherie o peggio. Chi invece abbia acquistato la facoltà di percepire il mondo spirituale, riconosce gli avvenimenti passati nel loro carattere d'eternità; essi gli appaiono non come freddi documenti storici, ma come realtà vive; le vicende trascorse si svolgono in certo modo nuovamente davanti a lui.
Chi è in grado di leggere questa scrittura vivente può penetrare in un passato assai più remoto di quello che la storia comune descrive; e può anche, in virtù dell'immediata percezione spirituale, rendere con sicurezza assai maggiore i fatti narrati dalla storia.
Diremo però subito, a scanso di ogni possibile errore, che anche la percezione spirituale non è infallibile. Anch'essa può sbagliare, può vedere le cose a rovescio o in modo impreciso. Anche in questo campo nessun uomo, per quanto elevato sia, è al sicuro dall'errore. Non ci si meravigli dunque se diverse comunicazioni, pure di origine spirituale, non concordano sempre esattamente fra loro; ciò nonostante l'attendibilità dell'osservazione è qui sempre assai maggiore che nel mondo esteriore. Si troverà sempre, nelle cose essenziali, una concordanza in ciò che i diversi iniziati possono raccontarci degli avvenimenti storici e preistorici.
Effettivamente tale storia e preistoria viene narrata in tutte le scuole occulte, già da molti millenni, con una concordanza che non si può nemmeno lontanamente paragonare a quella che esiste generalmente fra gli storici comuni di un solo secolo. Gli iniziati di ogni tempo e di ogni luogo descrivono, in sostanza, tutti le stesse cose.
Premesse queste osservazioni, esporremo ora alcuni capitoli della cronaca dell'Akasha, cominciando da quei fatti che si svolsero allorché fra l'Europa e l'America esisteva ancora il così detto Continente Atlantico. Quella parte della superficie terrestre era allora emersa, e oggi è il fondo dell'oceano Atlantico. Platone racconta ancora dell'ultimo resto di quel paese, dell'isola di Poseidone, situata a occidente dell'Europa e dell'Africa. Anche W. Scott-Elliot racconta, nel suo libro L'Atlantide secondo le fonti occulte, che il fondo dell'oceano Atlantico era anticamente terraferma, ch'esso fu, per circa un milione d'anni, il teatro di una civiltà molto diversa dalla nostra, e che gli ultimi avanzi di quel continente furono sommersi nel decimo millennio av. C.
I particolari che daremo qui intorno a quell'antichissima civiltà, completeranno la descrizione di quel libro di W. Scott-Elliot; e mentre là vengono piuttosto descritti gli avvenimenti esteriori di quei progenitori atlantici, qui descriveremo invece il loro carattere animico e l'intima natura delle condizioni nelle quali vissero.
Il lettore dovrà dunque trasferirsi con il pensiero ad un'epoca di quasi diecimila anni av. C., la quale durò parecchi millenni. Ciò che qui è descritto non si riferisce però solo a quel continente oggi sommerso nell'oceano Atlantico, ma anche all'Asia, all'Africa, all'Europa e all'America d'oggi; e le vicende che in questi paesi si svolsero più tardi, trassero la loro origine e si vennero via via sviluppando da quelle antiche civiltà.
NOTA ALL'INTRODUZIONE
Non è forse inutile, - per quelli dei nostri lettori che sono soliti fondarsi esclusivamente sulle così dette prove irrefragabili o autentiche, fornite dalla scienza comune, e che, nello stesso tempo, non si sono mai posti il quesito se, sotto la superficie dell'oceano, si stenda veramente quell'Atlantide di cui si legge ancora nel Nouveau petit, Larousse illustré questa laconica notizia: «Continent fabuleux, que les anciens mythographes mentionnent comme ayant existé autrefois dans l'Atlantique à l'O. De Gibraltar», - allineare qui dati meno imprecisi rispetto al Larousse, desunti da varie opere di scienziati e scrittori che, tra gli ultimi decenni del secolo scorso e i primi del nostro, si sono occupati dell'enimma atlantico, partendo da ricerche positive, come anche dal confronto dei monumenti egizi con quelli peruviani e messicani.
«Il tema della sparizione dell'Atlantide, narrata da Platone nel Timeo, fu sempre oggetto di controversie da parte dei dotti», osserva Gennaro D'Amato nell'opuscolo I documenti archeologici dell'Atlantide e le loro ripercussioni nel campo del sapere; «i più la ritennero una favola; altri opinarono che ricordasse un fatto storico: il diluvio, forse Platone raccontò che Solone (X secolo av. C.), parlando con Sanchis, prete di Sais, seppe della sommersione, avvenuta 9.000 anni prima, d'una grande isola detta Atlantide, già posta di fronte alle Colonne d'Ercole.
La tradizione ripercuotevasi in leggende americane: all'epoca della conquista, gli aborigeni del Centro-America dicevano che la loro razza scendeva da un popolo venuto d'oriente, ossia dall'Atlantide.
Gli scandagli delle navi Challengher e Dolphin definirono il profilo d'un immenso altipiano sottomarino, esteso fra il 25° e il 50° grado di latitudine nord e il 25° e il 50° di longitudine ovest.
La corrente del Gulf Stream scorreva intorno al continente, seguendo il corso d'oggi, girando a est dei banchi di NewFundland e circuendo, sulla sua via verso l'Europa, il sommerso Dolphin's Ridge, evidente avanzo dell'Atlantide».
Da Lewis Spence (The problem of Atlantis) apprendiamo che la giogaia subacquea si allunga dalle coste dell'Irlanda alle Azzorre e alle isole di Tristan da Cunha, elevandosi in tre sporgenze, di cui una si avvicina all'Europa, un'altra all'Africa, la terza all'America, e che, per la struttura geologica, è un continente che s'inabissò di colpo o gradualmente al termine del periodo glaciale.
Le sue cime superstiti, cioè ancora emerse, sarebbero le Antille a ovest, e le Azzorre, le Canarie, le isole del Capo Verde a est.
I fenomeni sismici di queste isole vulcaniche, l'alterno abbassarsi e sollevarsi del fondo atlantico in una zona inquieta di 3.000 chilometri di larghezza, minacciano anche oggi, secondo pierre Termier (A la gloire de la Terre: l'Atlantide), cataclismi terribili.
È di ieri la tappa geologica che determinò la scomparsa dell'Atlantide.
Demetrio Merezkovski (Atlantide-Europa), sulla scorta di Fred Finch Strong, di Spence e dello stesso Termier, ricorda che al microscopio è visibile la differenza tra la lava che si solidifica all'aria e quella che si rapprende subito nell'acqua; inoltre, c'è un periodo di tempo, di circa 15.000 anni, dopo il quale i cristalli lavici, sotto l'azione dell'acqua marina, si sgretolano.
La tachilite (lava vitrea), pescata nel 1898 al largo delle Azzorre, a circa 900 chilometri dalle isole, risulta formata all'aria, e non sott'acqua, né si è sgretolata. La sua età è dunque inferiore a 15.000 anni e si può far coincidere con la fine dell'Atlantide che, secondo Platone, risale a 9.600 anni avanti Cristo.
Edward Hull (The sub-oceanic physiography of the North Atlantic) dichiara che «la flora e la fauna dei due emisferi confermano l'ipotesi geologica di un centro comune nell'Atlantico, dov'ebbe inizio la vita organica, come anche l'ipotesi di grandi ponti continentali che univano le sponde dell'oceano a sud e a nord, prima e durante il periodo glaciale».
La presente fauna dei quattro arcipelaghi delle Azzorre, di Madera, delle Canarie e del Capo Verde è in realtà continentale, come afferma il Germain (Le probléme de l'Atlantide et la Zoologie). Tra i molluschi esistono in queste isole sopravvivenze fossili del periodo glaciale europeo. Identiche sopravvivenze si conservano anche nel regno vegetale: ad es., l'adiantum reniforme, ormai estinto in Europa, ma noto in Portogallo nell'era del pliocene, sussiste nelle isole Canarie e Azzorre.
Anche da tutto ciò Pierre Termier è indotto a concludere in favore di «un continente atlantico legato alla penisola iberica e all'Africa Occidentale (Mauritania) ed esteso, ancora nel Miocene, fino alle Antille, e poi spezzato. Il suo ultimo avanzo, che in seguito si sarebbe pure sommerso, è forse appunto l'Atlantide di cui parla Platone».
Colpisce nei rilievi di R. Dévigne (L'Atlantide) la rassomiglianza dell'architettura paleoamericana con quella babilonese-egiziana.
Le gigantesche «case degli dei» sull'altipiano dell'Anahuaca, nel Messico, i theokallis, i sarcofaghi peruviani (huacas) da una parte, e le piramidi egiziane, le torri babilonesi a rastremazione, gli zugurrat dall'altra, non sembrano uscire dall'Atlantide che, in una nota a matita, l'archeologo tedesco Enrico Schliemann, scopritore di Troia, di Micene e di altre vestigia del passato sepolte nella crosta terrestre, chiamò «perno della civiltà»?
Paul Schliemann, nipote del famoso archeologo, pubblicò nel 1912 una specie di «testamento professionale» di suo nonno, il quale, fra l'altro, dice di aver scavato, sul colle d'Issarlik, insieme col tesoro di Priamo, un gran vaso di platino, alluminio e rame, «amalgama mai conosciuta nei resti degli antichi e sconosciuta oggi». Sul vaso è inciso in geroglifici fenici: «Dal Re Chronos di Atlantide».
Oltre agli autori citati, chiunque desiderasse di raccogliere ulteriori prove intorno alla storicità dell'Atlantide, potrebbe consultare, non senza profitto, Hennig, Haug, Lapparent, Scherff, Gsell, Donelly, Moreux, Berlioux, Roisel, Peter, Mosso, Robertson, Réville, Frobenius Gatelosse, Wirth ed altri che, seguendo la scienza comune, arrivano ad ammettere implicitamente il fatto che, scrivendo il Timeo, Platone «sapeva» e che, dettando la Cronaca dell'Akàsha, Rudolf Steiner «sapeva».
Un interesse particolare, dal punto di vista scientifico-spirituale, offre l'opera di Ernst Uehli: Atlantis und das Raetsel der Eiszeitkunst dov'è confutato Wirth.
Demetrio Merezkovski, tradotto anche in italiano (Hoepli), va accolto con una certa riserva quando fa delle induzioni di carattere mistico-letterario, ma quando coordina e illustra le così dette prove autentiche intorno all'Atlantide, riesce utile e persuasivo, anche per gli scettici.
R. K.
PARTE PRIMA
I nostri progenitori dell'Atlantide
Chi si limita alla conoscenza del mondo sensibile non può immaginarsi quanto differissero da noi i nostri progenitori dell'Atlantide; e non soltanto nell'aspetto esteriore, ma anche nelle qualità dello spirito. Le loro cognizioni, le arti tecniche, tutta la loro cultura era ben diversa da quella dei nostri giorni. Osservando l'umanità atlantica dei primi tempi, vi troviamo facoltà spirituali diverse in tutto dalle nostre. L'intelletto razionale, la facoltà di combinare e di calcolare sulla quale oggi è basato tutto ciò che si produce, mancavano interamente ai primi Atlanti. Essi possedevano invece una memoria sviluppatissima che era una delle loro facoltà spirituali più spiccate. Il loro modo di calcolare, per esempio non consisteva, come il nostro, nell'imparare alcune regole per poi applicarle. L'abbaco, nei primi tempi dell'Atlantide, era ancora sconosciuto; nessuno aveva impresso nel proprio intelletto che tre per quattro fa dodici; il fatto che chi aveva bisogno di fare questo calcolo sapesse trarsi d'impaccio, dipendeva da ciò: ch'egli si riportava ad altri casi simili o uguali avvenuti precedentemente; si ricordava di quello ch'era stato applicato prima in circostanze analoghe.
Dobbiamo chiarirci che, ogni qualvolta in un essere si sviluppa una nuova facoltà, un'altra perde di forza e d'acutezza. L'uomo odierno possiede, di fronte a quello dell'Atlantide, l'intelletto razionale e la facoltà combinativa; la memoria invece è venuta meno. Oggi gli uomini pensano per concetti; gli Atlanti pensavano per immagini. E allorché un'immagine sorgeva nella loro anima, essi si ricordavano di tante e tante altre immagini simili già vedute; e a seconda di ciò formavano il loro giudizio. Perciò anche l'insegnamento era diverso a quei tempi; non rivolto a corazzare il fanciullo di regole o ad acuire il suo intelletto, ma piuttosto a fargli conoscere la vita per mezzo di immagini evidenti, in modo da dargli un largo patrimonio di ricordi sul quale regolare la sua azione avvenire nelle diverse circostanze. Allora, cresciuto ed entrato nella vita, egli ricordava, in ogni sua azione di aver già veduto qualcosa di simile durante gli anni di scuola; e quanto più il nuovo caso somigliava a qualche caso già veduto, tanto più facilmente vi si raccapezzava. Trovandosi in circostanze nuove, l'uomo atlantico doveva sempre provare e riprovare, mentre l'uomo d'oggi si risparmia molte esperienze, fornito com'è di regole che può applicare facilmente anche nei casi non ancora incontrati. Un tale sistema d'educazione dava a tutta la vita un carattere di monotonia. Si facevano le stesse cose allo stesso modo per lunghi periodi di tempo. La memoria fedele non permetteva nulla che somigliasse, anche lontanamente, alla celerità del progresso attuale. Si faceva ciò che si era sempre veduto fare. Non si rifletteva, si ricordava. Non era un'autorità chi aveva molto studiato, ma chi aveva molto vissuto, e poteva per conseguenza molto ricordare. Sarebbe stato assolutamente escluso che, prima di una certa età, qualcuno potesse prendere qualsiasi decisione in una materia importante; si aveva fiducia solo in chi aveva dietro di sé una lunga esperienza.
Tutto ciò però non si riferisce