Jacob Elordi: «Quello che mi ha dato Saltburn»

L'attore australiano racconta come ha trovato la fiducia in sé stesso dopo aver scalato «questa montagna gigantesca»
Jacob Elordi
Variety/Getty Images

Dopo essere stato scritturato contemporaneamente per Priscilla di Sofia Coppola e Saltburn di Emerald Fennell, a Jacob Elordi era venuto il dubbio di non farcela a recitare in due film importanti, uno dietro l'altro.

L'attore australiano, che ha raggiunto il successo con il suo ruolo in Euphoria, ha finito per girare i due film a sole tre settimane di distanza l'uno dall'altro. Prima è andato nel Regno Unito per Saltburn, dove interpreta Felix, un ricco studente di Oxford che invita un compagno di umili origini (Barry Keoghan) nella sua sontuosa tenuta per l'estate. Poi si è trasformato nel Re del Rock and Roll per Priscilla che riprende la complicata relazione tra Elvis e Priscilla Presley (Cailee Spaeny).

Se c'è qualcosa che i due ruoli hanno in comune è il fascino di Elordi, capace di passare con disinvoltura dall'interpretazione di un elegante ragazzo inglese degli anni Duemila a quella di un'icona della musica americana degli anni Sessanta.

Priscilla e Saltburn stanno facendo guadagnare a Elordi l'attenzione di svariati festival, ma a prescindere da dove lo porterà questo percorso, l'attore afferma che la sfida enorme di questi progetti in successione lo ha trasformato. «Ho dovuto scalare questa montagna gigantesca e arriva un momento in cui capisci di avercela fatta e che alla gente piace», dice. «Penso di aver acquisito... forse fiducia è la parola sbagliata, ma la userò. Mi sento molto più sicuro di me. Ho avuto delle conferme sulle mie capacità e spero di non perderle».

Pensa che questi due ruoli abbiano qualcosa in comune?
«È una domanda divertente. Ho fatto Priscilla tre settimane dopo Saltburn. Quindi nella mia testa sono stranamente e inevitabilmente collegati. Giravo tutto il giorno a Londra e poi tornavo a casa nella mia caverna di Elvis, che era la mia stanza d'albergo, dove c'erano tutte le foto di Priscilla. Tuttavia, se escludiamo il fatto che avevano entrambi una casa enorme, a Saltburn e Graceland, non sono certo che Felix abbia molto di Elvis Presley».

È difficile chiudere una storia e buttarsi in quella successiva? Insomma, in un mondo perfetto, le servirebbero più di tre settimane?
«Avere avuto poco tempo alla fine si è rivelato un vantaggio, mi è servito. Se avessi avuto più tempo forse mi sarei trovato in difficoltà, perché avrei pensato troppo a tutto. In Saltburn dovevo avere un accento britannico che ho perso molto rapidamente quando sono passato alla parlata strascicata di Memphis. Ma avendo solo tre settimane a disposizione, non ho potuto preoccuparmene più di tanto. All'epoca, prima di iniziare le riprese dei due film, temevo che sarebbe stato impossibile, perché erano troppo ravvicinati».

Saltburn

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Saltburn è divertente da guardare perché è viscerale. Che cosa si prova a guardare il film con un pubblico?
«Mi sono intrufolato in una proiezione nella mia città, ed è stato incredibile. Non lo facevo da quando ero andato a vedere visto il primo dei nuovi film di Star Wars. È stato un po' surreale farlo con Saltburn perché è una storia nuova e non immaginavo che le persone potessero essere tanto coinvolte nelle trame. Le sentivo ansimare e urlare».

Che cosa l'ha convinta che Felix sarebbe stato un personaggio interessante da affrontare?
«Ho incontrato Emerald, un paio di anni fa, a Los Angeles, abbiamo parlato del progetto in linea generale e lei è rimasta sul vago. Ma mi ha incuriosito. Poi ho ricevuto la sceneggiatura e ho capito che non potevo mancare. Un paio di mesi dopo mi sono trovato nel Regno Unito e ho fatto il provino per Emerald, che è stato il mio primo provino fuori dal Covid. Mancavo da tanto tempo, quindi è stato terribilmente snervante. Mi ha fatto capire che cosa significa realmente recitare, ritrovarsi in un ambiente a lavorare per un ruolo».

Ho parlato con Emerald in un podcast e mi ha detto che al provino lei ha portato qualcosa che a molti altri attori è mancato: Felix può sembrare l'oggetto del desiderio, è carismatico e tutto il resto, ma lei ha saputo mostrane anche il lato debole. Che cosa ne pensa lei di Felix?
«Cerco di andare oltre le idee di partenza, credo di averlo sempre fatto. L'ho fatto certamente con Elvis: cerco di trovare una sorta di porta secondaria per accedere al personaggio. Cerco di trovarli quando hanno 10 anni, 11 anni, 12 anni, cerco di trovare il bambino che è in loro. La cosa che mi era chiara con Felix è che pur essendo nato e cresciuto in condizioni di privilegio, nascondeva qualcosa che andava oltre la sua spavalderia e il suo modo sicuro di fare. C'era una sensibilità che bisognava sviluppare e imparare a conoscere, sapendo che spesso le persone con quel genere di sensibilità, l'hanno maturata a partire da grandi insicurezze o di difficoltà a comprendere qual è il proprio posto nel mondo».

A chi si è ispirato, come si è preparato per girare Saltburn?
«Ho chiamato Emerald perché conosce il mondo molto più di me. Lei mi ha mandato una lista di film e libri da leggere. Poi sono andato a Palm Springs per due settimane, mi sono chiuso in casa, camminavo intorno a una piscina cercando l'accento giusto. Ho letto Ritorno a Brideshead e ho studiato al meglio quel tipo di letteratura inglese e quell'ambiente privilegiato. Sono arrivato a Londra quattro settimane prima dell'inizio delle riprese, vivevo a Chelsea e andavo nei caffè ad ascoltare la gente che parlava e a ordinava flat white. È stata la tessera finale del puzzle per capire che non ci si poteva spingere troppo oltre».

Priscilla

Phillipe Le Sourd

C'è stata una scena in particolare che l'ha intimorita o per la quale ha dovuto lavorare di più?
«Penso sia successo quando siamo arrivati nella magione di campagna, perché è il momento in cui entra in scena la mia famiglia. Era una preoccupazione più personale: Okay, devo essere inglese con Rosamund Pike e Carey Mulligan. Se c'è qualcuno che ti vedrà, sarà proprio Rosamund Pike. Capisce che cosa voglio dire? Mi metteva un filo di ansia presentarmi a casa, perché era da lì che partiva tutto ed è lì che s'iniziano a cogliere le parti di Felix distanti dalla spavalderia del college».

Quando si è trattato di Priscilla, c'è stato un elemento di ricerca che si è rivelato davvero prezioso per la sua preparazione?
«Mi sono stati incredibilmente utili i libri del critico musicale Peter Guralnick (L'ultimo treno per Memphis: l'ascesa di Elvis Presley e Careless Love: The Unmaking of Elvis Presley, ndr), pieni di informazioni. Tuttavia mentre li leggevo mi ha assalito una grande tristezza, perché si percepisce la caduta verso l'inferno. La vita di Elvis è stata una tragedia sotto molti aspetti. Poi le cose che mi hanno aiutato a trovare l'essere umano che volevo ritrarre sono stati i video amatoriali intitolati Elvis by the Presleys. C'erano tutti quei filmati muti in Super 8 che lo ritraevano nel corso degli anni. Lo si vedeva giocare con Priscilla, nuotare e mangiare. Si vedeva il bambino che c'era in lui. C'è stato tutto questo e poi anche una canzone che mi ha legato a lui per tutto il tempo. La sua versione di Bridge Over Troubled Water, che ascoltavo ogni giorno prima di andare sul set».

Ci sono canzoni che ha ascoltato prima di Saltburn?
«Emerald ci aveva preparato una playlist di brani del 2007, ma sapevo già che cosa mi aspettava e quindi avevo già fatto una cura intensiva con Smiths e David Bowie. Un sacco di rock-pop british degli anni Ottanta».

Che cosa si aspetta per la sua carriera?
«Mi aspetto che sia in continua evoluzione. Al momento mi godo la fortuna di potere scegliere un po'. Voglio solo lavorare con artisti veri. Ho amato l'arte per tutta la vita e desidero lavorare con registi che hanno un punto di vista originale o una particolare sensibilità rispetto ad alcuni temi e e vogliono lasciare un segno nel mondo e nella storia. Per me i film sono questo».