I primi mesi di Pharrell da Louis Vuitton e come sta cambiando la moda per sempre

L’arrivo di Pharrell Williams alla guida di Louis Vuitton ha dato il via a una nuova grande contaminazione tra moda e cultura pop, un’autentica convergenza. GQ ha seguito i primi audaci mesi del regno di Pharrell e imparato molte cose sull’ambiziosa rivoluzione che intende attuare
Giacca pantaloni occhiali da sole e borsa Louis Vuitton. Scarpe Christian Louboutin. Orecchini collane e bracciali...
Giacca, pantaloni, occhiali da sole e borsa Louis Vuitton. Scarpe Christian Louboutin. Orecchini, collane e bracciali personali. Anello mignolo sinistro Tiffany & Co.

Pharrell Williams ha un brufolo. Un piccolo cerotto risalta sul suo mento e così, subito dopo essermi presentato, gli chiedo cosa si è fatto. «Oh, è solo un brufolo», risponde con quella voce rilassata e melodiosa da me già ascoltata un miliardo di volte attraverso le casse e gli auricolari, ma che non mi aspettavo fosse così perfettamente “intonata” alla sua personalità. Pharrell ha appena compiuto 50 anni e la sua pelle ha la texture e il tono di quella di un ventiduenne, ben nutrita e idratata. Appena ho osservato il cerotto, mi sono balenate nella mente le immagini di uno dei suoi quattro figli mentre gli dà accidentalmente una testata, o di una caduta con lo skateboard, non certo che ammettesse candidamente di avere un brufolo. Subito, mi sento un idiota ad averglielo fatto notare.

Lui non sembra minimamente turbato dal mio commento, né dalla macchia o dal cerottino. Irradia modestia, è aperto, franco e pronto a condividere sé stesso e le proprie imperfezioni con il mondo.

Lo scenario del nostro incontro è un vasto parcheggio a Virginia Beach, città natale di Pharrell Williams, in mezzo a un carnevale di rimorchi e camion che formano il backstage per la tre giorni di Something in the Water, il festival musicale annuale che lui organizza su due palcoscenici in riva al mare. È fine aprile, ed è un momento fondamentale nella carriera di Pharrell. Da due mesi è il nuovo direttore creativo uomo di Louis Vuitton e milioni di domande si rincorrono su cosa mai potrà fare il produttore superstar con le chiavi di un grande marchio del lusso globale.

La sua nomina ha messo fine a un anno di gossip e speculazioni su chi avrebbe potuto occupare il posto di Virgil Abloh, rimasto tristemente vuoto nel 2021 dopo la sua prematura scomparsa. Tutti si chiedevano chi sarebbe stato il prescelto o la prescelta: un giovane talento emergente dalle scuole di moda, o uno stilista già affermato? Nessuno aveva pensato a Pharrell. La notizia ha fatto tremare la terra il giorno di San Valentino: il colosso del lusso aveva affidato la sua trasformazione per rimodellare il business della moda a una delle star più celebri del pianeta.

Mai prima di allora un artista o un musicista famoso, non importa che tipo di celebrità, era stato chiamato a occupare una posizione di tale rilievo nel settore del lusso. Eppure, non dovrebbe essere una sorpresa che questo sia avvenuto proprio adesso. Viviamo nell’era delle “fashion celebrity” da ormai più di un decennio. I marchi stanno cercando di creare qualcosa di più grande e ancora più fidelizzata di una affezionata base di clienti: vogliono i fan. Un intero universo di persone pronte ad assistere con estrema passione al loro lavoro come si segue Hollywood o lo sport, anche quando non possono permettersi neanche una borsa.

Negli ultimi anni, le star hanno scalzato buyer e stampa dalla prima fila delle sfilate e sostituito le top model nelle campagne. Le collaborazioni tra marchi di lusso e pop star sono onnipresenti, e la visibilità sui social media è importante quanto il taglio e la qualità degli abiti.

Giacca Kenzo. Maglia Loro Piana. Collane personali. Spilla Tiffany & Co.

In quest’ottica, la nomina di Pharrell è sembrata un passo logico nel connubio sempre più rapido e stretto tra moda e cultura delle celebrità. Proprio questo era il punto critico sollevato all’epoca dai commentatori meno favorevoli: suggerivano che quell’incarico soddisfacesse la vanità di Pharrell e per il marchio si trattasse solo di uno stratagemma di marketing. In realtà, la portata della scommessa di Louis Vuitton sulla star è ben più grandiosa di quanto si potesse immaginare al momento dell’annuncio.

Quel pomeriggio a Virginia Beach volevo sapere come stesse affrontando questo nuovo impegno, quali fossero le aspettative e le conseguenze. In quel momento, nella sua città natale, stava lavorando alla sua prima collezione andata poi in scena a giugno a Parigi con una spettacolare presentazione. Nei mesi successivi l’ho incontrato diverse volte, da Virginia Beach alla nuova casa a Parigi, passando per svariate, intime conversazioni nel suo studio e nello showroom. Insomma, mi sono imbarcato in una sorta di viaggio alla scoperta di Pharrell che mi ha permesso di vedere cosa aveva in preparazione. Soprattutto, mi ha fatto capire come stia guidando un vero e proprio cambio di paradigma, non solo nel settore della progettazione e della vendita di beni di lusso, ma anche nel selvaggio e simbiotico vortice di cultura pop e moda.

Ecco perché il brufolo sul mento di Pharrell e la sua immediata schiettezza mi sono sembrati un presagio incoraggiante.

Maglia e pantaloni Auralee. Occhiali da sole Jacques Marie Mage. Bracciale mano sinistra Tiffany & Co. Borsa Louis Vuitton

Tornando al nostro incontro di aprile, dopo esserci lasciati alle spalle l’incidente del cerotto, ci siamo seduti all’ombra di una tettoia ricavata tra un paio di roulotte, su due semplici sgabelli. Dalla nomina a LV, Pharrell e la famiglia hanno trascorso la maggior parte del tempo a Parigi senza rinunciare al festival, erano tutti qui, insieme: sua moglie Helen, Rocket, il figlio quattordicenne, e i tre gemelli nati nel 2017. Durante la nostra chiacchierata gironzolavano lì intorno, mentre Pharrell qualche ora dopo sarebbe salito sul palco con i Pharrell’s Phriends per dare vita a una performance di due ore con un mix di altri artisti, tra cui Diddy, M.I.A., De La Soul, Busta Rhymes e A$AP Rocky.

Pharrell è un instancabile personalità multitasking, si destreggia senza sosta tra la carriera musicale e una linea di prodotti per la pelle, un ristorante e un hotel, collaborazioni con adidas e con una delle più recenti e rilevanti acquisizioni di LVMH, Tiffany & Co.; quindi, dato l’immane lavoro da affrontare a Parigi, mi sono stupito che fosse al festival, con la mente e il corpo, a ospitare e esibirsi. Mi ha assicurato che comunque stava lavorando alla collezione LV a distanza. «Siamo continuamente in contatto», dice di sé e del proprio team di Parigi. «È pazzesco il compito che ci spetta. E io ho portato all’estremo tutto, sotto ogni aspetto, in ogni categoria. Ho spinto».

Nei pochi giorni trascorsi a Virginia Beach durante Something in the Water, mi sono reso conto che Pharrell non si limitava a lavorare a distanza sui progetti LV. Il suo incarico per il marchio era tutto intorno a noi. La mia supposizione iniziale, basata sull’idea che si fosse preso una pausa dal nuovo lavoro per sistemare le questioni in sospeso con quello vecchio, rifletteva il malinteso su quanto stava realmente accadendo.

Mentre il mondo della moda attendeva giugno per vedere la prima sfilata di Pharrell e capire la sua visione del marchio, gli abitanti di Virginia Beach l’avevano già sperimentata ad aprile. Erano lì, sul campo, e questo ha permesso loro di avere un assaggio di ciò che lui aveva in mente per il debutto: la collezione poi presentata a Parigi si chiama LVERS, come l’ormai celebre slogan turistico dello Stato americano “Virginia is for Lovers”.



Lui si trovava qui non solo per la gioia di migliaia di fan accorsi ad ascoltare buona musica; era qui per presentarli – o ripresentarli, a seconda dei casi – alla Louis Vuitton, alla sua Louis Vuitton, quella di Pharrell. La mission era chiara: «Da Parigi alla Virginia, dalla Virginia a Parigi», sottolinea, «è proprio questo il percorso. Perché una cosa non fa che preparare il terreno all’altra». Per lui e i suoi fan, musica e abiti sono inscindibili. «È una parte della mia storia».

Non a caso, vicino al luogo in cui abbiamo chiacchierato, in una tenda VIP accanto al palco, era stato allestito un pop-up store dove la gente non comprava freneticamente i prodotti a tema festival, bensì i primi pezzi della sua collezione d’esordio per Louis Vuitton: magliette, felpe con cappuccio e giacche di jeans con le scritte “Virginia is for LVovers” e “I LV VA” (VA è la sigla della Virginia, ndr). Un delirio ininterrotto di fan si muoveva nel piccolo temporary shop, accaparrandosi magliette da 860 dollari e felpe con cappuccio da 1.310 dollari.

In fondo alla spiaggia, inoltre, Pharrell aveva fatto costruire un castello di sabbia di oltre 9 metri, simile a una delle Piramidi di Giza, con le sembianze dei bauli da viaggio che LV vende a circa 46.000 dollari: un impressionante monumento al marketing aziendale che gli amanti dei selfie hanno accolto in preda al delirio e con enorme gratitudine. Virginia Beach non ha un negozio Louis Vuitton. Non è una capitale della moda. Però questo non vuol dire, sembra volere sottolineare Pharrell, che la gente di qui non voglia partecipare allo spettacolo del lusso e della moda. Personalmente, ho interpretato la piramide come il simbolo della sua volontà di spalancare le porte del brand, di democratizzare l’idea della moda e del lusso, di cambiare le regole di chi, come e dove vi può partecipare. D’altronde, la sua posizione glielo consente. A Virginia Beach non ci sarà un grande mercato del lusso, ma i fan ci sono e Pharrell ha intenzione di includerli. Come mi ha sottolineato qualche settimana dopo, a Parigi: «La gente era felice di poter avere qualcosa lì, nella propria città, no!?».

Pharrell è cresciuto a un miglio dal lungomare. Da adolescente ha incontrato e poi iniziato a fare musica con il rapper Pusha T, anche lui di Virginia Beach. «Quando guardo Pharrell, guardo a ciò che fa e ha compiuto nella sua carriera, mi rendo conto che tutto gira intorno all’orgoglio per la sua città natale», mi ha riferito lo stesso Pusha T. «Eravamo sognatori. Eravamo esploratori. E questo dimostra che, a prescindere da dove vieni, se continui a sognare e ad appassionarti al tuo mestiere, i frutti arriveranno».

Pharrell sa che il suo è un viaggio illuminante, ha piena consapevolezza di come questo nuovo ruolo gli permetta di incarnare un messaggio potente sul potere trascinante e liberatorio dell’arte e dell’espressione creativa. La piramide non significa andate a comprare un baule di Louis Vuitton. Significa, mi spiega Pharrell, «Sogna in grande».

Cappotto Fendi. Maglia Givenchy. Occhiali da sole Schiaparelli


La prima volta che gli hanno proposto di lavorare per LV, lui è caduto dalle nuvole, racconta. Era nel suo studio a Miami Beach, lo scorso dicembre, e lo ha contattato Pietro Beccari, il Ceo di Louis Vuitton. «Non per un’intervista o altro», ricorda Pharrell, «ma per dirmi “Accetterai l’incarico?”. Io fissavo il mare e pensavo: “Cosa?”». Aveva già avuto uno scambio con i vertici di LVMH a proposito di chi avrebbe potuto prendere il posto di Virgil Abloh; aveva proposto nomi e condiviso opinioni, tra gli altri, con Alexandre Arnault, figlio nonché uomo chiave del fondatore Bernard Arnault, ma non si era proprio reso conto di essere stato messo nella lista. Si aspettava che la scelta ricadesse su Nigo, suo amico e collaboratore di lunga data e ora alla guida di Kenzo, uno dei marchi LVMH. «È il mio eroe, è mio fratello ed è il generale, da tempo lo sostengo», racconta Pharrell. «Comunque, con Alexandre abbiamo sempre parlato di persone diverse. Io ho solo offerto dei consigli, sono sempre stato sullo sfondo. Non ho mai pensato di potere essere scelto».

In precedenza, Pharrell aveva collaborato con la maison in qualità di designer in tre occasioni, ma l’idea di gestire tutto il menswear era tutt’altra faccenda. Beccari ricorda che Pharrell ha creduto a uno scherzo quando gli ha inviato il primo messaggio. «In ogni caso, è stata l’occasione perfetta per lavorare di nuovo insieme», mi spiega in un’e-mail il Ceo che aveva già lavorato accanto a Pharrell quando dirigeva il marketing e la comunicazione di Louis Vuitton. «Sul suo ritorno a casa, insomma, la sintonia è stata naturale e condivisa».

Cappotto Fendi. Maglia Givenchy. Pantaloni Louis Vuitton. Occhiali da sole Schiaparelli. Scarpe Christian Louboutin

La prima scorribanda creativa di Pharrell con il marchio risale a quasi 20 anni fa, dopo un incontro casuale tra lui e Marc Jacobs all’inaugurazione del negozio Louis Vuitton sulla 57esima Strada, a Manhattan. Jacobs, all’epoca direttore creativo, gli fece i complimenti per gli occhiali da sole disegnati da Nigo. Poi la conversazione sfociò nell’invito a Pharrell e Nigo a lavorare su una collezione di occhiali da sole LV, realizzata nel 2004. Della dozzina di modelli che hanno creato, uno, il Millionaire, è stato reinterpretato da Abloh durante il suo periodo in LV e ricompare nella nuova collezione di Pharrell. Lui e Jacobs hanno successivamente collaborato a una campagna nel 2006 e cofirmato una collezione di gioielli nel 2008.

«Marc stava cambiando il paradigma», sostiene Pharrell ricordando la sua esperienza con Jacobs da LV. «All’epoca i musicisti comparivano qua e là nelle campagne. Magari ci facevano indossare gli abiti nei redazionali, ma entrare dietro le quinte e mettere mano a progetti creativi, beh era un’altra cosa. Marc è stato il primo, il pioniere e ora lo si fa ovunque».

«Quando ci siamo incontrati la prima volta, sono stato attratto dalla musica, dallo stile e in generale dall’energia di Pharrell», mi racconta Jacobs via e-mail. «Credevo davvero che la strada da seguire per Vuitton fosse quella della collaborazione con altri creativi, e questo è ciò che Pharrell era e sono convinto continui a essere: un autentico creativo».

Da allora, creatività e curiosità hanno portato Pharrell a cogliere svariate e interessanti opportunità nel mondo della moda, tra cui collaborazioni a lungo termine con adidas, Tiffany & Co. e Chanel. A queste si aggiungono quelle con Sarah Andelman, fondatrice della celebre boutique di moda francese Colette con cui ha lanciato la sua prima collezione adidas nel 2014 e che recentemente è diventata la curatrice di Joopiter, la casa d’aste di Pharrell.

«È sempre lo stesso, non è cambiato dal nostro primo incontro», mi svela Sarah Andelman. «Molto collaborativo, aperto, leale». Quando ha saputo della sua nomina a LV si è sentita «molto, molto, molto felice». «Lui sa di voler creare una comunità da utilizzare come piattaforma per portare artisti o altri creativi alla maison».

Le avventure di Pharrell nel mondo della moda non sono state altro, fino a questo momento, che lavori part-time. LV è il primo marchio a puntare su un personaggio di tale portata. «Mai nessuno prima ha avuto l’audacia di mettere una vera star mondiale a capo di un brand», afferma Beccari a proposito della propria decisione di assumere Pharrell.

Non molto tempo fa, un altro artista e super produttore Black americano di fama mondiale sembrava destinato alla stessa sorte. Non era un segreto che Kanye West, oggi Ye, puntasse alle vette della moda di lusso. E per un po’ l’impressione era stata che anche i grandi del lusso si interessassero a lui. La cosa, però, non è andata in porto. È stato invece il protetto e braccio destro di Ye, Abloh, a portare a LV nuove prestigiose connessioni, tra cultura e celebrità, dimostrandosi un collaboratore eclettico con una visione estremamente aperta. Dopo la scomparsa, in molti ne hanno tessuto le lodi per avere spalancato le porte del settore ad altri creativi del suo calibro, la maggior parte dei quali non ha una specifica formazione di moda. Un vero portone imperiale pare proprio l’abbia aperto a Pharrell. Il sogno a lungo accarezzato e che forse un tempo era di Ye, di una monumentale convergenza tra l’abilità culturale delle moderne star della musica e la forza commerciale dell’industria del lusso sembra pronto a realizzarsi.

«Ha ricevuto 13 Grammy e anche nomination agli Oscar», precisa Beccari. «Ha il tocco di re Mida. Perciò, anche se si tratta di un esperimento, da direttore creativo credo che sarà un esperimento di successo».

Cappotto, pantaloni e scarpe Louis Vuitton. Tank top Zimmerli of Switzerland. Orologio Richard Mille. Collana Tiffany & Co.


A giugno ci incontriamo di nuovo a Parigi, nella sede di LV, proprio di fronte al Pont Neuf, nel 1° arrondissement. Dall’ultima volta che l’ho visto, Pharrell e il suo team hanno lavorato alacremente per completare la collezione. In studio, su una lavagna sono allineate le foto della maggior parte dei look finali.

Pharrell sfoggia quello che è ormai lo stile di abbigliamento della nuova epoca della sua carriera: jeans boot-cut su sneaker snowboard-boot, una maglietta bianca e un cappellino da baseball di Human Made, il marchio di Nigo, molte catene d’oro, diamanti al collo e ai polsi e una “grillz” interamente d’oro. La quantità di metallo e pietre preziose sembra aumentare ogni volta che lo vedo. I gioielli si moltiplicano come gremlins. Un elemento da non sottovalutare.

Nell’ultima decade, Pharrell ha vissuto una sorta di era sartoriale monastica. Dopo anni passati a incarnare una delle più sgargianti celebrità della cultura, ha virato verso una semplicità ascetica che, come lui stesso ha dichiarato, vuole esprimere umiltà. È un modo per affrontare l’enorme successo che lo ha travolto nel 2013 dopo il terzetto delle mega hit Blurred Lines, Get Lucky e Happy. Alla fine del 2022, ha messo all’asta parte della collezione personale di ciondoli di diamanti Jacob & Co, ultime reliquie del proprio leggendario percorso come uno tra i migliori performer dell’hip-hop dei primi anni Duemila, sicuramente il più innovativo. «L’umiltà è il suo modo di crescere», afferma Pusha T. «Ora conosce la vera importanza delle persone, del modo in cui vanno trattate e di ciò che trasmetti». Anche se Pusha T offre una spiegazione alla metamorfosi stilistica dell’amico, al tempo stesso la contesta. «Non è la mia posizione questa. Vorrei che fosse sempre arrabbiato come piace a me».

Siamo seduti in un angolo dello studio di Pharrell, su un divano bouclé a forma di C, assai comodo e costoso come lui stesso descrive. Al centro della stanza, intorno a diversi piccoli tavoli da riunione, alcuni membri dei gruppi creativi di Pharrell e LV stanno mettendo a punto ogni possibile aspetto dell’imminente sfilata.

Blazer, maglia e pantaloni Marni. Boots Roa. Gioielli personali

Blazer, maglia e pantaloni Marni. Boots Roa. Gioielli personali

Nonostante l’eccitazione per quello che tra pochi giorni si rivelerà essere uno show letteralmente rivoluzionario, la sua strategia per la costruzione del marchio è sorprendentemente pratica. La star è sempre concentrata su quanto vorrebbe comprare o indossare. Si immagina mentre fa shopping. «Guardo a me stesso come il vero cliente», dice tra un sorso e l’altro da un bicchiere di porcellana LV con una custodia in pelle e una cannuccia dorata. «Così progetto quello che voglio e di cui avrò bisogno».

In linea con tale approccio, ha messo a punto una presentazione per Beccari e altri top manager di LVMH quando ha accettato il lavoro. Dall’azienda, sottolinea Pharrell, non aveva ricevuto alcun brief, anche se Beccari mi riferisce di averlo incoraggiato a prendere in considerazione le peculiarità del nostro momento storico: «il periodo post-covid, in cui la gente è più attenta a come si veste, così da instillare l’idea della maestria sartoriale di Vuitton». Beccari, inoltre, è intrigato dalle idee di Pharrell per «una sorta di dandy elegante, con una silhouette meno oversize e più aderente al corpo».

Il punto cruciale della presentazione, comunque, non aveva nulla da spartire con la celebrità di Pharrell o gli amici famosi che avrebbe portato con sé. Era la sua idea di un guardaroba maschile completo, suddiviso in cinque categorie: sartoria elegante, abiti progettati per il comfort, vestiti adatti alle vacanze e al tempo libero, abbigliamento sportivo per amatori e professionisti e una collezione senza tempo di capi basic. A completare il quadro c’erano borse, scarpe, occhiali da sole, bauli, giocattoli e tutti gli accessori di un moderno marchio di lusso.

Tuttavia, Pharrell ha una concezione un po’ più concettuale di ciò che lui e LV possono offrire, rispetto alla tradizionale offerta dei marchi. «Non si tratta di prodotti, anche se ne abbiamo molti e ne realizziamo sempre di nuovi», dice, «ma di offrire un’idea: quella di fidarsi di un marchio che ha capito cos’è il lusso e come può migliorare la vostra vita».

«La presentazione era azzeccata, la direzione molto chiara», sottolinea Beccari, «Pharrell sente la responsabilità di avere un peso commerciale». Di sicuro, lo capisce non solo in virtù dell’eccezionale curriculum musicale, ma anche per aver battuto altre vie: come la partecipazione al programma televisivo The Voice e il lancio di un hotel a Miami Beach con l’imprenditore David Grutman. «Il nostro compito è di ottenere risultati», prosegue Beccari. «Insieme siamo un hub di creatività e innovazione: non ci sono limiti a ciò che possiamo fare».

Del resto, il concetto di “nessun limite” è quantomai concreto quando si tratta di Louis Vuitton. «Nella mia posizione, puoi contare su un team straordinario, 55 reparti, una squadra di 2.500 persone», mi aggiorna Pharrell. «Hai le risorse per fare qualsiasi cosa tu abbia in mente. Non ti senti mai dire no».

Cappotto Schiaparelli. Salopette Dickies. T-shirt Louis Vuitton. Occhiali da sole Jacques Marie Mage


Finora Pharrell ha fatto ben poco per sistemare lo studio. Quando l’ho visitato, gli arredi non erano ancora pronti e si respirava un’aria un po’ anonima che senza dubbio col tempo correggerà. Una zona ha però già beneficiato delle sue attenzioni: un angolo dove ha sistemato uno studio di registrazione. «Mi divido tra musica e vestiti», mi rassicura. «Canzoni e scarpe, accessori e armonie. È qualcosa di fluido, osmotico». Una situazione anche dannatamente produttiva. Da quando è arrivato a Parigi, proprio qui ha portato a termine l’equivalente di tre album.

Pusha T è uno degli artisti che si sono uniti a Pharrell nello studio di LV, un’esperienza in grado di fargli apprezzare il talento dell’amico nel portare a termine le cose. «È la definizione incarnata di multitasking», conferma il rapper statunitense. «È pazzesco come riesce a distogliere l’attenzione e a cambiare rotta in un attimo. Stiamo lavorando sulla musica, lo chiamano in riunione per cose tipo la palette di colori o altro, lui molla lo studio, entra nella war room e dà il massimo. In un batter d’occhio riesce a dare una direzione, un’opinione, un’idea ben congegnata».

Lo spazio dove Pharrell ora registra la sua musica è lo stesso in cui Virgil Abloh aveva installato una consolle da dj. È una ben triste realtà che la straordinaria opportunità di Pharrell sia scaturita dalla prematura scomparsa di Abloh. «Ho sempre saputo che Virgil era speciale, ed è come se stessimo collaborando nello spirito», mi confessa Pharrell, aggiungendo che ha mantenuto il legame con Abloh attraverso Louis Vuitton e alcuni pezzi da lui disegnati sono rimasti in collezione, anche se intende continuare a sviluppare il legame con lo skateboard, iniziato dal compianto campione re dei designer.

Giubbotto, shorts e cappello Louis Vuitton. Camicia Auralee. Scarpe Maison Margiela. Calze Falke

Giubbotto, t-shirt, pantaloni, scarpe e cappello
Louis Vuitton


Secondo Virgil Abloh, Pharrell era riuscito a creare un “nuovo prototipo” per gli artisti Black, ma è stato lui a introdurre in LV una cultura fino ad allora sconosciuta e a fare conoscere alla moda di lusso un inedito tipo di direzione creativa; tutte cose che ora vanno a vantaggio di Pharrell. È innegabile il senso di continuità tra i due. «Dopo la prematura scomparsa di Virgil Abloh, non credo che avrei potuto scegliere un designer con una formazione “tradizionale”», racconta Beccari. «Avevo bisogno di qualcuno che, ancora una volta, fosse legato alle arti e potesse toccare il cuore delle persone con la musica, la moda e le collaborazioni».

Pharrell ha dedicato ad Abloh il suo primo show. Non è uno che trascura mai il valore di altri artisti e designer in relazione al suo lavoro e alla cultura in generale. «Gli renderò sempre omaggio», promette.

Il legame più evidente tra i due è il modo in cui entrambi paiono avere infinite riserve di energia e creatività per progetti che spaziano dalla moda alla musica, a mille altri settori. Abloh ha collaborato con Ikea, Mercedes-Benz e Nike, e si è esibito come dj in club e festival di tutto il mondo. Sembrava fosse sempre su un jet. Pharrell, allo stesso modo, continuerà a destreggiarsi tra vari progetti di design, attività commerciali, associazioni di beneficenza e, naturalmente, musica.

Molti grandi artisti sono multidisciplinari, ma pochi sono capaci di ottenere il massimo successo in campi diversi. Mi domando se il rapporto unico tra musica e moda renda Pharrell un fenomeno irripetibile: il paio di jeans prediletto diventa come la canzone preferita, o il modo in cui una hit commerciale riesce ad avere appeal e originalità suscitando nelle persone un’eco familiare o nostalgica. Gli album lo fanno.

E pure i marchi. Una borsa ben fatta e una buona canzone durano per decenni e sono belle come il giorno in cui sono uscite. Ancora più potente è il modo in cui entrambe sono forme di espressione personale tra i fan. L’identità si costruisce intorno alla musica e agli abiti. Di questo Pharrell, fin dall’inizio, ha avuto una percezione soprannaturale, tanto da creare oggetti capaci di svelare nuove dimensioni della personalità: lo ha fatto attraverso la musica con il gruppo rap-rock N.E.R.D e nella moda con Nigo e la conquista globale e radicale dello streetwear. Nel suo percorso ha poi introdotto alcune innovazioni epocali nella moda hip-hop: il cappello trucker giallo dei N.E.R.D, il BlackBerry placcato oro, i ciondoli Jacob & Co, la borsa Birkin customizzata in coccodrillo viola.

Naturalmente, nella sua nuova posizione, mentre mescola discipline e inventa nuovi modi per raggiungere un pubblico più vasto, Pharrell sembra pronto a ridefinire la professione di direttore creativo. Gli suggerisco che potrebbe influire sia sul percorso della moda, sia su quello della cultura.

«Non l’ho mai vista in questo modo», dice. «Ma evito di allargare troppo la visione perché se lo facessi, potrei spaventarmi. Potrei vedere troppo».


Come ha reagito Pharrell quando gli è stato affidato un compito così impegnativo con carta bianca totale?

Si è messo al lavoro sulla collezione, insieme all’atelier LV e alla sua crew, lo stilista Matthew Henson e Cynthia Lu, designer del marchio di streetwear artigianale Cactus Plant Flea Market. Per l’unica vera collab ha scelto il pittore americano Henry Taylor e ha trasposto i suoi dipinti figurativi, fluidi e colorati, su ricami e spille che impreziosiscono gli abiti. Ha poi eletto la borsa Speedy a protagonista della collezione e della campagna. In particolare, la Speedy 25, un mini borsone disegnato ad hoc per Audrey Hepburn nel 1965, reinterpretandola come potrebbe fare un falsario di Canal Street, con colori primari ma in una pelle così morbida che sembra sciogliersi quando la si tiene sottobraccio; quindi, ha sviluppato la sua ormai inconfondibile stampa Damoflage, rivisistazione dell’iconico “Damier” di LV, la stampa a scacchiera in marrone e antracite vista un milione di volte sulle borse Louis Vuitton, che ha manipolato per farla apparire simile a una grafica pixellata o a una versione ingrandita del camouflage digitale.

La collezione è eclettica ed elegante, al pari dello stesso Pharrell. Gioca con la metafora: uniformi da operaio, abbigliamento sportivo americano, sartoria maschile. Inoltre, è ricca di soluzioni e silhouette inaspettate, originali e convincenti come tutto ciò che accade nella moda contemporanea, dai pantaloni chino e le camicie da rugby in pelle, agli occhiali da sole con un braccio tempestato di perle che riecheggia le creste degli indiani irochesi.

La collezione è davvero vasta, una delle più grandi di abbigliamento maschile che Louis Vuitton abbia mai prodotto e presentato. In più ha la caratteristica di essere irregolare, sconclusionata quasi: non è una dichiarazione coesa sulla moda maschile, semmai una corsa sfrenata attraverso tutte le possibilità che una maison dalle risorse infinite può offrire.

Alcuni giorni dopo il nostro incontro nel suo studio, io e un paio di migliaia di colleghi della moda, per assistere alla prima sfilata di Pharrell, abbiamo fatto un giro in barca fino al Pont Neuf: il più antico ponte sulla Senna di Parigi. Un luogo evocativo, capace di farci subito intuire che stavamo dirigendoci a un evento storicamente significativo. «Sai», mi aveva detto, «sul ponte non concedono l’autorizzazione di organizzare nulla». Chiaramente, era consapevole del valore simbolico dell’evento. «È pazzesco, fratello. Sono un uomo americano, Black. Comprendi la portata della cosa?».

Giacca e occhiali Louis Vuitton. Maglia a collo alto Givenchy

È facile sospettare che il capo di Pharrell possa essergli stato d’aiuto nell’ottenere una simile location. Bernard Arnault ha iniziato a mettere insieme i pezzi di LVMH 40 anni fa e oggi il colosso del lusso ne ha fatto l’uomo più ricco d’Europa. Naturalmente, l’incombente quesito aziendale a cui forse l’arrivo di Pharrell contribuirà a dare una risposta è: quale sarà la prossima mossa? «LVMH vuole entrare nel business della cultura», mi dice la giornalista di moda Lauren Sherman. «E Pharrell è un creatore di cultura».

Del resto, le ambizioni espansionistiche del brand sono già evidenti a Parigi. Dal Pont Neuf, potevo ammirare il quartier generale di LVMH e, dall’altra parte della strada, LV Dream, una mostra in stile Disney sulla storia del marchio, dai bauli destinati a essere caricati sui bastimenti a vapore del XIX secolo, fino ai più grandi successi di Abloh. Al piano superiore, nel negozio di souvenir, si possono acquistare una nuova borsa LV o una barretta di cioccolato LV. Il posto migliore dove soggiornare per fare tutto questo è l’hotel Cheval Blanc, sempre di LVMH. «Vogliono rispondere a tutte le esigenze delle persone che si stanno godendo la vita», spiega ancora Sherman. «Occupare qualunque angolo di tempo libero».

L’intrattenimento è in questo senso una parte fondamentale, qualcosa che, guarda caso, Pharrell capisce e sa generare come nessun altro al mondo. Qualcuno che, insieme a me, partecipava al rito sul Pont Neuf, mi ha detto che gli sembrava di essere al bar mitzvah di Pharrell. Che sia stata una sorta di iniziazione è assolutamente vero, ma non sembrava tanto destinata a Pharrell quanto all’establishment della moda. A presenziare , la santa trinità delle donne famose: Kim Kardashian, Rihanna e Beyoncé. LeBron James indossava un paio di occhiali da sole Millionaire, i padri del rap Jay-Z e A$AP Rocky erano lì in bella vista, e non mancava un gruppo di fedelissimi della moda del calibro di Jared Leto, Zendaya e Jaden Smith. «Non c’era uno spazio libero», mi dice Pharrell con un largo sorriso dopo lo show, riferendosi allo storico assembramento di così tanti personaggi in un unico luogo.

Giacca, camicia, pantaloni e borsa Louis Vuitton. Scarpe Guidi

La presenza di Rihanna incombeva anche prima che si presentasse allo show in incognito. Una settimana prima, infatti, sulla Senna, lato Museo d’Orsay, era apparsa su un imponente cartellone pubblicitario di Louis Vuitton. Il primo volto di Pharrell. Un colpaccio, anche per lui. «Così, ho fatto centro», mi rivela fiducioso. Era lei il volto da lui fortemente desiderato per la sua prima campagna, è lei il volto che ha ottenuto.

La sfilata aveva tutte le caratteristiche di uno spettacolo epico: un’orchestra dal vivo, il coro gospel Voices of Fire guidato da suo zio Ezekiel e una cascata di modelle in abiti all’altezza del momento, vibranti, freschi, opulenti. Non tanto un tributo alla Virginia, quanto all’amore, alla gioia e a una sorta di ottimismo estatico, cuore in mano. LVERS, si legge nelle note dello show, «è uno stato d’animo: calore, benessere e accoglienza». Ecco l’offerta di Pharrell dalla Virginia al mondo: abbondante generosità di spirito, rispetto per l’umanità e l’ingegno, in una parola: amore.

Non a caso, Pharrell ha fatto della musica una componente integrante della serata. La sfilata ha fatto da lancio a una canzone, prodotta da Pharrell, dei Clipse, l’amato duo rap composto dai fratelli Pusha T e No Malice che hanno sfilato insieme. Per alcuni fan del rap, questo è stato importante quanto le nuove borse Speedy o l’innovazione Damoflage. Altri stilisti hanno usato la passerella per il debutto di un nuovo pezzo: Ye ha lanciato un intero album alla presentazione di una collezione Yeezy. Il pubblico di Yeezy, però, era sempre composto da fan di Ye. Pharrell, invece, sta porgendo gli abiti di lusso a un nuovo pubblico e la musica della sua città natale in Virginia a nuovi ascoltatori.

Il gran finale lo ha siglato Jay-Z che, su un palco all’ingresso della passerella, si è esibito in un generoso mix dei propri successi, alcuni con Pharrell. «Questo giovanotto stasera ha fatto qualcosa di straordinario», ha urlato Jay al microfono. «Rendete omaggio al grande Skateboard P. Sì, signori. Congratulazioni, amico. Sono così orgoglioso di te»

La cosa migliore l’ha detta Nigo quando gli ho chiesto un parere sullo spettacolo del Pont Neuf: «La prima sfilata aveva una dimensione completamente diversa», ha commentato. Nigo ha intrapreso la sua crociata nella moda nel 2021, quando è diventato direttore artistico di Kenzo. Lo stilista giapponese che nel 1993 ha fondato A Bathing Ape e lanciato lo streetwear nella stratosfera praticamente da solo, è uno stretto collaboratore e amico di Pharrell da quando i due hanno lanciato insieme il Billionaire Boys Club, nel 2003. «Finora uno dei miei ruoli è stato quello di realizzare le idee di Pharrell e ho sempre trovato le sue proposte molto divertenti. Anzi, in una parola, cosmiche. Pharrell non sarà mai a corto di progetti», conclude Nigo. «Sono sicuro che continuerà a mostrarci cose nuove. La fusione di musica e moda dà vita a una nuova cultura per LV».

Alla fine della sfilata, Pharrell si è presentato in abito Damoflage e occhiali da sole Tiffany & Co. con diamanti. Ha seguito i modelli che uscivano per il giro finale in passerella e, al centro del ponte, si è inginocchiato per fare una preghiera di ringraziamento. Poi ha abbracciato la moglie e i figli, seduti in prima fila con gli Arnault e i Carter-Knowles. Alla fine, sulle sue orme, è arrivato il resto del team che ha tradotto in realtà la collezione.

Giacca, camicia e pantaloni Louis Vuitton. Scarpe Guidi


Due giorni dopo, tornato nel proprio studio, Pharrell sembrava entusiasta. Giuro che i gioielli erano aumentati e persino la sua Speedy gialla aveva una nuova tracolla d’oro tempestata di diamanti. A questo punto, la sfilata era già diventata una delle più seguite nella storia di YouTube, con oltre 1 miliardo di visualizzazioni in tutto il mondo. L’atmosfera era di festa, ma ancora concentrata. Nessuno sembrava avere intenzione di andare in vacanza. Pharrell aveva passato la mattinata in studio, a registrare una nuova canzone. Appena sono arrivato, il portatile era aperto e mi ha mostrato lo schermo. Così gli ho chiesto di quel momento finale sulla passerella, quando è uscito per l’inchino.

«Dal punto di vista vibrazionale, il cuore era pieno e la mente leggera», descrive. «Ero attraversato da un’energia che mi faceva sentire come se stessi fluttuando solo per il fatto di essere lì fuori a ringraziare tutti quelli che erano venuti». Poi mi ha riassunto l’esperienza con un semplice pensiero: «È la cosa più grandiosa che abbia mai fatto e su cui abbia mai lavorato in vita mia».

Quasi tutta la stampa si è poi espressa in maniera positiva, a eccezione delle lamentele per il traffico infernale causato dalla chiusura del ponte. «Credo che sia un debutto fantastico, con una direzione limpida e una visione chiara del punto di vista del cliente», mi spiega Beccari. «Ha superato tutte le nostre aspettative con un risultato sorprendente, mai visto prima. Soprattutto, la collezione è forte e ha ricevuto un’accoglienza eccezionale da tutti».

Se il debutto di Pharrell è servito a qualcosa, ci ha di sicuro spinto ad aspettarci di più, e a immaginare che in futuro, ripensando alla moda di lusso, vedremo chiaramente la linea di confine tra l’era pre- e quella post-Pharrell. Il Pont Neuf è parso l’inizio di qualcosa di profondo, intenso.

Quando gli chiedo del futuro, della traiettoria del marchio e delle aspirazioni di LVMH di unire cultura e lusso per coltivare un intero mondo di fan, di cui solo alcuni diventeranno clienti, mi spiega che le sue ambizioni sono più vaste di quanto si possa immaginare. «La maison aspira a crescere in modo esponenziale, ma la crescita non è fatta solo di numeri, la crescita è nel gusto, nel definire gli obiettivi, nel superare gli standard. Il denaro viene dopo tutto questo. Non faremo le cose solo per i soldi, altrimenti continueremmo a produrre le stesse fibbie per cinture e roba del genere. Non sono stato portato qui con questo fine, ma per scuotere l’albero. È così che si raccolgono le mele più dolci».

Pusha T mi ha avvertito che in questa nuova era potrebbe tornare in auge un po’ della sgargiante antipatia di Pharrell. «In realtà non è nemmeno odioso», ha precisato. «È solo la libertà della creatività».

Seduto lì davanti a Pharrell, con il grillz dorato splendente nel sole pomeridiano che filtra dalla finestra, gli chiedo cosa significhi quel nuovo look: stiamo assistendo a un ritorno ai suoi esordi nei primi anni Duemila?

«Il gigante si sta risvegliando», risponde. Poi aggiunge, per spiegarsi meglio: «Sono una piccola formica, ma ho lo spirito di un gigante. E credo che il gigante si stia risvegliando».

Giacca, camicia, pantaloni e borsa Louis Vuitton. Scarpe Guidi

Noah Johnson è il Global Style Director di GQ


CREDITI DI PRODUZIONE:
Foto di Fanny Latour-Lambert
Styling: Mobolaji Dawodu
Grooming: Johnny Castellanos
Sets: Jean-Hugues de Châtillon
Produzione: Louis2 Paris
Location: L’Observatoire de Paris