Tlon: «Ecco perché votare è oggi più che mai importante»

È un potere che condividiamo come parte della società. A un passo dalle europee, è parte fondamentale del cammino verso una piena inclusione in contesti internazionali
taylor swift

Questo pezzo sulle prossime elezioni europee è pubblicato sul numero 21 di Vanity Fair in edicola fino al 21 maggio 2024.

Esiste un modo per verificare se in un Paese il potere decisionale è equamente distribuito: osservare la rappresentanza di gruppi, soggettività e parti sociali in Parlamento. Nessuno spirito si esaurisce in un’etichetta o in una sola caratteristica, eppure domandarsi se a discutere del futuro di un Paese partecipino persone diverse tra loro per contesto socio-economico, cultura e comunità di provenienza può aiutarci a capire se quello della politica sia uno spazio aperto e accessibile o se, invece, sia inarrivabile per chi vive una condizione di marginalità. Questo criterio può valere a tutti i livelli di rappresentazione, sia nel contesto dell’amministrazione locale sia in quello europeo. La percezione generale è che da molti anni, però, a essi l’accesso sia negato e che la politica sia più che mai distante dalle preoccupazioni delle persone. Questo è vero quando si parla di lavoro, salute fisica e mentale, diritti civili e sociali, ma lo è anche nel caso del cambiamento climatico e delle guerre.

Negli anni Novanta, le prime manifestazioni per i diritti delle persone con disabilità in Inghilterra diedero vita allo slogan «Nothing about us without us», cioè «Niente su di noi senza di noi». Quello che era accaduto fino ad allora, infatti, è che si era parlato delle persone con disabilità senza includerle nei processi decisionali, e quindi anche nella rappresentazione politica. In quel momento, al contrario, la partecipazione e l’autorappresentazione apparivano in tutta la loro centralità. Qualcosa di simile era accaduto altre volte nella storia. Durante la rivoluzione americana del Settecento, che portò poi alla costituzione degli Stati Uniti d’America, lo slogan politico era «No taxation without representation»: il Regno Unito chiedeva alle colonie di pagare le tasse, ma non dava loro alcuna possibilità di rappresentarsi politicamente e di cambiare gli equilibri.

DIRITTO-DOVERE L’8 e il 9 giugno si terranno le elezioni per il Parlamento europeo. Sulla facciata, a Strasburgo, si invita al voto.

SEBASTIEN BOZON/Getty Images

Nel contesto globale, la necessità di rappresentazione riguarda anche i popoli che hanno meno potere. Venerdì scorso l’assemblea dell’Onu ha approvato la risoluzione per riconoscere la Palestina come qualificata per diventare membro delle Nazioni Unite con 143 voti a favore, 9 contrari e 25 astenuti, tra cui l’Italia. L’assemblea raccomandava al Consiglio di sicurezza di «riconsiderare favorevolmente la questione» del riconoscimento della Palestina. Questo evento segna un passo importante nella lotta per l’autodeterminazione e la rappresentanza politica dei popoli. Nonostante ciò, il cammino verso una piena inclusione in contesti internazionali rimane complesso. Paesi con minor peso politico o economico si trovano frequentemente marginalizzati nelle arene decisionali internazionali, dove le superpotenze tendono a esercitare un’influenza predominante. Per fare questo, è essenziale scegliere i propri rappresentanti e pretendere che i propri valori e le questioni fondamentali siano tra le priorità. Se l’esercizio del voto oggi sembra incapace di imprimere un segno chiaro di cambiamento, è invece più che mai importante, perché descrive un potere che condividiamo come parte della società.

Per abbonarvi a Vanity Fair, cliccate qui.