Full Download Tipers Sensemaking Tasks For Introductory Physics 1st Edition Hieggelke Solutions Manual
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130. Rapporto di A. De Pastoret sulla situazione degli Stati romani nel giugno
1809.
137. Una brigata di giovani componea sibilloni, che furono poi stampati nel
1815.
138. Eugenio scriveva alla moglie il 26 novembre 1813 che ad Aldini aveva
l’imperatore detto: «Finalmente farò la pace: devo rinunziare al sistema
continentale, cederò anche all’Austria il Veneto; ma in ricambio l’Italia
avrà il Piemonte, e la Francia resterà ne’ suoi confini naturali. Il regno
d’Italia sarà dichiarato indipendente».
146. Carolina coi figli abitò Trieste, poi morì a Firenze il 1839. Luciano che
era accorso da Roma ad offrire i proprj servigi al reduce fratello, al
cadere di questo tornò a Roma, e nel suo principato di Canino scoprì le
necropoli e i vasi che innovarono la storia delle belle arti etrusche, e
raccolse un insigne museo, che poi vendette al britannico: morì nel
1840, e suo figlio Carlo meritò nome fra i naturalisti, poi fra i rivoluzionarj
(-1857), e Luigi fra i chimici. Re Giuseppe, dopo i disastri di Waterloo
ricoverò a Nuova York, poi a Firenze col nome di conte di Survilliers, e vi
morì nel 1844. Ivi pure morì re Luigi il 25 luglio 1846; e suo figlio Luigi,
dopo vicende da romanzo, rinnovò l’impero francese. Girolamo, già re di
Westfalia, morì capo dell’Ospizio degli Invalidi a Parigi; suo figlio rimane
famoso col nome di principe Napoleone. Madama Letizia, madre di
cinque regnanti, visse in Roma fino al 2 febbrajo 1836. Felice Baciocchi,
principe di Lucca, morì a Bologna il 1841. Beauharnais ebbe rendita di
sei milioni, e dal re di Baviera il principato di Eichstädt, ove fece
moltissimi miglioramenti: visse fin al 1824, e di Amalia sua moglie restò
cara ricordanza fra gli Italiani, che sempre ben accolse anche a Monaco.
Una loro figlia sposò il principe reale di Svezia, e si assise su quel trono
(-1876); l’altra il duca di Braganza; un figlio sposò la regina di Portogallo;
l’altro la primogenita dell’imperatore Nicolò di Russia.
150. La Farina, nel Proemio, pag. 79, dice che «fuvvi chi propose una
confederazione italiana a somiglianza dell’alemanna; ma l’Austria che
ben sentiva ogni confederazione italiana non poter essere che a sè
nemica, si oppose, ecc.». Il Farini tutto all’opposto (Storia d’Italia, lib. vii)
insiste sulla smania dell’Austria a volere una lega italica, e sul pericolo
che ne sarebbe venuto alla libertà; e ingloria i re sardi d’esservisi
opposti, e così salvato l’Italia.
155. Quando la Rivoluzione credeva togliere tanti poteri al re, Mirabeau, nella
sua corrispondenza secreta, mostrava a Luigi XVI che anzi li
consolidava: — È dunque nulla il non esservi più nè Parlamento, nè
paesi di stato, nè corpo di clero, di privilegiati, di nobili?... Molti regni di
Governo assoluto non avrebbero fatto altrettanto quanto questo sol
anno per l’autorità reale».
157. Fra gli illustri ospiti è a contare la duchessa di Devonshire figlia del
conte Spenser, che più volte avea scorsa l’Italia e il resto d’Europa col
proposito di riconciliar le due Chiese. Qui fece stampare la quinta Satira
di Orazio con grandissimo lusso di caratteri e d’incisioni, e in molte
edizioni sempre di pochissimi esemplari per migliorare or il sesto or la
traduzione; l’ultima, eseguita nel 1818 dal successore di Bodoni, riuscì
un capolavoro con incisioni di Ripenhausen e Caracciolo, riproducendo i
luoghi e valendosi delle antichità pompejane. Fece anche stampare
l’Eneide del Caro (Roma, De Romanis, 1819) in censessantaquattro
esemplari mandati a soli principi, con ventidue incisioni nel primo
volume e trentotto nel secondo, oltre i ritratti della duchessa, di Virgilio,
del Caro; ed è peccato non abbia potuto far altrettanto della Divina
Commedia, come divisava. Grande amica della Stael e della Récamier,
accogliendo attorno a sè la più splendida società, potè anche far servigi
a Roma, sia col chiedere al Governo inglese i gessi dei marmi d’Elgin,
sia qualche mitigazione pe’ Cattolici d’Irlanda.
158. I fautori del libero scambio asseriscono che nel regno d’Italia erasi posta
una tassa sull’esportazione dei grani, onde si coltivarono a preferenza
altri generi, e da ciò o venne o peggiorò la carestia del 1817:
soggiungono che in questa i grani costavano carissimo nella Sicilia
dov’erano le tratte, mentre in Toscana si continuò la libertà, e non
mancava fromento indigeno, e Livorno guadagnava all’affluirne di
straniero. Son fatti tutt’altro che accertati.
159. La baronessa di Stael fin nel 1805 diceva: Il y aura des révolutions en
France jusqu’à ce que chaque Français ait obtenu une place du
gouvernement.
160. Se è vero quel che riferisce lo Zobi, vol. v, p. 57, don Neri Corsini soleva
ripetere confidenzialmente agli amici: — I venti vescovi del granducato,
se non sono continuamente sorvegliati dal Governo, da un momento
all’altro, secondo il piacere di Roma, possono rivoltare il paese. E la
sorveglianza conviene che sia continua, circospetta e preventiva, onde
evitare scandali e clamori, i quali irritano i devoti che credono e non
ragionano, e non sono pochi».
Pejretti, primo presidente in Piemonte, a Barbaroux ambasciadore a
Roma scriveva: — Tutto quanto è oggetto di speranza in Roma,
dev’esserlo a noi di timore, e dobbiamo astenerci dall’accordarlo».
161. Artaud, Vita di Leone XII. — Contra hæc repugnabant acerrime recens
impietas et ipsa meticulosa sæculi deciminoni politica. Nodari, Vita Pii
VII.
164. Un trasunto dei processi del 1821, che io possiedo e che porta la storia
di ventotto società segrete, toccando di quella de’ Sanfedisti o
Concistoriali dice: — Di questa parlano continuo i Carbonari pontifizj, e
pretendono sia diretta a espellere gli Austriaci, e ristabilire la
preponderanza della Corte di Roma. Però di queste intenzioni non
seppero mai esibire più accertate notizie; e siccome si trattava di svelare
le mosse d’una società segreta che avrebbe mirato principalmente a
combattere il moderno liberalismo, pare che essi cercassero piuttosto
deviare l’attenzione del Governo dalle loro combriccole, dirigendola sulle
traccie d’una setta, la quale, quand’anche esistesse, non potea meritare
seria considerazione. Non favoreggiata dallo spirito del tempo, essa non
potea fare giammai progressi pericolosi: e non ci è mai avvenuto
d’avvertirne l’esistenza fra noi».
166. Il Colletta, dopo raccontato a disteso gli errori e delitti del Governo
napoletano, conchiude che «i governanti erano benigni, la finanza ricca;
felice il presente, felicissimo si mostrava l’avvenire; Napoli era tra’ regni
d’Europa meglio governati, e che più larga parte serbasse delle idee
nuove». Lib. viii. n. 51.
* Ecco il saviissimo decreto de’ 10 giugno dell’anno 1817, sulla
fondiaria.
.... Essendo nostra intenzione di tener come costante il valore imponibile
delle proprietà fondiarie, e così incoraggiare l’agricoltura dando a’
proprietarj la nostra sovrana garentìa, che pel miglioramento de’ loro
fondi per lungo corso di anni non ne sarà annullato il valore imponibile,
decretiamo:
Art. 1. La contribuzione fondiaria ha per base la rendita netta de’ fondi.
Questa rendita, che consiste nel prezzo del prodotto depurato dalle
spese di cultura, di conservazione e di mantenimento, può essere
rappresentata dagli affitti fatti in un decennio, o dall’interesse del prezzo
de’ fondi, quando la compra ne sia stata fatta, durante lo stesso tempo.
Art. 2. Ogni terra colta o incolta, ogni suolo urbano con edifizj o senza, è
soggetto a contribuzione per l’intera sua estensione. Un errore in più o
in meno di valutazione, che non oltrepassi il ventesimo, non darà luogo
ad aumento, o riduzione di contribuzione, salvo il riportare ne’ catasti la
estensione vera.
Le terre addette a delizia debbono essere valutate come i migliori terreni
coltivati del Comune.
Le case di abitazione entrano in tassa, al pari delle terre, per la loro
rendita netta calcolata in ragione degli affitti del decennio, colla
deduzione del quarto per la riparazione e pel progressivo deperimento.
Gli edifizj o parti di edifizj appartenenti allo Stato, ed addetti per
disposizione del Governo ad un uso pubblico non produttivo di rendita
alcuna, sono esenti dalla contribuzione fondiaria, e rimanere debbono
registrati ne’ catasti per semplice numeraria.
La rendita dei molini e degli edifizj addetti a manifatture debbe essere
valutata similmente sugli affitti del decennio, colla deduzione del terzo.
Le fabbriche rustiche, costrutte nell’interno delle terre per servire ai soli
usi dell’agricoltura o della pastorizia, debbono essere valutate in ragione
del suolo, assimilato pel valore imponibile alle migliori terre del Comune.
167. Tanto asserì il conte Orlof nelle Memorie del regno di Napoli. Ma il
Canosa nei Piffari di montagna (Dublino 1820) lo smentisce
risolutamente. Crede egli che, quando si sciolsero le maestranze
durante l’occupazione inglese, si levasse tumulto principalmente fra’
calderaj, che protestarono della loro devozione alla regina, e le si
profersero: onde furono accarezzati dai fuorusciti napoletani. Quando
questi rimpatriarono, si addissero alle società segrete avverse a Murat,
e ad un’antica setta dei Trinitarj posero il nome di Calderari.
V’apparteneva gente di basso stato, e forse in realtà era un avanzo delle
bande del 1799.
170. Molti furono i perseguitati dalla setta: Giampietro, direttore della Polizia,
fu tratto di mezzo a nove figliuoli e trucidato; lo che spaventò moltissimi
che s’ascosero, mentre correvano liste di proscrizione.
171. A’ Court, inviato d’Inghilterra, non avea parole bastanti per disapprovarli:
— Neppur un’ombra di biasimo s’avventurarono a gittare sul Governo
esistente; non altro promisero al popolo che la riduzione del prezzo del
sale. Mai non erasi avuto Governo più paterno e liberale: maggiore
severità e meno confidenza sarebbero riusciti ad altro... Spirito di setta,
e l’inudita diserzione di un esercito ben pagato, ben vestito e di nulla
mancante, causarono la ruina d’un Governo veramente popolare. Temo
non si riesca a scene di carnificina e confusione universale. La
costituzione è la parola d’ordine, ma in fatto è il trionfo del giacobinismo,
la guerra dei poveri contro la proprietà».
172. Nota del ministero degli affari esterni delle Due Sicilie alle Corti
d’Europa, 1º dicembre 1820.
177. In lettera del 5 gennajo 1821 egli diceva: — Dopo tutte le dichiarazioni e
ritrattazioni del re di Napoli, se io fossi al posto di Metternich non vorrei
mescolare la mia causa col tessuto di duplicità e menzogne ond’è
composta la vita di S. M.».
178.
179. Nei cinque anni d’occupazione in Sicilia perirono da seimila Austriaci per
clima, per vino, per vizj. Secondo il Bianchini (Finanze del regno, iii,
794), dal 1801 al 27 il Regno avea speso in truppe forestiere
cencinquantasette milioni di ducati. Per le gravi spese nel 1826 si
ritenne un decimo sopra tutti i soldi e le uscite. Frimont era comandante
generale dell’esercito austriaco in Italia; e morto il 28 dicembre 1831,
ebbe a successore il maresciallo Radetzky.
180. Carlo Emanuele IV, abdicato nel 1802, erasi fatto gesuita con voti
semplici, continuando a vivere come prima in sempre maggiore pietà,
fino al 6 ottobre 1819. Eragli succeduto il fratello Vittorio Emanuele.
182. Così uno de’ più smaccati adulatori del Governo piemontese,
Gualterio, tom. i. p. 509. Vedi meglio Santarosa in generale, e
Brofferio con minute particolarità, parte i. c. 7.
191. Laderchi, come romagnuolo, fu consegnato al papa, che gli destinò per
carcere la fortezza di Ferrara. Vi era legato il cardinale Tommaso
Arezzo, che fe dichiarare fortezza tutta la città. Laderchi, potè finire i
suoi studj, poi esercitare la professione d’avvocato; finchè liberato,
divenne uno de’ migliori giureconsulti, fedele all’ordine e al giusto anche
quando la rivoluzione del 59 riducea le vittime dell’Austria in vittime di
nuovi sacrificatori.
192. Fra questi Ansaldi, il medico Ratazzi, Dossena, Bianco, Radice, Ferrero,
Marochetti, Avezzana, Ravina, che la più parte ricomparvero dopo
venzett’anni d’esiglio con miglior esito.
193. Vedi i Documenti del Governo di Modena, stampati nel 1860, p. 34.
194. Dichiarazione a nome delle Corti d’Austria, Prussia e Russia alla chiusa
del congresso di Lubiana; Circolare accompagnatoria ai ministri delle tre
Corti. — In Capefigue (Diplomates européens. Milano 1844, pp. 41 e 42)
appare che la Francia non acconsentì all’occupazione del Piemonte se
non per brevissimo tempo, car la France ne pourrait souffrir les
Autrichiens sur les Alpes. Tous ces actes de cabinet, toutes les
proclamations qui suivent la tenue d’un congrès, étaient spécialement
l’œuvre de M. de Metternich. Le chancelier d’Autriche possède... un
goût pur.... etc. Châteaubriand, nel Congresso di Verona, dà lode al
cardinale Spina, capo della legazione pontifizia, dell’essersi opposto
all’invasione austriaca nella bassa Italia.
200. Nel bilancio del 1830 stampato, sono stanziate lire seicentomila per
interessi del debito pubblico.
203. Il Galvani racconta che il duca partendo levò dalle casse un milione per
pagare i soldati, oltre le gioje; e che Zucchi levò centomila lire:
centoseimila i membri del Governo provvisorio. Levarono appena quello
che occorreva per mantenersi.
206. Dalle relazioni ministeriali consta che, al fine di settembre del 1831, la
Francia dava sussidj a 2867 Spagnuoli, 962 Portoghesi, 1524 Italiani.
207. Con atto insolito fra’ principi italiani d’allora, ridusse l’arciduchessa a una
lista civile, e potè rifiorire l’erario, levando le corruzioni
dell’amministrazione e gli scialacqui.
208. Chi disse averlo ucciso il duca perchè non ne potesse rivelare all’Austria
le trame, dimenticò che questi avealo lasciato a lungo nelle carceri di
Mantova.
213. Tra cui Vincenzo Gioberti, Anfossi medico, Durando avvocato, Giuseppe
Garibaldi, divenuti poi famosi nel 1848. Furono per alquanto imprigionati
Cambiaso, Balbi-Piovera, Durazzo, De Mari, Pareto, Spinola e altri
patrizj genovesi.
217. «Il gabinetto austriaco fu costretto cedere su questo punto così alla
legittima resistenza del papa, come alle unanimi proteste degli altri
Governi d’Italia, che in simili concessioni vedeano un imminente pericolo
alla tranquillità dei loro Stati, alle cui istituzioni il principio dell’elezione
popolare è affatto estraneo». Nota suddetta.
219.
221. — Che non ha ella corrotto in Italia sì fatta peste della calunnia, e più
che altrove in Milano? città accannita di sêtte, le quali intendendo
sempre a guadagni di vili preminenze e di lucro, hanno per arte imparato
ad esagerare le colpe e dissimulare le doti degli avversarj. O monarchi,
se ambite avere più servi che cittadini, lasciate patente l’arena de’
reciproci vituperj». E a chi (solita celia) lo disapprovava del difendersi, —
Dovremo dunque sentirci onesti e vederci infami, o per sinistra modestia
tacere? e mentre altri s’apparecchia ad affliggere l’ignominia anche ai
nostri sepolcri, ci aspetteremo che la posterità ci giustifichi?»
224. — Foscolo, al quale rimane anche oggi chi, per pochi versi facendolo
poeta, e per non buoni versi gran poeta, ammiri il famoso enigma de’
suoi Sepolcri». Opere, tom. i. p. 148.
227.
Libertade è frutto
Che per virtù si coglie; è infausto dono
Se dalla man dello straniero è pôrto.
I depredati campi, i vuoti scrigni
Piange il popol deluso: ira di parte
I petti infiamma: ad una stessa mensa
Seggon nemici il padre e ’l figlio: insulta
Il fratello al fratel: ascende in alto
Il già mendico e vile, e della ruota
In fondo è posto chi n’avea la cima.
Carme al Roverella.
229. Considerazioni sopra il teatro tragico italiano. Firenze 1825. Una recente
storia della letteratura dell’Emiliani Giudici fa i Romantici complici del
Governo austriaco, perchè accettavano dottrine predicate da grandi
tedeschi.
Quelle ironie ed accuse sono riprodotte da Carlo Cattaneo nella
prefazione alla raccolta degli scritti suoi, e in un giornale, dove, com’egli
dice, «lasciò trapelare fra cosa e cosa qualche spiraglio d’altri pensieri».
Eppure aveva scritto altrove: «Quando si devono abbattere gli steccati
che serrano il nobile campo dell’arte, non monta con che povero mezzo
lo si consegua. L’effetto della disputa si fu che ora siamo liberi signori
del luogo e del tempo, e che ci sta solo a fronte il senso comune e il
cuore umano». Tom. i. p. 48. Peggio fece il Settembrini.
231. Il francese Courier, uno de’ più vivaci e tersi libercolisti, trovò nella
Laurenziana un frammento inedito del Dafni e Cloe romanzo di Longo
Sofista. Lo copiò; poi, acciocchè nessun altro potesse averne copia, vi
versò sopra il calamajo. Naturalmente asserì ch’era mero caso, ma si
trovò che l’inchiostro era differente da quello somministrato nella
Laurenziana; e ne sorse un pro e contro, come d’un affare di Stato. E di
fatto ci andava di mezzo l’onoratezza.
232. Per le nozze della figlia di Monti col conte Perticari, dodici poeti si erano
accordati per comporre ciascuno un inno ad uno degli Dei Consenti, e
nessuno mancò d’incenso a Napoleone.
233. Vedi la Narcisa di Tedaldi-Fores cremonese, 1818.
235. Cesarotti disse del Jacopo Ortis: — È fatto per attaccare un’atrabile
sentimentale da terminare nel tragico. Io lo ammiro e lo compiango».
Foscolo nel Gazzettino del Bel Mondo, pag. 17, scrive del suo romanzo:
— E temo non sia luce tristissima, da funestare a’ giovanetti anzitempo
le vie della vita, e disanimarli dall’avviarsi con allegra spensieretezza. I
molti lettori ch’io non mi sperava, non mi sono compenso del pentimento
ch’io pure non temeva; ed oggi n’ho, e n’avrò anche quando quel libro e
questo saranno dimenticati».
237. Usi e pregi della lingua italiana. — Il difetto del buon vecchio si era una
parzialità cieca contro tutte le novità buone o cattive, recate da Francesi,
a segno tale che non vi avea in Torino memoria francese che a lui non
sembrasse una bruttura, ed avrebbe infino anteposto il ponte di legno
sopra cui per lo innanzi valicavasi il Po, al magnifico ponte di pietra che
vi avea sostituito Napoleone». Mario Pieri.
238. Vedi persino la prefazione d’uno de’ libri meglio tradotti, l’Imitazione di
Cristo.
241. Il primo e migliore di costoro è Carlo Cattaneo, in cui troviamo «il tubere
della giovialità, l’eruzione critica, alleggerire il piombo delle astrazioni, il
termometro della satira, gli spelati panni dell’arte bisantina, lingue
cementatrici, spiegare tutto il ventaglio delle umane idee, l’ideologia
sociale è il prisma che decompone in distinti e fulgidi colori l’incerta
albedine dell’interiore psicologia....».
242. Venuti i tempi nuovi, l’uso universale de’ giornali che uccisero i libri, cioè
le opere pensate; e i discorsi al Parlamento e ne’ tanti ritrovi, diedero
alla prosa un andamento diverso dallo scolastico, accostandola al
naturale, a costo di rendersi plebea.
244. L’età nuova portò un’altra farragine di romanzi, che non frenati dalla
censura, sempre inetta anche prima, nè dal pudore d’una società
scarmigliata, si buttarono a servire gli istinti bassi e il bisogno di
quotidiane soddisfazioni a un’ineducata curiosità. Nella poesia si tentò il
nuovo coll’imitare fantasie sfrenate di stranieri, e insultare al buon senso
e alle credenze più venerate.
247. In questa parte che richiede profonda conoscenza del cuor umano e
viva rappresentazione de’ caratteri, sorsero di poi Paolo Ferrari, il Torelli,
il Cossa, il Marenco, il Giacosa..., avventurandosi anche a qualche
novità, e cercando i concetti e le parole più naturali. Fu un tentativo de’
più felici quel del teatro piemontese, ove il Toselli, il Bersezio ed alcun
altro accoppiavano alla festività e all’intreccio l’esemplarità.
249. Proemio alla storia dei luoghi una volta abitati dell’Agro romano. Roma
1817 e seguenti. L’opera fu proseguita dall’abate Coppi.
251. Il Botta scriveva della prima sua opera: «La metà della prima edizione
se n’andò al pepe; ed io stesso ve la mandai, chè dovendo partire pel
Piemonte la mia povera e santissima moglie, io non aveva un soldo da
farle fare questo viaggio. Allora dissi fra me medesimo: Che ho io a fare
di questo monte di cartacei che m’ingombra la casa e che nissuno
vuole? chè non la vend’io a qualche droghiere o ad un treccone? Così
dissi, e mi presi la cartaccia e la vendei al droghiere, e ne cavai seicento
franchi che diedi alla mia santa moglie». Lettera del 28 agosto 1816
nell’Epistolario del Giordani, tom. v. p. 364.
252. Si guardi la sua descrizione del passaggio del San Bernardo. S’extasier
devant le passage des Alpes, et pour faire partager son enthousiasme
aux autres, accumuler les mots, prodiguer ici les rochers et là les
neiges, n’est à mes yeux qu’un jeu puéril, et même fastidieux pour le
lecteur. Il n’y a de sérieux, d’intéressant, de propre à exciter une
véritable admiration que l’exposé exact et complet des choses comme
elles sont passées. Thiers, Avertissement au tome XII de l’Histoire du
Consulat et de l’Empire. Eppure lo Zobi (tom. iii. p. 171) qualifica il Botta
«il più profondo fra i moderni storici».
253. Nella corrispondenza di Camillo Ugoni, stampata nel 1858 a Milano colla
sua vita, troviamo una lettera di A. Pezzana del 1814 ove dice del Botta:
— Se manterrassi in reputazione di forbito scrittore, certo non potrà mai
avere quella di storico imparziale e fede degno». E una di Giuseppe
Pecchio del 1833 che, dopo avere letto il Botta continuazione al
Guicciardini, scrive: — Non so se sia effetto della storia o dello storico,
questa lettura mi dava ogni giorno malumore e malinconia. Ma credo
che la colpa sia dello storico, perchè nè la storia degli Ebrei, nè quella
de’ Messenj o de’ Polacchi a’ nostri giorni, zeppe anch’esse d’ingiustizie,
d’orrori, di sciagure, pure non mi contristarono mai l’animo tanto, come
la storia del signor Botta: quella del Sismondi mi fa fremere, anche
corrucciare, ma non oscura ed abbatte l’anima mia, anzi la riempie di
fuoco. Mi disgusta all’estremo quell’insolente accanimento del Botta
contro Daru in palese, ed in secreto contro Sismondi e Manzoni, che per
talento, buon cuore e buone azioni valgono dieci volte più del Botta. Mi
fa poi perdere un tempo infinito con quelle sue minute descrizioni di
battaglie e d’assedj che non fanno alcun profitto. Non cita mai, o
rarissime volte, un’autorità. È egli nuovo Mosè che scrive la storia per
ispirazione di Dio? Non v’è mai una vista filosofica spaziosa, ma soltanto
della morale e delle sentenze appiccicate ad ogni caso particolare. In
politica poi dice e si disdice le cento volte, e fra le altre non vuole le
repubbliche del medioevo, e poi, alla fine della storia, dopo avere
scomunicate quelle repubbliche le tanto volte, finisce col dire che la
repubblica di Firenze aveva sopravanzato Atene; ed è ingiusto anche
nell’elogio, perchè è esagerato. Sono però contento che una tale storia
esista, perchè vi regna molta imparzialità (Pezzana e noi diciamo
l’opposto) e franchezza: in alcune parti è eloquentissima: in altre le
descrizioni sono capolavoro: spira sempre l’amore del giusto,
dell’onesto, dell’umano: la lingua poi è aurea, vigorosa, e se ne togli
alcuni proverbj troppo plebei, direi quasi impareggiabile per la sua
ricchezza e varietà».
254. Dico diffusa soltanto perchè già il duca di Lévis, nel libro De l’Angleterre
au commencement du XIX siècle, 1814, cap. xvi, p. 401, scriveva:
Partout ailleurs qu’en Angleterre, en dépit de la philosophie et même
des révolutions, la distinction du noble et du roturier, c’est-à-dire du fils
du vainqueur et du vaincu, subsiste dans l’opinion, si ce n’est dans la loi.
E Guizot disse: Depuis plus que treize siècles la France contenait deux
peuples: un peuple vainqueur et un peuple vaincu. Depuis plus que
treize siècles, le peuple vaincu luttait pour secouer le joug du peuple
vainqueur. Notre histoire est l’histoire de cette lutte. De nos jours, une
bataille décisive a été livrée: elle s’appelle la révolution.
255. Una dissertazione di Fossati e De Vesme Sulle vicende della proprietà
in Italia applicava a noi i concetti maturati dai forestieri. Vedi il nostro
tom. vi, cap. lxxxi.
257. «Non vadano gli eruditi cercando in questi libri peregrine scritture,
rivelazioni d’ignoti fatti, lucubrati veri; qui è un ingenuo racconto che io
ho fatto ai miei fratelli, assiso al focolare domestico della patria, alla
vigilia di un grande viaggio». Pare ignori l’opera del Carlini sulla pace di
Costanza, e quella del Dall’Olmo sul convegno di Venezia.
259. Del Colletta scrivea Giordani l’aprile del 1826: — Ha compito un libro
doppio di mole e molti doppj di merito, dove descrive tutto il regno di
Gioachino. Libro veramente stupendo, stupendissimo. Figurati che i due
che sentisti sono appena un’ombra di questo: la ricchezza, la varietà, lo
splendore della materia è indicibile; lo stile miglioratissimo. Ora corregge
Giuseppe: correggerà il quinquennio. Bisognerà rifare di pianta il nono
libro, che è veramente debole e sparuto, come il primo che fu scritto, ma
che per la materia è tanto importante». Il Colletta confessava che
«ancora due o forse tre anni sarebbero bisognati a rendere la sua opera
un po’ meglio».
261. Ci si perdoni di citare gli Italiani Illustri, ritratti da C. Cantù. Tre vol. in 8º.
Milano 1870.