Nicole Kidman a pezzi: il nuovo magnifico personaggio di Expats

Una madre «espatriata» a Hong Kong. Il figlio più piccolo scompare misteriosamente. È la nuova donna distrutta che interpreta la star. Che qui ci spiega perché girare questa nuova serie «non è un lavoro»
Nicole Kidman e il nuovo magnifico personaggio di Expats
Atsushi Nishijima.

È evidente che Nicole Kidman ha una forte affinità con le donne che attraversano momenti difficili: Virginia Woolf in The Hours; Celeste, sopravvissuta agli abusi domestici in Big Little Lies; Grace, disfatta in The UndoingLe verità non dette. La sua serie Prime Video Expats, che debutterà in streaming il 26 gennaio, offre a Kidman quello che potrebbe essere il suo ruolo più straziante di sempre: Margaret, una madre di tre figli il cui figlio più piccolo scompare misteriosamente mentre la famiglia vive in trasferta a Hong Kong.

«Non è mai un giorno di lavoro come un altro», dice Kidman a proposito della sua propensione a interpretare donne quasi distrutte, «è una chiamata. Un'attrazione fatale. È intenso, ma non è un giorno di lavoro».

Basata sul romanzo di Janice Y.K. Lee, The Expatriates, la serie Expats è stata creata da Lulu Wang di The Farewell, che ha diretto anche tutti gli episodi. L'esaustiva miniserie di Wang segue le vite delle protagoniste che s'intrecciano a Hong Kong. Nel corso dei sei episodi, l'afflitta Margaret di Kidman, Hilary (donna di successo ma moglie insoddisfatta, interpretata da Sarayu Blue) e Mercy (neolaureata, interpretata dalla nuova arrivata Ji-young Yoo), si confrontano su temi come discriminazioni razziali e di classe, privilegi, religione e, soprattutto, casa, mentre affrontano la vita lontano dal Paese d'origine.

Vanity Fair ha incontrato Kidman e Wang al Crosby Hotel per parlare di come non affondare mentre si affronta un argomento traumatico, di luci e ombre e della prossima generazione di registe.

Nicole Kidman nel ruolo di Margaret in Expats.

Amazon MGM Studios

Entrambe avete un'esperienza che si avvicina a quella degli espatriati. Nicole è nata alle Hawaii ma è cresciuta in Australia; Lulu, lei è nata in Cina e si è trasferita negli Stati Uniti quando era bambina. Questo ha influenzato in qualche modo il vostro approccio al progetto?

Lulu Wang: «Sicuramente. È stato uno dei motivi principali per cui ho voluto realizzare questa serie, che ho visto come un'opportunità per esplorare le esperienze di chi vive la diaspora. Hong Kong, in particolare, è crocevia stimolante di persone provenienti da tanti luoghi diversi e con tanti background diversi».

Nicole Kidman: «Ero stata a Singapore a trovare mia sorella, che all'epoca viveva lì con suo marito e i suoi figli come espatriata. Quando mi ha visto mi ha dato il libro dicendomi che dovevo leggerlo perché c'era tanto della sua vita. L'ho letto e ho capito che stava cercando di tornare indietro, per vedere la nostra famiglia, mia madre. Io negli Stati Uniti sto vivendo una situazione simile, ma è diverso perché è comunque il Paese in cui sono nata e dunque continua a essere una parte di me.

Credo che essere espatriati significhi innanzitutto vivere in un posto in modo provvisorio. Senti che c'è un inizio o una fine. Quindi ti chiedi di continuo quando finirà. Questo è stato l'aspetto interessante per me. Poi ci sono le relazioni e tutti i problemi familiari, perché i nodi cruciali sono la famiglia e la casa».

In Expats, Margaret sta vivendo il trauma peggiore che possa capitare a una madre: non sa che cosa sia successo al figlio Gus. Nicole, come si fa a non affondare quando si affronta un momento tanto drammatico?

Kidman: «In larga misura si tratta di imparare a fissare dei limiti, anche per me stessa. Io mi affido molto al capo, al regista. Quando Lulu è intervenuta dicendo che si sarebbe occupata lei di organizzare tutto, avvisandomi quando sarei dovuta intervenire io, per me è stato un sollievo enorme. È stato un po' come se mi avesse detto che stava prendendo lei il controllo della situazione e che quindi io mi sarei potuta occupare di quello che so fare, ovvero, recitare ed essere parte di un gruppo di attori straordinari. Se mi avessero affidato un ruolo diverso, sarei andata in quella direzione. Credo di aver persino detto: Forse potrei essere Hilary, ma lei mi ha risposto: Tu non sei Hilary».

Wang: «Sentivamo che lei era Margaret. Il dolore, il privilegio, aveva un senso».

Kidman: «Lei è molto attenta al casting e tutti vogliono lavorare con lei. È così che si crea un gruppo di lavoro. Bisogna saper lavorare tutti insieme e fare funzionare le cose come si trattasse di un grande arazzo».

Lulu, c'è un'inquadratura particolare che riprendi nel corso della serie: in un momento cruciale, inquadri intenzionalmente a lungo un personaggio principale da dietro. È disarmante e in un certo senso voyeuristico. Come è arrivata a questa scelta?

Wang: «Quando si parla di luce, bisogna pensare anche alle ombre. Non ci sarebbe luce senza ombra. Penso che a volte ci sia più emozione quando non vediamo il volto del personaggio e proiettiamo le emozioni, immaginiamo come potrebbe essere il suo volto. È una cosa di cui io e il mio direttore della fotografia parliamo spesso. Sappiamo che è rischioso perché spesso lo studios, i produttori o altri potrebbero chiedere dei primi piani, per sicurezza. «Abbiamo Nicole. Abbiamo Ji-young. Approfittiamone, facciamo una bella inquadratura classica!», potrebbero dire». Ride.

Kidman: «E lei risponderebbe: No. Lo sappiamo. Così va bene, funzionerà».

Wang: «So quello che voglio».

Questo è molto autoriale.

Wang: «Mi piace anche lavorare sulle silhouette. Qualcuno si lamenta, dice “Non si vede niente”, e io rispondo: “È una silhouette!”. Nel casting ci sono tutte queste donne con le loro silhouette uniche. Si parte da un archetipo e loro diventano come delle icone che possiamo apprezzare per il modo in cui stanno, la postura, l'altezza, il vestito».

Kidman: «Mi diceva: Alzati!. (ride, ndr). «E il collo. Fai vedere di più il collo. Ricordi?».

Wang: «Mm-hmm».

Kidman: «Sulle prime ero perplessa. Poi capivo: Margaret sta cadendo a pezzi, ma è stoica e lo dimostriamo anche con il suo portamento».

Wang: «Giusto».

Kidman: «Ogni singola inquadratura è stata costruita nel dettaglio. Nulla è lasciato al caso. È tutto molto pensato e c'è sempre un significato. È un modo di fare regia che adoro».

In questo momento si parla molto della disparità tra registi uomini e donne. Com'è stato lavorare con Lulu in una serie dedicata alle donne?

Kidman: «Vedere persone come Lulu mi entusiasma, sono il futuro. Prendono ciò che è stato fatto in passato e ne fanno tesoro per costruire il futuro in modo diverso. Trovo davvero emozionante che tanti giovani registi, registe in particolare, si facciano avanti per esprimere un punto di vista diverso. Lo trovo necessario, perché tutto sta cambiando e abbiamo bisogno di sostenere queste voci. Ho avuto la fortuna di lavorare in passato con alcuni dei registi più grandi, questa è la nuova generazione che si sta affacciando, che sta prendendo in mano le redini.

Ma ripeto, hanno bisogno di sostegno. Jen Salke è stata per noi una partner incredibile, ci sentivamo al telefono e parlavamo. Non di rado le dicevamo che avevamo bisogno di più soldi (lei e Wang ridono, ndr) e si aprivano delle trattative. “No, di più non possiamo”. Noi comunque eravamo grate per qualsiasi cosa, per il sostegno che ci davano. Abbiamo lavorato con un team di alti dirigenti al femminile, che ha scelto di sostenerci».